Scritto da: Gianni Petrosillo (04/12/2014)
Il giornalismo è da
sempre un’ancella di chi comanda. Governino i gobbi o gli storpi, i ladri o i
farabutti, come scriverebbe Balzac, questi saranno inevitabilmente
bellissimi e moralmente irreprensibili sulle colonne dei giornali. Ovviamente,
a patto che occupino posizioni di rilievo nei consigli d’amministrazione delle
testate o nella scala gerarchica della società. La verità costa cara ed è un investimento che non tutti possono
permettersi nei nostri sistemi democratici e capitalisti. La verità come
proprietà privata, anche se con sovvenzionamenti pubblici. La verità è un
prodotto come un altro e c’è chi la produce e chi la consuma senza preoccuparsi
troppo del suo sapore, l’importante è che sia appetibile perchè ben
confezionata. Per questo non siamo mai sorpresi dalla maniera in cui i
fogliacci ci raccontano la realtà, o meglio non siamo meravigliati dalle
svariate modalità alle quali ricorrono per fabbricare gli eventi, a loro uso ed
abuso, imprimendo sui loro resoconti il marchio di garanzia della “loro”
verità.
E’ tutto vero perché
il vero è semplicemente un momento del falso, in un mondo rovesciato, come
diceva Debord. Oppure, si potrebbe anche dire, che è vero che tutto è falso sui
giornali, ed è questa l’unica verità incontrovertibile che ci spetta dalla
carta stampata. Il sacerdozio ridotto a meretricio. Quando un giornalista afferma che scopo del suo lavoro è raccontare i
fatti per quelli che sono sta già mentendo spudoratamente. Perché i fatti
non sono nulla se non vengono interpretati nella loro dinamica particolare e
nella connessione plurale con altri accadimenti e circostanze del passato e del
presente. Ma poiché ogni pessimo giornalista è anche un po’ filosofastro,
costui cerca di persuadere il prossimo che l’obiettivo della sua professione è la
ricerca della Verità (scritta rigorosamente con la maiuscola). Soltanto che
mentre il giornalaio di professione s’incammina e ricerca finisce
inevitabilmente per perdersi nei corridoi del veritierificio giornalistico,
dove la verità è, prima di tutto, un prodotto editoriale al costo popolare di
euro 1,40, o giù di lì.
Facciamo qualche esempio a supporto di quanto detto. Quando
agli inizi degli anni ’90 scoppia tangentopoli, tutti i quotidiani sposano
un’unica versione dei fatti. Il regime istituzionale del Paese era marcito
dalla base, ogni partito (o quasi) era corrotto, rubava, sperperava denaro
pubblico, corrompeva, intascava tangenti e s’approfittava del popolo italiano.
Si salvarono unicamente quelle forze per le quali i nostri
padroni mondiali avevano altri programmi. Insomma, nessuna novità eclatante (
lo vediamo benissimo ora che le cose non sono cambiate e che semmai sono
peggiorate, con ampia trasversalità di furfanterie), eppure, d’improvviso,
quello che si era finto di non vedere per lustri si elevò al rango di notizia
da pubblicare, ripubblicare e ingigantire ogni volta. Quello che per decenni
non aveva suscitato scandali, perché affine alla riproducibilità dell’intera
classe dirigente italiana, in un certo contesto di rapporti di potere interni
ed esterni al Paese, con congrui vantaggi per gli stessi giornalisti,
opportunamente da sdraio quando conveniva ed altrettanto inopportunamente
diventati d’assalto quando l’aria iniziava a cambiare, diventò d’emblée
intollerabile ed indecoroso.
Se non ricordo male, fu Vittorio Feltri a rivelare che i
direttori delle principali testate, anche di tendenze avverse, si consultavano
per i titoli del giorno dopo, al fine di amplificare determinate informazioni o
sottacerne altre. L’intento era di fomentare l’odio dei cittadini verso
Esecutivo e Parlamento, per rovesciare gli assetti costituzionali. Tra
giornalismo e putschismo caddero le distinzioni. Roba eversiva che aveva una regia esterna alle
redazioni e alla stessa nazione. Golpe di Palazzo lo definì il socialista Rino
Formica. Qualcuno aveva deciso che il regime DCI-PSI aveva esaurito la sua
funzione storica. Andreotti lo aveva previsto già dopo l’unificazione della
Germania che egli giudicò una jattura. I giornali furono investiti di un onere
sedizioso che ossequiosamente e servilmente svolsero, gettando fango sui vecchi
intoccabili della I Repubblica e fumo negli occhi alla gente, ovunque
occorresse e per il tempo necessario a rovinare la carriera di chi si opponeva
al complotto (perchè di questo si trattò).
