sabato 8 gennaio 2011

Verona: Il santuario romano a Minerva del Monte Castelon presso Marano in Valpolicella.

Monte Castelon:  Chiesa di Santa Maria Valverde

IL SITO Il Monte Castelon, che raggiunge l'altezza massima di 591 m s.l.m., divide la valle di Fumane da quella di Marano. Nonostante la modestia del rilievo esso  spicca nel dolce paesaggio collinare che caratterizza la Valpolicella, dominando dall'alto l'intero fondovalle(1)

La storia

Quest' area, per la sua posizione strategica e suggestiva, ha da sempre destato l'attenzione dell'uomo come confermano i numerosi rinvenimenti di materiale archeologico segnalati nella zona che documentano la frequentazione del sito già a partire dal tardoneolitico con sequenze che, sebbene talvolta lacunose, raggiungono anche il medioevo(2). Tali attestazioni interessano in particolare la sommità del dosso, dove sono stati recuperati manufatti di diverse epoche e dove sorgeva il castello di Marano, costruito nel corso del X secolo e definitivamente distrutto, come sembra probabile, nel XIV(3). Lungo il versante orientale, che si affaccia verso il centro di Marano ed è caratterizzato da un pendio, oggi terrazzato, che scende verso valle, sono stati invece individuati i livelli antropici più antichi inquadrabili tra il Tardo Neolitico e l'età del Bronzo. Il recupero di materiali caratteristici del periodo del Bronzo  Finale (XI X secolo a.C.) ha fatto anche ipotizzare, almeno limitatamente alla parte superiore del monte, l'esistenza di un abitato d'altura, o castelliere, cOSI come del resto riscontrato sui monti Lessini(4).
Poco al di sotto della cima del Castelon, costruita su di un poderoso terrazzo artificiale posto a una quota di 537 m s.l.m., si trova la chiesa di Santa Maria Valverde o di Minerbe, già attestata a partire dal Quattrocento(5). La denominazione “di Minerbe”, che si alterna a quella topo grafica di “Valverde”, costituisce l'antico nome della località ed è presente nei documenti scritti a partire dal 1184 nella forma Menervii(6). Il nome è già stato in passato messo in relazione al culto della dea romana Minerva (7 )

La conservazione nei toponimi di tali preesistenze è un fenomeno assai frequente.  Sono infatti numerosi i casi in cui il nome di una località è riconducibile a una divinità romana(8). Del culto però solo raramente si ha un riscontro anche nella documentazione archeologica ed epigrafica. Una situazione fortunata in tal senso, limitando la casistica ai territori vicini alla Valpolicella, si registra presso Manerba, sulla sponda orientale del lago di Garda. Qui il rinvenimento di diversi altari riconducibili a Minerva conferma l'esistenza di un luogo di culto a essa dedicato(9).  La struttura del santuario non è stata ancora individuata; si ritiene però che dovesse trovarsi in corrispondenza della Rocca, un piccolo promontorio proteso verso il lago, dove sono stati localizzati i resti di un edificio di età romana(10).
Anche in Trentino, a Pantè di Povo, piccola frazione posta a nord-est del centro urbano di Trento (Tridentum), esiste una località significativamente denominata Minerf(11), da cui provengono tre interessanti testimonianze epigrafiche. Si tratta di un altare risalente al II-III secolo d.C., in cui la devozione a Minerva è chiaramente esplicitata(12), e di due lastre frammentate, datate al I-II secolo d.C.(13), nelle quali sono ricordati i lavori di restauro di un edificio sacro, probabilmente un tempietto o un' edicola(14)

La scoperta

L'ipotesi di un' eventuale relazione tra il toponimo Minerbe, segnalato nei pressi del centro di Marano, e l'antico culto romano fu avanzata, già nella prima metà dell'Ottocento, dal conte Giovanni Girolamo Orti Manara, figura di spicco del veronese e studioso di antichità locali(15).
Il conte, visitando nel 1835 la zona e avendo osservato la presenza di diversi manufatti architettonici di età romana reimpiegati in alcuni edifici, imbattutosi nella chiesa eponima si convinse infatti dell' esistenza di un luogo sacro dedicato a Minerva(16).

Nel tentativo poi di individuare la provenienza delle antichità viste sia a Marano, in particolare la colonna scanalata allora esistente nel cimitero(17), sia a Santa Minerba, come era denominata popolarmente questa località(18), e che tutti dicevano provenienti dal Monte Castelon(19), condusse un'accurata ricerca nella zona, allora come oggi intensamente coltivata a ciliegio(20).
Egli visitò dapprima il sito della chiesa di Santa Maria Valverde, in cui rilevò la presenza di un sarcofago romano inserito nelle murature(21), e la sommità del dosso, dove vide alcuni resti del castello medievale, oggi scomparso, ma nulla che potesse essere ricondotto all'epoca romana. Per tale ragione escluse che il tempio dovesse trovarsi in questi siti. Poi, con la collaborazione di un abitante del luogo, trovò finalmente l'area.

Della sua appassionata ricerca ci riferisce egli stesso in una relazione apparsa nel 1836 nel Bullettino dell'Istituto di Corrispondenza Archeologica(22) che però, a causa dell' eccessiva lunghezza, venne purtroppo pubblicata per esigenze editoriali in forma abbreviata(23). In una nota redazionale posta a margine del testo è infatti spiegato che, dato il poco spazio a disposizione, non era possibile dare completa edizione del manoscritto, qui ridotto ai soli dati di natura strettamente archeologica (24).

Le indagini permisero di riportare in luce delle strutture murarie, alcuni manufatti architettonici e diversi reperti mobili. Il rinvenimento di una decina di dediche a Minerva(25) confermò che si trattava di un luogo di culto dedicato proprio a questa divinità. Una breve nota di Bartolomeo Borghesi(26) seguiva nella rivista l'articolo dell'archeologo veronese; l'illustre antiquario ed epigrafista romano commentando le iscrizioni rinvenute, scriveva: «Non dubito della scoperta fatta dal ch. Orti di un antico tempio dedicato a Minerva, venendo autenticata non tanto dalle iscrizioni da lui rinvenute, quanto dal titolo che conservava la vicina chiesuola di S. Maria supra Minervam».

