Fonte Battesimale della Chiesa di San Giovanni in Fonte. Duomo di Verona
VOLUME II - EPOCA III
- CAPO VII
SOMMARIO. - Vescovi
zelanti - Capitolo in pieno accordo col vescovo - Congregazione del clero
intrinseco - Istituzione delle parrocchie nella città a suburbi - Fonti
battesimali oltre quello della cattedrale - Coltura del clero -Monasteri di S.
Zeno, S. Maria in Organo, S. Fermo, S. Nazaro. - Monastero di S. Michele in
Campagna - Monasteri doppi - Umiliati eretici e non eretici - Appelli
inconsulti - Delitto sacrilego di un chierico.
Abbiamo già accennato più volte come la libertà rivendicata
alla chiesa per il concordato di Worms dopo la lotta quasi centenaria delle
investiture abbia reso anche alla chiesa
veronese frutti immensi.
Il primo di essi fu la elezione dei vescovi fatta
liberamente dal clero; e perciò i vescovi forniti delle doti necessarie per la
cura pastorale. Mentre nel secolo XI
abbiamo avuto parecchi vescovi incerti e dubbi, altri inoperosi, altri
apertamente favorevoli allo scisma, nel secolo XII abbiamo vescovi intemerati, come Bernardo, Tebaldo, Ognibene, Riprando, Adelardo. Elettori dei vescovi erano principalmente i canonici
della cattedrale, che erano la rappresentanza giuridica di tutto il clero: ad
essi, non sappiamo l'epoca precisa, si aggiunse la Congregazione del clero
intrinseco, e più tardi quella del clero estrinseco. (a)
Altro frutto della libertà della chiesa fu anche la perfetta
armonia che troviamo nel secolo XII tra
i vescovi ed il clero della cattedrale. Il vescovo
Ognibene fu eletto dai canonici « concorditer
»; e così dai canonici ed ordinariamente tra canonici furono eletti i suoi
successori, Riprando, Adelardo,
Norandino, ecc. I canonici ebbero
amplissimi privilegi, giurisdizioni e possedimenti dai Pontefici, massime da Alessandro
III con la bolla l maggio 1177(1).
Lucio III con
breve 29 settembre 1184 assicurò i diritti dei canonici contro le pretensioni
di alcuni laici potenti(2); i quali beni confermò poi loro Urbano III con breve 23 marzo 1186.(3)
Nell'occasione della
erezione delle parrocchie in città l'anno 1194, i canonici ebbero il privilegio
di benedire il fonte e celebrare la messa nella basilica di S. Zeno nel « Sabbato
magno », e nella vigilia di Pentecoste.
In una controversia sorta per la nomina
dell'arcidiacono della chiesa veronese troviamo il vescovo card. Adelardo indirettamente sostenere anche a Roma la causa dei canonici.(4)
Di fianco, non di fronte, al clero della cattedrale era
sorta la Congregazione del clero intrinseco; le cui prime origini risalgono
agli inizi del secolo X. Il suo presidente avea il titolo « Archipresbyter »: il primo, di cui si
abbia memoria, è Ghisalberto nell'anno
976.
Non sappiamo di positivo quale fosse la natura e lo scopo
della Congregazione: pare che essa dovesse tendere anzitutto alla formazione
dello spirito ecclesiastico nei suoi membri, sia quanto ai costumi, sia quanto
all'istruzione.(5) In breve tempo essa ebbe possedimenti e
giurisdizioni su varie terre e chiese della città e del distretto.
Particolarmente ad essa era soggetta la contea
di S. Giogio di Marega; i cui vassalli nel giorno 23 aprile dell'anno 1184
prestarono giuramento di sommissione e di fedeltà a Gerardo di Sant'Anastasia arciprete.
