di Francesco Lamendola
1.
CHE COS'È UN GENOCIDIO.
Genocidio è il tentativo di
sterminare, con metodi organizzati, in gruppo nazionale, etnico, razziale o
religioso (dal greco génos, stirpe, donde il latino gens: gente,
stirpe, razza). Le odierne leggi internazionali lo puniscono quale
"crimine contro l'umanità" (accordo di Londra, 8 agosto 1945), sia
nel caso venga commesso nel corso delle operazioni belliche, sia che abbia
luogo in stato di pace (convenzione dell'Assemblea generale dell'O.N.U. del 9
dicembre 1948).
La storia antica è ricca di
massacri e deportazioni di interi popoli. Nelle sue memorie sulla guerra di
Gallia, ad esempio, Giulio Cesare narra senza batter ciglio come tentò di
sterminare il popolo degli Eburoni che si era ribellato ai Romani, tentativo
coronato da un notevole successo. (1) Tuttavia
è nella storia moderna che noi troviamo gli esempi più massicci e sistematici
di genocidio.
È noto che un grandissimo numero di popoli amerindiani venne
letteralmente sterminato dai conquistatori europei, tanto nel Nord che nel Sud
America. In certi casi, le condizioni di vita imposte dai conquistadores
erano così intollerabili che interi gruppi tribali ricorsero al suicidio di
massa: tale il caso degli Arawak dell'isola di Hispaniola (Haiti) durante il
XVI secolo.
Più recentemente, nella Terra del Fuoco gli allevatori
bianchi giunsero a iniettare stricnina nelle pecore di cui si cibavano gli indigeni
e a sparare a vista contro qualunque Fuegino, anche pacifico, col risultato che
già nel 1925 non si contavano più di 190 individui fra Yaghan e Alakaluf (2),
mentre oggi sono del tutto estinti.
Gli abitanti della Tasmania, ai primi dell'800, vennero
braccati dagli Inglesi come animali, rastrellati con una gigantesca operazione
di polizia da una costa all'altra della grande isola, e deportati in un
isolotto dove morirono quasi tutti. L'ultimo tasmaniano morì nel 1876, e il suo
corpo, esumato su richiesta della Royal Society, rimase esposto fino al 1976 in
una teca del Tasmanian Museum, come un raro pezzo da collezione. (3)
Ma è nel XX secolo che hanno
avuto luogo i tentativi più sistematici e sinistramente efficaci di genocidio.
Milioni di persone hanno perso la vita nei campi di concentramento hitleriani
in Germania e nei Paesi da essa occupati, fra il 1938 e il 1945, e altri
milioni nei gulag di Stalin, specie durante la campagna per la
collettivizzazione forzata delle campagne, negli anni '30. Si discute ancora
sulle cifre, ma certo si trattò di qualcosa che non si era mai visto prima
nella storia dell'umanità, sia per il numero delle vittime che per le modalità
"industriali" delle deportazioni e dello sfruttamento della
manodopera servile così ottenuta.
C'è poi stato il genocidio
dei Tutsi da parte degli Hutu in Ruanda, nel 1994, costato un milione di
vittime; quello delle popolazioni negre del Sudan meridionale da parte del
governo islamico fondamentalista di Khartoum; e le varie "pulizie
etniche" (in pratica, dei piccoli genocidio localizzati) in varie parti
della ex Jugoslavia, ad opera sia dei Serbi che dei Croati, negli anni fra il
1991 e il 1999, secondo un copione che era già stato attuato negli anni della
seconda guerra mondiale, specie per opera degli ustascia di Ante
Pavelic.
Pochi giorni fa (marzo del 2006) ha destato un certo
scalpore la notizia della morte in carcere dell'ex presidente serbo Slobodan
Milosevic, processato dal tribunale Internazionale dell'Aja per "crimini
contro l'umanità" , specie ai danni degli Albanesi del Kossov, quando
ancora non era stata emessa la sentenza. Bisogna però ricordare che il
presidente croato Franjo Tudjman ha avuto analoghe responsabilità per quanto
riguarda la "pulizia etnica" delle minoranze serbe in Slavonia e in
altre zone della Croazia; e che, nella parte musulmana della Bosnia, le
atrocità croate non sono state dissimili da quelle compiute dalle bande
nazionaliste serbe.
Tuttavia una parte
considerevole dell'opinione pubblica occidentale ignora ancor oggi che durante
la prima guerra mondiale ebbe luogo un altro spietato genocidio: quello degli
Armeni.
Se oggi si è in parte sollevata la cortina di silenzio che
lo avvolgeva, è solo perché l'Unione Europea sta negoziando i preliminari
per un futuro ingresso della Turchia, nazione che non ha mai riconosciuto la
responsabilità storica di tale genocidio (a differenza di quanto fatto dal
governo tedesco nei confronti del popolo ebreo e di Israele, dopo il
1948). Nel 1915-16, infatti, il governo turco di Enver pascià, Talaat e Gemal
mise in atto lo sterminio sistematico di qualcosa come 1.500.000 Armeni
nell'Anatolia orientale, in Cilicia e in Siria. Un'eco di questa oscura
tragedia è stata consacrata alla storia letteraria dal romanzo di Franz Werfel I
quaranta giorni del Mussa Dagh. (4)
Altre centinaia di migliaia
di Armeni vennero trucidati dopo la guerra, quando non esisteva più
nemmeno la copertura delle necessità di difesa nazionale, ad opera non del
crollato regime dei Giovani Turchi, ma del "padre della patria" Kemal
Atatürk, colui che, avendo avviato il processo di occidentalizzazione del suo
Paese, è ancor oggi presentato in modo sostanzialmente positivo in quasi tutti
i libri di storia occidentali, a partire dai libri di testo scolastici. A
Smirne, mentre l'esercito greco era in fuga, migliaia di civili Armeni (e
Greci) vennero bruciati vivi, crocifissi, impalati nel 1922. Scene simili
si verificarono in Cilicia subito dopo il precipitoso reimbarco delle truppe francesi,
premute dai kemalisti. (5)
Forse è perché una parte di
quel genocidio avvenne sotto gli auspici di Atatürk e del suo partito
nazionalista, che la questione del riconoscimento delle responsabilità sembra
essere passata in seconda linea nell'agenda delle trattative per la futura
adesione della Turchia all'Unione Europea; ragioni strategiche sembrano
prevalere su ogni considerazione morale, poiché Parigi val bene una messa;
cioè non pare il caso di guardar troppo per il sottile, quando sono in ballo ragioni
di alta politica internazionale.