Il culto di Minerva

Sulla Minerva adorata in questo luogo si è già scritto molto(27). Mi limito quindi solo a ricordare che è opinione pressoché unanime tra gli studiosi che nella dea romana si celi una divinità indigena.  Secondo alcuni dovrebbe trattarsi di una divinità di tradizione celtica, mentre secondo altri sarebbe riconducibile al sostrato retico che caratterizza, diversamente dalla vicina città di Verona, il pagus Arusnatium(28).
Il santuario, che sorgeva isolato in una posizione dominante sul fondovalle, serviva probabilmente l'intera comunità del pagus Arusnatium e doveva avere un'importante funzione come punto di riferimento e d'identificazione della comunità rurale locale, in quanto garantiva, pur all'interno di forme ormai prettamente romane, la conservazione di tradizioni religiose locali che si erano sviluppate nei secoli precedenti.

Alla Minerva locale erano sicuramente attribuite doti profeti che e sananti come confermano anche le formule dedicatorie.(29).  Tra gli ex voto recuperati da Orti Manara durante le sue indagini si segnala uno zoccolo in pietra(30), oggi disperso, forse offerto, in analogia con le forme anatomiche di piedi che si trovano con una certa frequenza nei santuari, in relazione alla richiesta di guarigione da un'affezione locale o, data la funzione locomotoria degli stessi, quale ex voto legato ai viaggi e agli spostamenti (31).

 Ara Soardi 

Un'interessante testimonianza dei culti che si svolgevano nel tempio è costituita anche dall' ara Soardi. Si tratta di una base d'altare figurata, rinvenuta nell'area del santuario(32) e ora conservata presso il Museo Archeologico di Verona(33), dove sono rappresentate due scene di sacrificio. Nella prima l'offìciante è un sacerdote affiancato da un servo, probabilmente un camillus, mentre nella seconda, in parte mutila, il rito è praticato da una flaminica(34).


Ara  Soardi, la flaminica

Alle pratiche cultuali e all' esercizio dei sacrifici dovevano servire anche due altari anepigrafi in tufo e un coltello (35), anch' essi rinvenuti da Orti durante le ricerche archeologiche.

Il fanum

Tra le diverse dediche rinvenute nell'area del santuario una, databile all'età augustea-tiberiana, risulta di particolare interesse in quanto in essa sono ricordati i curatores fanorum e la pecunia fanatica(36).  In questo documento il tempio viene quindi indirettamente definito fanum.

In alto. Coltello in ferro rinvenuto da Girolamo Orti Manara (RAZZETTI,
Monumenti romani e medioevali…. , tav. 1). 

In basso. I due altari anepigrafi in tufo rinvenuti da Girolamo Orti Manara (RAZZETTI, Monumenti romani e medioevali .., tav. 1).


Nella civiltà latina arcaica il termine, che deriva dal verbo fari cioè parlare, indicava uno spazio liberato per intercessione dei pontefici affinché la divinità potesse avere il proprio tempio, che però non era inteso come edificio formale di culto (37). Da questo si può quindi evincere che con tale parola si era soliti indicare propriamente l'area in cui sorgeva il complesso sacro.
Cicerone utilizza poi il termine fanum nel caso di santuari estranei alla tradizione classica(38),  e anche Svetonio, nella Vita di Cesare, distingue il templum dal fanum(39).
Vitruvio(40) sembra invece stabilire tra i due termini la medesima distinzione che c'è tra recinto sacro e cella, anche se poi nelle fonti letterarie del  periodo tardo repubblicano e della prima età imperiale lo si trova impiegato per definire piccoli edifici di culto.
In alcuni documenti ufficiali, come la lex Ursonensis (41) o il Codex Theodosianum(42), esso viene usato invece nell'accezione propria di santuario extraurban(43), definizione quest'ultima che trova corrispondenza anche nel nostro caso.
Dalle fonti letterarie ed epigrafiche non risulta inoltre che la parola fanum fosse indicativa di una specifica tipologia architettonica(44). Dibattuto è anche il significato di pecunia fanatica con la quale secondo alcuni era definita la somma destinata alla cura specifica di santuari oracolari e salutari, mentre secondo altri era il denaro della cassa del tempio(45)

LA RICERCA DEL SITO

Le indicazioni topo grafiche riferite da Orti Manara sono troppo sintetiche per permettere oggi di riconoscere con precisione l'area in cui vennero condotte le indagini archeologiche. Dalla lettura della relazione si apprende solo che si trovava ai piedi del Castelon, lungo il suo versante orientale e in prossimità di un grande macigno, fatto successivamente demolire dall'archeologo veronese. Purtroppo le modifiche imposte al paesaggio agrario e il probabile collasso subito dalle strutture messe in luce, che non furono successivamente sottoposte a interventi di restauro e consolidamento, hanno completamente cancellato le tracce del santuario che, stando a quanto sostenuto da Olindo Falsirol, erano visibili ancora nel 1929 (46).
Importante per l'individuazione precisa del sito è una nota di quest'ultimo studioso, riportata anche da Lanfranco  Franzoni, che dice «si trovava a sinistra di chi, scendendo dalla chiesetta di S. Maria, si diriga a S. Rocco per la stradetta che percorre il versante meridionale e poi orientale del monte.
Precisamente sorgeva un poco addentro dove ora è la coara, spesso ridotta a cavedagna, che viene imboccata dalla processione quando questa, nel giorno della festa della Madonna, gira attorno al monte stesso»(47).  
Si tratta probabilmente della piccola stradina che ancora oggi, partendo dall' area retro stante la chiesa costeggia in quota l'intero dosso dirigendosi verso il borgo di San Rocco. È lungo questo tratto che dovrebbe quindi trovarsi il luogo in cui si svolsero le ricerche. L'area, ancora oggi scarsamente edificata, non è molto estesa ed è probabile che accurate indagini condotte direttamente sul posto possano portare in futuro a individuare nuovamente i resti murari (48).