Nell'anno seguente con bolla del 27 gennaio Urbano III, risiedendo a Verona,
affermò alla Congregazione giurisdizioni su varie chiese in Castelrotto, Pescantina, Avesa, Stelle,
Montorio, Illasi, Roverchiara,
Legnago, Moratica, ecc.; le quali giurisdizioni furono poi confermate ed
ampliate da Innocenzo III con bolla del 22 maggio 1202. Verso la stessa
Congregazione furono larghi di privilegi anche gli imperatori Federico I e Federico II.(6 )
Un fatto importante avvenne l'anno 1194, a quanto riferisce
uno storico nostro; dal quale apparisce quanta fosse l'ingerenza della
Congregazione nel regime della chiesa veronese.(7) Come abbiamo accennato altrove, l'erezione delle parrochie nel
distretto deve essere avvenuta nei secoli X e XI; mentre nella città essa deve
differirsi di qualche secolo. Si dice che essa sia avvenuta nell'anno 1194,
e che la divisione della città in parrochie siasi compita dalla Congregazione
del clero intrinseco: nulla però sappiamo del numero delle parrochie, e molto
meno sappiamo quali chiese fossero le titolari. Naturalmente in questa
innovazione dovette intervenire anche il vescovo
Adelardo: ma pure essa viene attribuita alla Congregazione. Non altrimenti avvenne nel 1336, quando, sorti
alcuni litigi per la limitazione di alcune parrochie, la soluzione fu data dai
preposti della Congregazione, certamente non senza il consenso del vescovo
Nicolò(8).
Forse fu in conseguenza dalla erezione delle parrochie, che
nello stesso anno 1194 fu assegnato il fonte
battesimale alla basilica di S. Zeno, come alla chiesa di S. Giovanni in Valle e ad altre lontane dalla cattedrale.
In tale occasione l'amministrazione del battesimo nella basilica di s. Zeno, sia nel sabato santo (magno), sia nella
vigilia della Pentecoste, fu
affidata ai sacerdoti della Congregazione: i canonici vi mandavano un
sacerdote, un diacono ed un acolito per la benedizione del fonte: i quali
avrebbero anche battezzato uno o due bambini, se avessero creduto di farlo.(9)
Quanto alla coltura spirituale e morale del clero, sono
troppo scarsi i documenti, perché possiamo darne un giudizio. Ad ogni modo, una
prova indiretta dello zelo del clero la abbiamo nel gran numero di chiese
erette nel secolo XII.
Per la coltura intellettuale, non abbiamo che le opere
canoniche di Ognibene, da lui
probabilmente composte prima dell' episcopato, e forse in Bologna. Si dice
spettare a questi secoli anche la Historie
translationis sancti Zenonis (10) ma è ben poca cosa, sia sotto
l'aspetto storico, sia sotto l'aspetto letterario. (b)
V'era bisogno d'un risveglio spirituale ed intellettuale; e
questo si ebbe nel secolo XIII, segnatamente per la formazione dei nuovi ordini
religiosi.
Veniamo al monachismo.
- Il più importante fra i nostri monasteri era quello di S. Zeno, il quale nei secoli XI e XII
salì all'apogeo di sua grandezza per la residenza che in esso tennero gli
imperatori germanici: di qui privilegi, giurisdizioni, possedimenti in Verona,
nel suo distretto e fuori di esso. Amplissimi privilegi ebbe pure quel
monastero dal pontefice Urbano III
con bolla data da Ferrara il 13
ottobre dell'anno 1187. Fu celebre l'abate Gerardo, (1163-1187) nominato
in un diploma del Barbarossa del
1163 ed in un'iscrizione del 1178, e del quale si occupò anche Dante nel canto XVIII del Purgatorio. (11) Sotto di lui si
agitavano gravi questioni per alcuni diritti contestati al monastero degli « homines de masnata Paronae et Cassiani
»: parecchi testi chiamati « sub
porticalia sancti Crescentiani » in generale attestarono d'aver veduto gli
« homines » suddetti « zappare, arare, metere, sgraminizare,
carezare, etc. » per la masnata di S. Zeno. La lite durava ancora nell'anno
1189; né sappiamo quale esito abbia avuto.(12)
Fu Gerardo, che
innalzò e compì il campanile di S. Zeno:
« decenter exornari et balcones super
balcones veteres elevari, deinde capitellum mirabiliter constructum ».(13)
La chiesa di S. Zeno ebbe il battistero nell'anno 1194: ma non
essendo lecito ai monaci dare il battesimo per immersione, questo ufficio fu
riconosciuto come diritto dei canonici della cattedrale ed attribuito ai
sacerdoti della Congregazione del clero.