2.
L'AFRICA IN RIVOLTA.
Le prime lotte per la libertà e
l'indipendenza dei popoli africani vennero combattute fuori dall'Africa. Gli
schiavi deportati nel Nuovo Continente per lavorare nelle piantagioni di cotone
e di canna da zucchero diedero vita, nel XVII secolo, a numerosi Stati
indipendenti o quilombos, nel Darien, in Brasile e altrove. (6) Celebre fra tutte la cosiddetta Repubblica di
Palmares, governata in realtà da Zumbi, un sovrano di notevole statura
politica: quando venne distrutta dai bandeirantes paulistas (cacciatori
di schiavi della città di San Paolo), nel 1697, essa aveva raggiunto un alto
grado di organizzazione sociale e contava una popolazione di circa 20.000
anime. (7) Nell'isola di Haiti, gli ex schiavi negri raggiunsero
definitivamente l'indipendenza al principio del XIX secolo, dopo le audaci
campagne che valsero all'eroe nazionale Toussaint Louverture l'appellativo di
"Napoleone nero".
L'Africa
sub-sahariana non subì l'urto massiccio del colonialismo che verso la fine del
XIX secolo. Prima della Conferenza di Berlino (1884-85) erano pochi e piccoli
gli insediamenti europei sul continente, ad eccezione dell'Algeria e del
Sudafrica. Ma dopo il 1880 si scatenò in tutta la sua violenza la corsa
all'accaparramento coloniale. Indeboliti dalla secolare emorragia della tratta,
divisi e discordi tra loro, ignari della civiltà europea e delle sue astuzie, i
popoli africani dapprima non offrirono quasi resistenza. Innumerevoli trattati
di protettorato vennero firmati da capi indigeni, raggirati dall'offerta di
doni risibili.
Fu solo verso il 1890
che gli Europei vennero a contatto con gli Stati più solidi e agguerriti
dell'interno: i Francesi con il sultanato di Rabah nel Ciad, gli Inglesi con il
regno mahdista del Sudan, gli Italiani con l'Impero cristiano d'Abissinia. In
questa fase, un po' tutte le colonie vennero altresì scosse da una serie di
violente sollevazioni, poiché i popoli africani "sottomessi" cominciavano
a reagire alle catastrofiche conseguenze socio-economiche della dominazione
europea.
La rivolta degli ottentotti Nama e
dei bantù Ova Herero nell'Africa Sud-occidentale tedesca rientra in questo
complesso movimento storico, del quale presentiamo qui un veloce sommario
cronologico.
1888-89: rivolta di Abushiri nell'Africa Orientale Tedesca.
1889-94: resistenza del re Behanzin ai Francesi nel Dahomey.
1890-98: resistenza dei Bunyoro agli Inglesi in Uganda.
1891-98: rivolta degli Hehe nell'Africa Orientale Tedesca.
1891-1920: guerriglia di Mad Mullah contro Italiani e
Inglesi in Somalia.
1896. battaglia di Adua; rivolta dei Matabele e dei Mashona
contro gli Inglesi in Rhodesia.
1897-1900: lotta di Rabah contro i Francesi nel Ciad.
1898: distruzione del regno mahdista da parte degli
Anglo-Egiziani.
1898-1904: ribellioni e guerriglia nel Madagascar contro i
Francesi.
1900: rivolta degli Ashanti contro gli Inglesi nella Costa
d'Oro.
1904: rivolta di Anyang contro i Tedeschi nel Camerun.
1905, 1908: rivolta dei Gusii contro gli Inglesi nel Kenya.
1905-1907: rivolta dei Maji Maji nell'Africa Orientale
Tedesca.
1906: rivolta degli Zulu contro gli Inglesi nel Natal.
1909-1912: campagna francese contro il sultanato
dell'Ouaddai.
1911-1917: resistenza dei Tutsi e degli Hutu contro Inglesi
e Tedeschi nel Ruanda.
1913: rivolta contro i Portoghesi in varie zone dell'Angola.
1915: ribellione di Chilembwe contro gli Inglesi nel
Nyasaland. (8)
3.
IL COLONIALISMO TEDESCO.
La Germania del XIX secolo
arrivò buon'ultima sulla scena della spartizione coloniale, poiché fin verso il
1880 il cancelliere Bismarck aveva avversato ogni idea di espansione oltremare.
Egli considerava sostanzialmente inutile all'economia tedesca e troppo
dispendiosa l'acquisizione di colonie, nonché pericolosa per il mantenimento
dei buoni rapporti con la Gran Bretagna (tutte previsioni che si sarebbero
dimostrate esatte). Ma quando la spartizione dell'Africa era già quasi
compiuta, gli ambienti pangermanisti - sostenuti dalla finanza e dalla marina -
esercitarono delle pressioni così forti che Bismarck, assecondando i nuovi
sentimenti dell'opinione pubblica, gettò frettolosamente la Germania nella
corsa all'accaparramento delle ultime colonie, sancita dalla Conferenza di Berlino
del 1884-85.