Le indagini archeologiche condotte da Orti Manara

L'estrema sinteticità, che caratterizza tutta la relazione di Orti Manara, risulta oggi estremamente penalizzante anche per una corretta e completa analisi dei risultati della campagna di scavo. Inoltre, sebbene all' archeologo veronese vada senz' altro riconosciuto il merito di avere per primo promosso un'indagine scientifica in questo sito, egli condusse la ricerca secondo metodi, oggi non più accettabili, propri dell'epoca, che prevedevano la sola individuazione delle strutture in muratura e dei reperti mobili particolarmente significativi.
Nessuna attenzione veniva invece posta alla strati grafia del terreno determinando in tal modo la perdita di molti dati scientifici, necessari per uno studio più approfondito, insieme a molti oggetti che non vennero recuperati. La scomparsa irrimediabile di tali informazioni impedisce oggi l'esatta lettura dello sviluppo e della cronologia del complesso architettonico messo in luce.

L'edificio individuato lungo il versante orientale del Castelon è stato sommariamente descritto da Orti in otto sintetici punti:

«1. Gli avanzi d'un acquedotto scoperto, che passa tra il monte stesso e il tempio, della larghezza di un metro.
2. Un selciato di grossi marmi.
3· L'area del portico che circondava il tempio, a riserva del lato che guarda a monte. Il suolo era tutto a segmento bianco della larghezza di metri 3 cent. 10.
4. Un sedile di muro coperto da sottili lastre di marmo, largo cento 43·
5. Una cameretta, che non potei rilevare a quale uso avesse potuto servire, della larghezza di met. 1 cent. 40, e della lunghezza di met. 1cento 70.
6. Parecchi avanzi del muro del tempio della grossezza di cent. 46.
7- Area del tempio con pavimento segmentato solidissimo bianco e rosso della lunghezza di met. 8 cento 50.
8. Un piccolo avanzo d'intercolunnio murato di ordine dorico primitivo, che costituiva il portico dal lato interno. Delle sue colonne non ne rinvenni nessuna di perfette, l'intercolunnio però era di quattro diametri. Il muro che chiudeva gl'intercolunnii era costituito in due modi. Dal piede della colonna sino al principio della scanalatura era fatto alla rinfusa, e dalla scanalatura in su col metodo reticolato» (49 ).

Per nostra fortuna lo studioso fece eseguire anche alcuni disegni sia delle strutture sia dei reperti. Tali disegni, che non appaiono nella pubblicazione, furono commissionati al pittore mantovano Giuseppe Razzetti (50 )e sono attualmente conservati presso la Biblioteca Civica di Verona. Si tratta di due tavole simili realizzate a china e a matita, una, già apparsa nel volume di Franzoni(51),  contenuta nel ms. 868 (52) e una, ancora inedita, nel ms. 1938 (53). In entrambe sono riprodotte, con alcune differenze, una pianta dei resti murari, le iscrizioni e alcuni degli oggetti rinvenuti.  A differenza del ms. 868, il ms. 1938, costituito da due sole tavole grafiche con relativo elenco di cui una dedicata esclusivamente ai reperti dello scavo condotto da Orti Manara sul Monte Castelon, appare assai meglio documentato.
A differenza del primo i resti del tempio sono riprodotti in scala, con una migliore tecnica grafica nonché una maggiore attenzione per i dettagli. Al disegno sono stati successivamente aggiunti a matita dei numeri - da 1 a 5 - per i quali non esiste alcun riferimento ma che, limitatamente almeno ai primi quattro, trovano puntuale corrispondenza nell' elenco fornito da Orti Manara nella sua pubblicazione (54). A matita è anche indicata la chiusura di due muri. Non è noto purtroppo chi sia l'autore di queste aggiunte.

LE STRUTTURE RINVENUTE






Bacino di fontana custodito nell'Ottocento presso Castel Soardi (RAZZETTI, Monumenti romani e medioevali…, tav. 2). 


Come ha in precedenza sottolineato Franzoni(55), al quale si deve già un'edizione dettagliata della scoperta, né la relazione né i disegni permettono oggi in ogni caso di farci un'idea chiara e completa di quanto effettivamente messo in luce né tantomeno di fornire un'indicazione attendibile in merito alla tipologia architettonica adottata per l'edificio rinvenuto. Il mio tentativo di ricerca non intende quindi risolvere i numerosi problemi d'interpretazione posti dalle scoperte del Monte Castelon, ma vuole semplicemente riproporli nuovamente all'attenzione degli studiosi attraverso la rilettura dei pochi dati a disposizione.

Il tratto «d'acquedotto scoperto» individuato nel lato verso monte, definito semplicemente intercapedine da Razzetti(56), e largo 1 m (circa 3 piedi e mezzo) era evidentemente un canale.
Nella sezione dell'edificio contenuta nel ms. 1938 si può osservare che tale canale correva parallelo al lato a monte, a ridosso del quale si trovava una spalletta in muratura, ed era ricavato direttamente nella roccia; delle lastre di pietra dovevano servire da copertura. Data la notevole larghezza penso sia da escludere che possa trattarsi di parte di un semplice sistema di smaltimento delle acque piovane, che l'area doveva comunque prevedere. È probabile che la sua funzione fosse effettivamente quella di canale per adduzione dell'acqua.

La presenza di punti d'acqua in corrispondenza di luoghi di culto è un fatto abbastanza diffuso, in particolare in relazione alla liturgia e ai riti che si praticavano o ai sistemi d'irrigazione connessi a giardini con funzione rituale talvolta compresi nelle aree sacre(57).
Nel caso specifico del culto di Minerva va ricordato che esso è spesso associato alla presenza di sorgenti, anche con proprietà terapeutiche (58).
Anche nel tempio di Marano l'acqua potrebbe quindi avere svolto un ruolo di particolare rilievo(59.  Attraverso una condotta era possibile portare l'acqua, captata da una delle numerose piccole sorgenti presenti nella zona(60), in prossimità del luogo di culto e alimentare quindi un sistema d'irrigazione e un punto d'acqua, come per esempio una fontana o una vasca, entrambe attestate sia nei santuari urbani sia in quelli extraurbani e normalmente collocate nell'area antistante l'ingresso (61)
La presenza di oggetti di questo tipo in contesti sacri è stata messa in relazione ai riti purificatori che si svolgevano all'esterno del tempio e ad alcune pratiche religiose dei sacerdoti, come la preparazione delle vittime destinate ai sacrifici(62).

