LE RIFORME DI RENZI LE SCRISSE LICIO GELLI NEL 1978. NON CI
CREDI? LEGGI QUI E TROVA LE DIFFERENZE
di Marco Travaglio | 15 luglio 2014
“Nei confronti del mondo politico occorre… usare gli
strumenti finanziari… per l’immediata nascita di due movimenti: l’uno sulla
sinistra… e l’altro sulla destra… fondati da altrettanti clubs promotori
composti da uomini politici ed esponenti della società civile. Tutti i
promotori debbono essere inattaccabili per rigore morale, capacità, onestà e
tendenzialmente disponibili per un’azione politica pragmatistica, con rinuncia
alle consuete e fruste chiavi ideologiche”.
Così scriveva Licio Gelli nel Piano di Rinascita
Democratica, elaborato intorno al 1976 con l’aiuto di alcuni “saggi” e
sequestrato nell’82 a Fiumicino nel doppiofondo della valigia della figlia
Maria Grazia.
Ora, se andrà in porto la controriforma
elettorale e costituzionale, sarà accontentato: a parte il rigore morale,
la capacità e l’onestà, ormai fuori moda, avremo finalmente due partiti
generalisti e “pragmatisti” – il Pd fa la sinistra e FI la destra – con
programmi simili e molto “disponibili” (infatti governano e “riformano” insieme
da tre anni; peccato per l’imprevisto dei 5Stelle).
Quanto al Parlamento, il capo della P2 sfoderava una gamma
di proposte davvero profetiche.
“Ripartizione di competenze fra le due Camere” con due
“nuove leggi elettorali diverse: per la Camera di tipo misto (uninominale e
proporzionale secondo il modello tedesco)”; e – udite udite – “per il Senato di
rappresentanza di 2° grado, regionale, degli interessi economici, sociali
e culturali”.
Uno spettacolare caso di telepatia vuole che proprio questo
sia il “Senato delle Autonomie” inventato da Renzi & B: Camera elettiva, ma
fino a un certo punto (l’Italicum, con le liste bloccate dei deputati
nominati, rende il Piano di Gelli un tantino troppo democratico); e Senato con
elezione di “secondo grado”, cioè con i consigli regionali che nominano
senatori 95 fra consiglieri e sindaci. Il Maestro Venerabile meriterebbe almeno
il copyright.
Anche per l’idea di espropriare il Senato del voto di
fiducia: “Modifica della Costituzione per stabilire che il Presidente del
Consiglio è eletto dalla Camera” e “per dare alla Camera preminenza politica
(nomina del Primo Ministro) e al Senato preponderanza economica (esame del
bilancio)”. Qui però i venerabili allievi Matteo e Silvio vanno addirittura
oltre: la Camera vota in esclusiva la fiducia al governo del premier-padrone
della maggioranza, e il Senato non vota più neppure il bilancio.
Poi accolgono in toto un’altra geniale intuizione gelliana:
“Stabilire che i decreti-legge sono inemendabili”. Fatto: inserendo in
Costituzione la ghigliottina, sperimentata da Laura Boldrini contro
l’ostruzionismo 5Stelle sul decreto Bankitalia che regalava 4,5 miliardi alle
banche, i decreti del governo andranno obbligatoriamente approvati entro 60
giorni, con tanti saluti agli emendamenti e all’ostruzionismo dell’opposizione,
relegata a un ruolo di pura testimonianza. Il tutto – come auspicava il profeta
Licio – con l’apposita “modifica (già in corso) dei Regolamenti per ridare
forza al principio del rapporto maggioranza-Governo, da un lato, e opposizione,
dall’altro, in luogo dell’attuale tendenza assemblearistica”.
Nel lontano 1976, prima del boom delle tv locali, Gelli
anticipava di un paio d’anni la nascita della tv via cavo Telemilano, poi
ribattezzata Canale5 e seguita da Italia1 e Rete4 (“impiantare tv via cavo a
catena in modo da controllare la pubblica opinione media nel vivo del Paese”).
E proponeva di “acquisire alcuni settimanali di battaglia”:
cosa che il confratello B., tessera P2 n. 1816, fece nel ’90 comprandosi
la sentenza che ribaltava il lodo Mondadori e gli regalava Epoca e Panorama.
Quanto all’idea di “dissolvere la Rai-tv in nome della libertà
di antenna”, è solo questione di tempo: dopo la rapina renziana di 150 milioni,
la crisi di Viale Mazzini non può che peggiorare.
Per mettere in riga le toghe, Gelli auspicava “la
responsabilità civile (per colpa) dei magistrati”: che arrivò con la legge
Vassalli del 1988, dopo il referendum craxiano; ma ora si prepara un nuovo giro
di vite.
Meno male che il berlusconismo era finito nel 2011. Dopo
vent’anni di piduisti doc, ora abbiamo i piduisti a loro insaputa.
Fonte: srs di Marco Travaglio, da Il Fatto Quotidiano
del 15 luglio 2014
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