Statua
equestre di Mastino II (un tempo sulla sommità della sua arca, ora ricoverata
in una delle torri di Castelvecchio di Verona)
VOLUME II - EPOCA III
– CAPO XVII
SOMMARIO. - Il
vescovo Tebaldo e Can Grande - L'elezione del vescovo di Verona riservata al
Pontefice - Nicolò di Villanova - Bartolomeo Della Scala - Delitto di Mastino -
L'elezione nuovamente riservata al Pontefice: Mastino scomunicato - Pietro
Spelta - Mastino assolto: condizioni per l'assoluzione - Matteo De Ribaldi -
Pietro De Pino - Giovanni De Naso - Declino dei Della Scala.
La famiglia dei Della
Scala signoreggiò più o meno in Verona per circa un secolo, dal 1262 al
1375: ma l'apogeo della sua potenza si ebbe per poco più di mezzo secolo, dalla
nomina a capitano di Can Francesco
(Grande) nel 1304 alla morte di Mastino
II nel 1351.
In quest'epoca abbiamo sette vescovi, dei quali alcuni
favorevoli, altri contrari ai Della Scala:
92 Tebaldo(1298
- 1331);
93 Nicolò
(1332 - 1336);
94 Bartolomeo
Della Scala (1336 - 1338);
95 Matteo Ribaldi
(1343 - 1348);
96 Pietro De Pino
(1348 - 1349);
97 Giovanni De
Naso (1349 - 1350);
98 Pietro II Della
Scala (1350 - 1388).
Di Tebaldo
sappiamo che egli fu sempre in ottime relazioni coi Della Scala. Per questo, Alberto
Della Scala, nel suo testamento, fatto l'anno 1301, nominò Tebaldo quale primo commissario per
l'esecuzione delle sue disposizioni. (1)
Durante il capitanato di Can Grande,
Tebaldo ebbe alcune controversie con
gli amministratori dell'ospedale di S.
Giacomo di Tomba; nelle quali sospese il processo « propter contemplacionem magnifici viri Canis Grandis de la Scala »(2):
l'esito finale non lo conosciamo.
A Can Grande fu fedelissimo consigliere nelle cose
famigliari e politiche. Forse troppo ne favorì la parte nelle contese, che
questi ebbe per il titolo di Vicario
Imperiale, a lui sotto pena di scomunica vietato dal pontefice Giovanni XXII: da una lettera dei
canonici al card. Bertrando Legato
Pontificio, parrebbe che all'infuori dei canonici, tutto il clero veronese,
secolare e regolare, e quindi col consenso del vescovo, e quindi il vescovo
stesso, non avessero osservato l'interdetto, che per quelle contese, si diceva,
avesse colpito la città di Verona.(3)
sino alla morte di Can Grande (22
luglio 1329).
Del resto, tanto Alberto
quanto Can Grande meritavano
l'appoggio del vescovo per i loro sentimenti religiosi: ad attestarli
basterebbero i loro testamenti, nei quali ambedue prodigarono i loro beni alle
chiese, alle istituzioni religiose, agli ospedali(4).
Alberto nel suo capitanato promosse lo stabilimento dei Domenicani in città e la erezione della
chiesa di Sant'Anastasia: Can Grande donò una casa ai Serviti e li soccorse per la
costruzione di un oratorio presso di essa, che fu poi la chiesa di S. Maria della Scala.
Perciò nessuno potrà fare un aggravio a Tebaldo, se, nonostante disordini di altro genere, si mostrò
favorevole ai Della Scala: questo
favore agli Scaligeri non impedì che
alcune memorie degli Agostiniani
dessero a Tebaldo il titolo di
Beato: egli morì il giorno 17 novembre 1331.
Frattanto il pontefice Giovanni
XXII, residente ad Avignone,
avea, avocato a sè ed alla Sede Apostolica la nomina dei vescovi della
provincia di Aquileja: questa
avocazione fu decretata per un biennio, il quale si andò una e più volte
rinnovando, e fu decretata « certis et
rationalibus causis ».(5) Non è improbabile che una di queste cause, e
forse la principale, fosse l'atteggiamento di Can Grande di fronte alla S. Sede.
Egli già avea giurato fedeltà a Federico d'Austria (16 marzo 1317): in seguito ad intervalli si
mostrò devoto a Lodovico il Bavaro:
signoreggiava a Verona ed a Vicenza: ma insieme aspirava a Padova, dove entrò vittorioso il 18
luglio 1329. Forse non era ancora dimenticata l'ingerenza dei Della Scala nella elezione dei vescovi
nella seconda metà del secolo precedente.
