Dal libro “La
vittoria dell’Occidente”, di Rodney
Stark.
(Capitolo SMASCHERARE LE FALSITÀ ISLAMICHE. Falsità sulla
cultura islamica – pag. 451)
Per molto tempo è stata opinione indiscussa e indiscutibile
che, mentre l’Europa arrancava attraverso i «Secoli Bui», nell’islam fiorivano
scienza e cultura (Goldstone, 2009; Saliba, 2007).
Il celebre storico Bernard
Lewis azzardò questa opinione quando scrisse che l’islam «all’epoca aveva raggiunto il più alto
livello della storia umana nelle arti e nelle scienze» e che
intellettualmente «l’Europa medievale era
un’alunna e in un certo senso dipendente dal mondo islamico» (2002, p. 6).
Poi però, sosteneva Lewis, improvvisamente gli europei
cominciarono a progredire «per salti e
balzi, lasciandosi alle spalle l’eredità scientifica, tecnologica e infine
culturale del mondo islamico» (Lewis, 2002, p. 7).
Di qui la domanda che Lewis poneva nel titolo del suo libro:
What Went Wrong? (Cos’è andato storto?)
Non è andato storto
proprio niente. La convinzione che un tempo la cultura mussulmana fosse
superiore a quella europea è, nella migliore delle ipotesi, un abbaglio.
Chiedersi cosa sia andato storto è come chiedersi perché la
Spagna sia crollata, quando di fatto il crollo dell’impero spagnolo ha rivelato
che la Spagna non aveva mai conosciuto un’ascesa, ma era sempre rimasta
un’arretrata società medievale. Lo stesso vale per l’islam.
CULTURA «DHIMMI»
Un dhimmi "Gente della dhimma", era un suddito non-musulmano
di uno Stato governato dalla shari'a: la legge islamica. Con Dhimma si intende un "patto di
protezione" contratto tra non musulmani e un'autorità di governo
musulmana. Lo status di dhimmi
era in origine riferito solo all'Ahl al-Kitab ("Gente del Libro"), cioè ebrei e cristiani, ma in seguito
anche zoroastriani, mandei e infine agli indù, ai sikh e ai buddhisti
Nella misura in cui
acquisirono una cultura sofisticata, le élite islamiche la appresero dai popoli
sottomessi.
Come faceva notare Lewis (a quanto sembra senza rendersi
conto appieno delle implicazioni), gli
arabi ereditarono «le conoscenze e
le capacità dell’antico Medio Oriente, della Grecia e della Persia» (2002,
p. 6). Ovvero, la sofisticata cultura così spesso attribuita ai mussulmani (più
spesso indicata come «araba») in realtà
era la cultura deidhimmi, i popoli conquistati. Era la cultura
giudaico-cristiana/greca di Bisanzio, sommata con il notevole sapere di gruppi
eretici cristiani come i copti e i nestoriani, più le vaste conoscenze della
Persia zoroastriana (mazdeana) e i grandi successi matematici degli indù (si
tengano presente le antiche ed estese conquiste mussulmane in India).
Questo patrimonio di sapere, compresa gran parte di quello
che aveva avuto origine nell’antica Grecia, venne tradotto in arabo e in parte
assimilato in qualche modo nella cultura mussulmana. Ma persino dopo che era
stato tradotto, continuò a essere alimentato essenzialmente dalle popolazioni
dhimmi che vivevano sotto regimi islamici.
Per esempio, come osservava lo studioso Samuel H. Moffett, «il più
antico libro scientifico nella lingua dell’islam» fu un «trattato di medicina scritto ad Alessandria
da un prete cristiano siriano e tradotto in arabo da un medico ebreo persiano»
Moffett, 1992, p. 344).
Come in questo esempio, non solo i dhimmi furono all’origine
della maggior parte della scienza e del sapere «arabi», ma fecero anche la
maggior parte delle traduzioni in arabo (Hodgson, 1974, pp. 1 e 298). Il che
però non trasformò questo insieme di conoscenze in cultura araba. Piuttosto,
come osservava l’illustre storico dell’islam Marshall G.S. Hodgson, «coloro che perseguivano la scienza naturale
tendevano a conservare le loro più antiche credenze religiose come dhimmi,
persino quando scrivevano in arabo» (1974, pp. 1 e 298).