In Africa venne dichiarato il
protettorato tedesco sull'Africa Sud-occidentale, sul Togo e sul Camerun
(1884), indi sull'Africa Orientale tedesca (agosto 1885). Nell'Oceano Pacifico
furono occupate la Terra dell'Imperatore Guglielmo (Kaiser Wilhelmsland)
nella Nuova Guinea, e l'Arcipelago delle Bismarck (dicembre 1884), poi le Isole
Marshall (1884-85); infine le Marianne, le Caroline e la Palau,
acquistate dalla Spagna dopo l'esito disastroso della guerra ispano-americana,
nonché le Samoa occidentali, dopo un trattato di spartizione con gli Stati
Uniti d'America (1899). In Estremo Oriente, venne occupato il porto di
Kiaochow, strappandolo alla sovranità del governo cinese (1898). (9)
Tutte queste operazioni,
condotte in fretta e furia nella scia di missioni religiose tedesche e di
preesistenti iniziative di case commerciali (la Woermann di Amburgo era
stabilita nel Camerun fin dal 1868; la Missione Renana era presente nel
Sud-ovest africano fin dal 1847), furono caratterizzate da un minimo impiego di
forze militari e da un'estrema arroganza diplomatica. Vi furono momenti di
grave tensione con le altre potenze imperialiste, mentre i popoli indigeni, sul
momento, non manifestarono serie reazioni. In particolare, la politica coloniale
tedesca giunse a sfidare apertamente la Spagna (1886, azione nelle Marianne),
gli Stati Uniti (nel 1902, con la crisi del Venezuela) e la Francia (nel 1905 e
nel 1911, con le due crisi marocchine che per poco non affrettarono lo scoppio
di un conflitto generalizzato, cui si arriverà nel luglio-agosto 1914, dopo
l'eccidio di Sarajevo). (10)
Nel governo dei popoli indigeni la
Germania, che non disponeva di una tradizione amministrativa coloniale, diede
prova di una singolare incomprensione delle realtà locali. I suoi funzionari,
ad esempio, ritenevano che ogni tribù dovesse vivere entro confini ben precisi,
e non capivano che in Africa la vita sociale è sempre stata caratterizzata, per
motivi ambientali ed economici, da una estrema mobilità delle popolazioni. (“In
Africa non esistono confini, nemmeno tra la vita e la morte", scriveva il
poeta Leopold Sedar Senghor, portavoce della negritudine). In
particolare, nell'Africa Sud-occidentale il tentativo tedesco di avviare una
macchina amministrativa efficiente, sul modello europeo, si scontrò con
l'esigenza dei popoli allevatori di spostarsi liberamente attraverso la steppa,
alla ricerca di nuovi pascoli. Così, verso il 1888, ebbe inizio un periodo di
violente insurrezioni indigene, che si protrasse fino alla grande sollevazione
degli Herero e dei Nama nel 1904-07.
Nel frattempo,
l'illusione di Bismarck che le colonie potessero venire amministrate dalle
stesse compagnie commerciali era stata smentita, e lo Stato tedesco aveva
dovuto assumersi in prima persona il loro governo, con un notevole onere
finanziario per il contribuente. L'impero coloniale tedesco, che l'opinione
pubblica pangermanista aveva voluto sia per motivi di prestigio, sia come
sbocco ai capitali e all'emigrazione dalla madrepatria, si rivelava al
contrario un peso morto per le finanze del Reich, e una fonte di sempre nuove
spese.
Nessun flusso migratorio si indirizzò verso le colonie
in sostituzione di quello tradizionale verso il Brasile e verso gli Stati Uniti
d'America. Nel 1914 esse ospitavano meno di 25.000 tedeschi, comprese le forze
armate (11), su una superficie totale di circa 2,5 milioni di kmq. e una
popolazione di 15 milioni di abitanti. (12) Solo nell'Africa Sud-occidentale si
stabilì un compatto nucleo di coloni tedeschi (6.000 uomini atti alle armi nel
1914) (13),i cui discendenti costituiscono ancora oggi, accanto a Britannici e
Boeri, una delle tre componenti della popolazione bianca, e sono attaccatissimi
alle loro antiche tradizioni.
4.
UNA POLITICA MILITARE INCONTINENTE E IMMORALE.
Arrivata ultima sulla scena della
spartizione coloniale, la Germania aveva dovuto accontentarsi di quel che era
rimasto, ma le sue aspirazioni andavano ben oltre. Specialmente durante la
guerra mondiale 1914-1918 la Società Coloniale, lo Stato Maggiore dell’esercito
e della marina e gli ambienti dell’alta finanza elaborarono una serie di piani
coloniali così smisuratamente ambiziosi, che si decise di non renderli mai di
pubblico dominio. In base a questi piani, un enorme territorio dell’Africa
centrale, dall’Atlantico all’Oceano Indiano, avrebbe dovuto costituire un
Impero tedesco (14), autosufficiente anche sul piano militare. (15)
La stessa aggressività sfrenata e
incontrollabile dimostrò la Germania nei confronti delle popolazioni indigene
sottoposte. Celebre, ad esempio, è rimasto il discorso tenuto dall’imperatore
Guglielmo II alle truppe in partenza perla guerra dei Boxers, il 27 luglio
1900, a Bremerhaven: “… non ci sarà
clemenza e non verranno fatti prigionieri. Chiunque cade nelle vostre mani,
cade sotto la vostra spada! Come mille anni fa gli Unni sotto il loro re Attila
si sono fatti un nome che gli uomini ancora rispettano, possa ora per opera
vostra il nome di ‘tedesco’ affermarsi per millenni in Cina, tanto che nessun
Cinese, con gli occhi a mandorla o no, possa più osare guardare un tedesco in
faccia.”(16)
Quando ebbe inizio l’ondata
delle rivolte dei popoli coloniali, il governo tedesco reagì con una brutalità
straordinaria, deciso a infliggere loro una “lezione” memorabile. “L’imperialismo tedesco – ha scritto uno
storico sovietico - … soffocava le insurrezioni dei popoli africani con tanta
ferocia che la sua giustificazione si riduce al fatto che i suoi avversari,
l’Inghilterra e la Francia avevano adottato in casi analoghi gli stessi
metodi, cioè il completo sterminio fisico degli insorti. In un quarto di secolo
di dominio nelle colonie africane… è riuscito a distruggere una serie di
tribù tra cui, come è noto, la grande tribù degli Herero.”(17)
È importante
comprendere che non si arrivò al genocidio degli Herero in maniera improvvisa e
inaspettata. I rappresentanti del potere coloniale tedesco, ogni qualvolta si
trovavano in difficoltà, facevano ricorso al terrore. (18) L’inumano ordine di
sterminio emesso nel 1904 non fu che la naturale conclusione di tutto un modo
di procedere verso i popoli extraeuropei. Dobbiamo pertanto riconoscere nel
genocidio degli Herero il risultato di una politica militare incosciente e
immorale, in cui l’autentico spirito militare – come scrisse un autore tedesco
in altra circostanza – era stato ormai orribilmente deformato. (19)
5.
