Titolo originale "L'Antisemitisme, son histoire er ses
causes" di Bernarde Lazare*, 1884
ORDINA IL LIBRO
Per scrivere una storia completa dell'antisemitismo, senza
trascurare nessuna delle manifestazioni di questo sentimento e seguendone le
varie fasi e i mutamenti, è necessario incominciare la storia di Israele dal
momento della sua dispersione, o per meglio dire, dal tempo della sua
diffusione fuori dal territorio della Palestina.
In tutti i luoghi dove gli
Ebrei si sono stabiliti, cessando di costituire una nazione pronta a difendere
la propria libertà e la propria indipendenza, si è sviluppato l'antisemitismo,
o meglio, l'antigiudaismo, perché antisemitismo è un termine improprio che ha
trovato la sua ragione di essere soltanto ai nostri tempi, quando si è voluto
allargare questa lotta tra l'Ebreo e i popoli cristiani e darle una filosofia e
una ragione più metafisiche che materiali.
Se questa ostilità, che è addirittura una sorta di
ripugnanza, si fosse manifestata nei confronti degli Ebrei soltanto in un
periodo e in un solo paese, sarebbe facile scoprire le cause specifiche di
quell'avversione, invece, la razza ebraica è stata oggetto dell'odio di tutti i
popoli in mezzo ai quali si è stabilita. Si deve pertanto dedurre che le
cause generali dell'antisemitismo siano sempre state insite nello stesso
Israele e non nei popoli che lo combatterono. Infatti i nemici degli Ebrei
appartenevano alle razze più disparate, vivevano in terre assai lontane tra
loro, non avevano né gli stessi costumi né le stesse tradizioni, erano guidati
da principi diversi che facevano sì che diversi fossero anche i loro giudizi;
ne consegue che le cause generali dell'antisemitismo sono sempre state insite
in Israele stesso e non in coloro che lo combattevano.
Con questo non vogliamo affatto affermare che i persecutori
degli Israeliti ebbero sempre il diritto dalla loro parte, né che non si
abbandonarono agli eccessi propri dell'odio violento, semplicemente vogliamo
dire che in linea di massima e almeno in parte, gli Ebrei stessi furono
causa-dei loro mali.
Davanti all'unanimità delle manifestazioni di
antisemitismo è difficile ammettere, come troppo spesso si è inclini a fare,
che furono dovute semplicemente a una guerra di religione, e non bisognerebbe
vedere nelle lotte contro gli Ebrei la lotta del politeismo contro il
monoteismo, e la lotta della Trinità contro Yavhé. I popoli politeisti,
così come i popoli cristiani, hanno combattuto l'Ebreo, non la dottrina del Dio
unico.
Quali virtù o quali vizi hanno meritato all'Ebreo questa
universale animosità? Perché fu, di volta in volta ed in ugual misura,
maltrattato ed odiato dagli Alessandrini e dai Romani, dai Persiani
e dagli Arabi, dai Turchi e dalle nazioni cristiane? Perché
ovunque, e fino ai giorni nostri, l'Ebreo è stato un essere scontroso,
insociabile. Perché insociabile? Perché esclusivo, di un esclusivismo politico
e religioso insieme, o per meglio dire, dovuto al suo culto politico-religioso,
alla sua legge.
Se passiamo in rassegna i popoli conquistati nel corso della
storia, vediamo che si sottomettevano alle leggi dei vincitori pur continuando
a mantenere la propria fede e le proprie credenze; potevano farlo senza
difficoltà perché presso di loro le dottrine religiose provenienti dagli dei e
le leggi civili emanate dai legislatori, erano nettamente separate e le leggi
civili potevano essere modificate a seconda delle circostanze senza che i
riformatori incorressero nell'anatema o nell'esecrazione teologica. Quello che
l'uomo aveva fatto, l'uomo poteva disfare. I vinti si ribellavano contro i conquistatori
per patriottismo, mossi unicamente dal desiderio di recuperare la loro terra e
di riavere la libertà; al di fuori di queste rivolte nazionali, raramente
chiesero di non essere sottomessi alle leggi generali e quando protestarono lo
fecero contro disposizioni particolari, che li mettevano in uno stato di
inferiorità nei confronti dei dominatori. Nella storia delle conquiste romane,
vediamo i popoli conquistati chinarsi davanti a Roma quando Roma impone loro la
stessa legislazione che governa l'impero.
Per il popolo ebreo, il caso era molto diverso: come già
fece notare Spinoza (1) “le leggi rivelate da Dio a Mosè (2) non
sono state altro che le leggi del governo particolare degli Ebrei".
