Dal testo di Francesco Zanotto
"Lo imperchè portatosi a Napoli di
Romania il generalissimo di mare Tommaso Mocenigo, manifestava a quei cittadini
l'accaduto esortandoli con eloquente sermone adattarsi alla necessità
prepotente, diceva essere mara la cosa, per Repubblica, cedere ai barbari
quella città tenuta da lei siccome figlia carissima. Prometter che se vinto l'amor
santo del loco natale volessero
magnanimamente abbandonare la patria, le case loro, le tombe dei parenti, la
Repubblica sarebbe a ricever li in particolar protezione e tutela ... ".
ANNO 1540
Giuseppe Gatteri
Cosa ci racconta il disegno di Gatteri.
Nel 1537
ripresa la guerra con i turchi nel
Levante la Serenissima vede a poco
a poco ridursi sotto l'urto
dell'esercito e della flotta
nemica i suoi domìni nell'area. Fra
questi anche la città rumena di Napoli i cui abitanti fuggono all'ingresso
delle truppe nemiche ...
LA SCHEDA STORICA - 98
Agli inizi del XVI
secolo mentre i principali stati europei si disputavano sanguinosamente il
controllo della penisola italiana, in Oriente i turchi procedevano indisturbati
nella loro inesorabile espansione.
Nel 1499 in particolare, Venezia aveva perduto due fra i più
importanti porti del Peloponneso, Modone e Crotone, detti non a caso gli "occhi della repubblica" a seguito
della ripresa delle ostilità da parte del Sultano Bajazet II.
Dal 1503 comunque Venezia, dopo aver firmato la pace con il
Turco, non aveva più avuto motivi di scontro, mentre il suo sforzo bellico si
era concentrato, e rivolto esclusivamente, nell'opporsi alla minaccia
territoriale degli eserciti della Lega di Cambrai.
Nel 1512 saliva sul trono turco il figlio di Bajazet, Selim
I, che fortunatamente per Venezia continuò a rivolgere i suoi interessi verso
oriente, permettendo ai bellicosi stati europei di continuare indisturbati a
farsi le loro guerre nel vecchio continente.
Ma le cose presero a cambiare radicalmente solo otto anni
dopo, quando a Selim successe il figlio Solimano I, detto poi, e non certo a
caso, il Magnifico.
Nel 1521 aveva assediato, conquistandola, Belgrado, ultimo
baluardo di una certa rilevanza contro i turchi nei Balcani.
L'anno dopo sferrò un attacco all'isola di Rodi, da oltre
due secoli retta dai Cavalieri di S. Giovanni, come stato cristiano
indipendente. Dopo una disperata resistenza il 21 dicembre del 1522 l'isola
cadeva in mano turca. Rodi era definitivamente perduta per la cristianità e
Venezia tornava a guardare con crescente preoccupazione ai suoi sempre più
ridotti e minacciati domìni d'oltremare.
Anche per questo, probabilmente, Venezia scelse di
mantenersi pressochè estranea alle sconvolgenti vicende belliche che dopo il
trattato di Noyon erano immancabilmente riprese.
Il teatro era ancora una volta l'Italia, dove ora si
scontravano apertamente gli interessi del re francese Francesco I e
dell'imperatore Carlo V, che nel 1527 calò nella penisola con 20.000 soldati
mettendo Roma a ferro e fuoco per svariati giorni e saccheggiandola
brutalmente.
Solimano I non poteva che approfittare e trarre i massimi
vantaggi da una simile situazione. Con i principi e i potenti stati europei
impegnati a combattersi fra loro, poteva tranquillamente dare il via libera
alle sue truppe, che infatti nel 1526 erano già in marcia verso l'Ungheria. Il 29 agosto di quel medesimo anno l'esercito
ungherese venne dissolto, in una battaglia che resta fra le più tragiche della
storia di quel paese.
Anche a sud intanto procedeva inesorabile l'avanzata
dell'esercito ottomano che dilagava ora anche lungo la costa nord africana
oltre che nei Balcani. Il Mediterraneo orientale era solcato quasi
esclusivamente da navi turche o da corsari che attaccavano indistintamente ogni
nave cristiana che avesse ancora il coraggio di inoltrarsi in quelle acque.