GLI HERERO: CHI ERANO.
Il popolo degli Herero,
appartenente alla grande famiglia linguistica bantu, giunse nel territorio
della odierna Namibia nel XVII secolo, dopo una lunghissima migrazione che ebbe
origine, probabilmente, dalla regione dei Grandi Laghi. Nel Sud-ovest africano
essi vennero ripetutamente a conflitto con le popolazioni boscimano-ottentotte,
e specialmente con il gruppo ottentotto dei Nama, in mezzo alle quali si
stabilirono, formando l’isola bantu più meridionale dell’intera regione. Il
territorio da essi occupato andava dal massiccio del Kaokoveldt, che si
affaccia sulla costa atlantica sino all’altezza di Capo Frio, alla regione ove
sorge Windhoek. (20) Verso nord confinavano – e confinano a tutt’oggi – col
popolo degli OvAmbo, ad essi apparentato, e stanziatosi a cavallo della
frontiera con l’Angola.
Gli Herero erano un popolo di
allevatori, e i loro bovini, che avevano anche un valore sacrale, erano
celebri in tutta l’Africa meridionale. Altrettanto celebre era la perizia dei
pastori herero nel trovare sorgenti d’acqua per i loro armenti, anche in piena
steppa semidesertica. I conflitti con i loro vicini, e specialmente con i Nama
che abitavano immediatamente più a sud, erano originati appunto dalla necessità
di assicurarsi le terre da pascolo dell’altopiano centrale (Damaraland). I Nama
lavoravano il ferro e la ceramica, erano cacciatori e soprattutto allevatori di
ovini e bovini. Sotto la guida del loro capo Jonker Afrikaaner, essi presero il
sopravvento sugli Herero negli anni 1835-1860, li sottomisero e occuparono i
pascoli della regione centrali.
A complicare le cose, vi fu,
a partire dalla metà del XIX secolo, una immigrazione di altre genti ottentotte
provenienti dalla Colonia del Capo, le quali volevano sottrarsi alla
dominazione europea. Si trattava di gruppi anch’essi interessati
all’acquisizione dei pascoli sull’altipiano centrale, che presto si imposero
tanto ai Nama che ai Bastardi della regione di Rehoboth (una tribù migrata
anch’essa da oltre il fiume Orange, e formata da mulatti ottentotto-asiatici;
chiamati, questi ultimi, dalla Compagnia delle Indie Orientali a popolare la Provincia
del Capo).
Jonker Afrikaaner morì nel
1861 e il nuovo capo dei Nama, Hendrik Witbooi, non riuscì ad impedire che gli
Herero cogliessero il momento favorevole per insorgere e liberarsi dalla
sudditanza in cui erano caduti. Seguì un periodo di lotte fra i due popoli che
durò fino al 1870, e poi ancora dal 1880 al 1892: lotte molto sanguinose poiché
erano combattute con armi da fuoco, acquistate dai commercianti bianchi. (21)
In questa fase gli Herero avevano trovato un capo prestigioso nella persona di
Tjamuha Maharero e poi di suo figlio, Samuel Maharero. Fu allora che si diedero
un’organizzazione politica fortemente centralizzata, mentre prima vivevano
raggruppati in entità minori.
Fino a quel
momento, solo un piccolo numero di Europei – missionari e contrabbandieri – si
era stabilito nell’Africa sudoccidentale. Nel 1878 gli Inglesi del Capo avevano
occupato la Baia della Balena, con la tiepida autorizzazione del governo di
Londra. L’insediamento nella baia di Angra Pequeña di un commerciante di Brema,
F. A. E. Lüderitz, che l’acquistò da un capo indigeno insieme alla regione
circostante (primavera 1883), offrì al cancelliere Bismarck l’occasione di
agire. Egli dichiarò, il 24 aprile 1884, che il Governo tedesco assumeva
direttamente la protezione delle aziende di Lüderitz, e nell’agosto-settembre,
con due successivi proclami, dichiarò il protettorato germanico sull’intera
regione posta tra i fiumi Orange, a nord (che segnava il confine con l’Angola
portoghese), e Cunene, a sud (che segnava il confine con la britannica
Colonia del Capo).
6. LA DOMINAZIONE
TEDESCA:
La Germania aveva ottenuto il
riconoscimento internazionale del suo protettorato, pur non avendo occupato
effettivamente il territorio in questione. Tuttavia, la penetrazione tedesca
dalla costa verso l’interno progredì rapidamente, grazie anche alla rivalità
che divideva le popolazioni indigene, i cui capi vennero indotti a firmare
separatamente dei trattati di sottomissione. Per questi avvenimenti noi possediamo
non solo la documentazione dei colonialisti bianchi ma anche, caso pressoché
unico, una fonte africana di primissima mano: il diario di Hendrik
Witbooi. (22) Poichè a quell’epoca gli Herero si trovavano in difficoltà nella
lotta contro i Nama, loro tradizionali avversari, il loro capo accettò senza
resistenze il protettorato tedesco, nel 1885. Il loro gruppo, a quel tempo, era
composto di circa 85.000 individui (23), mentre una stima del 1966 ne calcolerà
non più di 40.000.