Data la frequenza con cui questi manufatti erano diffusi nei santuari è possibile che la grande vasca di tradizione ellenistica (labrum) (63) riprodotta da Razzetti(64), di cui si ignora la provenienza e custodita inizialmente presso Castello Soardi insieme a diversi reperti rinvenuti nel santuario, sia stata trovata proprio in prossimità dell'area sacra(65).  
Date le notevoli dimensioni - il diametro è di 157 cm - è infatti probabile che tale pezzo, il cui rinvenimento costituisce un evento eccezionale, fosse in origine collocato o nel giardino di una residenza signorile particolarmente prestigiosa (66), oppure in corrispondenza di una struttura pubblica quale potrebbe essere proprio un tempio. La fontana è costituita da un catino di forma circolare, decorato con un motivo a baccellature e sostenuto da tre pilastri sormontati da un capitello corinzio.
Nel complesso essa richiama, sebbene in forma assai più semplificata, un pregevole esemplare proveniente da villa Adriana e ora conservato al Louvre (87)

La ricca documentazione pittorica dell'area vesuviana offre un interessante esempio relativo a una fontana a catino circolare come la nostra situata in prossimità di un luogo di culto. Su un frammento di affresco proveniente dalla villa di Agrippa Postumius a Boscotrecase, ora conservato presso il Museo Nazionale di Napoli e datato all'ultimo decennio del I secolo a.C. (68),  è raffigurata una suggestiva scena l paesaggio rurale dove in primo piano appare un piccolo tempietto davanti al quale, posta alla sommità della scala d'accesso, si trova una fontana collocata su di un alto basamento (69)

Il selciato in grossi marmi, in merito al quale lo studioso veronese non indica alcun riferimento topografico o metrico, era forse da riferire ai resti di una strada lastricata o, più probabilmente, di un cortile antistante il tempio stesso, dove normalmente si raccoglievano i devoti che da qui potevano assistere ai riti dei sacerdoti.

Orti Manara afferma poi di avere messo in luce, con l'esclusione del lato a monte, «l'area del portico». Il pavimento di quest'ultimo era costituito da un lastricato di pietra bianca (70), probabilmente un calcare locale. La forma delle lastre, di cui non si fa cenno nella relazione, risulta dal ms. 1938 nel quale si può chiaramente vedere che era quadrangolare. A questo punto non si può fare a meno di rilevare un'incongruenza in quanto tale lastricato è posto da Razzetti proprio in corrispondenza del lato a monte, dove si trovava anche il canale, mentre risulta assente o incompleto sugli altri lati.

Pianta dell' edificio individuato da Girolamo Orti Manara sul Monte Castelon (RAZZETTI, Monumenti ed iscrizioni... ,   


Difficile è stabilire la posizione del «sedile di muro», descritto subito dopo. Osservando le due tavole di Razzetti si riconosce in corrispondenza del fronte esterno di uno dei lati brevi della cella, una piccola struttura rettangolare della larghezza di 45 cm (un piede e mezzo) posta in prossimità dello spigolo a monte, che potrebbe forse corrispondere a tale sedile. Oscura rimane anche la funzione di questo elemento per il quale non mi sono noti confronti.

I disegni indicano che il lato maggiore della cella, lungo 8,50 m (28 piedi e tre palmi circa) (71), correva parallelo al fossato; il muro, dello spessore di 46 cm (circa un piede e mezzo), dopo il punto d'incontro con l'altro perimetrale proseguiva oltre per un piccolo tratto (72); il lato breve doveva misurare invece, stando  almeno al ms. 868, 7,50 m (circa 25 piedi e un palmo) (73).  Il pavimento era costituito da lastre bianche e rosse, evidentemente di calcare locale; né lo studioso né il grafico chiariscono se questo presentava un ordito regolare e se le pietre di colore diverso si alternavano secondo una progettualità.

All'interno della cella, si trovava un piccolo vano il cui lato maggiore misurava 1,70 m (cinque piedi e tre palmi circa) e quello minore 1,40 m (quattro piedi e tre palmi circa); quest'ultimo era interrotto lasciando spazio per un ingresso largo 73 cm (due piedi e due palmi circa).

Pianta  dell’edificio. 12; RAZZETTI, Monumenti romani e medioevali ... , tav.1 ).


Particolarmente interessante è poi la successiva descrizione del tratto di muro scoperto nel colonnato. Esso era scandito da semicolonne, del diametro di circa 46 cm (poco più di un piede e mezzo) che poggiavano prive di base direttamente sullo stilobate; a ciascuna semicolonna corrispondeva una lastra, mentre una libera si trovava nello spazio dell'intercolumnio.
La larghezza di quest'ultimo era di 4 diametri. Fino a un'altezza di 154 cm le colonne erano lisce e il muro era realizzato, sempre secondo Orti Manara, «alla rinfusa» ma in realtà era costituito da blocchetti rettangolari abbastanza regolari disposti in corsi orizzontali; nella parte superiore invece, dove iniziava la scanalatura delle colonne, l'opera muraria proseguiva secondo la tecnica dell'opus reticulatum, come appare molto chiaramente anche dai rilievi di Razzetti.

Si tratta di una tecnica edilizia che, com' è noto, risulta assai diffusa nell'area centro italica a partire dal I secolo a.c. e fino a tutto il I d.C., ma è rara in Italia settentrionale (74).  Si segnalano infatti finora solo alcune testimonianze individuate proprio a Verona(75), in particolare nel teatro, in un muraglione d'argine posto tra il  ponte Postumio e il Ponte Pietra (76) e in un edificio, forse un magazzino, messo in luce in via Ponte Pietra(77), incerta è invece la notizia relativa a un tratto di acquedotto sotto palazzo Maniscalchi(78).
Si ritiene che l'applicazione di questa tecnica nella città di Verona, dove era esclusiva degli edifici pubblici, risalga all' età augustea, quando in città erano attive delle squadre di muratori specializzati, probabilmente provenienti dall'area centro-italica, che operavano anche nell'area del teatro(79).