A Venezia non restava che tentare di salvare il salvabile,
rinunciando a partecipare anche a quelle poche azioni offensive che Carlo V,
saltuariamente, lanciava contro i turchi. Era meglio per il governo veneziano
mantenere una conveniente posizione di neutralità per non provocare le ire del
sultano.
Ci pensò comunque il re francese Francesco I ad accendere la
miccia. Incurante della eventuali conseguenze, il sovrano ebbe l'ardire di
proporre a Solimano un accordo. Lui avrebbe attaccato in Europa le Fiandre,
pomo della discordia con Carlo V, impegnando così l'esercito imperiale, mentre
intanto Solimano poteva così attaccare in tutta tranquillità l'Ungheria, il cui
fronte sarebbe rimasto privo degli aiuti imperiali. Allo scellerato patto venne
chiesta anche l'adesione di Venezia.
Il doge ed il senato
veneziano declinarono ovviamente, per quanto possibile, nel modo meno offensivo
l'invito, dal momento che un simile accordo sarebbe andato tutto a vantaggio
del sultano turco. Il rifiuto di Venezia, tuttavia servì a Solimano come
pretesto per riprendere alla grande le ostilità con tutta una serie di
ritorsioni nei confronti dei mercanti veneziani in oriente. Dalle provocazioni
alla guerra il passo fu breve.
Il primo obbiettivo dei turchi fu l'isola di Corfù, veneziana
dal 1386. Tuttavia l'isola era ben fortificata e guarnita e così, malgrado gli
ottomani riuscissero a sbarcarvi, l'assedio della cittadella fu ben più duro
del previsto. La guarnigione era composta da 2000 italiani e da un migliaio di
isolani che resistettero eroicamente alle bombarde turche, finchè il loro
sforzo venne alla fine ricompensato.
Improvvisamente ed inaspettatamente infatti prese a piovere
sull'isola in una maniera tale e con così grande abbondanza che il terreno si
trasformò in un vero e proprio pantano, una trappola per le pesanti artiglierie
turche. A questo si aggiunse inesorabile anche la malaria che iniziò a decimare
i soldati. Il 15 settembre Solimano dopo tre settimane di inutile assedio,
diede ordine ai suoi uomini di ritirarsi. Nella città e nell'isola esplose la
gioia.
Tuttavia, malgrado l'inaspettato ritiro, il sultano turco
proseguiva indisturbato altrove le sue conquiste tanto che il nuovo doge Pietro
Lando si vide costretto a scegliere la più sicura via diplomatica. Inviò ben presto
infatti a Istambul Luigi Badoer, in veste di ambasciatore presso la corte di
Solimano, con pieni poteri di trattare la pace.
Una pace che per Venezia voleva dire la resa pressochè
totale dei suoi domìni nel Levante e nel Mediterraneo orientale. Oltre alle
terre già occupate infatti, la Serenissima dovette cedere al sultano anche le
città di Napoli, l'antica Nauplia, in Romania e di Malvasia. Solimano inoltre,
pretese il pagamento di ben trecentomila ducati d'oro quale risarcimento delle
spese belliche.
Il triste compito di portare la notizia ai cittadini di
Napoli, venne dato a Tommaso Mocenigo, "generalissimo da mar".
Questo, giunto nella cittadina rumena, informò le autorità e la cittadinanza
sugli accordi presi, controvoglia,
con il sultano, assicurando che chi avrebbe voluto avrebbe trovato accoglienza
a Venezia come nuovo cittadino della repubblica. Molti accolsero l'invito del
Mocenigo, naturalmente. Restare per cadere in mano turca non era certo la
soluzione migliore.
E così, una volta sistemati sulle navi i loro pochi averi,
gli abitanti lasciarono per sempre la loro città verso una nuova patria.
Fonte: srs di
Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura
Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA,
volume 4, SCRIPTA EDIZIONI
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