Subito dopo, ebbe inizio la
tragedia. Una schiera di coloni tedeschi si affacciò sull’altopiano centrale
ove fu costruita Windhoek, la capitale, a 1.680 metri d’altitudine, in perfetto
stile architettonico bavarese. Con l’aiuto del governo coloniale, e nonostante
le proteste di alcuni missionari, essi espropriarono a ritmo febbrile sia le
terre che le mandrie di bestiame degli Africani. Le basi economiche della
società indigena vennero distrutte e agli Herero – come del resto ai Nama – non
restò altro da fare che passare al servizio dei proprietari terrieri bianchi,
dei commercianti, dell’esercito d’occupazione (come scouts, perché in
questa colonia il Reich non si fidava ad arruolarli come truppe di linea), e
delle missioni.
Una epidemia di peste bovina,
scoppiata nel 1897, peggiorò ulteriormente la situazione , falcidiando gli
armenti ancora in possesso degli indigeni e riducendo questi ultimi alla
disperazione. Né essi potevano ripiegare, come altre volte in passato, sulla
tradizionale agricoltura di sussistenza, poiché tutte le terre fertili erano
state occupate dai coloni tedeschi. (24) Non rimaneva loro che l’alternativa di
soccombere lentamente o ribellarsi finché ne avevano la forza: ed essi scelsero
la seconda.
La storia dell’Africa
Sud-occidentale tedesca è una storia scritta col sangue, intessuta di lotte
quasi continue. La brutalità e l’incompetenza dei funzionari governativi erano
tali, che praticamente tutte le tribù indigene finirono per sollevarsi. Perfino
la tradizionale ostilità fra gli Herero ed i Nama venne meno, e i due popoli
furono indotti a coalizzarsi contro l’intollerabile dominazione tedesca.
Il segnale della rivolta
venne dato dagli ottentotti Nama, il cui capo Witbooi, sconfitto, dovette
sottomettersi e si ridusse a collaborare, sia pure per pochi anni, con i
Tedeschi. Due anni dopo, nel 1896, insorsero gli Herero; repressi, fu la volta
dei Nama e degli Herero coalizzati.
Questa prima azione comune
dei due popoli venne rapidamente soffocata nel 1900 dai Tedeschi, i quali
soltanto in questa colonia si servivano esclusivamente di truppe europee
(soprattutto cavalleria e speciali reparti cammellati), segno questo evidente
di quanto impopolare fosse il loro governo fra tutti i nativi. (25) Fu quindi
la volta dei Bondei (Bondelswart), il cui tentativo insurrezionale venne
schiacciato nel 1903-04. Basterebbe questo elenco di insurrezioni contro il
regime coloniale, per dimostrare come esso venisse giudicato un pericolo
mortale da tutte le popolazioni indigene.
L’illusione che la
Germania avrebbe saputo “pacificare” il territorio, facendo cessare le lotte
tribali e aprendolo ai supposti benefici della “civiltà” (“The white man’s
burden”, ossia il fardello dell’uomo bianco, scriveva il poeta inglese
Rudyard Kipling), era stata tragicamente smentita dai fatti. Tuttavia le
autorità coloniali non seppero far tesoro di queste sanguinose esperienze e
proseguirono nella loro opera di sistematica espropriazione delle terre e delle
mandrie degli Africani. Gli avvenimenti del 1904, pertanto, non si può dire che
giungessero imprevedibili; al contrario, il rifiuto del governo tedesco di
prendere in considerazione le cause economiche dello scontento, fu direttamente
all’origine del nuovo scoppio di violenza e della conseguente, drammatica repressione.
7.
LA GRANDE INSURREZIONE DEL 1904.
Il malcontento e
l’esasperazione degli Herero erano giunti al grado più acuto nel corso del
1903. A coronamento di una lunga serie di soprusi e inutili atti di violenza, i
Tedeschi avevano abbattuto gli “alberi sacri” del cimitero herero di Okahandja,
per costruire al posto di quest’ultimo una fattoria di coloni. Oramai gli
Herero, popolo fiero e bellicoso, non aspettavano altro che un’occasione
favorevole per insorgere contro gli odiati dominatori. E l’occasione,
finalmente, venne.
In quell’anno la tribù
ottentotta dei Bondei, stanziata nel mezzogiorno della colonia, in prossimità
del fiume Orange, si era ribellata violentemente ai Tedeschi. Il governatore
Theodor Leutwein – che era un militare, tenente colonnello dell’esercito –
avviò prontamente il grosso delle forze di cui disponeva in quella direzione.
Le truppe tedesche debellarono nel sangue la resistenza dei Bondei, ma per
poter fare ciò commisero l’imprudenza di sguarnire eccessivamente la regione
centro-settentrionale. Ai primi del nuovo anno, la loro presenza militare a
nord di Windhoek apparve così tenue e indebolita, che gli Herero compresero
esser quella un’occasione forse irripetibile per attaccarli.
Il 14 gennaio
1904 essi insorsero per la terza volta, con un furore che colse impreparati i
loro dominatori. Centoventitrè tedeschi, fra soldati, commercianti e coloni, si
lasciarono sorprendere e uccidere dagli indigeni; donne e bambini, però, non
vennero toccati. A Waterberg un intero presidio militare venne
annientato. Fatto degno di nota, né i pochi coloni britannici né quelli di
origine boera subirono molestie da parte degli insorti: l’odio di questi ultimi
era diretto unicamente contro i cittadini del Reich germanico. La linea
ferroviaria d’interesse strategico, che le autorità coloniali avevano fatto
costruire tra Windhoek e Swakopmund (il porto principale della sezione costiera
centrale, poco a nord della Baia della Balena), venne distrutta in parecchi
punti. Di conseguenza, le comunicazioni fra la colonia e il mondo esterno
vennero temporaneamente interrotte, e per alcuni mesi Samuel Maharero assunse
il controllo de facto di vaste regioni centro-settentrionali.
