lunedì 10 marzo 2014

DUE FATTI DEPLOREVOLI: L’ESEQUZIONE DEGLI ERETICI NEL 1233 E 1278


La cavea dell’Arena di Verona dove nel 1278 vennero bruciati gli eretici Patareni


VOLUME II -  EPOCA III  – CAPO XIII

SOMMARIO. - Esecuzione di eretici nel 1233 - Dubbi sulla realtà del fatto - A chi sia da attribuire il fatto - Spedizione di Sermione nel 1276 - Esecuzione di eretici nel 1278 - Carattere di questa esecuzione - Responsabilità della stessa - Due atti pontifici.

Abbiamo accennato alle repressioni dell' eresia fatte in Verona nel campo legale, sia ecclesiastico, sia civile. Ora dobbiamo dire di due repressioni, che diremmo extra-legali; e sono due esecuzioni sommarie fatte in Verona contro gli eretici negli anni 1233 e 1278.

La prima avvenne l'anno 1233, e precisamente nei giorni 21, 22, 23 luglio.
Un nostro cronista, Paris di Cerea, nella sua cronaca, detta Annales Perisii, racconta che in quei tre giorni furono bruciati in Verona sessanta eretici, uomini e donne, spettanti alle famiglie più cospicue di Verona: il loro delitto era appunto l'eresia, e furono bruciati per sentenza di fra Giovanni Schio da Vicenza frate Domenicano mandato alle città della Marca Trevigiana da Gregorio IX con la missione di portarvi la pace.
Ecco il testo Parisiano: « 21 Julii dictus Frater Joannes in tribus diebus fecit comburi et cremari in foro et glara de Verona LX ex melioribus inter masculos et feminas, quos ipsos condemnavit de heretica pravitate ».(1)  Così Paris, dal quale nel secolo XV riportò il fatto il cronista Zagata, riducendo il numero delle vittime a quaranta.

È un fatto veramente enorme; sul quale vorremmo fare alcune osservazioni: parte in via di fatto, parte in via di diritto.(2)
Anzitutto è certo il fatto? - In generale i critici dicono che le relazioni di Paris sono attendibili. Ma fa meraviglia che di un fatto così enorme, avvenuto in tempo di fazioni politiche, non si abbia che un solo relatore coevo, e nessun cenno se ne abbia in altri documenti coevi e suppari.
Gli Annales veteres furono compilati in Verona verso la metà del secolo XIII, una ventina d'anni dopo il fatto narrato da Paris.
All'anno 1233 essi danno molte notizie di fra Giovanni: « Frater Joannes de ordine praedicatorum natione vincentinus erat... »; dice di quanto fece a Bologna, a Modena, a Padova, a Treviso, a Vicenza, e di nuovo a Bologna; « et tandem venit Veronam ... comune de Veron, comune Mantuae et omnes de predictis civitatibus potentes, nobiles, magni et mediocres et parvi et clerus universus et layci receperunt omnes cum magno gaudio et juraverunt omnes custodire praecepta et reduxit omnes ad pacem ».(3)
È la pace di Paquara composta il  28 agosto: dell'eccidio di sessanta persone « ex melioribus », bruciate pubblicamente un mese prima, neppure un cenno.

Nella raccolta del Pertz subito dopo gli Annales Parisii sono la Chronica Rolandini, indi gli annales sanctae Justinae, dei quali secondo Cipolla è autore un veronese. Ambedue questi documenti si occupano molto di quanto fece fra Giovanni a Verona: ma del supplizio di sessanta eretici neppur una parola ...

L'aver fatto perire sul rogo sessanta persone appartenenti alle famiglie più cospicue di Verona non impedì punto che fra Giovanni fosse per un mese e più onorato da tutti i veronesi: nessuna delle famiglie degli estinti mosse il più lieve lamento, né lasciò alcuna memoria od almeno il nome di un suo membro perito pubblicamente tra le fiamme. Per circa due secoli, dal fatto nessuno scrittore ne parla.
Il primo cenno se lo trova in una breve narrazione di Giacomo Pindemonte e dello Zagata cronisti veronesi del secolo XV.
Il primo narra che nel 1233 fra Giovanni fece ardere molti Paterini e « pauperes leonini »; in quel mentre dal più alto corso del teatro cadde giù una grossa pietra che uccise venti all'incirca uomini e donne. Il secondo riferisce tradotto quasi alla lettera il racconto di Parisio, riducendo il numero di bruciati da sessanta a quaranta.