Infine, secondo Orti Manara la copertura del tetto doveva essere in tegole, delle quali furono rinvenuti numerosi frammenti all'esterno della cella(80)

INTERPRETAZIONE DEI DATI






Capitello rinvenuto in un edificio di San Rocco e frammento di una colonna rinvenuta da Girolamo Orti Manara durante le ricerche sul Monte Castelon (RAZZETTI, Monumenti romani e medioevali tav.1)


Le informazioni relative alla struttura architettonica si esauriscono in questi pochi elementi. Proporre quindi delle ricostruzioni attendibili in merito al tipo di edificio messo in luce credo non abbia alcun senso in quanto i dati a disposizione sono certamente troppo frammentari.
 Già per quanto riguarda l'orientamento si è in difficoltà. Orti Manara non specifica infatti dove si trovava l'ingresso dell' edificio(81).  Se però il santuario è da ricercare lungo la stradina che dalla chiesa conduceva a San Rocco, il lato nord-ovest era quello rivolto a monte, cioè verso il versante del Castelon.

Seguendo gli schemi vitruviani la porta della cella dovrebbe guardare a occidente(82), anche se poi per ammissione dello stesso autore sono diversi i condizionamenti topografici che potevano indurre a scelte diverse.
Se è difficile pensare a un accesso in corrispondenza del lato a monte (83), poco probabile è una sua individuazione anche lungo la facciata di nord-est in quanto era chiusa dal perimetrale con semicolonne(84).  L'ingresso doveva quindi trovarsi necessariamente o lungo il lato sud-ovest rivolto verso la valle di Fumane e la valle dell'Adige, o lungo quello sud-est che guardava verso quella di Marano.
Tra le due possibilità è forse da preferire la prima perché permetteva di rispettare le esigenze dettate dalla liturgia che prevedevano che il sacerdote, durante l'adempimento dei sacrifici, fosse rivolto verso l'oriente celeste in corrispondenza del quale era posizionata la statua della divinità(85).
Nella scelta un ruolo importante potrebbe avere avuto anche l'asse stradale che collegava Verona a Tridentum, il cui percorso costeggia i colli del pagus Arusnatium(86). È noto infatti che anche la presenza di una strada poteva influenzare l'orientamento di un tempio(87).  Per quanto riguarda la porta, importante è il rinvenimento di due dischi in bronzo decorati(88), che Orti Manara dice proprio rinvenuti «ove trovavasi l'ingresso» (89) e che in origine costituivano parte della decorazione che ornava le ante, probabilmente lignee, del portone della cella.
Come è già stato in precedenza sottolineato(90), i due esemplari sono di particolare importanza in quanto si tratta di reperti che raramente sfuggono alle rifusioni.

È probabile che per la costruzione del tempio sia stato sfruttato un ampio terrazzo, non sappiamo se naturale o artificiale, rilevato rispetto al fondovalle e ampiamente panoramico, adottando quindi una strategia già ampiamente sperimentata per i santuari dell'area centro-italica(91).  
Da sottolineare è invece l'assoluta assenza di indizi relativi all'esistenza di un podio; la presenza di quest'ultimo è infatti la caratteristica più evidente dell'architettura sacra romana, i cui precedenti sono da riconoscere in quella etrusca e italica(92).
 Le eccezioni a tale consuetudine sono rarissime sia nel mondo etrusco sia in quello romano; diversamente durante l'età repubblicana si registrano alcune situazioni di questo tipo in ambito italico - caratterizzato da una maggiore libertà di soluzioni - applicate soprattutto per sacelli di piccole dimensioni, costituiti perlopiu da una sola cella con o senza pronao colonnato(93). Non si può però escludere che la sua mancata identificazione sia dovuta al tipo di indagine condotta che potrebbe non aver portato a un suo corretto riconoscimento.

Per quanto riguarda invece la tipologia del tempio, alcuni studiosi, prendendo spunto da un'affermazione di Orti Manara che con riferimento all'intercolumnio parla di ordine dorico primitivo, pensano possa essersi trattato di un tempio dorico(94).  In realtà templi in stile dorico sono assai rari nell'architettura romana(95) per la difficoltà, già evidenziata da Vitruvio (96),  di giungere a una costruzione dalle proporzioni armoniche.
È noto poi che dopo una lunga fase di sperimentazione(97), durante la quale trovarono espressione soluzioni particolari e originali, a partire dall' età augustea si affermò definitivamente negli edifici di culto lo stile corinzio nel quale venne riconosciuto il modello tipo del tempio monumentale(98).

Tuttavia i rinvenimenti di Marano confermano l'impiego di alcuni elementi caratteristici proprio dell'ordine dorico. È questo il caso del bellissimo capitello, riprodotto da Razzetti (99), notato da Orti in uno degli edifici da lui visitati nel circondario e rinvenuto sul monte Castelon(100),  con ogni probabilità quindi nell'area del santuario.
La forma e le proporzioni denunciano però una notevole distanza dal prototipo originale; in particolare lo sviluppo dell' echino, qui assai teso, indica che si tratta di un esito recente del più antico modello(101). La terminazione stondata delle scanalature della colonna e il listello intermedio che le separa sono invece elementi che si ritrovano soprattutto nell'ordine ionico8 102).
L'echino e il collarino appaiono realizzati in un unico blocco unitamente al sommoscapo della colonna. Quest'ultima dovrebbe avere 20 scanalature e poggiare direttamente sullo stilobate, caratteristiche entrambe tipiche dell' ordine (103).