Comunque sia, in vigore della avocazione statuita il
pontefice Giovanni XXII da Avignone nominò vescovo di Verona Nicolò; di origine milanese, abate del monastero
di Villanova nella diocesi
vicentina: con breve del 10 febbraio 1332 notificò a lui la nomina a vescovo di
Verona(6) e nel medesimo senso
scrisse al Capitolo, al clero, ai fedeli della città e della diocesi, ai
vassalli del vescovado, ed al patriarca di Aquileja.
Nicolò,
secondo l'Ughelli, fu
eletto dieci giorni dopo la morte di Tebaldo,
cioé, il 27 novembre 1331, e tenne la sede di Verona per cinque anni.
Pare che, essendo forse in condizioni disastrose il palazzo
ovile, egli abbia trasportato precariamente la sua residenza sul colle presso
la chiesa di S. Maria di Nazareth.
Con l'atto dato « in
episcopali curia de Nazareth» il 10 marzo 1333 Nicolò accettava la rinunzia
di fra Bonaventura al priorato
dell'ospedale di S. Daniele.(7)
Con decreto del 12 ottobre 1335 uni il monastero di S. Croce a quello di S. Maria Mater Dominii (8). Nell'anno 1336 di concerto con Ognibene arciprete della Congregazione
del clero intrinseco e coi rettori delle chiese riformò la ripartizione delle
parrochie: (b) queste furono
stabilite in numero di cinquantadue, come da rotolo del notaio Pegoraro dei Guidotti
4 luglio 1336.(9) Nicolò morì
verso l'agosto del medesimo anno.
Ben tosto fu eletto il nuovo vescovo, Bartolomeo della Scala, abate di S. Zeno, al quale il
pontefice Giovanni XXII, con breve
21 dicembre 1336, (10) avea dato la
dispensa dalla irregolarità « ex defectu
natalium »;(11) ed al quale il
vescovo Tebaldo avea concesso
l'investitura di alcuni feudi, decime, ecc. L'elezione fu fatta dal capitolo: forse,
essendo morto Giovanni XXII, erano
cessati i bienni di riserva: nel giorno 20 settembre 1336 « in choro Ecclesiae sancti Zenonis » si
ebbe la consacrazione ed il giuramento del nuovo vescovo; l'elezione fu
confermata dal patriarca d'Aquileja,
e certamente non fu estranea l'ingerenza di Mastino II, cugino dell' eletto: già dalla morte di Can Grande gli Scaligeri Alberto e Mastino erano in buone
relazioni con la corte di Avignone.
Del breve episcopato di Bartolomeo
nulla sappiamo, se non che fu accusato di segreta corrispondenza con Azzone Visconti,l'antagonista di Mastino. Questi esacerbato, e quasi fuori di sè, uccise
di sua mano Bartolomeo: il delitto
fu commesso il giorno 27 agosto 1338 « in
vigilia beati Augustini doctoris ... juxta januam episcopatus circa hora completorij
».(12)
Questo delitto, stante la gravità e notorietà del fatto e la
fama mondiale dei Della Scala,
suscitò un senso di abominazione generale, sia in Verona, sia in tutta l'Italia superiore, sia presso la corte
papale, che risiedeva ad Avignone.
I canonici con le congregazioni del clero si affrettarono ad
eleggere il nuovo vescovo; e nel giorno 1 settembre, quinto dall'uccisione del vescovo
Bartolomeo, elessero Pietro Spelta prelato degli Umiliati di S. Maria della Giara.(13) Ma il pontefice Benedetto XII, successore di Giovanni XXII, con lettera del 24
settembre al patriarca di Aquileja
dichiarava avocata a sè la nomina del vescovo di Verona e gli proibiva di ingerirsi affatto nella elezione; e con
altra lettera del medesimo giorno « in
Episcopi vindictae ultionem» scomunicava Mastino ed interdiceva la città, ordinando al patriarca di procedere
contro Mastino, « qui diabolico spiritu
inquinatus Bartolomaeum Episcopum propriis manibus interfecit ».(14)
Così fu annullata l'elezione fatta dal clero, e la sede
vescovile rimase vacante per oltre cinque anni. Intanto fungeva da vicario
capitolare Guglielmo, canonico della
pieve di Porto, che troviamo sotto
questo titolo in atti 1 luglio 1340 e 12 marzo 1343.(15) Ad un sinodo celebrato ad Aquileja
dal patriarca Bertrando l'anno 1339
intervenne, quale rappresentante del clero di Verona, l'abate di S. Maria in Organo,(16) che dovette essere Ognibene.