Aggiungiamo una circostanza singolare. Il Parisio immediatamente prima di narrare la venuta di fra Giovanni a Verona dice di se stesso:
«Et eo anno Parisius de Cereta, huius chronicon scriptor, ivit Romam.(4)  Eo anno frater Joannes ... ». Da questa connessione parrebbe che quando fra Giovanni venne a Verona, il Parisio si trovasse a Roma; e perciò egli riferisca un fatto, che più tardi udì narrarsi da altri. Si noti che fra Giovanni venne davanti a Verona verso la metà del luglio, e l'abbruciamento degli eretici per sentenza di lui sarebbe avvenuto nei giorni 21, 22, 23 dello stesso mese. - Del resto ripetiamo che il teste è il solo Parisio, e « testis unus testis nullus ». Perciò a noi fa meraviglia, come né Cipolla, ne altri scrittori nostri mettano dubbio alcuno su questo fatto.

Posta la verità del fatto, a chi si deve attribuire? - Non al vescovo di Verona, che non è neppur nominato: non all'ufficio dell'Inquisizione, che forse non era ancora istituito in Verona e fin dal principio fu affidato ai Frati Minori: non alle costituzioni di Innocenzo IV, che furono date verso l'anno 1250.
Esso deve ascriversi unicamente ed esclusivamente a fra Giovanni, il quale in questo fatto agiva per conto proprio, come duca e rettore di Verona: ufficio, che egli assunse nel giorno stesso, in cui entrato in città sul carroccio veronese, testé riacquistato, su di esso arringò il popolo adunato nel foro, che, secondo Cipolla ed altri, è l'odierna piazza delle Erbe.  È bensì vero che egli era stato mandato unicamente per sedare le fazioni politiche e comporre la pace tra le città e tra i cittadini.
Se nell' esercizio di questa missione egli fu creato, o creò se stesso, duca e rettore di Verona, questa creazione fu ad insaputa del Papa; anzi da documenti del tempo consta che essa dispiacque al Papa.(5)  
E quale meraviglia, che il duca e rettore della città nel far perire sessanta persone « ex melioribus » abbia inteso di agire come duca e rettore, accomunando ad alcuni eretici altre persone, che forse erano di ostacolo alla pace? Ad ogni modo la responsabilità del fatto cade tutta sulla persona di fra Giovanni duca e rettore.
Di qui è che autori recenti, ostili per sistema alla chiesa, non incolpano di questo eccidio di eretici la chiesa; ma ne danno tutto l'aggravio a fra Giovanni.(6)  Né egli avrebbe potuto giustificare quell'esecuzione con le costituzioni della chiesa: non avrebbe potuto legalizzarle, se non con le costituzioni di Federico II.

Del resto, nel giudicare un fatto del secolo XIII dobbiamo tener avanti agli occhi lo stato delle cose di quel tempo.
«Quelle sette gnostiche, i Cattari e gli Albigesi, che provocarono la severa legislazione del Medioevo contro le eresie, ... erano i comunisti di quel tempo: essi commettevano attentati contro il matrimonio, la famiglia, la proprietà ».(7)
Si aggiunga che la setta predominante fra noi era quella dei Patareni, «distinti per la maggior depravazione ed impudenza nel male ».(8) Ecco perché, se il fatto fu vero, non ne venne uno scoppio di abbominazione generale contro l'autore.

Assai più grave e clamorosa fu l'esecuzione dell'anno 1278.
Dal 1275 era vescovo di Verona un frate francescano, fra Temidio, che era stato inquisitore: la signoria di Verona fin dal 1262 di fatto era in mano della famiglia Della Scala, particolarmente di Mastino, a cui nel 1277 successe il fratello Alberto: inquisitore era fra Filippo figlio di Pinamonte Capitano del popolo in Mantova.
Questa volta le vittime furono i Patareni, che da lungo tempo aveano formato una comunità in Sermione e vi si erano in qualche modo fortificati. L'esecuzione consta di due fatti: la cattura degli eretici nel 1276, ed il loro supplizio nel 1278. Li riferiremo letteralmente dalla Cronaca del De Romano, che visse nella seconda metà del secolo XIII.