Capitelli e colonne di questo tipo sono scarsamente diffusi in Italia settentrionale (104), la  loro adozione è generalmente attribuita entro la metà del I secolo d.C.105

La tipologia del tempio

L'edificio aveva un'unica cella di forma quasi quadrangolare(106).  Il piccolo vano interno, decentrato rispetto alla parete di fondo dove in posizione centrale doveva trovarsi il simulacro della divinità, aveva probabilmente solo una funzione accessoria strettamente collegata ai riti che venivano svolti. Esempi simili sono assai bene documentati, mi limito qui a ricordare la cella del tempio dedicato a Ercole Vincitore a Terracina, dove i due ambienti laterali sono stati messi in relazione ai culti oracolari (107).  Il piccolo prolungamento verso ovest del muro nord-ovest della cella potrebbe invece essere indicativo di un originario sviluppo in antis, del quale verrebbe a costituire l'unica traccia rimasta(108).

In merito al 'portico' si devono fare invece alcune considerazioni. Franzoni, in base alla lettura di Orti Manara, ritiene che la muratura con semicolonne perimetrasse interamente la cella, rilevando poi l'originalità di una simile soluzione. In questo caso si avrebbe non un portico bensì un corridoio che doveva interdire alla vista la cella interna e, se coperto, prevedere delle finestre nella parte superiore per garantire l'illuminazione. Strutture di questo tipo, caratterizzate da una cella inserita all'interno di una galleria, sono tipiche dei templi comunemente definiti gallo-romani (109 ).

La diffusione di questo particolare modello in Italia settentrionale è però limitatissima. Fino a pochi anni or sono l'esempio più meridionale era quello dubbio di Tegna presso Locarno(110), in quanto per il tempio dedicato alla Bona Dea a Tergeste, nonostante qualche affinità evidenziata nella struttura, la particolarità dell'impianto è stata ricondotta a ragioni cultuali  (111) In precedenza una simile ipotesi è stata proposta anche per il santuario di Minerva a Breno in Valcamonica(112), solo parzialmente scavato, dove sono stati scoperti tre vani adiacenti perimetrati da un corridoio(113). Le indagini più recenti hanno però condotto a interpretazioni dell'impianto architettonico di tipo diverso. Il confronto è di particolare interesse; si tratta infatti di un santuario rurale dedicato a Minerva, divinità dietro alla quale anche in Valcamonica si celava un culto di tradizione indigena(114).

Tuttavia, anche se si potrebbe ipotizzare pure per il tempio di Marano una relazione con le architetture dell'area transalpina, l'adozione nel santuario della Valpolicella di tecniche edilizie proprie dell'Italia centrale suggerirebbe però di ricercare in quest'ambito eventuali confronti.

Rileggendo la relazione di Orti Manara mi pare che egli in effetti non affermi proprio che la cella era circondata da un corridoio; i suoi accertamenti gli permisero solo di verificare che «l'area del portico», quindi evidentemente lo spazio occupato dallo stesso, si estendeva in corrispondenza di tutti i lati di tale cella con l'esclusione di quello a monte. Del resto con il termine 'portico' si indica normalmente un'area coperta e colonnata e non uno spazio chiuso verso l'esterno.

Le due tavole di Razzetti indicano poi che il piccolo tratto d'intercolumnio murato venne individuato esclusivamente in corrispondenza del lato nord-est della cella, che dovrebbe corrispondere a quello posteriore. È quindi possibile che tale muratura interessasse solo l'area del postico, mentre un colonnato doveva invece esistere in corrispondenza del pronao e dei lati della cella. La presenza del capitello, a cui sono poi da aggiungere due frammenti di colonne scanalate rinvenuti durante gli scavi, e altri visti dallo studioso a San Rocco e nel cimitero di Marano, potrebbe essere messa in relazione a tale colonnato. In questo caso si avrebbe un tempio periptero, anche se nella variante, originale, caratterizzata dal lato dietro la cella completamente chiuso(115).

Certamente tutte due le soluzioni, sia quella di una cella perimetrata da un corridoio, sia quella del colonnato, presentano elementi che destano perplessità. Nel primo caso la rarità del modello in Italia, nel secondo la particolarità del lato dietro la cella chiuso da una muratura.

La  cronologia

Problematica appare ancora la datazione del complesso in mancanza di sicuri dati strati grafici di riferimento. Un aiuto a tale proposito viene dalla descrizione delle tecniche edilizie adottate per le murature. In particolare la presenza dell' opera reti colata riscontrata nell'intercolumnio fornisce un dato molto prezioso in quanto, come si è visto sopra, tale opera risulta attestata nella vicina città di Verona durante l'età augustea. È quindi probabile che la costruzione del santuario della Valpolicella, o almeno di una parte di esso, debba risalire a questo periodo(116).

Questo importante luogo di culto riuscì a mantenere le proprie funzioni fino in età tardo romana quando si verificò il suo definitivo abbandono. Secondo Orti Manara questo avvenne all' epoca di Onorio, anche se le monete più recenti segnalate dallo studioso sono di Valentiniano e Graziano(117). La fine fu dovuta a un disastroso incendio, di cui furono riconosciute evidenti tracce in fase di scavo.
È possibile che esso sia stato distrutto intenzionalmente per opera dei cristiani, cosi come è stato proposto per il tempio di Minerva a Breno(118), devastato da un incendio nel corso del V secolo d.C.


Fonte: srs  di CRISTINA BASSI da Annuario della Valpolicella  2002-2003. Centro di Documentazione per la Storia della Valpolicella



NOTE

Sigle:

CAV = Carta Archeologica del Veneto, a cura di L. Capuis, G. Leonardi, S. Pesavento Mattioli e G. Rosada, II, Modena 1990·

CIL      = Corpus inscriptionum Latinarum, Berolini 1863.

DA       = Dictionnaire des antiquités grecques et romaines, sous la direction de C. Daremberg, E. Saglio, Paris 1877-1919

EAA = Enciclopedia dell'arte antica classica e orientale, Roma 1958-

ILS = Inscriptiones latinae selectae, edidit H. Dessau, Berolini 1892-1916

SupplIt = Supplementa Italica, nuova serie

Note.

1) Per un inquadramento topo grafico e geologico dell'area del Monte Castelon si veda Marano di Valpolicella, a cura di P. Brugnoli e G.M. Varanini, Marano 1999, pp. 25-34.

