Alfredo Cattabiani - Scrittore e saggista
Il sole di Capodanno
Le dodici notti che vanno dal Natale all'Epifania, oltre a
rappresentare i dodici mesi dell'anno, sono intrise di simbolismi.
Dall'antichità ad oggi, gli usi e i costumi dei popoli europei che celebrano in
queste notti il rinnovamento del cosmo.
Allegoria del solstizio invernale, da Nuova Iconologia del
Cavalier Ripa Cesare Perugino (Padova 1611).
Le feste natalizie erano nella Roma imperiale feste del solstizio,
del nuovo sole che rinasceva dopo la morte simbolica, risalendo verso il nord
dopo aver toccato il punto più basso con l'entrata nella costellazione del
Capricorno. Anche il nuovo anno legale cominciava in quei giorni, alla Kalendae
Januarii nel periodo immediatamente posteriore al solstizio che, come si è
accennato nell'articolo precedente, (vedi Abstracta n. 9) veniva
convenzionalmente fissato al 25 dicembre per seguire la tradizione dei Romani
più antichi che, poco esperti in astronomia, si erano fidati dei propri occhi.
Prima di cominciare l'anno -
scriveva l'Imperatore Giuliano nel discorso su Elio Re - noi diamo in onore di Elio giochi magnifici, solennità
consacrate a Elio Invincibile. ... Ah! si degnino gli dèi sovrani di
permettermi di celebrare sovente questi misteri, e che il sovrano stesso
dell'universo, Elio il primo, mi accordi questo favore! Sorto da tutta
l'eternità intorno all'essenza feconda del Bene, mediatore fra gli dèi
intelligenti, essi stessi mediatori, Egli ne assicura pienamente la continuità,
la bellezza senza limiti, l'inesauribile fecondità, l'intelligenza perfetta, e
li dota abbondantemente di tutti i beni atemporali[X].
La festa del Sole era diventata il culto più importante in Roma
verso la fine del III secolo per l'influenza delle tradizioni orientali.
L'imperatore Aureliano, originario della Dacia Ripensis e figlio di
una sacerdotessa del Sole, istituì addirittura il culto statale del Comes
Sol Invictus, la cui festa, il dies Natalis Solis Invictus divenne
il centro della liturgia imperiale. A questa eliolatria contribuiva non poco il
progressivo diffondersi negli ambienti militari di un altro culto di origine
orientale, il mithraismo, dove Mithra era considerato il Figlio del dio supremo
Sol: Figlio del Sole e Sole lui stesso, nato da una roccia presso un
albero sacro e con la torcia in mano, simbolo della Luce e del Fuoco che
spandeva sul cosmo. Il mito narra che alcuni pastori presenti all'evento
soprannaturale gli avevano offerto primizie dei greggi e dei raccolti. È
superfluo sottolineare le analogie con la nascita del Cristo in una
"grotta" illuminata da una stella mentre i pastori lo adoravano.
All'inizio del IV secolo la festa era diventata così popolare a Roma
che persino i cristiani vi partecipavano accendendo con i "pagani"
fuochi in onore dell'astro che rinasceva. La Chiesa, per allontanare i fedeli
da quelle feste "idolatriche", pensò di fissare la celebrazione della
nascita del Cristo il 25 dicembre. D'altronde, chi era il Cristo se non il Sole
di Giustizia, incarnazione della divina Bontà, Luce che illumina, produce,
vivifica, contiene e perfeziona tutte le cose atte a riceverla?[2]
La prima notizia di una festa del santo Natale a Roma risale
all'anno 336. Da Sant' Agostino veniamo a sapere che anche in Africa la si
celebrava nello stesso periodo. Verso la fine del IV secolo era ormai diffusa
in tutta l'Italia settentrionale, così come in Ispagna.
Nel Vicino Oriente invece, fino per lo meno all'inizio del V secolo,
quando cominciò a diffondersi l'usanza occidentale, la nascita di Gesù era
festeggiata il 6 di gennaio insieme con il suo battesimo e il miracolo di Cana,
ed era chiamata Epifania. L'usanza derivava da un antico culto rammentato da
Epifanio: la notte fra il 5 e il 6 gennaio si festeggiava ad Alessandria, in
Egitto, la nascita del dio Eone dalla vergine Kore, scendendo in processione al
Nilo con l'immagine di un bimbo, per raccogliere acqua che si sarebbe
trasformata in vino [3].
