VOLUME II -
EPOCA IV - CAPO IX
Nell'anno 1850 il nostro sac. Cesare Cavattoni, pubblicò un opuscolo prezioso per la storia della
chiesa veronese. È una Reletio
dello stato della nostra chiesa negli ultimi mesi dell' anno 1606 e nei
primi dell'anno seguente, scritta dal sac.
Agostino Bettini, attribuita
ufficialmente al vescovo Alberto Valier,
succeduto nel maggio 1606 allo zio Agostino.
Questa Reletio darà la
materia principale del capo presente;
nel quale ci serviremo anche delle preziose note illustrative, che vi aggiunse
l'erudito editore(1). Lo stesso sac. Cavattoni nel 1862 in occasione
del solenne ingresso di mons. Luigi
Canossa a vescovo di Verona, pubblicò un altro prezioso
opuscolo storico anonimo; una Informazione
dello stato di Verona nel 1600, trascritta dall'originale, che si trovava
nell' Archivio dei Frari di Venezia:
benché essa si occupi specialmente dello stato civile, tuttavia ci dà anche
notizie sulle condizioni ecclesiastiche(2).
Ci gioverà pure una relazione anonima
sullo stato di Verona nel 1600, che si trovava presso il nostro concittadino Giulio Lando nunzio residente a Venezia
per la città di Verona, della quale
si vale talvolta il nostro Biancolini;
forse in origine è la stessa Informazione,
benché non sempre siano identiche le cifre. Aggiungeremo in fine altri
particolari, che trarremo da varie fonti, e specialmente da alcune monografie
recenti. (a)
Per maggiore chiarezza divideremo questo Capo in quattro
paragrafi:
1. Clero secolare;
2. Istituzioni religiose;
3. Istituzioni benefiche;
4. L'interdetto contro il Dominio Veneto.
- Seguiremo approssimativamente l'ordine della Relatio, non però
rigorosamente; e ciò allo scopo che l'esposizione riesca più ordinata.
NOTE
1 - CAVATTONI, De
sta tu Ecclesiae Veronensis relatio Alberti Valerii Episcopi ejusdem Ecclesiae (Verona
MDCCCL). - La dicitura in tempo presente « è, sono, insegnano, ecc. »
ordinariamente indicherà le notizie prese dalla Relatio.
2 - CAVATTONI, Informazione
delle cose di Verona e del Veronese fornita il primo di Marzo MDC. (Verona
1862).
§ 1. CLERO SECOLARE.
SOMMARIO. - Estensione della diocesi. - Numero degli
abitanti e delle parrocchie nella città e nella diocesi. - Giurisdizione del vescovo. - Cattedrale, canonici,
cappellani. - Scuola degli Accoliti. - Seminario. - Congregazione del
Clero intrinseco. - Adunanze dei sacerdoti nella città e nella diocesi. -
Visite. - Sinodo diocesano. - Scuole della Dottrina cristiana. -
Compagnia dell'orazione. - Oratorio.
La Reletio,
dopo aver lodato Verona per la sua ampiezza ed amenità del sito, la elogia
soprattutto per la sua fede e pietà cristiana, ricevuta, come dice l'autore,
fino dai tempi di S. Pietro.
La diocesi ha una lunghezza di settantamila passi; poiché allora si estendeva un po' più verso il Trentino ed il Mantovano: la sua larghezza dal Vicentino al Bresciano è di passi quarantamila. Suo metropolita è il patriarca di Aquileja.
Alcuni paesi della diocesi sono soggetti al duca di Mantova: oltre Correzzo e Pradelle, (b) erano Castelbelforte, Ostiglia e Villimpenta. Altri sono soggetti ai
signori Madrucci di Trento; ed erano
Avio, Brentonico, Borghetto e Pilcante.
Nella città sono circa settantamila
abitanti: così pure nella Informazione
per l'anno 1600; mentre nella relazione Lando sarebbero sessantacinquernila(3).
Le parrocchie sono quarantasei.
Nell'anno 1336 il
vescovo Nicolò di concerto con Ognibene,
arciprete della Congregazione del clero intrinseco, e coi rettori delle chiese,
riformando la ripartizione delle parrocchie, le avea determinate in numero di cinquantadue: in seguito alcune di esse
perdettero il diritto parrocchiale; altre lo acquistarono, come quella di S. Giusto concentrata poi in quella di S. Giovanni in Fonte, quelle di S. Donato, di Sant'Eufemia: cosicché nel 1470 erano quarantasette; nel 1607
quarantasei(4)
Nella diocesi sono duecento
vent' otto parrocchie, delle quali parecchie erette sotto i vescovi Giberti, Lippomani ed Agostino Valier.
La popolazione si calcola essere di circa centocinquantamila persone: dodicimila tra queste, progenie
dei Cimbri, stanno sui monti a settentrione, ed usano sempre della loro
lingua semigermanica.
Questi paesi, secondo Cavattoni,
sarebbero Giazza, Campo fontana, Bolca,
S. Bartolomeo delle Montagne e Selva di Progno. Ma nel secolo XVI ai tempi
del Giberti troviamo curati tedeschi
a Roveré di Velo ed a Valdiporro: nel 1566 gli abitanti di Roveré domandano come curato al vescovo
Agostino Valier « virum idiomatis teutonici satis peritum
»: nel 1572 la comunità di Chiesanuova presenta
al vicario vescovile un sacerdote di Salisburgo,
ed al principio del secolo seguente cercava sacerdoti in Baviera ed altri paesi tedeschi(5).
Una aggiunta posta qui più tardi nella Relatio dice che nella diocesi vi erano ottocento e cinquanta benefici
semplici, detti chiericati sotto
trentanove pievi.
Il vescovo ha
giurisdizione su Bovolone e Monteforte: giurisdizione già sancita
dagli Statuti Veronesi nel Libro I Capo 26.
Per largizione di Alberto
dei conti di S. Bonifacio fatta
nell'anno 1135 il vescovo di Verona
avea possedimenti e giurisdizioni anche a Legnago,
Roverchiara, Tomba, Canova, Caldiero, Tregnago, Marcemigo, Centro, Montorio e
S. Giorgio Ingannapoltron; ma ne fu privato dalla Repubblica Veronese sotto il governo del podestà Azzone da Este l'anno 1207(6).
Il palazzo vescovile sta presso la cattedrale: in un'aula di
esso, detta ginnasio, ogni
giorno si spiega qualche punto di filosofia e dei casi di coscienza: questo
ginnasio durante l'interdetto (1606-1607) fu trasferito nel Seminario.
Nella cattedrale, chiesa magnifica, oltre le tre dignità
l'arciprete, il prevosto, l'arcidiacono, vi sono diciotto canonici, il
tesoriere, quattro mansionari, sessanta cappellani(7), ventiquattro accoliti,
sette chierici inservienti per le messe, quattro ostiari, e la fabbrica, la
quale viene amministrata da un uomo scelto dal vescovo e provvede quanto è
necessario per il culto di Dio e l'ornamento della chiesa.
Il capitolo un tempo pretendeva di essere esente dalla
giurisdizione del vescovo: ora però per mezzo di nuovi accordi è ridotto alla
forma prescritta dal Concilio di Trento:
esso è più onorato, che ricco: vi sono personaggi nobili della città e non
pochi dottori: ha giurisdizione in alcuni luoghi mista col vescovo, in alcuni
separata. I canonici riconoscono loro superiore il patriarca di Aquileja. Il canonicato sta presso la cattedrale.
Nella cattedrale vi è un canonico penitenziere, ed un altro canonico con
prebenda teologale, che per tutto l'anno espone la sacra teologia. Vi è pure un
sacerdote maestro di cerimonie. Nella chiesa cattedrale si predica in tutte le
feste la parola di Dio « verbum Dei
». Si predica pure la divina parola in altre chiese insigni, specialmente
nel tempo dell'Avvento e della Quaresima e nelle feste più solenni. Anzi nel
tempo della Quaresima si mandano circa sessanta predicatori regolari a
predicare nei castelli e nei paesi più popolati del territorio diocesano(8).
Non vi è alcuna chiesa collegiata, sia in città, sia nella
diocesi. Così la Relatio.