Mosè, profeta e legislatore, conferì alle sue disposizioni giudiziarie e di
governo lo stesso valore che avevano i suoi precetti religiosi, cioè la
rivelazione. Jahvè non solo aveva detto agli Ebrei: "Adorerete un Dio
solo e non adorerete idoli", aveva anche prescritto regole di igiene e
di morale; non solo aveva assegnato loro con precisione il territorio dove i
sacrifici dovevano aver luogo, ma aveva stabilito anche le modalità con le
quali questo territorio doveva essere amministrato. Ognuna delle leggi che
aveva dato, agraria: civile, di profilassi, teologica o morale, godeva della
medesima autorità e riceveva la medesima sanzione, cosicché questi diversi
codici formavano un tutto unico, un fascio rigoroso dal quale nulla poteva
essere sottratto senza compiere sacrilegio.
In realtà, l'Ebreo viveva sotto la dominazione di un
signore, Jahvè, che nessuno poteva vincere o combattere, e non conosceva altro
che la Legge, cioè l'insieme delle regole e dei precetti che un giorno Jahvè
aveva voluto dare a Mosè, legge divina ed eccellente, adatta a condurre alle
eterne gioie quelli che la avessero seguita, legge perfetta, che il solo popolo
ebreo aveva ricevuto.
Con un tale concetto della sua Torah, l'Ebreo non
poteva accettare le leggi dei popoli stranieri, per lo meno non poteva
pensare di vedersele applicare; non poteva abbandonare le leggi divine, eterne,
buone e giuste per seguire le leggi umane fatalmente viziate da caducità e da
imperfezione. Se avesse potuto dividere questa Torah! Se avesse potuto mettere
da una parte gli ordinamenti civili e dall'altra gli ordinamenti religiosi! Ma
questi ordinamenti non avevano forse tutti un carattere sacro, e la buona sorte
della nazione ebraica non dipendeva forse dalla loro totale osservanza?
Queste leggi civili che si addicevano a una nazione e non a
delle comunità, gli Ebrei non volevano abbandonarle quando entravano tra gli
altri popoli perché, sebbene fuori da Gerusalemme e dal regno di Israele queste
leggi non avessero più di ragione di essere, rimanevano pur sempre obblighi
religiosi per tutti gli Ebrei che si erano impegnati a rispettarle con un
antico patto con la Divinità.
Così, ovunque gli Ebrei stabilirono della colonie, ovunque
furono trasportati, chiesero non solo che si permettesse loro di praticare la
propria religione, ma anche di non essere sottoposti agli usi dei popoli in
mezzo ai quali dovevano vivere e di potersi governare secondo le proprie leggi.
A Roma, Alessandria, Antiochia, in Cirenaica, poterono agire liberamente. Di
sabato non erano chiamati davanti ai tribunali (3), si permise loro persino di
avere propri tribunali speciali e di non essere giudicati secondo le leggi
dell'impero: quando le distribuzioni di grano cadevano di sabato, si teneva la
loro parte per il giorno seguente (4) potevano essere decurioni, ma esentati
dalle pratiche contrarie alla loro religione (5); si amministravano da soli,
come ad Alessandria, con propri capi, il proprio senato, l'etnarca, senza
essere sottomessi all'autorità municipale. Dappertutto, volevano restare Ebrei
e dappertutto ottenevano privilegi che permettevano loro di fondare uno Stato
nello Stato. Grazie a questi privilegi, a queste esenzioni, a questi sgravi di
imposta, si trovavano rapidamente in una situazione migliore di quella dei
cittadini delle città dove vivevano; avevano maggiore facilità a trafficare e
ad arricchirsi, così provocarono gelosie e generarono odio.
L’attaccamento di Israele alla sua legge fu dunque una
delle cause principali della sua condanna, sia quando da questa legge
traeva benefici e vantaggi suscettibili di provocare invidia, sia quando si
gloriava dell'eccellenza della Torah per considerarsi al di sopra ed estraneo agli
altri popoli.
Se gli Israeliti si fossero attenuti al puro mosaismo non vi
è dubbio che, a un certo momento della loro storia, avrebbero potuto modificare
questo mosaismo in modo tale da lasciar sussistere soltanto i precetti
religiosi o metafisici; può anche darsi che, se avessero avuto come libro sacro
soltanto la Bibbia , si sarebbero fusi nella Chiesa nascente che trovò i suoi
primi adepti nei Sadducei, negli Esseni e nei proseliti ebrei. Un
altro fattore impedì la fusione e mantenne gli Ebrei come popolo isolato fra
gli altri popoli: l'elaborazione del Talmùd, il dominio e l'autorità dei
dottori che insegnarono una presunta tradizione, ma questa azione dei dottori,
sulla quale torneremo, fece degli Ebrei quegli esseri scontrosi, poco socievoli
e orgogliosi di cui Spinoza, che li conosceva, ha potuto dire: "Non c'è
da stupirsi che dopo essere stati dispersi per tanti anni abbiano continuato ad
esistere senza governo, dal momento che si sono separati da tutte le altre
nazioni, a tal punto che hanno fatto convergere su di sé l'odio di tutti i
popoli, non solo a causa dei riti esteriori, contrari ai riti delle altre
nazioni, ma anche per il segno della circoncisione" (6).