Il cronista veronese De Romano riferisce il fatto della spedizione in questi termini: « Eodem anno (MCC LXXVI) de mense novembris die Jouis XII ejusdem mensis Episcopus Veronensis una cum dominis Pinamonte de Bonaconsis, Alberto de la Scala et frate Philippo exsecutore haereticorum iverunt Sermionum, quod steterat domus ipsorum longissimo tempore, situm in lacu Gardensi, et ceperunt CLXVI inter hereticos et hereticas, et conducti fuerunt Veronam de voluntate et beneplacito dni Mastini, qui tunc erat dominus Veron ».(9) Questi centosessantasei eretici condotti a Verona « de voluntate et beneplacito dni Mastini» furono tosto rinchiusi in prigione il 12 novembre del 1276, e vi stettero fino al 13 febbraio del 1278.
Intanto era stato ucciso Mastino il 26 ottobre del 1277, ed a lui nella signoria di Verona era succeduto il fratello Alberto, sotto il quale avvenne il secondo fatto.

Il De Romano lo riferisce così: «MCCLXXVIII die dominico XIII februarj in arena Veron. combusti fuerunt, circa ducenti patareni, de  illis qui capti fuerunt in Serrniono, et frater Philippus filius dni Pinamontis erat executor ».(10)
Noi non sapremmo come conciliare questa relazione con la precedente per quanto spetta al numero degli eretici bruciati. Probabilmente De Romano errò, od è errato il codice nel riferire il secondo fatto, il quale ci vien narrato ben diversamente da una Cronachetta scaligera: Hoc anno (1278)  centum heretici et patareni de Sermione in arena combusti fuerunt » (11).  Gli Annales Mantuani al medesimo anno riferiscono: « Capti fuerunt circa CL patarini... incarcerati et pro majori parte combusti ».(12)

Che dire di questa esecuzione? - Certamente dispiace vederci implicato il vescovo e l'inquisitore, ambedue frati dell'ordine di S. Francesco; e molto più dispiace veder l'inquisitore implicato pure nell'abbruciamento di duecento od almeno cento eretici.
Ma la cattura degli eretici a Sermione, ed il loro supplizio a Verona son fatti di carattere religioso, o di carattere politico? Noi non avremmo difficoltà ad ammettere un carattere predominante religioso nelle spedizioni di Sermione: già gli Statuti del 1270 imponevano al podestà di catturare gli eretici della città e del distretto; ed è vero, benché strano, che a capo della spedizione era il vescovo: si aggiunge che Sermione era luogo di convegno di eretici di altri paesi, particolarmente dei così detti Bagnolesi, e che vi risiedeva il vescovo Lorenzo; almeno nel 1273 o 1274  v'era pure Bernardo Oliba vescovo degli eretici di Tolosa.  Dal complesso di questi fatti è chiaro che in quella spedizione e cattura ebbe gran parte il carattere religioso: ma insieme vi dobbiamo pur riconoscere un elemento politico e forse prevalente.(13) Troppa parte vi hanno i Della Scala: Alberto guida la spedizione, e gli eretici vengono tradotti a Verona « de voluntate et beneplacito Mastini »;  e né AlbertoMastino era Podestà di Verona: podestà era Nicolò de Arlotis.

Il supplizio poi, fu esso per volontà dei Della Scala, o per sentenza pronunziata da fra Filippo, che qui pur troppo si trova nella qualità di esecutore, ossia inquisitore? Nella seconda ipotesi avremmo un fenomeno al tutto singolare, e in contraddizione con la procedura usata nelle cause di eresia da fra Filippo e da altri inquisitori.
In ciascuno di questi l'inquisitore cita il reo; lo interroga; interroga i testi; domanda consiglio al vescovo od al suo vicario ed a giurisperiti; poi proferisce la sentenza in forma giuridica nel convento dei frati minori, nella chiesa di S. Fermo, nel coro della chiesa di S. Fermo, ecc.
Qui per cento o duecento eretici non si ha la menoma forma di processo: nel 1276 sono carcerati; nel 1278 sono bruciati. V'è di più. I processi riferiti da Cipolla finiscono tutti con la sentenza: se quella è di condanna, neppur una di esse porta la condanna alla morte, al rogo: le condanne si riducono alla confisca dei beni degli eretici convinti, alla distruzione della loro casa: tali furono le condanne della Altapina, di Uberto dalla Tavola maggiore, di Artuina figlia di Artuino Nichesola e di altri.
In tutti questi processi non si trova un solo eretico condannato a morte; e nel 1278 senza ombra di processo l'inquisitore in forza della sua autorità avrà condannato al rogo cento o duecento eretici in un sol giorno? Noi inchiniamo a credere che questa esecuzione sia stata un atto di prepotenza di Alberto, al quale per debolezza o per qualche altro motivo prestò l'opera sua fra Filippo: da un complesso di fatti riferiti dal Dalla Corte sappiamo che la severità di Alberto contro i suoi avversari confinava con la tirannia.(14)