Una lite gravissima, da cinquant'anni agitata tra l'abate del
monastero e l'arciprete della chiesa di
S. Procolo, fu definita dal pontefice Innocenzo
III con la bolla Cum inter vos
del 18 giugno 1198: con essa il Pontefice stabiliva che « ecclesia S. Proculi monasterio sancti
Zenonis pleno jure sit subjecta ... ; permetteva però che quell'arciprete
in certi uffici secondari agisse e disponesse indipendentemente dall' abate.(14)
Non sappiamo se i privilegi e possedimenti e diritti venuti
a quel monastero abbiano giovato a rassodare nei monaci lo spirito di S. Benedetto: qualche scandalo avveratosi nel secolo
seguente ce ne fa dubitare. (c)
Pare che il monastero
di S. Maria in Organo fosse abbastanza in fiore nel secolo XII. Esso era
soggetto al Patriarca di Aquilea: ma
alcuni atti accennano a qualche dipendenza dal vescovo di Verona. Un primo sintomo di scissure interne apparisce nell'anno
1180; quando l'abate Obizone divise
le entrate dell'abate da quelle del capitolo.(15) Nel secolo seguente andò decrescendo il numero dei monaci.
Il monastero di S.
Fermo ebbe vaste giurisdizioni ad esso confermate dal pontefice Anastasio IV con breve del 9 giugno
1154;(16) ma negli ultimi decennii
di questo secolo apparisce un principio di decadenza dovuta, non alla mancanza di spirito
monastico nei suoi membri, ma piuttosto a deficenza di mezzi economici. Era bensì ampio il fabbricato; avea case ed
orti sino all'Adige; era annesso ad una chiesa che era in gran venerazione
presso i veronesi: ma più volte, anche per rinnovare e riedificare la chiesa
dovettero implorare la carità dei fedeli. Nel secolo seguente i Benedettini,
ridotti a scarso numero, dovettero cedere il loro monastero ai Frati Minori.
Ben più fondato era il monastero
di S. Nazaro arricchito di possedimenti dall'imperatore Enrico IV e dai suoi successori. Dal vescovo
Ognibene ebbe assicurati nel 1165 i possedimenti della villa di Coriano; altre terre ebbe in seguito da generosi donatori
privati. Il monastero possedeva un tempo
la chiesa del santo Sepolcro: questa
ai tempi del vescovo Tebaldo era
stata ceduta ai conversi Gerosolimitani;
ai quali dopo lunghe diatribe fu confermata dal vescovo Ognibene e dall'abate Adamo
del 1179 (17). (d)
Omettiamo gli altri monasteri della città e della diocesi,
sia di monaci, che di monache.
Ma non possiamo omettere il monastero « sancti Michaelis in Campanea », il quale ebbe troppa importanza in
questi secoli.
La chiesa esistente già al principio del secolo IX e da Ratoldo data ai canonici,(18) nel 1064 era « sub regimine et potestate de canonica sanctae Veronensis Ecclesiae
»(19) ben presto fu soggetto ai
canonici anche il monastero; giacché alla elezione dell'abbadessa suor Tarsilia nel 1115 intervenne una
rappresentanza dei canonici, e nel 1133 i canonici investirono l'abbadessa suor Anna della chiesa di S. Pancrazio al Saltuclo; ed
il pontefice Alessandro III nel
breve Officii nostri del
1 maggio 1177 tra le giurisdizioni dei canonici pone anche « monasterium sancti Michaelis in Campanea
»(20).