I dottori dicevano: lo scopo dell'uomo sulla terra sono la
conoscenza e la pratica della Legge, e non si può pienamente praticare la legge
se non sottraendosi alle leggi che non sono la vera Legge. L'Ebreo che seguiva
questi precetti si isolava dal resto degli uomini, si trincerava dietro la
siepe che intorno alla Torah avevano elevato dapprima Esdra e i primi
scribi (7) e poi i Farisei e i Talmudisti eredi di Esdra,
deformatori del mosaismo originario e nemici dei profeti. L'Ebreo non si isolò
soltanto rifiutando di sottomettersi agli usi che creavano dei legami tra gli
abitanti dei paesi in cui si era stabilito, ma anche respingendo ogni rapporto
con gli abitanti stessi: all'insociabilità aggiunse l'esclusivismo.
Senza la Legge, senza Israele per praticarla, il mondo non
esisterebbe, Dio lo farebbe ritornare nel nulla e il mondo conoscerà la
felicità soltanto dopo essersi sottomesso all'impero universale di questa
legge, cioè all'impero degli Ebrei. Pertanto, il popolo ebreo è il popolo
scelto da Dio come depositario delle sue volontà e dei suoi desideri; è il solo
popolo con cui la divinità ha stretto un patto, è l'eletto del Signore. Quando
il serpente tentò Eva, dice il Talmùd, la corruppe con il suo veleno.
Israele ricevendo la rivelazione del Sinai si liberò dal male; le altre nazioni
non poterono guarirne. Così, anche se ciascuna ha il proprio angelo custode e
le proprie stelle protettrici, solo Israele è posto sotto l'occhio stesso di Gèova
ed è il figlio prediletto dall'Eterno, il solo che ha diritto al suo amore,
alla sua benevolenza, alla sua speciale protezione; gli altri uomini sono posti
al di sotto degli Ebrei e solo per pietà hanno diritto alla munificenza divina
perché soltanto le anime degli Ebrei discendono dal primo uomo. I beni delegati
alle nazioni in realtà appartengono a Israele e vediamo che Gesù stesso
risponde alla donna greca: "Non è bene prendere il pane dei fanciulli
per gettarlo ai cani" (8). Questa fede nella loro predestinazione,
nell'essere gli eletti, sviluppò negli Ebrei un immenso orgoglio e quando alle
ragioni teologiche si aggiunsero ragioni di patriottismo essi giunsero a
considerare i non-Ebrei con disprezzo e spesso con odio.
Quando la nazionalità, ebraica si trovò in pericolo, sotto Giovanni
Ircano, si videro i Farisei dichiarare impuro il suolo dei popoli
stranieri, impure le relazioni tra Ebrei e Greci. Più tardi, gli Scamaiti
in un sinodo proposero di stabilire una separazione totale tra Israeliti e
Pagani ed elaborarono una raccolta di proibizioni chiamata Le diciotto cose
che finì per predominare nonostante l'opposizione dei discepoli di Hillel.
Così nelle esortazioni di Antioco Sidete, si incomincia a parlare
dell'insociabilità ebraica, vale a dire "del partito preso di vivere
esclusivamente in un ambiente ebraico escludendo qualsiasi relazione con gli
idolatri, e dell'ardente desiderio di rendere queste relazioni sempre più
difficili, se non impossibili" (9) e davanti ad Antioco Epifane
vediamo il gran sacerdote Menelao accusare la legge di "insegnare
l'odio verso il genere umano, proibire di sedere alla mensa degli stranieri e
di mostrare loro benevolenza".
Se questi precetti avessero perso la loro autorità quando
scomparvero le ragioni che li avevano motivati e in un certo qual modo
giustificati, il male sarebbe stato limitato; ma li vediamo ricomparire nel
Talmùd e l'autorità dei Dottori li ha riconfermati.
(…)
*Bernarde Lazare nacque a Nimes nel 1865 in una famiglia di
ebrei stabilitisi da secoli nel sud della Francia e ancora giovane andò a
Parigi a completare gli studi. Nel 1884 pubblicò il libro "L'Antisemitisme, son histoire er ses causes"
in risposta ai libri di Edouard Drumont.
Fonte: visto su disinformazione.it
Nessun commento:
Posta un commento