In Verona sono due seminari. Il primo è detto anche Scuola degli Accoliti: questi
sono giovani chierici, che vivono nelle case della propria famiglia, hanno
maestri comuni e prestano il loro servizio nella cattedrale. Per questa scuola
è un onore l'appellativo di Seminerio:
onore che le procacciarono specialmente i due vescovi Giberti ed Agostino Valier,
procurando che per mezzo di pii e bravi sacerdoti fossero istruiti nelle
lettere e nelle scienze sacre, ed insieme con opportune conferenze fossero
educati alla vera pietà e preparati per la carriera ecclesiastica. « Negli ultimi anni dell'episcopato del
Valier gli accoliti studenti di teologia si radunavano in un locale del
Capitolo per udir la lezione da qualche canonico o sacerdote incaricato(9)»,
Istituzione più recente era il seminario propriamente detto, conforme ai decreti del
Concilio di Trento. Il vescovo Agostino Valier lo avea fondato nel
1567 presso la chiesa di Sant'Antonio di
Vienna, detto Sant'Antonio grande
o della Ghiaja. Più tardi nel 1572 lo trasferì nel convento di S. Bartolomeo della Levata,
dopo che dovettero abbandonare questo convento gli Umiliati, causa la soppressione dell'Ordine decretata dal pontefice
S. Pio V con bolla del 1571.(10).
Verso il 1586 lo fece ritornare a Sant'Antonio, dove rimase sino all'anno 1690; quando fu trasferito
nel monastero di Sant'Angelo presso
il castello di S. Felice. Vi
insegnano lettere e filosofia e scienze sacre alcuni sacerdoti destinati a tali
offici dal vescovo ed anche i Gesuiti.
La Reletio
si occupa molto della Congregazione del clero intrinseco, la cui origine
risale almeno al secolo X, e la quale fu ripetutamente dotata di privilegi e
giurisdizioni dagli imperatori e da romani Pontefici. Tratta delle adunanze dei
confratelli, delle ufficiature funebri per turno in diverse chiese, delle
prediche ai fedeli, e del gran frutto religioso e morale che ne ritraevano i
fedeli.
Nell'anno 1598 fu stampata in Verona «Tabula anniversariorum, quae a S. C. Cleri intrinseci Veronae quotannis
celebrantur», riformata nel detto anno per decreto del vicario
generale Pietro Stridonio: in essa
troviamo notato che già allora « consuetudo
est S. Congregationis ut Nocturnum cum Litaniis ante Missam cantetur »(11): questa nota è una piena
giustificazione di un simile uso esistente anche oggi nella nostra diocesi.
Nel 1604 fu stampato altro libro Sanctae Congregationis Cleri intrinseci Veronae Constitutioncs.
In esso è stabilito che tutti i confratelli presenti ai suffragi nel primo
venerdì di ogni mese ricevano tre soldi, e coloro che mancassero od uscissero
prima della fine dell'ufficiatura pagassero una multa di sei soldi. Dal complesso di queste Constitutiones apparisce che scopi precipui della
Congregazione erano la santificazione dei suoi membri, i suffragi ai defunti e
le sovvenzioni di mezzi da vivere agli ìndigenti(12).
I sacerdoti della città si radunano due volte ogni settimana
per discutere alcuni casi di coscienza ed istruirsi a vicenda. I sacerdoti
della diocesi si radunano una volta al mese secondo la Costituzione, forse del
vescovo Giberti(13), e secondo che fu stabilito nel libretto composto per i
visitatori foranei. La città e la diocesi furono visitate recentemente. Alberto Valerio già le avea visitate
per circa dieci anni: nel 1605, non potendo egli visitarle per le troppe
occupazioni, con atto 15 giugno deputò a questo ufficio il canonico Marcello Carloto dottor utriusque juris; il quale prima ancora
della fine dell'anno avea visitato una gran parte della diocesi nella parte
superiore(14), Inoltre furono stabiliti altri visitatori particolari.
Ogni anno si tiene una specie di sinodo diocesano nella
settimana dopo l'ottava di Pasqua; intervengono specialmente i parrochi, e
riferiscono dello stato delle loro chiese; anzitutto dell' esecuzione dei
decreti delle visite, e di coloro che dimentichi della loro salute non si
accostarono nella Pasqua ai sacramenti, affinché per opera del canonico
preposto, quasi vicario del vescovo, si possa agire canonicamente. In questa
adunanza vien pure pubblicata la bolla In
Coena Domini.
Vi sono in città sessanta scuole della dottrina cristiana;
mentre ai tempi del Giberti erano
sedici. Quest'opera era stata promossa mirabilmente per lo zelo di Agostino Valier, che ne avea stabilito
regole speciali: la Compagnia avea un
capo generale dipendente dal vescovo col nome di rettore: dovea essere suo
coadiutore un gesuita col nome di Padre spirituale; inoltre vi doveano essere
un vicerettore, dodici visitatori, un cancelliere e un cassiere(15). In queste scuole i giovanetti e le
giovanette, separate queste da quelli, vengono con sommo studio istruiti nei
primi elementi della dottrina cristiana. Altrettanto si fa dai parrochi con
l'assistenza di pie persone in tutte le chiese parrocchiali della diocesi.
Fioriva molto la Compagnia detta dell' Orazione, istituita in occasione della pestilenza
dell'anno 1575: contava fra i suoi membri molti nobili ed altri pii personaggi;
i quali si accostavano alla santa comunione una volta al mese, e tutte le feste
si univano in una od altra chiesa: nelle singole chiese si facevano pubbliche
preghiere, con torci e e candele, stando tutti genuflessi per lunghe ore
davanti al SS. Sacramento.
Un'istituzione preziosa, massime per la gioventù maschile,
era quella dell'Oratorio, che il
vescovo Agostino Valier ave a
fondata nella chiesa di S. Giovanni in
Fonte, ad imitazione di quello che a
Roma nella chiesa di S. Maria in
Vallicella avea fondato S. Filippo,
al quale era intrinseco famigliare.(16)
Così ebbe origine tra noi l'opera degli Oratorii: speriamo che per l'odierno
indifferentismo non abbia a svanire.
NOTE
3 – 0pina
diversamente CIPOLLA, Compendio della Storia politica di Verona, pag.
333, seg. (Verona 1900).
4 - BIANCOLINI, Chiese
di Verona, IV, pag. 553; e questi, Cenni storici, Epoca III, Cap. XVII. Nello,
Stato personale, 1922, pag. 4, sono designate le singole parrocchie.
5 - CIPOLLA, Le
popolazioni del XIII Comuni Veronesi, pag. 152, 156, 166 (Venezia 1882).
6 - BIANCOLINI, Cronaca
del Zagata, Vol. II, pag. 296. III. 331; e Dissertazione intorno ai
Vescovi e Governatori di Verona, pag. 95.
7 - Nel 1600 i
canonici erano vent'uno, i cappellani quarantasei.
8 - Già nel
secolo XVI la missione di predicare
fuori della propria chiesa ordinariamente era affidata ai regolari, e verso la
fine anche ai chierici religiosi. TACCHI VENTURI, Storia della Compagnia di
Gesù, I, pag. 31, (Roma 1900).
9 - SPAGNOLO, Le
scuole accolitali, pag. 80.
10 -
Nell'attentato contro la vita di S. Carlo perpetrato il 26 ottobre del 1569
ebbe gran parte il P. Clemente Preposto agli Umiliati di S. Bartolomeo della Levata.
11 - Tabula
... , pag. 10 (Veronae, apud Angelum Tamum, MDIC).
12 - S. Congregationis. Const.
Cap XXIV Duecento e trent'una libbre
di pane si distribuiscono, parte ai poveri della parrocchia dell'ufficiatura,
parte ai campanari, inservienti e poveri di altre parrocchie. Cap. XXXIV.
13 -GIBERTI, Constitutiones,
Tit I, Cap. 23.
14 - Liber Visito anni
1605 vol. XVII, nell'Archivio della Curia di Verona.
15 - BIANCOLINI, Chiese
di Verona, I, pag. 242.
16 - CALOGERÀ, Vita
Card. August. Valerii in Raccolta di Opuscoli scientifici ecc; XXV,
pag. 88 (Venezia 1741).
§ 2 - ISTITUZIONI RELIGIOSE.
SOMMARIO. - Monasteri maschili in città - Teatini -
Gesuiti Cappuccini - Minimi - Camaldolesi - Abbazie - Monasteri femminili in
città - Monasteri maschili e femminili nella diocesi - Orsoline -
Dimesse
Nella città si trovano diciassette monasteri di religiosi;
tra i quali sono certo da computare tre monasteri, dei quali la Relatio parla più sotto. Sono i seguenti:
- 1°. Domenicani a
Sant'Anastasia; ai quali da S. Pio V
era stato commesso l'ufficio della S. Inquisizione l'anno 1570(17). Nella loro chiesa dopo la
battaglia di Lepanto (1571) fiorì di molto la confraternita del santo Rosario:
nel 1600, secondo la Informazione vi erano quaranta religiosi.