Questa soggezione del monastero ai canonici diede occasione
a frequenti litigi, spesso portati anche a Roma: l'esito fu vario. Una lite
sorta l'anno 1202 sull'estensione del protettorato dei canonici nella elezione
dell'abbadessa ebbe dai Legati Pontifici nel 1207 una sentenza favorevole alle
monache.(21) Nel secolo XII il monastero acquistò possedimenti in varie
terre della diocesi e fuori, massime da persone signorili che vi entrarono:
nell'anno 1184 ebbe anche l'onore di una visita del pontefice Lucio III: nel 1220 la loro chiesa ebbe il fonte
battesimale ed il jus parrochiale.(22)
Nei secoli XI e XII fanno capolino anche in Verona i così detti monasteri doppi, sui
quali disputarono molto gli eruditi nel secolo XVIII.(23)
Lasciando a parte i monasteri di altri luoghi e qualche
abuso particolare anche tra i nostri, pare che in generale nei monasteri di
Verona non si avesse una convivenza propriamente detta di uomini e donne, ma
che tra l'abitazione dei primi e quella delle seconde, anche nei monasteri
doppi si avesse una divisione più o meno assoluta. Già nel 1084 Enrico IV confermava al monastero
di S. Zeno « universas res cum
familiis et servis utriusque sexus ».(24)
L'origine storica
di questa mescolanza pare sia dovuta alla necessità dei monaci di avere alcune
servizi dalle donne, ed a quella ancor più grave delle monache di aver servizi
dagli uomini. Di qui gli appellativi
dati da queste persone aggiunte: famuli,
familares, missi, vassalli, ecc.
Inoltre
avveniva non di rado che alcuni uomini e donne si volessero ritirare in un
monastero in età avanzata, avendo spesso con sé la moglie, il marito, qualche
fratello o sorella: si direbbero chiamati all'ora undecima. Questi si dicevano conversi, converse; e
talvolta un uomo era ricevuto come converso in un monastero di monache, una
donna in un monastero di monaci; massime, se potea portar con sé al monastero
qualche pezza di terra.
Così nel 7 gennaio del 1189 un certo Rampatius con sua moglie Altinie donava al monastero di S. Nazaro « sex pecias
terrae », e furono accettati « in
fratrem et sororem dicti monasterii ».(25)
Però di questo favore non poteano
usufruire le persone serve in senso legale: ed è per questo che il papa Alessandro III il 24 ottobre 1184
permetteva all'abbadessa di S. Michele di ricevere « personas liberas ad conversionem ».(26) Questi conversi
vestivano abito religioso, fungevano da impiegati negli affari esterni del
monastero, e, forse in qualche monastero, intervenivano anche al coro.
Certamente un tale sistema potea crear dei pericoli nell'interno del monastero
e degli scandali al di fuori; e giustamente fu più tardi abolito dalle leggi
canoniche.
Altri inconvenienti portò alla nostra diocesi sulla fine del
secolo XII l'eresia dei Catari od Albigesi, condannata da Lucio III nel concilio di Verona l'anno 1184.
Questi eretici mostravano una certa tendenza al rigorismo, e
perciò attrassero talvolta ai loro errori, ma più spesso alle loro opere di
penitenza, anche sacerdoti e laici sinceramente cattolici. Tra questi erano
specialmente alcuni buoni operai ritiratisi presso la chiesa di S. Maria della Giara verso l'anno 1178,
che si dicevano Compagni e
più tardi Umiliati(27) ai quali sotto il nome di Umiliati
aderivano parecchi nella città e nella diocesi, che praticavano opere di
penitenza con vero spirito cristiano.
Dopo la condanna delle nuove sette, avvenne che alcuni
sacerdoti, e tra questi Guido arciprete
della cattedrale, volevano trattare come eretici e scomunicati parecchi Umiliati del tutto alieni
dallo spirito dei Catari ed Albigesi. Allo scopo di sventare questa
confusione, Innocenzo III in data 6
dicembre 1199 scrisse una lettera al card.