2) CAV, pp. 64-66; Marano ... , pp. 40-44.

3) Marano ... , pp. 64-66, 80-84; G.M. VARANINI, La Valpolicella dal Duecento al Quattrocento, Verona 1985, pp. 51 e 58-59.

4) L. SALZANI, I materiali preistorici del M. Castelon di Marano (Verona), «Bollettino Museo Civico di Storia Naturale di Verona», I (1974), pp. 277-294; CAV, p. 66.

5) La Valpolicella nella prima età moderna (1500 c.-1630), a cura di G.M. Varanini, Verona 1987, p. 379; Marano ... , pp. 182-186.

6) D. OLIVI ERI, Toponomastica veneta, Venezia 19612 pp. 6- 7; Marano ... , p. 45.

7) OLIVIERI, Toponomastica ... , pp. 6-7; G.B. PELLEGRINI,  Ricerche di toponomastica veneta, Padova 1987, p. 218; C. MARCATO ET ALli, Dizionario di toponomastica. Storia e significato dei nomi geografici italiani, Torino 1990, p. 397; G.B. PELLEGRINI, Toponomastica italiana, Padova 1990, p. 395, Marano ... , p. 45; A. MASTROCINQUE, Culti e santuari nel nord-ovest d'Italia, «Rassegna di Studi del Civico Museo Archeologico e del Civico Gabinetto Numismatico di Milano», LXIII-LXIV (1999), pp.110-111.

8) PELLEGRINI, Toponomastica ... , pp. 395-396. Per un elenco esemplificativo si veda G. MASTRELLI ANZILOTTI, Notarelle di toponomastica: Minerf, «Studi Trentini di Scienze Storiche», LXXI (1992), p. 597·

9) II, X, 5, 768 = A. GARZETTI, Brixia, Benacenses, Valles supra Benacum, Sabini, Trumpilini, Camunni, in Suppllt, 8, Roma 1991, p. 176, n. 768), 804 e 1018. Per il culto di Minerva in area bresciana si veda A. BUONOPANE, Il lago di Garda e il suo territorio in età romana, in Ville romane sul lago di Garda, a cura di E. Roffia, Brescia 1997, p. 34; G.L. GREGORI, Brescia romana. Ricerche di prosopografia e storia sociale, II, Analisi dei documenti, Roma 2000, pp. 270-272; A. BUONOPANE, Il Benaco antico e tardoantico. Società locale e civiltà romana, in Il lago di Garda, a cura di U. Sauro, C. Simoni, E. Turri e G.M. Varanini, Verona 2001, p. 214.

10)  J. BISHOP L. DE VANNA P. HUDSON D. RESINELLI SCARPELLA, Carta Archeologica della Lombardia, I,  La Provincia di Brescia, a cura di F. Rossi, Modena 1991, p. 137, n. 986; M. DE FRANCESCHlNI, Le ville romane della X Regio (Venetia et Histria). Catalogo e carta archeologica dell'insediamento romano nel territorio, dall'età repubblicana al tardo impero, Roma 1998, p. 156, con ulteriore bibliografia. È di un certo interesse il fatto che nell'area della Rocca siano state rinvenute anche tracce di frequentazione risalenti all'età del Ferro; forse da riferire anch'esse a un precedente luogo di culto (L. BARFIELD G.P. BROGIOLO S. BUTEUX, Rocca di Manerba (B5). Relazione preliminare sugli scavi 1995, «Archeologia Medievale». XXIV (1997), p. 138-142).


11) MASTRELLI ANZILOTTI, Notarelle ... , pp. 597-600.

12)  CIL, v, 5016 (0= P. CHISTÈ, Epigrafi trentine dell' età romana, Rovereto 1971, pp. 49-50 n. 35; A. BUONOPANE, Tridentum, in SupplIt, 6, Roma 1990, pp. 129-130 n. 5016).

13) CIL, V 5017 e 5018 (0= CHISTÈ, Epigrafi···, pp. 50-52, nn. 36-37; BUONOPANE, Tridentum ... , p. 130, nn. 5017-5018). Nelle due iscrizioni vi è un esplicito riferimento alla costruzione di un pavimento e forse di una crepidine (Buonopane ritiene che le lettere CREP siano più probabilmente da riferire a un cognome espresso in forma abbreviata). A. MASTROCINQUE, Culti di origine preromana nell'Italia settentrionale, in Die Stadt in Oberitalien und in den nordwestlichen Provinzen des romisches Reiches, herausgegeben von W. Eck und H. Galsterer, Mainz 1991, p. 221.

14)  CHISTÈ, Epigrafi ... , pp. 50-51 con bibliografia precedente.

15)  Sulla figura e le ricerche compiute da questo studioso si  veda G.P. MARCHINI, Antiquari e collezioni archeologiche dell'800 veronese, Verona 1972, pp. 109-117.

16)  Sui rinvenimenti in località Santa Maria di Minerbe si veda CAV, p. 66.

17)  Reliquie d'antico tempio romano dedicato a Minerva e  piu monumenti scoperti nell'Agro veronese (Valpolicella) dal cav. Gio Orti conte di Manara, «Bullettino dell'Instituto di Corrispondenza Archeologica», 1836, p. 138.

18)  O. FALSIROL, Dalla Preistoria alla Storia, in Marano di  Valpolicella e il Santuario di S. Maria di Valverde, Verona 1967, p.  27·

19Reliquie ... , p. 138.

20)  Oggi le coltivazioni di ciliegio si alternano ai vigneti. Sulle caratteristiche del paesaggio agrario nel territorio di Marano si veda Marano ... , pp. 34-36.

21)      Si tratta di CIL, v, 3968. Il sarcofago, entrato poi a far  parte della collezione Monga, venne in seguito trasferito al Museo Archeologico di Verona dove dovrebbe trovarsi ora. L. FRANZONI, La Valpolicella nell'età romana, Verona 1982, p. 147·

22Reliquie ... , pp. 137-144.