- 2°. Minori
Conventuali a S. Bernardino: nel 1600 vi erano sessanta frati.
- 3°. Francescani
Conventuali a S. Fermo, i quali già da tempo non davano buon odore di
santità: erano trenta.
- 4°. Agostiniani a
Sant'Eufemia: erano cinquanta.
- 5°. Serviti a S.
Maria della Scala ed al Paradiso.
- 6°. Benedettini
Cassinesi o neri a S. Nazaro: nel 1600 erano trenta, e la Informazione aggiunge « poco ospitali e
poco cortesi »,
- 7°. Benedettini
bianchi od Olivetani a S. Maria in Organo: erano trentasei « cortesissimi e
molto ospitali ».
- 8°. Carmelitani a S.
Tommaso: nel 1600 erano trenta.
- 9°. Canonici
Lateranesi a S. Leonardo: erano venticinque; il loro convento era stato
insignito della dignità abbaziale dal pontefice S. Pio V con breve del 12
gennaio 1565: vi stettero fino alla soppressione veneta dell'anno 1773(18).
- 10°. Canonici
Regolari a S. Giorgio in Braida(19): nel 1600 erano quaranta. Nel 1669 fu
soppressa quella Congregazione, ed il monastero passò alle monache Agostiniane
di S. Maria di Reggio, che prima erano al Redentore.
- 11 °
Crocigeri a S. Luca, i quali erano
in diminuzione; nel 1600 erano dieci. Furono poi soppressi da Alessandro VII
nel 1656(20).
- 12°. Eremiti
Gerolimini o Fiesolani a S. Zeno in Monte; erano sedici: soppressi da
Clemente IX nel 1668, vennero in quel monastero i Somaschi.
- 13°. Gesuiti a S.
Sebastiano.
- 14°. Cappuccini a
S. Croce.
- 15°. Minimi di S.
Francesco di Paola in Campo Marzo.
- 16°. Teatini a S.
Maria della Ghiaja.
- 17°. Benedettini
dell'ordine di S. Giustina di Padova a S. Zeno: nel 1600 erano undici,
tutti tedeschi, ai quali da alcuni Commendatori era stata affidata
l'ufficiatura della basilica sino dal 1425. Nell'abbazia, come dice la Relatio,
« praeter Abatem saecularem, sunt
Prior et Monachi teutonici ordinis sancti Benedicti, proprios redditus habentes
»: Abbate commendatario era Marco Cornelio vescovo di Padova dal 1594.
- Oltre questi, vi erano i Gesuati a S. Bartolomeo in Monte, in numero di ventiquattro;
- ed i monaci Camaldolesi
presso il santuario di S. Maria della Pace in numero di otto(21).
Daremo brevi notizie dei monasteri stabiliti a Verona di
recente.
I Chierici Teatini,
fondati da S. Gaetano e da G. Pietro Caraffa, nel 1591 ebbero il
convento e la chiesa di S. Maria della
Ghiaja in Cittadella, dal quale
già dal 1571 erano stati rimossi gli Umiliati
dopo la loro soppressione decretata dal pontefice S. Pio V: secondo la Informazione nel 1600 vi
erano diciotto religiosi. Nell'anno 1602 il vescovo Agostino Valier concesse loro anche la chiesa di S. Nicolò con residenza conveniente; e
la concessione fu confermata dal pontefice Clemente
VIII con breve dato il 18 aprile dell'anno 1603. In seguito i Teatini pensarono di rinnovare la
chiesa, mutandone il primitivo
orientamento rituale: l'opera cominciata nel 1627 fu compita nel 1683. Tuttavia
i Teatini tennero pure la chiesa di S.
Maria della Ghiaja: la Relatio
dice di loro che « ecclesiam dictae
Praepositurae cum magno Dei cultus augmento optime tenent »: ne avea la
commenda Pietro Aldobrandini creato
cardinale dallo zio Clemente VIII, morto
poi a Roma l'anno 1621.
La Reletio
si estende molto nel riferire le benemerenze dei Gesuiti.
Li avea ammessi in Verona il vescovo Agostino Valier nel 1573; della qual cosa si congratulò molto con
lui S. Carlo Borromeo(22). Nel 1578 il dì 8 febbraio concesse loro la chiesa di S. Sebastiano, dividendo la
cura di quella parrocchia tra S. Tomaso
Apostolo, S. Fermo, Sant'Andrea. Probabilmente
la chiesa, allora romanica, era in stato di deperimento: perciò i Gesuiti pensarono subito a rinnovarla
ed ampliarla, e la Relatio
ne fa loro un elogio: « eamdem
ecclesiam, magnificentius tamen, tenent extructam; et, tum concionum et
Sacramentorum usu, tum etiam scholarum et congregationum frequentia, maximos in
civitate fructus faciunt ». Ivi aprivano tosto collegio e scuole per
l'educazione ed istruzione della gioventù: tanto è vero che il vescovo in una
lettera indirizzata ai fedeli della città e diocesi nell'avvento dello stesso
anno 1578, alla vigilia della sua partenza per la visita della Dalmazia, tra le altre cose,
raccomandava « ai padri che sappino bene
educare i suoi figlioli e servirsi della comodità che di presente gli è offerta
di questo collegio dei padri Gesuiti,
procurando che i loro figlioli imparino insieme la vera pietà et le lettere
».
Aggiunge la Relatio
che i Gesuiti insieme con altri pii sacerdoti presiedevano agli Oratorii nei quali nei giorni festivi
convenivano molti giovani; e vi spiegavano il santo Vangelo o qualche cosa di
simile: presiedevano pure alle scuole della Dottrina cristiana, alle quali
intervenivano giovani di ambedue i sessi. In fine aggiunge che i Gesuiti fungevano pure da precettori
nelle scuole del seminario, ma che dovettero cessare da questo ufficio
ritirandosi da Verona per l'interdetto del 1606: non vi ritornarono se non nel
1656; quando il pontefice Alessandro VII
ottenne che la Serenissima ritirasse
il bando perpetuo lanciato contro i Gesuiti
nel 1606.
I Padri Cappuccini,
venuti a Verona al tempo del vescovo Giberti,
vagarono prima in diversi luoghi della diocesi e poi della città; finché il
vescovo Agostino Valier nel 1571
assegnò loro il convento di S. Croce
vicino alla chiesa di S. Francesco,
ceduto ad essi dalle monache Benedettine
di S. Silvestro. Ivi restaurarono la chiesa ormai ridotta a pessimo stato;
e questa fu consacrata dal vescovo Alberto
Valier il giorno 28 ottobre del 1618. Nel 1600 vi erano sessanta religiosi. I
Cappuccini dovettero sloggiare dal loro convento nei primi giorni di giugno del
1810(23).
I Chierici Minimi di
S. Francesco di Paola vennero a
Verona nel 1593; dove per l'attività del P. Paterno di Calabria e le sovvenzioni dei conti Giusti e di altri ricchi generosi poterono edificare un
grandioso convento in Campo Marzo.
Ivi eressero pure una chiesa ad onore del loro santo fondatore, la quale fu
consacrata nel giorno 9 marzo 1596 dal vescovo coadiutore Alberto Valier. Secondo la Informazione
nel 1600 vi erano sedici religiosi. Quando per la legge napoleonica anche i Minimi
dovettero sottostare alla soppressione, l'altare di S. Francesco fu trasportato nella chiesa di S. Paolo.
I monaci Camaldolesi
di S. Romualdo già fin dal
secolo XIII aveano un piccolo monastero con chiesa presso Avesa, nel luogo detto poi S.
Maria del Camaldolina: poi nel 1513 parte del monastero e la
chiesa furono assegnate al monastero di S.
Michele di Murano; parte del fabbricato passò poi in proprietà di persone
private(24). Dietro istanza dei
rettori della città alcuni camaldolesi da Murano
vennero alla chiesa di S. Maria della
Pace il giorno 28 febbrajo 1596, ed ivi canonicamente fu approvata la nuova
fondazione con un breve di Clemente VIII
dato il 25 giugno dello stesso anno. In breve con le elargizioni della città e
dei fedeli devoti di quel santuario fu fabbricata una abitazione capace di
almeno dodici religiosi: essi poi si assunsero il dovere di ufficiare
convenientemente il santuario, ascoltare le confessioni ed amministrare la SS.