In questa prima fase
della guerra, l’esercito tedesco presente nella colonia era stato ripetutamente
battuto in campo aperto e, infine, praticamente accerchiato dagli insorti a
Oviumbo, di dove aveva potuto sganciarsi e battere in ritirata solo con estrema
difficoltà. Il governatore Leutwein dovette mettersi completamente sulla
difensiva nella zona attorno a Windhoek, limitandosi ad aspettare l’arrivo dei
rinforzi dalla madrepatria. Nondimeno egli trascorse delle settimane
drammatiche: quasi tutta la regione a nord della capitale era di fatto perduta
per i Tedeschi, e i loro coloni – deposta l’usuale arroganza – vivevano nel
terrore. Fu solo il volontario ripiegamento degli Herero sul massiccio montuoso
del Waterberg (a sud-est dell’area paludosa dell’Etosha Pan) che rimosse la
minaccia gravante sulla stessa capitale.
Se i Nama di
Witbooi avessero colto il momento favorevole per insorgere a loro volta, ai
Tedeschi sarebbe stato assestato un colpo decisivo. Ma l’azione fra i due
popoli non era stata ben concertata, o forse pesarono negativamente le antiche
inimicizie tribali, col loro retaggio di rancori e diffidenze reciproche. Al
governo coloniale venne lasciato il tempo di riorganizzarsi, di far affluire
rinforzi e, poi, di passare alla controffensiva. Solo quando gli Herero erano
già stati decimati, gli Ottentotti presero le armi a loro volta: così i
Tedeschi poterono affrontare i due popoli separatamente, e sconfiggerli in
maniera definitiva.
Nel corso della
primavera e dell’estate furono fatte affluire numerose truppe dalla Germania,
in vista di una vasta operazione repressiva, per un totale di circa 20.000
uomini, dotati di molta artiglieria da campagna. I rinforzi sbarcarono nella
colonia fra l’11 giugno e il 20 luglio. Il comando venne affidato a un militare
che di repressioni se ne intendeva, avendo in precedenza schiacciato
spietatamente la rivolta degli Hehe nelle regioni centrali del Tanganica
(1891-98), e avendo partecipato alla durissima campagna contro i Boxers in
Cina, nel 1900. Era il generale di fanteria Lothar von Trotha, un
prussiano dal pugno di ferro, nato a Magdeburgo il 3 luglio 1848 e che aveva,
dunque, all’epoca soli cinquantacinque anni, un’età relativamente giovane per
un grado così elevato.
Particolare
significativo, la campagna contro gli Hehe del Tanganica era stata da lui
“brillantemente” conclusa con l’invio in Germania della testa mozza del capo
africano ribelle, Mkwawa (è vero che una barbarie analoga fu commessa, dopo la
battaglia di Omdurman contro i Dervisci del Sudan, dall’inglese lord Kitchener,
che aveva spedito a Londra la testa del Mahdi, dopo aver fatto profanare il suo
sepolcro, nel 1898). Al fianco di von Trotha troviamo, nell’Africa
Sud-occidentale tedesca, un giovane ufficiale trentaquattrenne di belle
speranze, Paul von Lettow-Vorbeck, che nel 1906 verrà ferito gravemente a un
occhio e rimpatriato in Germania (26), mentre nel 1914-18 sarebbe divenuto
famoso per la sua abile difesa dell’Africa Orientale Tedesca contro le truppe
dell’Intesa. (27)
Il piano di von Trotha
consisteva nell’accerchiamento degli Herero, da effettuarsi con gli ottimi
squadroni di cavalleria di cui disponeva, al fine di catturare l’intero gruppo.
Esso era favorito dalla natura aperta e semidesertica della regione, che non si
prestava assolutamente ad operazioni di guerriglia da parte degli insorti; e lo
fu ancor di più dall’incauto concentramento degli Herero vicino ai pozzi
del fiume Hamakari, imposto dalla necessità di disporre di acqua fresca per
quella massa di persone.
Gli indigeni erano
appesantiti dalla presenza non solo delle donne e dei bambini, ma anche dalle
mandrie di bovini, che costituivano la loro indispensabile fonte di
vettovagliamento: e fu allora che i Tedeschi colsero l’opportunità di
attaccarli sulle ali (agosto 1904).
Si ingaggiò un’aspra
battaglia; nonostante l’enorme sproporzione esistente in fatto di armamento,
gli Herero riuscirono sostanzialmente a far fallire gli ambiziosi piani
dell’avversario e, pur subendo perdite pesantissime, ad aprirsi un varco in
direzione est, vanificando la manovra avvolgente. Subito i Tedeschi si
lanciarono all’inseguimento (13 agosto), impiegando largamente i fucili a
ripetizione “Krupp” e le mitragliatrici “Maxim”.
La ritirata degli
Herero finì per trasformarsi in un terribile olocausto. Premuti dalla
cavalleria tedesca che li braccava senza pietà, esaurite le munizioni,
tormentati dalla sete e dal sole implacabile, molti di loro trovarono la morte
nel deserto dell’Omaheke, a est delle paludi dell’Etosha
(settembre-ottobre).
Solo una piccola parte
di essi, col loro capo Samuel Maharero, riuscirono a mettersi in salvo,
attraversando la frontiera col Bechuanaland britannico (l’odierno Botswana).
(28) E lì furono costretti a rimanere per sempre; pur trattandosi del Deserto
del Kalahari, ossia di una delle regioni più aride e desolate dell’intero
continente: il terrore tedesco era stato tale che essi non tornarono più
indietro, e ancor oggi i loro discendenti vivono là rifugiati.
8. LA “SOLUZIONE
FINALE” DEL PROBLEMA HERERO.