Intanto Mastino II,
appena avuta la sentenza di scomunica, cercò di rappacificarsi con la S. Sede;
a questo scopo mandò ad Avignone il
celebre Guglielmo da Pastrengo e
forse anche Azzone da Correggio e Guglielmo Arimondi. Le
pratiche furono lunghe: il processo fu eseguito in Verona da Bertrando, patriarca di Aquileja. Finalmente
dopo un anno Benedetto XII concesse
la chiesta assoluzione, e ne commise l'esecuzione al vescovo di Mantova con lettera da Avignone 27
settembre 1339, sotto condizioni abbastanza severe. Un cronista di poco
posteriore le riporta succintamente ed imperfettamente: « Cum Romana Ecclesia (Mastino) multa mediante pecunia reconciliatus est,
et absolutus finaliter ».(17)
Noi le riporteremo precise, togliendole dalla lettera al vescovo di Mantova:
-1. I signori Mastino ed Alboino Della Scala devono nel
termine di giorno otto dopo l'assoluzione portarsi « ab introitu civitatis» alla chiesa cattedrale, « pedites, in tunica, sine capucio et
supertunicali », con una torcia accesa in mano del peso di libbre sei,
preceduti da altre cento torce consimili, in un giorno di domenica e nell' ora
di maggior concorso, alla cattedrale alla messa cantata; ed ivi offerire le
dette torce in mano dei canonici, ai quali dovranno chiedere perdono del
delitto commesso.
-2. Devono offerire alla stessa chiesa una immagine di
argento del peso di trenta marche, e dieci lampade pure d'argento dello stesso
peso per ciascuna, con l'olio per mantenerle accese in perpetuo; per fare
questa offerta sarà loro accordato il tempo di sei mesi.
- 3. Devono istituire nella cattedrale sei cappellanie per
sei sacerdoti, i quali ogni giorno celebrino la Messa in suffragio del vescovo
ucciso, con l'assegno di 20 fiorini annui per ciascuna capellania.
- 4. Nel giorno anniversario della morte di detto vescovo i
due Mastino ed Alboino debbano vestire ventiquattro poveri.
- 5. Gli stessi devono digiunare tutti i venerdì dell'anno e
tutte le vigilie della Beata Vergine, salvo i casi di infermità e di vecchiaia;
nei quali casi devono negli stessi giorni dare a mangiare a due poveri.
- 6. In occasione di leve generali di gente per le guerre di
Terra Santa spediscano ventiquattro armati, mantenendoli a proprie spese per guerreggiar
contro gli infedeli; e ciò anche per dopo la loro morte, lasciando questo
obbligo ai loro successori nella signoria di Verona. Si condonano loro tutte le
altre pene, che in virtù dei sacri canoni sarebbero dovute per il delitto
commesso.(18)
Non ostante questa riconciliazione, la sede vescovile rimase
vacante ancora per quasi tre anni. Finalmente il pontefice Clemente VI con bolla 27 giugno 1343 trasferì al vescovado di
Verona Matteo de Ribsldi (19)
antecedentemente vescovo di Pavia e
residente presso la corte pontificia ad Avignone.
(c) Né dopo la sua nomina si
affrettò di venire a Verona: nel 15
luglio dell'anno seguente si ha una procura da lui data da Avignone ai suoi tre vicari: fra Tiberio dell'ordine degli Umiliati, Guglielmo della pieve di Porto e Valentino
della diocesi di Milano; e forse da
altri istrumenti risiedeva ancora ad Avignone
il 10 e 30 settembre dello stesso anno 1344. Fu scritto che Matteo nel luglio
1344 trasportò il corpo di S. Toscana
dalla pubblica via nella chiesa del S.
Sepolcro; ma tutt'al più Matteo
avrà ordinata quella traslazione.(20)
ne parleremo in seguito.
Sembra adunque che Matteo
da Avignone sia venuto a Verona
verso la fine del 1344 e forse più tardi. Degli atti del suo episcopato poco o
nulla sappiamo: morì il 1 maggio 1348, a
quanto sembra, in Verona.
A Matteo successe
Pietro De Pino, oriundo
di Forli e vescovo di Viterbo.
Non v'ha dubbio che questa traslazione fu fatta per ordine
del pontefice; poiché, quantunque la riserva della elezione del vescovo siasi
fatta da Benedetto XII « pro ea vice », tuttavia non apparisce
che il clero abbia mai in seguito usato del diritto di nominare il vescovo.