Epifania significa in greco l'"apparizione" di una divinità o un suo intervento prodigioso: e
siccome la nascita di Gesù era l'apparizione per eccellenza, i cristiani,
orientali, adottarono questo termine per il Santo Natale.
Successivamente, quando la festa del Natale romano penetrò in
Oriente l'Epifania divenne prevalentemente la festa del battesimo di Gesù,
mentre in Occidente, che a sua volta l'aveva recepita, dall'Oriente, celebrava
"la rivelazione di Gesù al mondo
pagano" con la venuta dei Magi a Betlemme, la Casa del Pane. Sicché
per la liturgia romana i dodici giorni che seguono il Natale sono un tempo
liturgico unitario che ha il suo centro nella Natività di Nostro Signore Gesù
Cristo, alla quale ha dato il fondamento teologico papa san Leone Magno. Egli
parla del mistero delle natività del Cristo ("sacramentum nativitatis
Christi") per indicare il valore salvifico dell'evento. Il Vangelo e i
profeti, scrive san Leone Magno, "ci
infervorano e ci ammaestrano che il Natale del Signore, quando il Verbo si è
fatto carne (Gv. I, 14), non ci appare come un ricordo del passato ma lo
vediamo al presente", e perciò ogni Natale rinnova per noi il Sacro
Natale di Gesù[4].
L'Epifania a sua volta, con la festa che rievoca l'Adorazione dei
Magi, visti come "primizie delle
genti", rammenta che il Cristo
è Colui che trascende e illumina di vera luce ogni religione come Sovrano
universale. Il Vangelo di Matteo, l'unico fra i quattro canonici che testimoni
la venuta dei sacerdoti "pagani",
narra che i Magi recarono in dono al Cristo oro, incenso e mirra: l'oro perché è il Sovrano universale,
l'incenso perché è divino; la mirra perché è il Grande Medico che può vincere
la morte[5].
Il simbolismo solare informa il periodo natalizio collegando la
tradizione orientale-romana al cristianesimo. La narrazione di Matteo, come le
leggende e le usanze che vi sono connesse, testimonia di un'epifania di Luce e
di Fuoco. E quale mai altro simbolismo si poteva applicare alla sua Natività
non soltanto a Roma ma anche in Oriente, dove dall'Egitto all'Iran,
l'eliolatria era diffusa? Nella Cronaca di Zuqnin, redatta nel 774-775
dal monaco e stilita Isò, e non dissimile da altre leggende coeve, si narra che
i Magi, sacerdoti di origine Iranica, depositari della sapienza esoterica, si
tramandavano di padre in figlio una scriptura attribuita al terzo figlio
di Adamo, Seth, che profetizzava l'apparizione di una stella che li avrebbe
condotti fino al Salvatore, atteso in tutte le religioni del Vicino e Medio
Oriente. Dai loro antenati i Magi, che sarebbero andati a Betlemme, avevano
ricevuto una raccomandazione orale:
Aspettate una luce che sorgerà
da Oriente, luce della Maestà del Padre, una luce che sorgerà in aspetto di
stella sopra il Monte delle Vittorie e si fermerà: sopra una colonna di luce
dentro la Caverna dei Tesori dei Misteri.
Quell'anno i Magi, saliti secondo l'usanza sul Monte delle Vittorie,
dov'erano conservati i rotoli di Seth che rivelavano i "misteri"
tramandati da Adamo sulla maestà: di Dio e le istruzioni suoi doni che si
dovevano portare al Salvatore, avevano appena compiuto i riti purificatori
quando videro qualcosa
simile a una colonna di luce
ineffabile scendere e fermarsi sopra la caverna ... E al di sopra di essa una
stella di luce tale da non potersi dire: la sua luce era molto maggiore del
sole, ed esso non poteva stare innanzi alla luce dei suoi raggi.
Poi la stella andò a fermarsi davanti alla Caverna, il cielo si apri
come una grande porta da dove scesero uomini gloriosi portando sulle mani la
stella di luce e si fermarono sulla colonna di luce mentre tutto il monte
splendeva di una luce ineffabile.
Infine la stella entrò nella Caverna dei Tesori Occulti mentre una
voce chiamava i Magi: "Entrate
dentro senza dubbi, con amore, e vedrete una vista grande e mirabile".
Entrarono e videro quella luce ineffabile trasformata in un piccolo uomo umile
che disse: "Salute a voi, Figli dei
Misteri Occulti", rivelandosi come il Cristo.
Quella stella, manifestazione ed emanazione della Luce di Dio, e
dunque Dio stesso, li accompagna fino alla grotta della Natività dove essi
vedono
la colonna di luce scendere e
fermarsi davanti alla caverna, e scendere quella stella di luce e fermarsi
sulla caverna dov'era nato il mistero e la luce di vita.