L'insurrezione degli
Herero aveva imposto alti costi alla Germania, sia in termini umani che
finanziari, ma soprattutto aveva nuociuto alla sua reputazione. Il
prestigio del militarismo tedesco era stato scosso tanto agli occhi
dell'opinione pubblica europea, quanto al cospetto delle altre popolazioni
sottoposte al suo dominio coloniale. Per sette mesi gli Herero erano rimasti
virtualmente padroni di una vasta sezione della colonia e avevano vanificato i
progetti tedeschi di governare sfruttando le rivalità tribali e manovrando come
burattini i capi locali. Appiedati e male armati, avevano tenuto testa
valorosamente al più agguerrito esercito del mondo, e, sul piano
internazionale, si erano accattivati le simpatie della massima potenza
coloniale: la Gran Bretagna. (29) In una parola, essi avevano infranto il mito
della assoluta superiorità tecnico-militare dei bianchi e, più in particolare,
quello della invincibilità dell'esercito tedesco. Tutto questo era stato fatto
da una popolazione africana la cui civiltà materiale appariva agli Europei come
molto primitiva, anche se perfino Guglielmo II aveva avuto a riconoscere, in
altri tempi, che essa pure "aveva in tutto un cuore sensibile ai
sentimenti dell'onore." (30)
Era quindi necessario –
secondo la logica del colonialismo in generale, e di quello tedesco in
particolare - "lavare" l'onta e infliggere agli insorti una lezione
draconiana. I Francesi nel Dahomey, dopo la battaglia di Kotonou che aveva
posto fine all'indipendenza di quel regno, nel 1892, avevano proceduto alla
decapitazione sul campo di tutti i prigionieri. I Belgi, dal canto loro,
avevano adottato metodi di coercizione così barbari verso gli indigeni del
Congo addetti alle piantagioni europee, da provocare la morte di un numero incalcolabile
di persone nello "Stato Libero" di Leopoldo II. "Se un
giovane africano non accontentava i suoi padroni, una mano o un piede, e
talvolta tutti e due, gli venivano tagliati… Per dimostrare la loro diligenza
in questo campo, i sorveglianti portavano ai loro superiori ceste piene di
mani." (31) La storia coloniale del XIX secolo, specialmente in Africa, è
intessuta di simili atrocità; eppure ciò che misero in opera i Tedeschi
nell'Africa Sud-occidentale, nel 1904, sorpassa tutti quegli orrori.
Qui noi assistiamo veramente,
e per la prima volta nella storia moderna, a un sistematico piano di genocidio,
lucidamente concepito e freddamente portato avanti sin quasi alla distruzione
totale e definitiva di un popolo. E la cosa più grave è che le istruzioni per
il genocidio vennero impartite quando già la campagna militare tedesca aveva
spezzato la forza degli Herero, e la loro diligente applicazione continuò per
mesi e mesi, accanendosi contro poveri gruppi di sbandati, donne e bambini
compresi, che non erano certo in grado di costituire una minaccia per nessuno.
Non c'era alcuna necessità militare che potesse, sia pur debolmente,
giustificare un tale modo di procedere: infatti i capi indigeni avevano già
domandato, ma invano, di potersi arrendere e deporre le armi. I loro
parlamentari erano stati presi a fucilate ancor prima della decisiva battaglia
del Waterberg. Dopo lo scontro sul fiume Hamakari, i soldati tedeschi
ricevettero l'ordine di sparare a vista contro qualunque indigeno, e pertanto
non si ebbero più vere e proprie azioni di guerra, ma piuttosto un assassinio
sistematico della popolazione.
L'ordine di sterminio (Vernichtungsbefehl)
venne emesso personalmente dal generale von Trotha, il 2 0ttobre 1914, con lo
scopo dichiarato di cancellare ogni segno della presenza herero all'interno
della colonia. Se questo popolo è riuscito a sopravvivere, sia pure
decimato, fino ai nostri giorni, è perché alcune migliaia di Herero avevano
trovato rifugio - come si disse - nel protettorato britannico del Bechuanaland,
ed essi furono ben presto imitati da tutti i loro compagni rimasti
indietro, che furono in grado di farlo. (32)
Ecco come suonava
il Vernichtungsbefhel diramato dall'alto comando tedesco agli Herero
che, dopo la battaglia presso l'Hamakari, si trovavano ancora dentro i confini
dell'Africa Sud-occidentale: "All'interno
del territorio tedesco si sparerà contro tutti gli uomini della tribù degli
Herero, armati o disarmati, con o senza bestiame. Nel territorio non verranno
accolti nemmeno donne e bambini: essi verranno ricondotti al loro popolo, o
fucilati. Questa è la parola rivolta agli Herero da me, il grande generale del
potente imperatore di Germania." (33)
Tale malvagio ordine
decretato da von Trotha poteva sembrare che lasciasse un'ultima speranza di
salvezza agli indigeni, ma in realtà equivaleva a una sentenza di morte:
abbandonare il territorio tedesco significava affrontare una marcia spaventosa
attraverso il Deserto del Kalahari, che ben pochi - e tanto meno i più deboli:
donne e bambini - avrebbero potuto sopportare. Di fatto, molti furono gli
Herero che morirono di sete mentre cercavano di raggiungere una impossibile
salvezza al di là della frontiera.
9.
UN NAZISMO "ANTE LITTERAM".
I Tedeschi non arrivarono a un tale
passo per caso; il loro non fu un "normale" incidente di percorso
coloniale, come accadde ad altre potenze imperialiste (ivi compresa l'Italia,
per opera di uomini come Badoglio o Graziani). I semi di una violenza razziale
spietata e sistematica sono rintracciabili molto addietro nella loro storia.