Pietro fu vescovo di Verona per
circa un anno, forse dal 27 giugno 1348 al 27 luglio 1349, quando fu promosso al
vescovado di Perigord nell'Aquitania:
forse non fu mai a Verona.
Brevissimo fu pure l'episcopato di Giovanni De Naso, frate Domenicano, vescovo di Melfi,
indi di Verona (1349-1350), e
finalmente di Bologna.
Si dice fosse celebre per santità e dottrina. Del suo regime
episcopale nella chiesa veronese abbiamo un atto 19 gennaio 1350: col quale,
istituito un processo canonico intorno al monastero benedettino di S. Maria Maddalena in Campo Marzio,
decretò l'unione di detto monastero povero e demoralizzato a quello dello suore
di S. Chiara in S. Maria delle Vergini.(21)
Trasferitosi Giovanni
a Bologna, fu nominato vescovo di
Verona un veronese, Pietro Della
Scala, figlio naturale di Mastino, giovanissimo, canonico della
cattedrale.
Certo questa nomina è dovuta in gran parte a Mastino, che come abbiamo notato, era
in ottime relazioni con la corte di
Avignone, ed, ambizioso di dominare tutta l'Italia, avea veduto parecchie
città sottrarsi al suo dominio. Pietro
Scaligero, eletto vescovo nel 1350, tenne la sede di Verona per trent'ott'anni: nel 1388 dovette fuggire da Verona, e poté avere il vescovado di
Lodi.( d)
Intanto il prestigio della famiglia Della Scala si andava ogni dì più dileguando. Già ancor negli ultimi
anni di Mastino varie città si erano
sottratte al suo dominio, ed egli avvilito e quasi furioso contrasse una lunga
malattia, che lo trasse al sepolcro nel 1351.
Restava al potere il fratello dì lui, Alberto, uomo di natura flemmatico e voluttuoso: questi alla morte
del fratello costituì Signori di Verona i tre figlioli di Mastino II: Can Grande II
(uno scrittore coevo lo dice « Canis rebidus
»), Paolo Alboino e Cansignorio, spesso tra di loro
avversi.
Cansignorio fece
uccidere Cangrande II sulla riva dell'Adige presso Sant'Eufemia il 14 dicembre 1359(22); fece rinchiudere Alboino nella rocca di Peschiera, e poco prima di morire forse ve lo fece
ammazzare.(23) Sua prima cura era
fabbricare: nel reggere poco valeva: morì nel 1375 in età di appena trentasei
anni, lasciando due figli naturali giovanissimi, Bartolomeo ed Antonio.
La stella dei Della
Scala era prossima al tramonto: tramontò, quando Giangaleazzo Visconti sotto il pretesto di vendicare Bartolomeo ucciso, come si diceva, dal
fratello Antonio, venne a Verona, e se ne fece signore
nell'ottobre 1387; mentre Antonio
esule ramingava da un luogo all' altro, per morir poi miseramente « inter modicas paleas » in un paesetto
tra Faenza e Firenze nell'agosto
dell'anno seguente.(24) Uno scrittore
veronese del secolo XIV, Marzagaia,
riconosce nei delitti famigliari una delle cause principali della rovina della
dinastia Scaligera.(25).
NOTE
1 - BIANCOLINI, Serie
dei Vescovi di Verona. Docum. XXV; pag. 101-106.
2 - CIPOLLA, Lettere
di Giovanni XXII riguardanti Verona e gli Scaligeri, Num. 99, pag.
112 (Verona 1900).
3 - CIPOLLA, Lettere
... Num. 100, dall'Archivio Capitolare di Verona.
4 - BIANCOLINI, Serie.
Docum. cit; e Docum. XXIX, pag. 110-116 - Si vegga anche CARLI Istoria
della città di Verona, Tomo IV, pag.
290-294.
5 - BIANCOLINI, Serie. Docum. XXVII, pag. 107.
6 -BIANCOLINI, Serie.
Docum. cit; CIPOLLA, Lettere. Num. 116, pag. 126.
7 - BIANCOLINI, Chiese.
IV. pag. 574 - Il Biancolini pensa che Nicolò intanto abbia riparato il
palazzo vescovile, che in atto del 1356 è detto « palacium novum »: ma esso è
detto « palacium novum » anche in un atto del 1306, presso GEROLA, Giuseppe
Della Scala, pag. 58, Num. 159. Forse era la parte eretta dal
vescovo Tebaldo. SIMEONl, Guida di
Verona, pag. 83.
8 - BIANCOLINI Chiese.
VI pag. 74.
