La cavea dell’Arena di
Verona dove nel 1278 vennero bruciati gli eretici Patareni
VOLUME II - EPOCA III – CAPO XIII
SOMMARIO. -
Esecuzione di eretici nel 1233 - Dubbi sulla realtà del fatto - A chi sia da
attribuire il fatto - Spedizione di Sermione nel 1276 - Esecuzione di eretici
nel 1278 - Carattere di questa esecuzione - Responsabilità della stessa - Due
atti pontifici.
Abbiamo accennato alle repressioni dell' eresia fatte in Verona nel campo legale, sia
ecclesiastico, sia civile. Ora dobbiamo dire di due repressioni, che diremmo
extra-legali; e sono due esecuzioni sommarie fatte in Verona contro gli eretici negli anni 1233 e 1278.
La prima avvenne l'anno 1233, e precisamente nei giorni 21,
22, 23 luglio.
Un nostro cronista, Paris
di Cerea, nella sua cronaca, detta Annales
Perisii, racconta che in quei tre giorni furono bruciati in Verona sessanta eretici,
uomini e donne, spettanti alle famiglie più cospicue di Verona: il loro delitto
era appunto l'eresia, e furono bruciati per sentenza di fra Giovanni Schio da Vicenza
frate Domenicano mandato alle città
della Marca Trevigiana da Gregorio IX con la missione di portarvi
la pace.
Ecco il testo Parisiano: « 21 Julii dictus Frater Joannes in tribus diebus fecit comburi et
cremari in foro et glara de Verona LX ex melioribus inter masculos et feminas,
quos ipsos condemnavit de heretica pravitate ».(1) Così Paris, dal quale nel secolo XV riportò il fatto il cronista Zagata, riducendo il numero delle
vittime a quaranta.
È un fatto veramente enorme; sul quale vorremmo fare alcune
osservazioni: parte in via di fatto, parte in via di diritto.(2)
Anzitutto è certo il
fatto? - In generale i critici dicono che le relazioni di Paris sono attendibili. Ma fa
meraviglia che di un fatto così enorme, avvenuto in tempo di fazioni politiche,
non si abbia che un solo relatore coevo, e nessun cenno se ne abbia in altri
documenti coevi e suppari.
Gli Annales
veteres furono compilati in Verona
verso la metà del secolo XIII, una ventina d'anni dopo il fatto narrato da Paris.
All'anno 1233 essi danno molte notizie di fra Giovanni: « Frater Joannes de ordine praedicatorum
natione vincentinus erat... »; dice di quanto fece a Bologna, a Modena, a Padova, a Treviso, a Vicenza, e di
nuovo a Bologna; « et tandem venit Veronam ... comune de
Veron, comune Mantuae et omnes de predictis civitatibus potentes, nobiles,
magni et mediocres et parvi et clerus universus et layci receperunt omnes cum
magno gaudio et juraverunt omnes custodire praecepta et reduxit omnes ad pacem
».(3)
È la pace di Paquara
composta il 28 agosto: dell'eccidio di
sessanta persone « ex melioribus »,
bruciate pubblicamente un mese prima, neppure un cenno.
Nella raccolta del Pertz
subito dopo gli Annales Parisii
sono la Chronica Rolandini,
indi gli annales sanctae
Justinae, dei quali secondo Cipolla è autore un veronese. Ambedue
questi documenti si occupano molto di quanto fece fra Giovanni a Verona: ma del supplizio di sessanta eretici neppur una
parola ...
L'aver fatto perire sul rogo sessanta persone appartenenti
alle famiglie più cospicue di Verona non impedì punto che fra Giovanni fosse per un mese e più onorato da tutti i veronesi:
nessuna delle famiglie degli estinti mosse il più lieve lamento, né lasciò
alcuna memoria od almeno il nome di un suo membro perito pubblicamente tra le
fiamme. Per circa due secoli, dal fatto nessuno scrittore ne parla.
Il primo cenno se lo trova in una breve narrazione di Giacomo Pindemonte e dello Zagata cronisti veronesi del secolo XV.
Il primo narra che nel 1233 fra Giovanni fece ardere molti
Paterini e « pauperes leonini »; in
quel mentre dal più alto corso del teatro cadde giù una grossa pietra che
uccise venti all'incirca uomini e donne. Il secondo riferisce tradotto quasi
alla lettera il racconto di Parisio, riducendo il numero di bruciati da
sessanta a quaranta.