Già nel XIV secolo le campagne di annientamento condotte contro Prussiani
(popolo oggi scomparso), Lituani, Baltici e Polacchi dai Cavalieri Teutonici
consentono di classificare questi ultimi- secondo l'espressione di un autore
francese contemporaneo -come "le S.S. del Medioevo" (34) Più
specificamente, nella cultura tedesca del XIX secolo si trovano fedelmente
anticipati tutti i motivi razzisti e bellicisti, le cui conseguenze
hanno macchiato il nome della Germania nel secolo successivo. Non aveva il
filosofo Fichte auspicato l'espulsione degli Ebrei, e scritto che "dare
loro dei diritti civili è possibile a una sola condizione: tagliar loro la
testa in una sola notte e darne loro un'altra che non contenga una sola idea
giudaica"? (35) Ed Hegel, il massimo filosofo dell'Idealismo, non
aveva forse teorizzato l'assoluta eticità" della guerra, e affermato che
"L'Africano è un uomo allo stato grezzo"? Che presso gli Africani
"i sentimenti etici sono di estrema debolezza, o, per meglio dire, non
esistono affatto"; e che "la loro sfrenatezza non è suscettibile di
alcuno sviluppo o educazione?" (36)
Tuttavia, è nell'età guglielmina
(1888-1918) che la società tedesca viene incubando e alimentando i germi di una
progressiva intolleranza politica e razziale. Mentre i miti pangermanisti
ricevono nuova linfa da storici come Lambrecht, da geografi come Ratzel, da
artisti come Wagner, da filosofi come Meinecke (e non, come la vulgata
vorrebbe far credere, da Friedrich Nietzsche, che anzi ebbe sempre parole
sprezzanti nei confronti del nazionalismo tedesco), al Reichstag è
rappresentato un partito antisemita - si chiama proprio così -, che passa dai 5
modesti seggi del 1890, ai 16 del 1893 ed ai 21 del 1907. (37) A questo
clima complessivo di violenza culturale bisogna sommare gli effetti di una
educazione militaresca che, troppo spesso, ottunde le coscienze ed impedisce il
maturare di un senso di responsabilità individuale.
Non è forse vero che si rifugiavano
dietro la disciplina militare e un cieco ossequio per l'autorità statale, quei
soldati tedeschi che nel 1904 applicarono l'ordine di von Trotha, così come nel
1939-45 quelli che eseguirono le criminali direttive antisemite e antislave?
Quelli che in più di mezza Europa, dalle Fosse Ardeatine, a Marzabotto, a
Oradour, a Lidice si macchiarono di atrocità contro le popolazioni inermi, nel
corso delle repressioni contro le formazioni partigiane?
Vi sono, tuttavia, degli storici
occidentali i quali hanno tentato in ogni modo di minimizzare i fatti atroci
dell'Africa Sud-occidentale. L'inglese D.K. Fieldhouse, ad esempio, ammette che
"nocque alla fama della Germania il tentativo di scacciare gli Herero
dalle loro terre e di sterminarli". Però poi subito aggiunge: "Ma
bisogna vedere questi orrori nelle giuste proporzioni. La Germania non aveva né
esperti amministratori delle colonie né soldati". E conclude: "La
verità è che la Germania come potenza coloniale non fu peggiore delle altre
prima del 1914… Il pretesto con cui fu privata delle sue colonie era
infondato." (38)
Fonte: da ARIANNA
EDITRICE del 20 agosto 2007
Link: http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=12965
L'Associazione per i popoli minacciati (APM) ha chiesto al
Governo tedesco di pronunciare le proprie scuse per la ricorrenza dei 100 anni
del genocidio contro gli Herero in Namibia iniziato dalle truppe imperiali
tedesche, le Schutztruppe, nella ex-colonia tedesca nell'Africa del Sud-Ovest.
Berlino non può continuare ad utilizzare le richieste di risarcimento degli
Herero pendenti negli Stati Uniti, per le quali non si intravede nessuna
possibilità di successo, come scuse a basso costo per sottrarsi al riconoscimento
di questi crimini; così scrive l'APM in una lettera al Cancelliere Schröder e
al Ministro degli Esteri Fischer. Proprio in questo anno del centenario del
genocidio, il Governo tedesco potrebbe impegnarsi affinché popolazioni
particolarmente svantaggiate come gli Herero, i Nama e i San (Boscimani),
possano trarre beneficio dalla riforma agraria in Namibia.
IL GOVERNO TEDESCO DEVE CHIEDERE SCUSA PER I CRIMINI
DELLE TRUPPE TEDESCHE
In occasione della ricorrenza annuale l'APM ha pubblicato un
nuovo rapporto sul genocidio degli Herero e dei Nama. La rivolta degli Herero
era scoppiata il 12 gennaio 1904 nell'allora colonia tedesca dell'Africa del
Sud-Ovest. La lotta per la sopravvivenza di questi popoli nomadi che si
opposero alla privazione dei propri diritti e alla progressiva perdita della
propria terra a favore dei coloni tedeschi, diede inizio al primo genocidio
commesso dalle truppe tedesche. Circa 65.000 Herero e 10.000 Nama furono
vittime del genocidio.
L'APM considera il crimine di genocidio come tale, in quanto
le truppe imperiali eseguirono gli ordini di annientamento del proprio Generale
luogotenente Lothar von Trotha; dopo aver sedato la rivolta nel sangue spinsero
gli Herero nel deserto di Omaheke in totale assenza di acqua, tagliandoli fuori
dal mondo. Migliaia di donne, uomini e bambini morirono di sete oppure
"vennero risparmiati dalle proprie sofferenze" dai soldati. Dopo che
i coloni tedeschi chiesero di sterminare con gli Herero allo stesso modo anche
i Nama, anche questi insorsero e rimasero vittime della politica della
"terra bruciata" del regime coloniale.
Al contrario della Chiesa, che ha dato un importante
contributo alla rielaborazione delle proprie responsabilità nella politica
coloniale tedesca e nel genocidio, il Governo federale tedesco nonostante i
ripetuti appelli anche della nostra organizzazione non ha ancora riconosciuto
le proprie responsabilità: tanto più importante sarebbe un tale gesto di
riconciliazione per evitare una possibile escalation dei conflitti per la
riforma agraria in Namibia, sull'esempio di quanto successo già in Zimbabwe. La
Germania è per importanza il secondo paese contributore della Namibia. Ma tra
gli Herero e i Nama, che oggi con 122.000 e circa 61.000 persone rappresentano
insieme il 10,6% dell'intera popolazione, sono migliaia i senza terra che
attendono un sostegno. Per questo sarebbe estremamente importante che proprio
Berlino sostenga oltremodo la riforma agraria.
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