Eucaristia, chiamando nelle feste maggiori altri monaci dai monasteri della
loro congregazione.
Già nel 1603 troviamo
gravi lamenti della città e dei fedeli a carico dei camaldolesi; quasi essi non
si prestassero per l'ufficiatura del santuario secondo i patti convenuti
nell'anno 1596(25). Tuttavia si aggiustarono in qualche modo le controversie;
poiché i camaldolesi stettero presso quel santuario sino alla soppressione
veneta decretata ed eseguita l'anno 1771. Primo abbate della nuova fondazione
fu il P. Faustino Todeschi veronese.
In città vi sono tre abbazie. Nella abbazia di S. Zeno, era
allora commendatario Marco Cornelio:
l'abbazia esercita giurisdizione separata dall'Ordinario. - L'abbazia di S. Fermo e Rustico, di cui
è abbate il card. Mantica(26), ha un vicario perpetuo, però sotto
la dipendenza del vescovo. - L'abbazia
della SS. Trinità, di cui è abbate Giorgio
Marini vescovo di Brescia, ha la
cura, la quale viene esercitata per mezzo di un cappellano amovibile - Vi è
pure la chiesa di S. Vitale, di cui
è commissario un cavaliere
Gerosolimitano; ha annessa la cura delle anime, la quale viene essa pure
esercitata per mezzo di un cappellano amovibile.
Tornando alla Relatio, essa dice che nella città vi
sono diciotto monasteri di monache.
Erano Francescane:
- 1. Le monache di S. Chiara, soggette ai frati
di S. Bernardino: nel 1600 erano centoventicinque o centocinquanta;
- 2. Le monache delle Maddalene a S. Maria delle
Vergini; nel 1600 erano settanta, e ricche, soggette al vescovo sin
dall'episcopato del Giberti. Erano Benedettine:
- 3. A Sant'Antonio al Corso;
- 4. S. Bartolomeo della Levata, assegnata
loro da Gregorio XIII, col breve 29
novembre 1579: nel 1600 v'erano trentotto religiose.
- 5. S. Lucia presso Porta del Pallio
- 6. S. Catterina della Ruota presso
l'attuale Ricovero: v'erano
cinquantacinque suore
- 7. S. Cristoforo in via Cantarane: soppresse ivi le umiliate, il vescovo Agostino Valier nel 1571 vi trasferì cinque benedettine da S. Maria degli Angeli; alle quali si associarono, adottando il
nuovo ordine, cinque delle umiliate che ivi abitavano(27): nel 1600 erano quaranta monache.
- 8. S. Daniele appena fuori dalla Porta Rofiolana.
- 9. S. Silvestro.
- 10. S. Maria degli Angeli.
- 11. S. Salvar in Corte Regia; essendo stato
ceduto il convento e la chiesa alle benedettine di Sant'Agostino con breve di Innocenzo VIII 1486: nel 1600 vi erano
trentacinque religiose.
- 12. S. Spirito presso la Porta di S. Sisto o del Pallio: erano sessanta.(28)
- 13. S. Giovanni della Beverara: vennero a
questo convento dopo che il Seminario fu ritornato a Sant'Antonio della Ghiara l'anno 1586: nel 1600 erano sessantotto.
- 14. SS. Giuseppe e Fidenzio, chiamate così
dall'essere stato ceduto alle monache di S.
Giuseppe quanto possedevano le monache di S. Fidenzio in Monte; « monache
di pessimo nome »(29), e perciò
soppresse dal vescovo Giberti nel
1536: nell'anno 1600 vi erano quarantacinque religiose.
- 15. Tra i monasteri della città è pur annoverato quello
delle Benedettine del monastero di S. Michele in Campagna: il
vescovo Agostino Valier tentò di
astringerle all'osservanza degli statuti del Concilio di Trento, particolarmente riguardo alla clausura; ma
ottenne poco o nulla; cosicché per sentenza di Clemente VIII nel 1595 quel convento fu interdetto, e la sentenza
fu poi rinnovata da Leone XI e da Paolo V: ciò nonostante « le monache tengono funzioni pubbliche in
chiesa, celebrate con maggior frequenza e pompa di canonici pur essi interdetti
»(30): come poi e quando siasi
composta la controversia, non lo troviamo.
- 16. Tra i monasteri di benedettine della città va pur
annoverato quello di S. Martino di Avesa,
dove attualmente è la chiesa parrocchiale: ivi erano quaranta religiose.
- 17. Erano religiose, Domenicane
a S. Catterina da Siena (nella via ora Venti
Settembre), soggette ai Domenicani
di Sant'Anastasia: nel 1600 erano cento e venti.
- 18. Erano pure Domenicane
le monache presso la chiesa di S.
Domenico: dall' Acqua traversa
vi erano venute dopo la famosa spianata del 1518, ed il vescovo Giberti le sottrasse all' autorità dei Domenicani: nel 1600 vi erano sessanta religiose.
'
La diocesi,
secondo la Reletio, ha
dieci monasteri maschili.
Tre di questi erano dei Cappuccini:
- 1. A Caprino, dove erano stati chiamati e
sovvenuti da alcuni possidenti nella seconda metà del secolo XVI (31)
- 2. A Villafranca.
- 3. A Monteforte.
- Tre erano dei Minori
Osservanti:
- 4. Ad Isola della Scala.
- 5. A Bussolengo, dove per desiderio di
questa popolazione, con permesso del vescovo
Agostino Valier fondarono un convento nel 1596, e vi stettero sino al
decreto napoleonico di concentrazione del 1805853)
- 6. Al Frassino presso Peschiera: v' erano andati ai tempi del vescovo card. Marco Cornaro, dietro bolla di Leone
X del 14 gennaio 1514, e vi stettero sino all'anno 1810(33).
- Due erano di monaci
Olivetani:
-7. A S. Pietro
di Villanova, dove essi si stabilirono nel 1562: ora quella chiesa
appartiene alla diocesi di Vicenza.
- 8. A S.
Jacopo del Grigiano: chiesa che essi ottennero dalla magnifica città il 10
marzo 1451.
- 9. I Carmelitani aveano chiesa e convento a Desenzano.
- Il Cavattoni
mette qui come decimo convento quello dei Camaldolesi
a Garda: ma quel convento fu costituito e costrutto dopo il 1661(34); quindi non poté essere recensito
dalla Relatio; né poi sapremmo quale
altro sostituirvi. (c)
Nella diocesi v' è un
solo monastero femminile, cioè a Legnago.
La comunità di Legnago,
avendo eretto una chiesa ad onore di S.
Bartolomeo con annessa abitazione per un numero conveniente di monache, nel
1587 dal vescovo Agostino Valier
ottenne che vi si trasferissero tre monache del convento di S. Catterina della Ruota, le quali in
breve riuscirono a costituirvi una numerosa famiglia di Benedettine. In seguito per il buon andamento del nuovo monastero
la comunità stabilì alcuni Capitoli, che furono approvati dal vescovo
Coadiutore il 16 aprile 1596(35).
La Reletio
dice che per ogni monastero di monache era stabilito un numero determinato;
ed aggiunge che da oltre quarant'anni, cioè dalla fine del Concilio di Trento,
« clausura ubique servatur arctissime
». Certamente ciò non era vero per il monastero delle Benedettine di S. Michele, e forse per qualche altro della città:
ma speriamo che questa stretta osservanza della clausura siasi almeno
assicurata nel 1606.
Partecipavano della vita monastica le Orsoline (d);
Congregazione fondata da Sant'Angela Merici
sotto la protezione di Sant'Orsola e
delle undicimila vergini.
Secondo la primitiva istituzione le Orsoline abitavano ciascuna nella propria famiglia, unendosi in
epoche determinate per la formazione del loro spirito e per alcune opere di
pietà: tuttavia nel 1603 cominciarono a vivere in una casa comune(36); e la Relatio nel 1606 dice
che « partim in propriis domibus, partim
in communibus ... vitam coelibem ducunt ». Pare che questa casa di vita
comune dall'8 febbraio 1616 fosse in Cittadella,
ove ora è lo stallo del Cavallino.
Della Congregazione dice la Relatio che « floret
mirum in modum »: nelle cose spirituali vi attendevano « duo spectatae vitae sacerdotes »; nelle
temporali due nobili uomini e circa dodici matrone; « omnesque ab episcopo vel praeferuntur, vel saltem approbantur et
confirmantur ». La Informazione nel 1600
pone una casa di Orsoline converse
in numero di sedici presso la chiesa
di S. Faustino.