Adelardo nostro vescovo; nella quale gli dava norme per distinguere i
cattolici dagli eretici, e riammettere nella comunione della chiesa quelli,
che, avendo aderito all'errore, ora lo abiurassero, protestando di aderire alla
fede ortodossa e di venerare la Sede Apostolica.(28)
Ben più gravi disordini traspariscono da una lettera di Innocenzo III, al quale li avea
denunziati il nostro vescovo Adelardo,
come, pur troppo, esistenti fra i monaci ed i chierici. Si lamentava Adelardo che molti « non verentur turpia perpetra e, et lucris
illicitis inhaerere » e che alcuni erano anche « maculati ha eretica pravitate ». Aggiungeva che, se egli si
studiava di correggere e punire i rei, questi « vocem protinus appellationis emittunt », costringendo così il
vescovo ad essere « canis non valens
latrare ». Perciò chiedeva che fosse
posto un rimedio a questa mania di appellare a Roma. Ed il papa gli rispose che, essendo il diritto
di appello, « non ad defensionem
iniquitatis, sed ad subsidium innocentiae », egli, « remoto appellationis diffugio », punisse i rei secondo i loro
meriti. Una simile lettera riguarda
simili disordini nei laici. Hanno la data 10 maggio 1202.(29)
Termineremo con una breve relazione di un gravissimo
delitto.
Un chierico di S. Martino « de Nigrario » da tempo covava un odio feroce contro l'arciprete
della sua chiesa, contro il quale usò talvolta le armi. Il
vescovo Adelardo, dopo averlo
inutilmente rimproverato, lo punì con la privazione del beneficio. Di qui esacerbato l'odio di quel chierico; il
quale un giorno, mentre l'arciprete tornava da Verona, lo aggredì sulla via, lo
uccise e lo tagliò a pezzi. Allora il vescovo lo scomunicò. Ma quel chierico apparteneva a famiglia
potente e prepotente: perciò brighe e ricorsi, sia presso l'autorità secolare,
che l'avea messo in carcere, sia presso il vescovo. Il pontefice Innocenzo III in data 9 ottobre 1198 scrisse al card. Adelardo, ingiungendogli che
tenesse ferma la punizione, finché quel chierico con lettere del suo vescovo si
fosse recato a Roma « debita
animadversione puniendus ».(30)
NOTE
1 - Presso
BIANCOLINI, Chiese di Verona II, pag; 539, seg.
2 -Presso JAFFÈ, Regesta
Rom. Pontificum. Num. 15066.
3 - MIGNE, Patrol.
lat. CCII, col. 1473; JAFFÈ, Op.
cit.. Num. 15824.
4 - MIGNE, Patrol.lat.
Tom. CCXIV. col. 985, 987, 1094. - Vedi anche Notizie spettanti al
capitolo di Verona pag. 55 Nota g.
5 - Speravamo di
poter dare notize più concrete di questa importante istituzione: ma tutto l'incarto
Clero intrinseco, che si conservava nei nostri archivi comunali si trova
tuttora internato a Firenze.
6 - Presso BIANCO
LINI, Chiese di Verona. IV, pag. 542-551.
7 - ZAGATA, Cronaca
- Supplemento. P. II. Val. II, pag. 51.
8 - L'atto presso
BIANCOLINI, Chiese. IV, pag. 553-557.
9 - BIANCOLINI, Chiese.
IV, pag. 615.
10 - Presso
BALLERINI, S. Zenonis Sermones Prolegom., pag. CLIII, segg.
11 -BENASSUTI, La
divina commedia ecc. Vol. II, pag. 151, Nota 67 (Padova 1870).
12 - Documenti
presso BIANCOLINI, Chiese V. P. I, pag. 99, segg. Docum. XXXIII-XXXV.
13 - SIMEONl, La
Basilica di S. Zeno di Verona, pag. 15.
14 - MIGNE, Patrol.
lat. CCXIV. col. 237; POTTHAST, Regesta RR. PP. Num. 292.
15 - BIANCOLINI, Chiese.
I, pag. 301.
16 - BIANCOLINI, Chiese
I, pag. 347; JAFFÈ, Regesta RR. PP. Num. 9918.
17 - BIANCOLINl, Chiese.
II, pag. 674-579.