Aggiungiamo una circostanza singolare. Il Parisio immediatamente prima di narrare
la venuta di fra Giovanni a Verona
dice di se stesso:
«Et eo anno Parisius
de Cereta, huius chronicon scriptor, ivit Romam.(4) Eo anno frater Joannes ... ». Da questa
connessione parrebbe che quando fra Giovanni
venne a Verona, il Parisio si trovasse a Roma; e perciò egli riferisca un fatto,
che più tardi udì narrarsi da altri. Si noti che fra Giovanni venne davanti a Verona
verso la metà del luglio, e l'abbruciamento degli eretici per sentenza di lui
sarebbe avvenuto nei giorni 21, 22, 23 dello stesso mese. - Del resto ripetiamo
che il teste è il solo Parisio, e « testis unus testis nullus ». Perciò a
noi fa meraviglia, come né Cipolla,
ne altri scrittori nostri mettano dubbio alcuno su questo fatto.
Posta la verità del fatto, a chi si deve attribuire? - Non
al vescovo di Verona, che non è
neppur nominato: non all'ufficio
dell'Inquisizione, che forse non era ancora istituito in Verona e fin dal principio fu affidato ai Frati Minori: non alle costituzioni di Innocenzo IV, che furono date verso l'anno 1250.
Esso deve ascriversi unicamente ed esclusivamente a fra Giovanni, il quale in questo fatto
agiva per conto proprio, come duca e rettore di Verona: ufficio, che egli assunse nel giorno stesso, in cui entrato
in città sul carroccio veronese, testé riacquistato, su di esso arringò il
popolo adunato nel foro, che, secondo Cipolla
ed altri, è l'odierna piazza delle Erbe.
È bensì vero che egli era stato mandato
unicamente per sedare le fazioni politiche e comporre la pace tra le città e
tra i cittadini.
Se nell' esercizio di questa missione egli fu creato, o creò
se stesso, duca e rettore di Verona,
questa creazione fu ad insaputa del Papa; anzi da documenti del tempo consta
che essa dispiacque al Papa.(5)
E quale meraviglia, che il duca e rettore della città nel
far perire sessanta persone « ex
melioribus » abbia inteso di agire come duca e rettore, accomunando ad
alcuni eretici altre persone, che forse erano di ostacolo alla pace? Ad ogni
modo la responsabilità del fatto cade tutta sulla persona di fra Giovanni duca e rettore.
Di qui è che autori recenti, ostili per sistema alla chiesa,
non incolpano di questo eccidio di eretici la chiesa; ma ne danno tutto
l'aggravio a fra Giovanni.(6) Né egli avrebbe potuto giustificare
quell'esecuzione con le costituzioni della chiesa: non avrebbe potuto
legalizzarle, se non con le costituzioni di Federico II.
Del resto, nel giudicare un fatto del secolo XIII dobbiamo
tener avanti agli occhi lo stato delle cose di quel tempo.
«Quelle sette
gnostiche, i Cattari e gli Albigesi, che provocarono la severa legislazione del
Medioevo contro le eresie, ... erano i comunisti di quel tempo: essi
commettevano attentati contro il matrimonio, la famiglia, la proprietà ».(7)
Si aggiunga che la setta predominante fra noi era quella dei
Patareni, «distinti per la maggior depravazione ed impudenza nel male ».(8) Ecco perché, se il fatto fu vero,
non ne venne uno scoppio di abbominazione generale contro l'autore.
Assai più grave e clamorosa fu l'esecuzione dell'anno 1278.
Dal 1275 era vescovo di Verona un frate francescano, fra Temidio, che era stato inquisitore:
la signoria di Verona fin dal 1262 di fatto era in mano della famiglia Della Scala, particolarmente di Mastino, a cui nel 1277 successe il
fratello Alberto: inquisitore era fra Filippo figlio di Pinamonte Capitano del popolo in Mantova.
Questa volta le vittime furono i Patareni, che da lungo tempo aveano formato una comunità in Sermione e vi si erano in qualche modo
fortificati. L'esecuzione consta di due fatti: la cattura degli eretici nel
1276, ed il loro supplizio nel 1278. Li riferiremo letteralmente dalla Cronaca del De Romano, che visse nella
seconda metà del secolo XIII.