Affine a questa congregazione era quella delle Dimesse fondate a Vicenza nel 1584 dal P. Antonio Pagani francescano, ed ivi
approvata dal card. Agostino Valier
nella visita apostolica a quella diocesi: non, aveano, né voti, né clausura;
ubbidivano a una superiora eletta col titolo di principale. La prima casa di Dimesse fu fondata in Verona dal sacerdote Galese
Nichesola rettore di S. Maria in
Chiavica il 20 agosto 1602, approvata dallo stesso card. Valier: poi sulla fine del 1606 si stabilirono in Cittadella, nel luogo ove ora sono le Figlie del S. Cuore di Bergamo (Seghetti). La Relatio non parla di questa congregazione, forse
perché nel 1606 era ancora in via di formazione: il vescovo Alberto Valier la approvò con decreto
del giorno 13 novembre 1607(37).
NOTE
17 - Primo
Inquisitore fu fra Marco Medici, poi vescovo di Chioggia, vissuto dal 1521 al
1584. FEDERICI, Elogi di illustri eccl. veron., III, Append. pag. 18.
18 - SPAGNOLO, Vita
di S. Leonardo ... , pag. 86 (Verona 1901).
19 - Avevano altra
casa del loro ordine a Sant'Angelo presso il Castello S Felice; ivi erano altri
quindici Canonici Regolari: più tardi vi fu trasferito il Seminario.
20 - Il vescovo
Sebastiano Pisani concesse allora questa chiesa alla Compagnia del SS.
Sacramento, detta delle Quarantore
21 - In
quest'epoca le località Avesa e S. Michele erano considerate come parte della città.
22 - Presso
CAVATTONI, Due opere del Card. Ag. Valerio, pag. XIII; Anzi GIUSSANO, Vita
S. Caroli, pag. 217 (Mediol. 1751) dice che i Gesuiti vennero a Verona per
opera di S. Carlo.
23 - Alla località restò il nome Cappuccini
vecchi.
24 - A. DA LISCA,
La chiesetta di S. Maria della Camaldola in Avesa, in Verona Fedele, Anno
1909, 29 Dicembre.
25 - FINETTI, Monografia
della Madonna di Campagna, pago 19-22. (Verona 1893). - Del coccodrillo
tratta diffusamente ANT. PIGHI, La Madonna della Pace, pag. 6-10 (Verona 1907).
26 - Creato
cardinale da Clemente VIII, fu consacrato sacerdote dal Card. Agostino Valier:
mori nel 1614
27 - CAVATTONI, Due
opere di Agostino Valerio, pag. XII (Verona 1862).
28 - La storia di
questo monastero scritta dal can. Carinelli è riportata presso BIANCOLINI, Notizie
storiche delle Chiese di Verona, II, pag. 632-695.
29 - M. SANUTO, Diarii,
Vol. LVIII, pag. 148.
30 - FINETTI, L'antico
monastero delle Benedettine a S. Michele in Campagna, pag. 50 (Mantova
1900).
31 - BIANCOLINI, Chiese
di Verona, IV, 451.
32 - BACILIERI, Bussolengo,
pag. 30, 58 (Verona 1903).
33 -P.
MIGLIORINI, Il Frassino, pag. 98, seq., 146 (Verona 1909)
34 - BUSSINELLO, L'eremo
dei Camaldolesi sopra Garda, pag. 17 seqq. (Verona
1916).
35 - Il decreto
del vescovo ed i capitoli presso BIANCOLINI, Chiese di Verona, IV, pag.
419-493.
36 - GRANCELLI, Di Sant'Angela Merici e del suo Istituto, pag.
50 (Verona 1919); BIANCOLINI, Chiese di Verona, IV, pag. 327, sqq.
37 - SODERINI, Vita del P. Antonio Pagani, (Venezia
1723); BIANCOLINI, Op. cit; IV, 422-426, VIII, 261, seq.
§ 3. ISTITUZIONI DI BENEFICENZA.
SOMMARIO. - Ospitali
Compagnia della Carità Derelitti - Convertite - Franceschine - Monte di
Pietà - Fonteghetto - Ebrei - Accademia Filarmonica.
La città, secondo la Reletio, ha ospitali per gli
infermi, tenuti e governati assai bene(38).
I più insigni sono tre: primo è quello di Santa Maria della Misericordia;
nel quale si ricevono i bambini orfani di genitori e gli infermi di
malattia incurabile. Questo ospitale era stato fondato dal vescovo Giberti con la cooperazione di S. Girolamo Emiliani e le contribuzioni di ottimi cittadini: esso
era presso la chiesa di Sant'Agnese,
nel luogo ove è ora il palazzo municipale. Più tardi fu trasferito questo
ospitale presso la chiesa di sant'Antonio
di Valverde, e presso la chiesa di Sant'
Agnese si volle erigere un nuovo ospitale, « cominciato, come dice lo storico nostro Venturi, nel 1786 colla
disapprovazione di molti, ed atterrato non ha molto coll'approvazione di tutti
»(39). Secondo la Informazione, nel 1600 vi
erano poveri incurabili circa sessanta, pupilli ventidue.
Il secondo ospitale è quello detto della Pietà, destinato per i bambini esposti e per
gli uomini febbricitanti o feriti. La sua origine risale all'epoca scaligera,
alla metà incirca del secolo XIV: era situato presso la cattedrale, e la via ne
porta ancora il nome. Nel 1813 fu trasferito nella parrochia di S. Stefano.
Il terzo ospitale è quello detto di S. Jacopo, nel quale vengono ricoverati i lebbrosi.
Nota il Cavattoni che tre erano gli
ospedali di questo nome e con questa destinazione: quello di S. Jacopo detto del soccorso vicino a S. Spirito; prima della soppressione dei monasteri era divenuto
rifugio delle penitenti, e fu poi assorbito dall' ospitale militare: quello di S. Jacopo della rogna era
presso Tomba, il terzo nella parrochia di S. Paolo in Campo Marzo era presso la chiesa detta di S. Giacometto.
Dice la Relatio che questi sono i tre ospitali più
insigni. La Informazione dice
che ve n'erano diciannove e ne dà i nomi: il
Biancolini aggiunge quelli della diocesi, ed indica che parecchi di essi esistevano
al principio del secolo XVII. Degli
ospitali della città e di alcuni di quelli della diocesi, aggiunge la Reletio che davano
ospitalità anche alle persone miserabili ed ai pellegrini.
Oltre gli ospitali v' erano parecchie altre istituzioni a sollievo
dei poveri bisognosi(40),
In città ed in parecchi luoghi della diocesi esiste una
compagnia utilissima, detta degli Operai
della Carità; i cui soci vanno a raccogliere qua e là elemosine
per distribuirle poi ai poveri nelle loro case, e così sovvenire ai loro
bisogni. Questa compagnia era stata
istituita nella città e raccomandata ai parrochi della diocesi dal vescovo Giberti, il quale ne avea pure
stabilito i capitoli(41). La compagnia si radunava ogni mese nella
cattedrale, ed eran presenti e davano elemosine il vescovo, i rettori della
città ed altri nobili e pii personaggi. Il vescovo Agostino Valier si studiò di ravvivare questa compagnia, e nel 1568
compose e fece stampare l'opuscolo: Ordinetiones
societetis charitatis, sive de institutione societatis charitatis civitetis
Veronae.
Da alcuni anni nella città si è pur provveduto ai fanciulli
e fanciulle abbandonate (Derelitti).
Vi avea provveduto il vescovo Agostino Valier nel 1572, affine di rimuovere lo scandalo di
fanciulli e fanciulle, che andavano mendicando per le vie. Egli aveva per loro provveduto una casa nella
via che va al Terraglio tra la
chiesa di S. Gregorio e quella di S. Stefano: poi, essendo aumentato il
numero dei ricoverati, trasportò l'ospizio in una casa, che dovea far angolo
tra la via Sant'Alessio e il
vicolo Cigno; e finalmente nel 1589 ampliò il fabbricato, per
poter in esso tener separati i fanciulli dalle fanciulle, ed unirvi l'opera dei
Mendicanti; ivi eresse
pure nel 1600 la chiesa di S. Maria del
Giglio, ed i Derelitti vi
durarono fino al 1807, quando fu soppressa e spogliata anche la chiesa(42). (e)
Quest'opera benefica dei mendicanti fu istituita essa pure
da Agostino Valier nel 1602 dopo una
sua assenza da Verona per circa due
anni. Essa era pure presso la chiesa di
S. Maria del Giglio, nelle case della famiglia Navarini, o dove ora è l'ospizio; raccoglieva uomini e donne, che
in gran numero vagavano mendicando per le piazze, per i vicoli e le chiese, « non sine scandalo et cum magno
christifidelium incommodo »: l'ospizio li manteneva, ed insieme li faceva
lavorare diverse arti « pie et catholice
vivendo ad laudem Domini nostri Jesu Christi ».