Né a dar carattere religioso a questa esecuzione ci autorizza l'approvazione data da Nicolò IV; il quale undici anni dopo il fatto, dietro istanza dei Della Scala concesse a questa famiglia i resti del castello di Illasi appartenuto ad Ezelino.  
Nella lettera data da Orvieto il 27 giugno 1289 così scrisse: "Albertus de Lascala et Mastinus et Albertus dictus Pichardus, dum viveret, in facto captionis patarenorum, qui dudum in castro Sermionis morabantur, se viriliter et laudabiliter habuerunt, prout ipsa facti evidentia patefecit ».(15)
Questo elogio evidentemente si riferisce alla spedizione del 1276; molto più che all'epoca del supplizio (febbraio 1278) Mastino già era morto.  Altrettanto è a dire di una bolla di Onorio IV, data il 29 ottobre 1286; con la quale il papa concedeva un privilegio a Giuseppe priore del monastero di S. Giorgio, in vista dei meriti del di lui padre Alberto de la Scala, il quale « ad exstirpandam hereticam pravitatem in captione castri Sermionis, in quo erat hereticorum congregata multitudo, cum armis et equitibus Philippo Ordinis Minorum Inquisitori presto fuit ».(16)
Speriamo di aver sufficientemente dimostrata la irresponsabilità dell'autorità ecclesiastica nelle due esecuzioni del 1233 e 1278.(a)


NOTE


1 - PERTZ, Monum. Germ. Hist. Script. XIX, pag. 8 - Secondo CIPOLLA, Il  patarenismo, pag. 4, il foro era la piazza delle Erbe, la glara l'attuale Bra o qualche altro campo vicino.  Il Pertz per foro intende l'Arena, e forse è vero:  SUTTER, Fra Giovanni di Vicenza, pag. 101, Nota (Vicenza 1900).

2 - ZAGATA Cronaca della città di Verona. I, pag. 20, (Verona 1743).

3 - CIPOLLA, Annales veteres, in Archivio ven. IX, pag. 92, (Venezia 1875).

4 - Secondo un Chronicon citato da VENTURI, Compendio della storia di Verona II, pag. 34, sarebbe andato a Roma « in subsidium ecclesiae Ceretae ». Secondo un recente autore tedesco vi sarebbe andato per la famosa festa dell'Alleluja del 1233; della quale tratta SUTTER, Op. cit., pag. 142-150.

5 - Vedi CIPOLLA, Antiche cronache Veronesi, pag. 391. a. 1233 (Venezia 1890).

6 - Leo ed altri presso SUTTER, Op. cit., pag. 141.

7 - DÖLLINGER, Kirche und Kirchen, pag. 51.

8 - SCRINZI, Sant'Antonio di Padova. Capo XI.

9 - DE ROMANO, Annales Veronenses, presso CIPOLLA,  Antiche cronache Veronesi, pag. 419, Venezia 1890.

10 - Presso CIPOLLA, Antiche cron. Veron., pag. 420

11- ORTI, Cronaca scaligera inedita dei tempi degli Scaligeri, (Verona 1842); CIPOLLA,  Il  Patarenismo, pag. 18

12 - PERTZ, Monum. Germ. Script. XIX, 28.

13 - « Fra Temidio si occupò delle cose religiose di quel paese in qualità di deputato del comune di Verona. » Così CIPOLLA, Nuove notizie, pag. 4.

14 - CIPOLLA, Una congiura e un giuramento in Verona, pag. 10, 15.

15 - LANGLOIS, Les registres de Nicolaus IV, Fascic. II, pag. 211 (Paris 1887).

16 - Presso POSSE, Analecta Vaticana Num. 1386, pag. 114 (Innsbruk 1878).


ANNOTAZIONI AGGIUNTE AL CAP. XIII (a cura di Angelo Orlandi)


a) Una sola osservazione sembra opportuna circa questo capitolo. Benché mons. Pighi professi di non voler fare opera apologetica, si sente che la preoccupazione apologetica non gli è estranea; tuttavia le osservazioni che egli propone non fanno violenza alla storia, anzi suggeriscono alcuni temi di esame per ogni ulteriore trattazione dell'argomento.


Fonte:  srs di Giovanni Battista Pighi, da CENNI STORICI SULLA CHIESA VERONESE, volume II



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