Durante il viaggio di ritorno riappare loro la luce ineffabile
dicendo:
lo sono in ogni luogo e non
v'è luogo dove non sono; io sono dove voi mi avete lasciato perché io sono più
del sole del quale non v'è luogo del mondo che ne sia privo, pur essendo esso
uno, e se venisse meno al mondo tutti i suoi abitanti starebbero nella tenebra.
Quanto più sono io che sono il Signore del sole e la mia parola e la mia luce
sono maggiori di quelle del sole![6]
Adorazione dei Magi, dal breviario di Martino V (m. 1410).
Ispirate al simbolismo solare sono anche alcune usanze natalizie
collegate al mondo vegetale[7], come per esempio l'albero di Natale,
emblema - nelle tradizioni dell'Europa centrale e dell'Italia alpina -
dell'albero cosmico che unisce i cieli alla terra nutrendo con i suoi
"frutti" tutti gli esseri. Il simbolismo di origine pre-cristiana fu
assimilato dai cristiani che lo riferirono alla Croce, ovvero al Cristo.
Questo legno - scriveva
Ippolito da Roma in un inno del secolo III - mi appartiene per la salvezza
eterna. Me ne nutro, me ne cibo, sto attaccato alle sue radici... Quest'albero,
che si allunga fino al cielo, sale dalla terra al cielo. Pianta immortale,
s'innalza al centro del cielo e della terra, fermo sostegno dell'universo,
legame di tutto, sostegno di tutta la terra abitata, legame cosmico che
comprende in se tutta la molteplicità della natura umana.
L'Albero di Natale è dunque il simbolo del Cristo-Albero cosmico,
analogo al Cristo-Sole che nasce per offrire la sua luce e i suoi frutti agli
esseri, ponte fra cielo e terra. Per questo motivo si appendono all'abete tanti
lumini che rappresentano da un lato la nascita del nuovo Sole, del Sole
Bambino, e dall'altro la luce che dispensa all'umanità. Analogamente, i frutti
dorati e i doni appesi ai suoi rami sono l'emblema della vita che il Cristo
dona, e i dolciumi il suo amore. Riunirsi la notte di Natale intorno all'Albero
significa essere in comunione con il Cristo, illuminati dalla sua luce, nutriti
dalla sua linfa, pervasi dal suo amore.
Il simbolismo dell'albero solstiziale era stato posto in ombra dal
Presepe di san Francesco d' Assisi, che è diventato dal Medioevo l'usanza più
popolare in Italia e che merita un futuro scritto sull'interpretazione dei
simboli che contiene, dalla capanna o grotta agli animali, il bue e l'asino. Ma
qualcosa era sopravvissuto nel nostro Paese prima del ritorno novecentesco
dell'Albero sull'onda del mito americano che l'ha stravolto in emblema del
consumo: era - perché oggi va scomparendo - la cosiddetta festa del ceppo
diffusa non soltanto in Toscana, ma in varie regioni italiane; in Piemonte ad
esempio si chiamava süc, nel trevigiano zöch.
Adorazione dei Magi, xilografia di A. Dürer. L'opera fa parte di
una serie di 104 incisioni realizzate da Dürer nel 1500 - 1503 per illustrare
due libri di preghiere.
Il filologo ottocentesco Pietro Fanfani, nel Vocabolario dell'uso
toscano, scriveva che nella Val di Chiana, la sera della vigilia di Natale,
tutte le famiglie si riunivano tra loro e mettevano nel camino un ceppo dicendo
in coro:
Si rallegri il ceppo, domani è
il giorno del pane; ogni grazia di Dio entri in questa casa; le donne facciano
figliuoli, le capre capretti e le pecore agnelletti, abbondi il grano e la
farina, e si riempia la conca di vino.
Poi si bendavano i bambini che dovevano avvicinarsi al camino e
battere con le molle sul ceppo recitando una canzoncina detta Ave Maria del
Ceppo: e quella canzoncina aveva la virtù di far piovere sul ragazzo dolci e
regalini.