Presso la chiesa di
S. Gregorio esisteva pure un altro ospizio per i poveri.
In occasione della visita fatta dal vescovo coadiutore Alberto Valier alla parrochia di S. Stefano nella domenica 30 ottobre
1605, il vicario generale Florio
Pindemonti visitava quell' ospizio provvisto « cum octo cubilibus satis bene tentis in quibus nonnullae mulieres amore Dei dormiunt »(43).
Altra opera provvidenziale è quella delle Convertite: sono donne,
le quali, annoiate della vanità del secolo, si sono date al servizio di Dio in
perpetuo e conducono una vita quasi monastica: esse abitano in alcune case
adiacenti all'abbazia della Santissima
Trinità. In una parte separata di queste case sono custodite ed educate
sotto la cura di alcune matrone le ragazze nobili prive di madre; esse però
somministrano quanto è necessario per le spese del loro mantenimento.
Quest'opera istituita dal vescovo Giberti, forse per l'indole stessa dell' opera, era retta
da matrone, ma però sotto la dipendenza dei governatori della casa della Misericordia: nel 1569 le Convertite fecero istanza al vescovo Agostino Valier di passare sotto il
governo di lui; ma Valier con
lettera del 26 giugno si rifiutò e le esortò a non voler cambiamenti ed esse si
acquietarono(44).
Nel 1600 nella casa
della SS. Trinità, vi erano gentildonne circa cinquanta, convertite
perpetue venti, pupille trenta.
Ad uno scopo simile mira l'opera detta più tardi delle Franceschine
o Zitelle.
Siccome, dice la Reletio,
sono troppo frequenti i pericoli per le ragazze e le cadute delle donne, e
per tutte non è sufficiente l'edificio
della SS. Trinità, nel 1548 si fabbricarono alcune case presso la chiesa e monastero di S. Francesco al Corso(45);
dove le pericolanti e le cadute, divise le une dalle altre,
sotto la direzione d'una società di pie persone della Congregazione di S. Francesco, sono educate ad una
vita religiosa, procurando insieme che le ragazze « honeste et cum timore Dei nubant ». Secondo la Informazione
nel 1600 si contavano in questo conservatorio novantacinque persone tra
zitelle e donne convertite. La Congregazione
di S. Francesco si adunava ogni settimana nell' episcopio, ed ivi rendeva
ragione al vescovo dell'andamento dell'opera.
Oltre queste istituzioni tendenti direttamente al bene
spirituale e morale, ve n'erano altre, che allo stesso scopo tendevano
indirettamente, procurando di promuovere e migliorare gli interessi economici
dei cittadini.
La più importante di quelle istituzioni era il Monte di Pietà istituito
sulla fine del secolo XV, e nel 1544 dotato dal vescovo Giberti di seimila scudi d'oro; esso provvedeva ai bisogni
degli indigenti dando loro una certa somma di danaro dietro un pegno di qualche
suppellettile(46).
Fino al tempo del vescovo
Navagero erano sorti dei litigi riguardo ai prestiti: si volea che fossero al tutto gratuiti, ossia veri mutui; ma
insieme si vedeva che in questo modo il Monte non avrebbe potuto sopperire alle
spese necessarie per il mantenimento dell' opera. Il vescovo Agostino Valier interpellò su questa
controversia la Penitenziaria:
era una specie di tribunale da lui istituito, di teologi, canonisti,
giureconsulti, allo scopo di definire le controversie, massime nel campo
giuridico.
Convennero che il
Monte per sopperire alle spese necessarie comperasse fondi ed altri beni
fruttiferi, e li desse in affitto, col ricavato si provvedesse alle spese,
senza imporre alcun onere ai mutuatori.
Fu una soluzione, che piacque molto al nostro Pietro Ballerini per sostenere la sua
tesi, che qualunque prestito di denaro
deve essere al tutto gratuito(47).
La Informazione del 1600 dice che il Monte « ha bisogno di provvisione, altrimenti
potrebbe prendere un crollo », La Relatio
nel 1606 dice che esso è « opulentus
».
Quasi appendice al
Monte è il Fonteghetto,
una specie di granaio sorto in tempo di carestia per sollievo dei poveri.
Con danaro pubblico, messo in deposito dal vescovo e da
altre pie persone, si compera una quantità di frumento in tempo della
mietitura; e così si conserva molta farina, la quale poi di giorno in giorno si
distribuisce per un prezzo basso ai poveri bisognosi di cibo(48).
La Reletio,
parlando del Monte, avea fatto
rilevare che per mezzo di esso i cittadini potevano sfuggire le usure degli Ebrei. In seguito dice qualche cosa di
essi; ed in particolare riferisce che, mentre prima essi abitavano sontuosi
palazzi, mercanteggiavano sulle pubbliche piazze, ora per opera del vescovo Agostino Valier s'erano ridotti
tutti entro un circuito di case ristretto e chiuso, « quod vulgo ghettum appellari consuevit ». Di fatti con
l'appoggio dei rettori della città il vescovo vi era riuscito nel 1599. Nel
1600 secondo la Informazione vi erano « teste
quattrocento circa »: nel 1606 secondo la Relatio erano circa cinquecento. Le chiusure furono tolte sulla fine del secolo XVIII.
Diamo pure un cenno dell'Accademia
Filarmonica; giacchè di
essa pure si occupa la Reletio,
dicendo che essa abbastanza antica vige, anzi fiorisce.
Fondata in Verona
nel 1543 in origine tendeva solo alla coltura della musica, ma poi estese i
suoi studi alle lettere e belle arti: di essa fu membro assai onorato il vescovo
Agostino Valier, nominatone Protettore
nel 1602(49). In essa, come dice la Reletio, i giovani nobili si esercitavano nella
musica, sia di voce, sia di mano, e ciò senza pregiudizio della modestia o
dignità; inoltre di spesso uomini dotti (oltre il Valier vi erano Francesco Pola(50), Ottavio Cipolla ed altri illustri Veronesi) vi trattano argomenti
belli ed utili in diverse materie scientifiche.
NOTE
38 - BAGATTA, Storia
degli spedali ed altri istituti in Verona (Verona 1862).
39 - VENTURI, Storia
di Verona, II, pag. 225.
40 - CANOBBIO, Breve
compendio ... della sua historia di Verona (Verona 1598).
41 - BALLERINI, Giberti
opera, pag. 228. Ne abbiamo trattato nella nostra monografia G. M
Giberti P. II. Capo X
42 - SIMEONI, Guida
di Verona, pag. 225.
43 - Lib. Visito XIV
nella Curia vescovile.
44 - BIANCOLINI, Chiese
di Verona, Lib. V, P. 11, pag. 163, riporta la lettera del vescovo: « Alle
Convertite nostre in Cristo dilettissime ».
45 - Era la
chiesa, presso la quale sarebbe la pretesa tomba di Giulietta e Romeo.
46 - Ne abbiamo
trattato in questi, Cenni storici, Ep. III, Capo XXI. Si vegga anche BALLERINI, De jure divino
circa usuram, II, 245 - 256 (Bononiae 1747).
47 - BALLERINI, Op.
cit., II, 108.
48 - La località
del Fonteghetto è ora indicata da un vicolo, che ne porta il nome,
presso la via S. Vitale.
§ 4 L'INTERDETTO 1606-1607
SOMMARIO - Deficienza di documenti - Il dissidio tra la
S. Sede e la Repubblica di Venezia - La sentenza di scomunica ed
interdetto - Relazione della
Relatio - Il vescovo - I
canonici - Sacerdoti e fedeli - Religiosi - Giustificazione.
Il vescovo Alberto
Valier chiude la sua Reletio
con alcuni cenni sull'interdetto, che colpì il Dominio Veneto, e quindi anche Verona
negli anni 1606-1607. Sono però cenni un po' vacillanti, forse perché egli
pure, come lo zio Agostino, era veneziano.