9 - L'atto si
trova presso BIANCOLINI, Chiese. IV; pag. 553 - Nello Stato personale
del clero sono designate la singole parrocchie a pag. 4, (Verona 1911J.
10 - CIPOLLA, Lettere
di Giovanni XXII. Num. 111, pag. 123.
11 - Pare sia
nato da Giuseppe, abate di S. Zeno (1292-1318), fratello di Can Grande e di
Alboino. VERCI, Storia della Marca Treviso e Verona.
VII, pag. 77; GEROLA, Giuseppe Della Scala, pag. 25. Ne dubita DA
RE, Notizia su Giuseppe della Scala, pag. 9 (Verona 1905).
12 - Così una Nota storica, presso VERCI, Op. cit. VII, pag.
77.
13 - UGHELLI, Italia
sacra Tomo V, col. 867-869.
14 - UGHELLI, Italia
sacra Tom. V, col. 872; VIDAL, Lettres comunes de Benoit XII, Num. 6417.
VoI. II pag. 117 (Paris 1903).
15 - Presso
BIANCOLINI, Chiese. IV, pag. 508. 578.
16 - BAGATTA e
PERETTI, Ss. Epp. Veron. Monum., pag. 23 r.
17 - Chronicon Veronense, presso
MURATORI, Rerum Italicarum Scriptores. VIII. col. 651.
18 -RAYNALDUS, Annales
eccles. a 1339, Num. 66-68; VIDAL, Op. cit. Num. 7540, con la
data 22 Settembre.
19 - UGHELLI, Italia
Sacra Tom. V, col. 875.
20 - CASTELLANI, Memorie
sopra S. Toscana, pag. 54 Nota 2 pag. 55 (Verona 1856)
21 - BIANCOLINI, Chiese.
VII, pag. 93-103; ARRIGHI, Cenno storico ... , pag. 55.
22 - Un angelo di
pietra sull'angolo della casa, che dalla piazzetta mette in Via Bassa, ricorda
il misfatto. ANT. PIGHI, S. Eufemia, pag. 12.
23 - CIPOLLA, Antiche
cronache Veronesi, pagg. 199, 311.
24 - MARZAGAIA, De
modemis gestis, presso CIPOLLA, Op. cit., pag. 181.
25 - CIPOLLA, Compendio della storia politica di Verona, pag.
266, ed, Op. cit. passim.
ANNOTAZIONI AGGIUNTE AL CAP. XVII (a cura di Angelo Orlandì)
a) Per la storia
della famiglia e della signoria degli Scaligeri esiste una vasta bibliografia,
che si va progressivamente moltiplicando. Pare opportuno indicare qualche
volume di immediata utilità: M. CARRARA, Gli Scaligeri, Milano 1966; e
specialmente gli studi di Egidio Rossini e Giulio Sancassani in Verona e
il suo territorio, vol. III, Verona 1975, pp. 808. Questa pubblicazione contiene una ricchissima
bibliografia sull' epoca e sugli Scaligeri.
b) M. BILLO, Origine
e sviluppo delle parrocchie di Verona e variazioni nelle relative
circoscrizioni territoriali, in Archivio Veneto, A. 29 (1941), 1-71.
Si tenga però presente che la fisionomia
giuridica e le funzioni di cura pastorale non coincidevano a quei tempi
esattamente con le situazioni attuali; quindi bisogna guardarsi dal proiettare
il concetto e la figura che abbiamo di parrocchia al presente nel secolo XIV.
c) L. VECCHIATO, La
nomina del vescovo Matteo De Ribaldis e i privilegi universitari a
Verona, in Zenonis Cathedra, Verona 1955, pp. 55-71.
d) Pietro della
Scala non fu affatto ligio verso i signori suoi consanguinei: da un documento
dell'Archivio Vaticano si ha notizia che congiurò contro Bartolomeo e Antonio
della Scala, i quali però lo misero in carcere insieme con Nicolò, priore degli
Agostiniani, implicato nella congiura. Avendo poi rimesso in libertà i due
prigionieri, gli Scaligeri chiesero l'assoluzione dalla scomunica incorsa;
dell'assoluzione furono incaricati il vescovo di Vicenza e l'abate di S. Nazaro
di Verona. Il fatto è collocabile tra l'ottobre 1375 e il giugno 1381, ma il
documento non ha la data (Archivio Segreto Vaticano - Arm. 53, T. 8,
pp. 164 e 169).
Fonte: srs di
Giovanni Battista Pighi, da CENNI STORICI SULLA CHIESA VERONESE, volume II
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