Anche la tanto
decantata architettura islamica si scopre che in gran parte fu opera dei dhimmi,
un adattamento delle origini persiane e bizantine.
Nel 762, quando fondò
Baghdad, il califfo Al-Mans·ūr
affidò il compito di progettare la città a un zoroastriano e a un ebreo (Hill.
1993, p. 10).
Uno dei grandi capolavori attribuiti all’arte islamica è la Cupola della Roccia, a Gerusalemme;
quando però, nel VII secolo, il califfo Abd
al-Malik la fece costruire, utilizzò architetti e maestranze bizantine, il
che spiega perché assomigli così tanto alla chiesa del Santo Sepolcro (Kollek e
Pearlman, 1970, p. 59; Gil, 1992, p. 94).
In effetti molte famose moschee originariamente erano state
costruite come chiese, poi trasformate con la semplice aggiunta di minareti
esterni e una nuova decorazione interna. Come sosteneva un illustre studioso
dell’arte e dell’architettura islamica: «La Cupola della Roccia costituisce
davvero quella che noi oggi consideriamo arte islamica, vale a dire arte non
necessariamente realizzata da mussulmani […] ma piuttosto elaborata in società
dove la maggior parte delle persone – le persone più importanti – erano
mussulmani» (Bloom, 2007, p. 7).
Esempi simili abbondano in aree intellettuali che hanno
ispirato tanta ammirazione per il sapere islamico.
Nell’ammiratissimo libro, scritto per riconoscere gli
«enormi» contributi arabi alla scienza e all’ingegneria, Donald R. Hill
ammetteva che molto poco può essere ricondotto a origini arabe e che la maggior
parte di questi contributi aveva avuto origine presso le popolazioni conquistate.
Molti dei più famosi scienziati del mondo islamico erano
persiani, non arabi (Hill, 1993). Tra di essi dobbiamo annoverare Avicenna, che l’Enciclopedia Britannica
definisce «il più autorevole di tutti gli scienziati-filosofi mussulmani», e
così pure ‘Umar Khayyām, al-Bīrūnī e
Rāzī.
Un altro persiano, al-Khwārizmī,
è considerato il padre dell’algebra.
Al-Uqlidisi, che
introdusse le frazioni, era siriano.
Bakhtīshū’ e Ibn Ish.āq, illustri esponenti della
scienza medica «islamica», erano cristiani nestoriani.
Masha’allah ibn
Atharī, famoso astronomo-astrologo, era ebreo. L’elenco potrebbe riempire
pagine e pagine.
Quello che può avere tratto in errore così tanti storici è
il fatto che la maggior parte di quanti hanno contribuito alla «scienza araba» avevano
nomi arabi e le loro opere vennero pubblicate in arabo, la lingua ufficiale del
Paese in cui vivevano.
Si consideri la
matematica. I cosiddetti numeri arabi erano interamente di origine indù. Lo
splendido sistema numerico indù, basato sul concetto di zero, fu effettivamente
pubblicato in arabo, ma lo adottarono soltanto i matematici – gli altri
mussulmani continuarono con il loro farraginoso sistema tradizionale.
Thābit ibn Qurra,
noto per i suoi molti contributi alla geometria e alla teoria dei numeri, viene
solitamente definito un «matematico arabo», in realtà però apparteneva alla
setta sabiana, una setta pagana. Ovviamente, ci furono alcuni pregevoli
matematici mussulmani, forse perché si tratta di un argomento così astratto da
mettere al riparo da qualsiasi critica di tipo religioso quanti se ne occupano.
Altrettanto potrebbe dirsi dell’astronomia, sebbene anche
qui la gran parte del merito dovrebbe andare non agli arabi, ma agli indù e ai
persiani.
La «scoperta» che la Terra ruota attorno al proprio asse
viene spesso attribuita al persiano al-Bīrūnī,
tuttavia lui stesso ammise di averlo appreso da Brahmagupta e da altri astronomi indiani (Nasr, 1993, pp. 135-36).