Il cronista veronese De
Romano riferisce il fatto della spedizione in questi termini: « Eodem anno (MCC LXXVI) de mense novembris
die Jouis XII ejusdem mensis Episcopus Veronensis una cum dominis Pinamonte de
Bonaconsis, Alberto de la Scala et frate Philippo exsecutore haereticorum
iverunt Sermionum, quod steterat domus ipsorum longissimo tempore, situm in
lacu Gardensi, et ceperunt CLXVI inter hereticos et hereticas, et conducti
fuerunt Veronam de voluntate et beneplacito dni Mastini, qui tunc erat dominus
Veron ».(9) Questi
centosessantasei eretici condotti a Verona « de voluntate et beneplacito dni Mastini» furono tosto rinchiusi in
prigione il 12 novembre del 1276, e vi stettero fino al 13 febbraio del 1278.
Intanto era stato ucciso Mastino il 26 ottobre del 1277, ed a lui nella signoria di Verona era
succeduto il fratello Alberto, sotto
il quale avvenne il secondo fatto.
Il De Romano lo riferisce così: «MCCLXXVIII die dominico XIII februarj in arena Veron. combusti fuerunt,
circa ducenti patareni, de illis qui capti fuerunt in Serrniono, et frater
Philippus filius dni Pinamontis erat executor ».(10)
Noi non sapremmo come conciliare questa relazione con la
precedente per quanto spetta al numero degli eretici bruciati. Probabilmente De Romano errò, od è errato il codice
nel riferire il secondo fatto, il quale ci vien narrato ben diversamente da una
Cronachetta scaligera: Hoc anno (1278) centum heretici et patareni de Sermione in
arena combusti fuerunt » (11). Gli Annales
Mantuani al medesimo anno riferiscono: « Capti fuerunt circa CL patarini... incarcerati et pro majori parte
combusti ».(12)
Che dire di questa esecuzione? - Certamente dispiace vederci
implicato il vescovo e l'inquisitore, ambedue frati dell'ordine di S. Francesco; e molto più dispiace veder
l'inquisitore implicato pure nell'abbruciamento di duecento od almeno cento
eretici.
Ma la cattura degli eretici a Sermione, ed il loro supplizio a Verona son fatti di carattere religioso, o di carattere politico?
Noi non avremmo difficoltà ad ammettere un carattere predominante religioso nelle
spedizioni di Sermione: già gli Statuti del 1270 imponevano al podestà
di catturare gli eretici della città e del distretto; ed è vero, benché strano,
che a capo della spedizione era il vescovo: si aggiunge che Sermione era luogo di convegno di
eretici di altri paesi, particolarmente dei così detti Bagnolesi, e che vi risiedeva il vescovo Lorenzo; almeno nel 1273 o 1274 v'era pure Bernardo Oliba vescovo degli eretici di Tolosa. Dal complesso di
questi fatti è chiaro che in quella spedizione e cattura ebbe gran parte il
carattere religioso: ma insieme vi dobbiamo pur riconoscere un elemento
politico e forse prevalente.(13) Troppa parte vi hanno i Della Scala: Alberto
guida la spedizione, e gli eretici vengono tradotti a Verona « de voluntate et beneplacito Mastini »; e né Alberto
né Mastino era Podestà di Verona: podestà era Nicolò
de Arlotis.
Il supplizio poi, fu esso per volontà dei Della Scala, o per sentenza pronunziata
da fra Filippo, che qui pur troppo
si trova nella qualità di esecutore, ossia inquisitore? Nella seconda ipotesi
avremmo un fenomeno al tutto singolare, e in contraddizione con la procedura
usata nelle cause di eresia da fra
Filippo e da altri inquisitori.
In ciascuno di questi l'inquisitore cita il reo; lo
interroga; interroga i testi; domanda consiglio al vescovo od al suo vicario ed
a giurisperiti; poi proferisce la sentenza in forma giuridica nel convento dei
frati minori, nella chiesa di S. Fermo, nel coro della chiesa di S. Fermo, ecc.
Qui per cento o duecento eretici non si ha la menoma forma
di processo: nel 1276 sono carcerati; nel 1278 sono bruciati. V'è di più. I
processi riferiti da Cipolla finiscono tutti con la sentenza: se quella è di
condanna, neppur una di esse porta la condanna alla morte, al rogo: le condanne
si riducono alla confisca dei beni degli eretici convinti, alla distruzione
della loro casa: tali furono le condanne della Altapina, di Uberto dalla
Tavola maggiore, di Artuina
figlia di Artuino Nichesola e di
altri.