Zero prigionieri tra gli uomini più in vista dei partiti di
governo e ampio spazio ai nuovi eroi del repulisti giudiziario. Guardate che
bordello è adesso lo Stivale e saprete chi ringraziare.
Uguale tecnica calunniosa e menzognera viene usata attualmente
dalla stampa contro la Russia di Putin e contro quei movimenti (anti)europei
che si candidano a spostare l’asse delle alleanze nazionali e internazionali
dei loro contesti di riferimento, sottraendosi dalla gravitazione atlantica. La
Lega di Salvini è stata oggetto di tali attacchi concordati tra Corriere, il
Fatto, La Repubblica, La Stampa ecc. ecc. per il suo avvicinamento a Mosca.
Stessa trattamento in Francia a Marine Le Pen accusata di prendere soldi
illegalmente da una potenza straniera. Sono fioccati articoli tendenziosi che
sembrano scritti tutti dalla medesima penna, per mettere in cattiva luce i
leader, i parlamentari e i funzionari di partito che hanno avviato un dialogo
più costruttivo con il gigante dell’Est, contravvenendo ad un diktat della Casa
Bianca.
Le parole d’ordine, rilanciate da questi scribacchini, sono
prefabbricate e pensate apposta per imprimere un marchio d’infamia indelebile
sulle scelte politiche degli avversari, non collimanti con quelle dominanti in
occidente, senza alcuna possibilità di contraddittorio. Accuse di razzismo, di
fasciocomunismo, di sessismo ecc. ecc. sono maldicenze dalle quali non ci si
può difendere, perchè si resta comunque infettati. Semper aliquid haeret.
Prendete l’articolo di qualche giorno fa di Pieluigi Battista sul Corriere e
troverete tutti questi luoghi comuni del politicamente corretto russofobo e
filo-americano condensati in poche righe.
La democrazia è
sempre in pericolo, per i sacerdoti liberali e liberisti, quando qualcuno non è
in linea con le tavole sacre di Bruxelles o Washington. Il giornalista
Lib-Lib (liberticida-libertino, questa l’effettiva dicitura nonostante tutte le
arie che si dà il tipo) è il monaco guerriero che protegge il santuario della
democratura. Poi però lo stesso afflato democratico si sopisce di fronte ad un
fatto gravissimo che discrimina i russofoni in uno Stato candidato ad entrare
nell’Ue. Parliamo della Moldova dove prima del voto sono state oscurate le
trasmissioni russe ed il principale partito di opposizione all’ingresso
nell’Ue, Patria, è stato messo fuori legge, tanto che il segretario è dovuto
fuggire per non essere incarcerato. Per non commentare ancora dell’Ucraina (ne
abbiamo detto abbastanza in questi mesi), Stato fantoccio in mano ad oligarchi,
squadristi e ministri con passaporto americano, sorto da un golpe finanziato
dalla Nato, allegramente sostenuto da Battista e dal suo giornale.
Saltando alle conclusioni dovremmo sostenere che Battista è
un collaborazionista nazionalsocialista ucraino. Ma noi non ci facciamo
offuscare gli occhi dai veli ideologici d’antan e non cadiamo nel misero
tranello degli opposti estremismi che si toccano e si baciano. Battista lo
vediamo nudo e crudo per quello che è: un
altro giornalista a quattro zampe che scondinzola ai suoi padroni ameri-cani.
Lui come tutti quelli che appartengono alla casta sacerdotale del culturame
prezzolato della propaganda a mezzo stampa.
Fonte: visto su CONFLITTI E STRATEGIE del 4 dicembre 2014
Link: http://www.conflittiestrategie.it/il-giornalismo-come-meretric
Nessun commento:
Posta un commento