Nelle campagne piemontesi si diceva che il ceppo si sarebbe
incenerito nelle 12 notti tra il Natale e l'Epifania, simboli dei 12 mesi
dell'anno durante i quali il sole nuovo, rappresentato dal legno che si
consumava, avrebbe nutrito il cosmo e gli uomini con la sua luce e il suo
calore. Quel ceppo altro non era se non il simbolo del Cristo-Sole-Albero
cosmico che nutriva l'umanità offrendole i suoi doni durante l'anno. Ecco
perché i bambini, percuotendo il ceppo, sentivano piovere sul capo strenne e
dolciumi; e perché si diceva "domani
è il giorno del pane": il pane simbolo per eccellenza del cibo
spirituale e materiale.
Per questo motivo si mangiano a Natale dolci a base di farina, tra i
quali il più celebre è il panettone milanese. È un'usanza antichissima, diffusa
in tutta l'Europa. In Francia, ad esempio, si usava cuocere un grosso pane,
chiamato pain de Calandre. Poi se ne tagliava un pezzetto sopra il quale
venivano incise tre o quattro croci, e lo si conservava come un talismano
capace di guarire da molti mali. Il resto del pain de Calandre era
distribuito a tutta la famiglia. In Inghilterra i fornai regalavano ai clienti
focacce chiamate Christmas-batch, e i fornai lombardi offrivano il
panettone ai clienti.
E persino la mancia aveva un significato religioso. In un libretto
di Amedeo Costa dal titolo chilometrico, Curioso dircorso intorno alla
Cerimonia del Ginepro, aggiuntavi la dichiarazione del metter Ceppo e della
Mancia solita a darsi nel tempo di Natale, (Bologna 1621), si dice a questo
proposito:
Suol darsi la Mancia in queste
Santissime Feste di Natale in memoria della gran liberalità del Nostro Signore
Dio, il quale diede se stesso a tutto il mondo, e in memoria di quella gran
Mancia della Pace, che dagli Angeli della Natività di esso fu data e annunciata
in terra a tutti gli uomini e per caparra ancora del preziosissimo sangue
ch'egli era per cominciare a spargere nel giorno della sua Santissima
Circoncisione, il quale dovea poi versare affatto nella sua Passione sul duro
legno della Croce.
Helios, da una tavola dell'Encyclopedie di Diderot e D'Alembert.
Direttamente collegate al simbolismo solare sono i fuochi d'
artificio e le fiaccolate sui monti innevati, che celebrano il nuovo anno,
ovvero il nuovo Sole, e hanno anche un valore magico, come ha spiegato il
Frazer nel Ramo d'oro.
Ma, come ha osservato Maria Grazia Chiappori, il fuoco è collegato
anche simbolicamente al Cielo, chiamato nello zoroastrismo "cristallo di rocca"[8].
In molte leggende orientali si narra che il bambino donò ai Magi una pietra
tratta dalla caverna in cui era nato, una pietra tanto pesante che essi la
trasportavano con enorme difficoltà.
Con quel peso non sarebbero riusciti a proseguire il viaggio; e
allora, visto un pozzo, ve la gettarono. Ma dopo qualche istante dalle profondità
del pozzo s'innalzò una lingua di fuoco che sali fino al cielo.
Questo fuoco - commenta la
Chiappori - è una rivelazione sotto forma ignea, e dunque luminosa - come la
stella - di Dio. La manifestazione luminosa della divinità ricorda la greca folgore
di Zeus e l'iranico fuoco che, nella visione del tardo mazdeismo, scende dal
cielo per annunciare la missione di Zoroastro tra gli uomini.
Sole, Albero, Stella, Fuoco: tanti simboli che alludono in una
complessa trama di corrispondenze, al mistero del divino che pervade il cosmo,
e a quel cristallo luminoso che è deposto anche nel nostro cuore se sappiamo
vederlo con il terzo occhio.
Note
[1] 156 b-d.
[2] Cfr. Dionigi Areopagita, Nomi divini, 697 C.
[3] O. Giordano, Religiosità popolare nell'alto medioevo,
Bari 1969, pag. 51.
[4] Cfr. San Leone Magno, 9° discorso sul Natale, (XXIX), e
6°.
[5] Sul simbolismo dei doni e sui Magi cfr. Mario Bussagli, Maria
Grazia Chiappori, I Re Magi, realtà storica e tradizione magica, Milano
1985.
[6] Sul simbolismo della stella, oltre ai Re Magi, cfr.
Emilio Servadio, Quell'angelo luminoso che accende le tenebre, ne
"Il Tempo", 13 dicembre 1985.
[7] Cfr. Alfredo Cattabiani, Erbario, Milano 1985, pp.
217-231.
[8] Ne I re Magi, cit., pp. 165-174.
Fonte: srs di Alfredo Cattabiani - Scrittore e saggista, da ETHNIKA’
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