In tutti questi processi non si trova un solo eretico
condannato a morte; e nel 1278 senza ombra di processo l'inquisitore in forza
della sua autorità avrà condannato al rogo cento o duecento eretici in un sol
giorno? Noi inchiniamo a credere che questa esecuzione sia stata un atto di
prepotenza di Alberto, al quale per
debolezza o per qualche altro motivo prestò l'opera sua fra Filippo: da un
complesso di fatti riferiti dal Dalla
Corte sappiamo che la severità di Alberto
contro i suoi avversari confinava con la tirannia.(14)
Né a dar carattere religioso a questa esecuzione ci
autorizza l'approvazione data da Nicolò
IV; il quale undici anni dopo il fatto, dietro istanza dei Della Scala concesse a questa famiglia
i resti del castello di Illasi
appartenuto ad Ezelino.
Nella lettera data da Orvieto
il 27 giugno 1289 così scrisse: "Albertus
de Lascala et Mastinus et Albertus dictus Pichardus, dum viveret, in facto
captionis patarenorum, qui dudum in castro Sermionis morabantur, se viriliter
et laudabiliter habuerunt, prout ipsa facti evidentia patefecit ».(15)
Questo elogio evidentemente si riferisce alla spedizione del
1276; molto più che all'epoca del supplizio (febbraio 1278) Mastino già era morto. Altrettanto è a dire di una bolla di Onorio IV, data il 29 ottobre 1286; con
la quale il papa concedeva un privilegio a Giuseppe
priore del monastero di S. Giorgio,
in vista dei meriti del di lui padre Alberto
de la Scala, il quale « ad
exstirpandam hereticam pravitatem in captione castri Sermionis, in quo erat
hereticorum congregata multitudo, cum armis et equitibus Philippo Ordinis
Minorum Inquisitori presto fuit ».(16)
Speriamo di aver sufficientemente dimostrata la
irresponsabilità dell'autorità ecclesiastica nelle due esecuzioni del 1233 e
1278.(a)
NOTE
1 - PERTZ, Monum.
Germ. Hist. Script. XIX, pag. 8 - Secondo CIPOLLA, Il patarenismo, pag. 4, il foro era la
piazza delle Erbe, la glara l'attuale Bra o qualche altro campo vicino. Il Pertz per foro intende l'Arena, e
forse è vero: SUTTER, Fra Giovanni di
Vicenza, pag. 101, Nota (Vicenza 1900).
2 - ZAGATA Cronaca
della città di Verona. I, pag. 20, (Verona 1743).
3 - CIPOLLA, Annales
veteres, in Archivio ven. IX, pag. 92, (Venezia 1875).
4 - Secondo un Chronicon
citato da VENTURI, Compendio della storia di Verona II, pag. 34,
sarebbe andato a Roma « in subsidium ecclesiae Ceretae ». Secondo un recente
autore tedesco vi sarebbe andato per la famosa festa dell'Alleluja del
1233; della quale tratta SUTTER, Op. cit., pag. 142-150.
5 - Vedi CIPOLLA,
Antiche cronache Veronesi, pag. 391. a. 1233 (Venezia 1890).
6 - Leo ed altri
presso SUTTER, Op. cit., pag. 141.
7 - DÖLLINGER,
Kirche und Kirchen, pag. 51.
8 - SCRINZI, Sant'Antonio
di Padova. Capo XI.
9 - DE ROMANO, Annales
Veronenses, presso CIPOLLA, Antiche
cronache Veronesi, pag. 419, Venezia 1890.
10 - Presso
CIPOLLA, Antiche cron. Veron., pag. 420
11- ORTI, Cronaca
scaligera inedita dei tempi degli Scaligeri, (Verona 1842); CIPOLLA, Il Patarenismo, pag. 18
12 - PERTZ, Monum.
Germ. Script. XIX, 28.
13 - « Fra
Temidio si occupò delle cose religiose di quel paese in qualità di deputato del
comune di Verona. » Così CIPOLLA, Nuove notizie, pag. 4.
14 - CIPOLLA, Una
congiura e un giuramento in Verona, pag. 10, 15.
15 - LANGLOIS, Les
registres de Nicolaus IV, Fascic. II, pag. 211 (Paris 1887).
16 - Presso
POSSE, Analecta Vaticana Num. 1386, pag. 114 (Innsbruk 1878).
ANNOTAZIONI AGGIUNTE AL CAP. XIII (a cura di Angelo
Orlandi)
a) Una sola
osservazione sembra opportuna circa questo capitolo. Benché mons. Pighi
professi di non voler fare opera apologetica, si sente che la preoccupazione
apologetica non gli è estranea; tuttavia le osservazioni che egli propone non
fanno violenza alla storia, anzi suggeriscono alcuni temi di esame per ogni ulteriore
trattazione dell'argomento.
Fonte: srs di
Giovanni Battista Pighi, da CENNI STORICI SULLA CHIESA VERONESE, volume II
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