Noi terremo conto di essi: però esporremo la storia di
quell'interdetto, massime per quanto riguarda la città e diocesi di Verona, appellandoci ad altri
documenti, che, pur troppo, dobbiamo confessare essere un po' scarsi. Ci spiace
soprattutto di non aver nè poter trovare in Verona due opere recenti, che forse
ci potrebbero dare altri documenti per chiarire l'atteggiamento di Verona di
fronte all'interdetto(51).
Già altrove abbiamo accennato alla causa delle discordie
sorte sul principio del secolo XVII tra la Serenissima
Repubblica e la Santa Sede.
Furono due: alcune leggi del Senato Veneto lesive del diritto
della Chiesa a possedere liberamente beni temporali, e la carcerazione di
due sacerdoti, un canonico vicentino e l'abate di Nervesa (degni di star in prigione), che la Santa Sede volea fossero consegnati al
Nunzio Pontificio. Chi fomentava queste
opposizioni della Repubblica ai diritti della Chiesa era il famoso frate Paolo Sarpi col suo confratello Fulgenzio. Dopo molte ed
inutili trattative il pontefice Paolo V
nel concistoro tenuto il 16 aprile 1606 interrogò ciascuno dei cardinali se si
avesse a ricorrere a misure coercitive: quaranta di essi risposero
affermativamente; il nostro vescovo Agostino
Valier, non si oppose direttamente a questi rimedi estremi, ma solo propose
una dilazione, anche a fine di non provocare mali maggiori: a lui aderì in
qualche modo il card. Delfino
vescovo di Vicenza. Ciò non ostante Paolo V nel giorno seguente fece
pubblicare in Roma la bolla, nella quale si intimava la scomunica contro il Doge ed i Senatori, e l'interdetto su tutta la Repubblica, se entro 24 giorni non
si ritirassero le leggi lesive dei diritti della Chiesa e non si consegnassero
al Nunzio i due sacerdoti carcerati.
La notizia della bolla da
Roma fu tosto divulgata in Venezia
e in tutto il Dominio della Repubblica
e, massime a Venezia, sollevò un
vero pandemonio. Subito furono emanati ordini severissimi ai Rettori delle
città, ai vescovi, ai superiori degli ordini religiosi, ai parrochi, ecc., nei
quali sotto la minaccia di gravissime pene si proibiva la pubblicazione di
quella bolla ed anche la semplice notizia della medesima: si prescriveva pure
che in nessuna chiesa si osservasse l'interdetto, ma si continuasse a celebrare
le messe e tutti gli altri divini uffici, a predicare, a confessare, a fare le
esequie, ecc. ecc.: e tutto ciò sotto minaccia di confisca dei beni, di
prigionia e forse anche di pena capitale.
Diremo di un fatto particolare. Un vicario di Padova, al quale il podestà intimava
questa proibizione, avendo detto che sopra ciò farebbe quello che gli sarebbe
inspirato dallo Spirito Santo: ed io,
rispose il podestà, vi fo
sapere che lo Spirito Santo ha già inspirato al Consiglio dei X di far appiccare
tutti quelli che non obbediranno(52). E di simili fatti ne
ricorrono ovunque.
Verso la fine di aprile fu trovato a Verona scritto sui muri Viva
il Papa. Fu un delitto enorme. Il Consiglio dei X, « stimando per ogni rispetto grandemente
considerabile l'accidente di persone che avevano avuto ardire di promuovere
novità di tanto scandalo ordinò si cercassero e si punissero grandemente i rei»(53). Inoltre per deliberazione presa in Senato l'8
maggio fu spedito al Papa un protesto,
sottoscritto da sette teologi, ma composto dal Sarpi; in cui si dichiarava esser nullo il decreto pontificio: il protesto fu tosto
pubblicato in tutte le città dello Stato, anche a Verona.
La sentenza di scomunica e di interdetto, proferita nel
concistoro il 16 aprile 1606, pubblicata in Roma il giorno seguente, avea
vigore per l'11 o 12 maggio: fu ritirata
il 21 aprile 1607(54).
Lasciando a parte la scomunica al Doge ed altri magistrati, a noi interessa un punto solo; quello,
cioè, di sapere come si diportò la città e diocesi di Verona riguardo all'interdetto; e come questo con tutte le sue
conseguenze fu osservato, nonostante le minaccie e le esecuzioni inflitte ai
sacerdoti e religiosi, che non celebrassero la messa e gli altri offici, ed ai
fedeli che per ubbidire al Papa si astenessero dall'intervenire alle sacre
funzioni.
Il documento principale per questa ricerca dovrebbe essere
la Reletio, compilata
durante l'interdetto, a nome del
vescovo, ed a scopo di riferire lo stato della chiesa veronese.
Ma essa, oltrecchè ha almeno due incisi indecifrabili, usa
forme di dire troppo generali ed ambigue, e quindi insufficienti a farci
conoscere se e fino a qual punto la chiesa veronese osservasse l'interdetto.
Parlando di sè il vescovo dice: « Ipse in primis ... religione et debita oboedientia erga sanctam
Apostolicam Sedem flagrans, in magnum rerum discrimen adducti sumus ». Dice che di simile spirito erano i sacerdoti
veronesi e tutto il clero; e soggiunge: « omnes
fere, quantum fieri potest, parere nituntur interdicto, quod magna ex parte
sequuntur ».
Aggiunge che tutti, compreso il vescovo « ob illatam vim et metum magno moerore
afflicti » vorrebbero ubbidire; ma non lo possono fare « sine magno vitae discrimine ».
Quanto al popolo, « qui
singulari Dei beneficio semper catholicus exstitit », dice che si mantiene
fermo nella vera religione, se si adopera ogni mezzo per evitare il pericolo
che esso perda irreparabilmente la fede (qui è nel testo una lacuna), ed
aggiunge « pietatis opera, ut ante,
vigent ». - Che cosa possiamo ricavare di certo da questa relazione sull'
osservanza dell'interdetto?
Cominciando dal vescovo, parrebbe che egli lo avesse
osservato rigorosamente, attesa la professione dell'ubbidienza dovuta alla Santa Sede: ma simili professioni
generiche le faceva in alcuni atti di questo tempo anche la Serenissima. Secondo le teorie diffuse
in quell' epoca, altro era ubbidire alla Santa
Sede, altro era ubbidire al papa
Paolo V. Ma v'ha di più. In un ordine dato il 16 agosto di quell'anno ai rettori di Verona il Senato imponeva « che il vescovo di Verona, del quale la Repubblica era paga e
contenta, consegnasse ai rettori qualsivoglia lettera da Roma o dai vescovi
ai confini »(55). Veramente
quell'elogio al nostro vescovo fa sospettare che di lui non dovesse esser paga
e contenta la Santa Sede.
La Relatio
non ci dice se osservassero l'interdetto i canonici della cattedrale.
Secondo un documento dei primi giorni di maggio parrebbe che nella cattedrale
l'interdetto fosse osservato secundum
quid.
Il padre Ludovico Gagliardi superiore dei Gesuiti di S. Sebastiano, chiamato
presso i rettori di Verona a
dichiarare se i Gesuiti intendessero
ubbidire al Papa, oppure agli ordini
del Senato, rispose che egli,
appoggiato ad una decretale di Clemente
V, senza scrupolo, nell' osservanza dell'interdetto avrebbe in tutto
seguito l'esempio della cattedrale; ma il di appresso, avendo ricevuto lettera
del P. Provinciale con ordini precisi del P. Generale e di Sua Santità, si
protestò che egli ed i suoi avrebbero a qualunque costo obbedito alla decisione
di Roma(56). Dunque l'osservanza
dell'interdetto nella cattedrale non era conforme alla decisione di Roma:
tutt'al più sarà stata parziale, forse limitata ad alcune esteriorità più
solenni. Di più non sappiamo.
Così nulla sappiamo dei sacerdoti delle altre chiese. Ma
difficilmente si può sperare che essi osservassero perfettamente l'interdetto,
quando non veniva loro il buon esempio dall'alto.
Una Relazione di Giulio
Contarini letta al podestà il 17 luglio diceva: « I Veronesi (forse più laici, che ecclesiastici), sempre fedelissimi
alla Repubblica, raggirati dai Gesuiti (erano partiti da Verona il giorno 11 maggio) non manifestarono quella
ilarità et quel fervore che altre volte ha accompagnato le deliberazioni della
Serenità Vostra »(57). Il Dolfin scriveva: « Brescia e Bergamo
sono le città che ci travagliano più delle altre »(58).