18 - MAFFEI, Istoria teologica. Append. Opusc. eccl., pag.
96.
19 - BIANCOLINI, Chiese.
V. P. I, pag. 176 Docum. LXX.
20 - BIANCO LINI,
Chiese II, pag.540.
21 - BIANCOLINl, Chiese.
IV, pag. 702.
22 - Gli atti del
vescovo Norandino presso BIANCOLINl, Chiese. IV, pag. 706, 708 - Vedi
FINETTI, Monografia della chiesa parr. di S. Michele (Verona 1894); L’
antico monast. delle Benedettine a S. Michele (Mantova 1900).
23 - MURATORI, Dissert.
sopra le antich. ital. Diss. LXV(Milano 1751); BRUNACCI, Ragionamento
sopra le canonichesse di S. Pietro di Padova (Padova 1745).
24 - BIANCOLINI, Chiese
V. P. I, pag. 83 Docum. XXVI.
25 - BIANCOLINl, Chiese
di Verona V. P. I, pag; XXIII.
26 - FINEITI, L'antico
Monastero del Benedettine a S. Michele, pag. 16.
27 - L'origine
stessa degli Umiliati è assai discussa fra gli storici. Vedi P. SIMEONl, Memorie
storiche riguardanti l'antica chiesa della Giara (Verona 1818).
28 - MIGNE, Patrol.
lat., CCXIV. col. 788; POTTHAST, Num. 891.
29 - MIGNE, Patrol.
lat. CCXIV, col. 986, 987; POTTHAST, Num. 1746, 1765. - Vedi anche Civiltà
Catt. Anno 1916 Vol. III, pag. 181.
30 - MIGNE, Patrol.
lat. CCXIV, col. 264; POITHAST, Num. 389. - Non ne sappiamo altro.
ANNOTAZIONI AGGIUNTE AL CAP. VII (a cura di Angelo
Orlandi)
a) Per quanto
riguarda il canonicato e la diocesi in questo periodo si possono vedere: L.
BELLOTTI, Ricerche intorno alle costituzioni del Capitolo della cattedrale
di Verona nei secoli XIII-XIV, in Atti della Deputazione di Storia
Patria per le Venezie, Venezia, 1943, pp. 65.; P. ROSSETTI, Ordinamento
giuridico della diocesi di Verona nei secoli XIII-XIV, in Studi Storici
Veronesi L. Simeoni V. IV (1953),
Verona, 1953, pp. 57-69.
b) Per la cultura
di quest'epoca si possono vedere: M. CARRARA, Verona medioevale. Gli
scrittori latini, in Verona e il suo territorio II, Verona, 1994,
pp. 351-420.; R. AVESANI, La cultura veronese dal secolo IX al secolo XII, in
Storia della cultura veneta I. Dalle
origini al Trecento, Venezia 1976, pp. 240-270.; E PAGANUZZI, Medioevo e
Rinascimento, in La Musica a Verona (a cura di P. Paolo Brugnoli),
Verona, 1976, pp. 1-125.
c) Alcuni momenti
della storia del monastero di S. Zeno sono stati lumeggiati recentemente nello
studio di P. BRUNOLI-G. MAROSO, L’ abazia di S. Zeno e il suo
chiostro monumentale, in L’ abazia e il chiostro di S. Zeno
Maggiore in Verona. Un recente intervento di restauro (a cura il Pierpaolo
Brugnoli), Verona, 1986, pp. 11-81.
d) Per il
monastero dei SS. Nazaro e Celso e la chiesa e ospedale del S. Sepolcro tornano
utili queste pubblicazioni: L. TACCHELLA, Il Sovrano Militare Ordine di Malta nella storia
di Verona, Genova, 1969, pp. 74; L. TACCHELLA, Le origini dell'abazia
dei SS. Nazaro e Celso di Verona, in Studi Storici Veronesi L. Simeoni, XX-XXI (1970-71), Verona 1972,
pp. 5-105.
Fonte: srs di
Giovanni Battista Pighi, da CENNI STORICI SULLA CHIESA VERONESE, volume II
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