Per altro, al-Bīrūnī non ne era affatto certo, dal momento
che nel suo Canon Masudicus osserva che «è la stessa cosa che si dica che in
movimento è la Terra o il cielo. Perché in entrambi i casi questo non riguarda
la scienza astronomica» (Nasr, 1993, pp. 136).
Un altro celebre astronomo arabo fu al-Battānī, ma, proprio come Thābit ibn Qurra, era un sabiano. I
sabiani erano una setta pagana di adoratori delle stelle, il che spiega il loro
particolare interesse per l’astronomia.
Le numerose affermazioni, secondo cui anche nel campo della
medicina gli arabi erano molto più avanti degli altri popoli, sono errate tanto
quanto quelle riguardanti i numeri «arabi» (per esempi di affermazioni di
questo tipo si veda Ajram, 1992).
La medicina «mussulmana» o «araba» era di fatto cristiana
nestoriana; persino i più illustri medici mussulmani o arabi studiarono presso
l’enorme centro medico nestoriano di Nisibis,
in Siria. Nisibis non offriva una preparazione elevata solo in campo medico,
così come tutte le altre istituzioni culturali nestoriane, compresa quella di
Jundishapur, in Persia, che l’illustre storico della scienza George Sarton
definiva «il più grande centro intellettuale dell’epoca» (citato in Brickman,
1961, p. 85)
Lo studioso Mark
Dickens sottolineava che i nestoriani «ben presto divennero celebri presso
gli arabi come eccellenti contabili, architetti, astrologi, banchieri, dottori,
mercanti, filosofi, scienziati, scrivani e insegnanti. In effetti, prima del IX
secolo, [nelle aree islamiche] quasi tutti i dotti erano cristiani nestoriani»
(1999, p. 8).
Fu soprattutto il cristiano nestoriano Hunayn ibn Ish.aq al-‘Ibādi (in latino noto come Johannitius) che
«raccolse, tradusse, corresse e diresse la traduzione di manoscritti greci,
soprattutto quelli di Ippocrate, Galeno, Platone e Aristotele in siriaco e
arabo» come scrisse William W. Brickman (1961, p. 84).
Ancora alla metà dell’XI secolo, lo scrittore mussulmano Nasir-i Khrusau riferiva «in
verità, qui in Siria, come in Egitto, gli scribi sono tutti cristiani […] ed
è molto frequente che anche i medici […] siano cristiani» (in Peters, 1993, p. 90).
Secondo la monumentale opera storica di Moshe Gil, sotto la dominazione islamica in Palestina «i cristiani avevano un’influenza immensa e
posizioni di potere, soprattutto perché tra di loro c’erano brillanti
amministratori che occupavano posti di governo, sebbene la legge islamica
vietasse di impiegare cristiani [per incarichi simili], o che facevano parte dell’élite culturale
dell’epoca in quanto brillanti scienziati, matematici, medici e così via»
(1992, p. 470).
Sul finire del X secolo, anche ‘Abd al-Jabbār riconosceva la supremazia dei funzionari cristiani
scrivendo che «in Egitto, al Sham, Iraq,
Jazira, Fāris e nelle aree vicine i sovrani si affidano a cristiani per
questioni di carattere ufficiale, di amministrazione centrale e di gestione di
fondi» (citato in Gil, 1992, p. 470).
Persino molti degli storici più di parte, compreso Marmaduke Pickthall, celebre storico
inglese convertitosi all’islam e traduttore del Corano, (1927), ammettono che
la sofisticata cultura islamica ebbe origine presso le popolazioni conquistate.
A essere stato in gran parte ignorato è invece il fatto che
quella cultura non poté stare al passo con l’Occidente in quanto la cosiddetta
cultura islamica fu in gran parte un’illusione, basata su un complesso mix di
culture dhimmi. Non appena i dhimmi furono penalizzati perché eretici, quella
cultura sparì. Pertanto quando, nel XIV secolo, i mussulmani soffocarono
qualsiasi forma di non conformità religiosa, l’arretratezza islamica divenne
evidente.
Fonte: visto su l’Indipendenza nuova del 15 dicembre 2014
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