I Gesuiti partirono
da Verona il giorno 11 maggio,
colpiti dal bando perpetuo della
Repubblica, costretti a lasciare qui tutti i loro beni, senza facoltà di
portar seco neppure uno stecco delle
cose di casa ... pronti a partire anche in
camisa, piuttosto che mancare all'obbedienza dovuta al Papa(59)
I Cappuccini ed i
Teatini partirono il giorno 16, per
non trovarsi nella necessità di cessare dalla celebrazione della messa e degli
altri divini officii.
Dunque gli altri religiosi, Francescani, Serviti, Carmelitani, Camaldolesi ecc., rimasero nei
loro conventi, forse riducendo un po' le solennità delle sacre funzioni.
La Relatio
aggiunge che « postea nonnulli
monasticorum Superiores, quidam Parochi aliique Presbysteri, tam civitatis,
quam dioecesis, clam aufugerunt ». Per l'assenza di questi il vescovo
trasferì nella casa del seminario il ginnasio, che si solea aprire nel palazzo
vescovile.
L'ultima notizia che ci dà la Reletio, è: « Et cum absint Reverendi patres Jesuitae,
alii electi sunt praeceptores, viri litterati, qui omnia eorum studia ad
Clericorum Seminarii utilitatem conferunt, ac nulla in re illis desunt, in
reliquo nil est immutatum. - Oremus omnes Deum optimum etc. ». Così termina
la Relatio.
L'interdetto dopo varie trattative, specialmente per
l'interposizione del re di Francia
Enrico IV, fu ritirato e cessò il giorno 21 aprile dell'anno 1607.
Nonostante moltissime ricerche intorno al contegno della
nostra città e diocesi, non abbiamo trovato altri particolari sulla maggiore o_
minore osservanza delle proibizioni date dalla Santa Sede(60).
A giustificare in qualche modo l'adattamento d'una grande
parte del nostro clero secolare e regolare alle proibizioni date dalla
Serenissima di cessare dalle sacre funzioni, osserviamo che quelle proibizioni
erano sancite con pene gravissime e perfino con la pena di morte. Ora qui non
si tratta di negare la fede od il dovere di ubbidire agli ordini della Chiesa:
si trattava della inosservanza di una legge determinata della Chiesa, nel qual
caso i teologi con Sant'Alfonso insegnano
che secondo l'intenzione stessa del legislatore « lex ecclesiastica cum gravi incommodo non obligat ». Certamente
agirono meglio i Gesuiti,
protestando francamente che essi ubbidirebbero agli ordini di Roma anche sotto
la minaccia della pena di morte intimata loro dal doge(61)(f).
NOTE
49 - CANOBBIO, Breve
trattato sopra le Accademie (Venezia 1571).
50 - Alla morte
del Valier questi ne tenne presso gli accademici uno splendido elogio funebre.
51 - CAPPELLETTI,
I Gesuiti e la Repubblica di Venezia
... (Venezia 1873); CORNET, Paolo V e la Repubblica Veneta (ediz.
Venezia 1873). Se talvolta citeremo la
prima opera e la veneta edizione della seconda, lo faremo di seconda mano.
52 - BERCASTEL, Storia
del cristianesimo. Libro LXXI, Num. 282.
53 - CORNET, Paolo V e la Repubblica veneta. Docum. 25,
pag. 36 (Edizione di Venezia 1873).
54 - La Congregatio
in Concistorio segreto 15 Aprilis 1606 è riportata letteralmente da
ROMANIN, Storia documentata dalla Repubblica Veneta. Vol. VII, Docum.
I pag. 561 - 568.
55 - CORNET, Paolo
V e la Repubblica veneta, pag. 127, Nota 8 (Ed. Vienna 1859).
56 - CAPPELLETTI,
I Gesuiti e la Repubblica di Venezia. Docum. 29, 30.
57 - CORNET, Op.
cit., Append. Num. XVII, pag. 322
(Ed. Vienna)
58 - CORNET, Op.
cit., Docum. 80, pag. 112 (Ed. Venezia).; dunque tra queste non era Verona.
Quanto ai religiosi in generale è troppo eloquente una
comunicazione del Senato all'ambasciatore presso la Corte Cesarea, data il 14
giugno: « Abbiamo trovato ogni maggiore obbedienza e prontezza nei nostri
religiosi, eccettuati li Cappuccini, Gesuiti e Teatini » CORNET, Op. cit; pag. 118 (Ed. Vienna).
59 - CAPPELLETTI,
I Gesuiti... Docum. 10.
60 - Se qualcuno
potesse e volesse comunicarci altre notizie, le pubblicheremo, come
supplemento.
61 - CAPPELLETTI,
I Gesuiti..., Docum. 23, 36, ecc.
ANNOTAZIONI AGGIUNTE AL CAP. IX (a cura di Angelo Orlandi)
a) Recentemente
sono state pubblicate le relazioni dei rettori veneti in Terraferma, che, per
tutto il periodo del dominio veneziano, forniscono utili informazioni e
specialmente per questo secolo, sulle condizioni civili ed economiche e qualche
volta anche su aspetti religiosi. ISTITUTO DI STORIA ECONOMICA - UNIVERSITÀ DI
TRIESTE, Relazioni dei Rettori Veneti in Terraferma. IX: Podestaria e
Capitanata di Verona (A cura di Amelio Tagliaferri) Milano, 1977, pp. LXXXVIII-640.
(Quando ci servirà, d'ora in poi si citerà: Relazioni dei Rettori, IX,
pp.).
b) Non si tratta
di Correzzo e Pradelle di Gazzo Veronese, che non appartennero mai a Mantova,
ma di Correggioli presso Ostilia e Pradello vicino a Villimpenta. Cf. F.
SEGALA, Correzzo. Profilo di storia locale, Verona 1978, pp. 72-73.
c) La Relatio sul
dato di 10 monasteri e conventi nella diocesi non pare esatta; vi era infatti
un convento di Francescani a Legnago, vi era quello dei Carmelitani a S. Felice
del Benaco e forse sussistevano ancora quelli dei Domenicani a Soave e a Porto
di Legnago. Per i primi si vede: C. BOSCAGIN, Storia di Legnago, Verona
1966, pp. 225-228; S.M. PIZZOL, Il
Santuario del Carmine di S. Felice del Benaco, Vittorio Veneto 1962, p. 80.
d) Le Orsoline
erano certamente presenti in Verona nel 1570, quando il vescovo Agostino
Valier diresse loro una lettera. Le regole furono dallo stesso vescovo
approvate nel 1586. A. VALIER, Lettera alla Compagnia di S. Orsola della
città e diocesi di Verona, Verona 1570; Regola della Compagnia delle
vergini di S. Orsola fatta nella magnifica città di Verona l'anno del Signore 1586,
Verona 1594, pp. 26.
e) Per le vicende
degli ospedali e per l'assistenza agli esposti si vedano: V. FAINELLI, Storia
degli ospedali di Verona dai tempi di San Zeno ai giorni nostri, Verona
1962; G.F. VIVIANI, L’assistenza agli « esposti »nella provincia di
Verona (1426-1969), Verona 1969.
f) Si può
ritenere che l'interdetto fu osservato solo parzialmente, cioè solo limitando
le solennità esterne. Il 27 luglio 1606 il podestà di Verona Giulio Contarini
presentava a Venezia la sua relazione, in cui del vescovo di Verona diceva: «
... non ha da dubitar punto la Serenità Vostra che esso Reverendissimo Vescovo
non sia per mostrarsi sempre devotissimo et ossequentissimo figliuolo di questa
Repubblica, potendo io per il vero confessar non solamente di non aver avuto
con sua Signoria Reverendissima alcuna minima difficoltà o contesa né di
giurisditione né d'altro, ma che in queste turbolenze ecclesiastiche ha usata
tanta prudenza et circonspettione che con l'esempio della sua chiesa cathedrale
si sono confirmate anco le altre chiese et monasteri nella ubidienza della
Serenità Vostra, appresso la quale anco per questo rispetto egli viene a
meritar gran laude », Cf. Relazioni dei rettori veneti IX, p. 172.
Anche successivamente il vescovo Alberto Valier sarà
elogiato per questa piena soggezione alla Repubblica. Vi è il sospetto
che anche la Relatio così ampia e minuziosa sia stata preparata anche in
vista di influire su Roma, dimostrando che un popolo così ricco di elementi
cristiani non meritava il rigore dell'interdetto; e forse voleva far riflettere
anche i magistrati della Repubblica.
Fonte: srs di Giovanni Battista Pighi, da CENNI
STORICI SULLA CHIESA VERONESE, volume II.
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