23)  Ho cercato presso la Biblioteca dell'Istituto Archeologico Germanico (ex Istituto di Corrispondenza Archeologica) il manoscritto originale di Orti Manara ma a quanto pare non risulta essere stato archiviato. Non è però da escludere che una minuta di questa lettera sia conservata nell' archivio privato di questo insigne studioso.

24)  «Ne duole veramente d'assai di accorciare un si elegante lavoro, tuttoché sugoso e preciso foss' egli per se stesso, perciocché ogni cosa che se ne menomi è uno scapito: ma la brevità di questi fogli da un lato e le condizioni che ne stringono a tenerci solamente a' fatti dall'altro lato c'impediscono a disgrado la intera pubblicazione di quello» (Reliquie ... , p. 137, nota l).

25)  CIL, v, 3906, 3911, 3912, 3913, 3914, 3909, 3907, 3908, 3910 e 3924 0= ILS, 6704). Sul materiale epigrafico rinvenuto presso il tempio di Marano si veda Marano ... , p. 52 e il contributo di Alfredo Buonopane in questo stesso volume.

26)  Sulla figura di questo studioso si veda in particolare  P. TREVES, Lo studio dell'antichità classica nell'Ottocento, Milano Napoli 1962, pp. 829-847, con ricca bibliografia da integrare con Bartolomeo Borghesi. Scienza e libertà. Colloquio internazionale  AIECL, Bologna 1982.

27)      Marano ... , pp. 50-51 e relativi riferimenti bibliografici da  integrare con MASTROCINQUE, Culti di origine preromana ... , pp. 222-223; MASTROCINQUE, Culti e santuari ... , p. lll.

28)  Sulla questione si veda in particolare F. SARTORI, Verona romana, in Verona e il suo territorio, II, Verona 1960, pp. 235-238 e 242-243; FRANZONI, La Valpolicella ... , pp. 23-102; M.S. BASSIGNANO, La religione: divinità, culti e sacerdozi, in Il Veneto in età romana, I, Storiografia, organizzazione del territorio, economia e religione, a cura di E. Buchi, Verona 1987, pp. 316-320, 328-329 e 330-331 (in particolare per il culto di Minerva); MASTROCINQUE, Culti e santuari ... , p. rn; MASTROCINQUE, Culti di origine preromana ... , p.
223·

29Marano ... , p. 51.

30) CIL, v, 3908. FRANZONI, La Valpolicella ... , p. 147; Buonopane in questo stesso volume.

31)      Per questo tipo di ex voto si veda in particolare M. FENELLI, I votivi anatomici di Lavinio, «Archeologia Classica», XXVII (1975), pp. 226-227; per il reperto della Valpolicella FRANZONI, La Valpolicella ... , p. 147·

32) Cosi almeno è registrata da Razzetti: G. RAZZETTI, Monumenti ed iscrizioni esistenti in Verona e nella sua provincia disegnati a matita da Giuseppe Razzetti per cura di Gio. Gir. Orti Manara, in Biblioteca Civica di Verona, ms. 868, c. 9·

33) Senza numero d'inventario.

34) FRANZONI, La Valpolicella ... , pp. 142- 143; E. SCHRAUDOLPH, Römische Gotterveihungen mit Reliefschmuck aus Italien. Ältare, Basen und Reliefs, Heidelberg 1993, p. 248, Taf. 51 L 227; Marano ... , p. 54·

35) Reliquie ... , pp. 1142- 143.

36)  CIL,v,3924.

37)      Questo è il senso in Varrone (V ARR., De lingua latina, VI, 54); sull'argomento in generale si veda A. BOUCHÈ-LECLERCQ,  Fanum, in DA, Il/2, pp. 973-978;  I. FAUDET, Les temples de tradition celtique en Gaule Romaine, Paris 1993, pp. 6-10;  M. TORELLI, Il tempio romano, in Civiltà dei Romani. Un linguaggio comune, a cura di S. Settis, Milano 1993, p. 35;  P. GROSS, L'architecture romaine, 1,  Les monuments publics, Paris 1996, p. 199.

38) CIC., De divinatione, I, 90.

39) SVET., Divus Julius, 54, 2.

40) VITR., I, 2,7;  1,3,1;  IV, 1,3; IV, 1,5·

41) CIL, Il, 5439. Il testo di questa legge risale al 44 a.c.

42) Cod. Theod., XVI, 10,25. Questo documento risale al 435   d.C.

43)  Alcune osservazioni in proposito sono in F: COARELLI, I luci del Lazio: la documentazione archeologica, in Les bois sacrés, actes du colloque international organisé pur le Centre Jean Berard et l'École Pratique des Hautes Etudés, Naples 23-25 novembre  1989, Naples 1993, p. 47.

44) FAUDET, Les temples ... , p. 7; GROSS, L'architecture ... , p. 199·

45) Sul termine si veda in particolare G. BODEI GIGLIONI, Pecunia fanatica, «Rivista Storica Italiana», 89 (1977), pp. 33-76 e il contributo di Alfredo Buonopane in questo stesso volume.


46)      FALSIROL, Marano ... , p. 27·

47)  Ibidem.

48) Potrebbe infatti condurre a una localizzazione dell'area  del tempio un'attenta campagna di ricognizione eseguita secondo rigorosi criteri scientifici (sulla metodologia si veda C. RENFREW P. BAHN, Archeologia. Teoria-Metodi-Pratica, Bologna 1995, pp. 57- 97, con bibliografia). Un contributo a tale ricerca potrebbe venire anche dall'osservazione e interpretazione del materiale fotografico realizzato durante la seconda Guerra Mondiale in occasione delle ricognizioni aeree condotte dagli alleati. Tale materiale, com'è noto, si è infatti rivelato di straordinaria importanza nella ricerca archeologica (cfr. RENFREW- BAHN, Archeologia ... , pp. 64-70).

49) Reliquie ... , p. 140.

50)  Sulla figura di questo disegnatore, pittore accademico
allievo di Dotti, Hayez e Benvenuti e particolarmente versato nella riproduzione di soggetti sacri, si veda MARCHINI, Antiquari ... , pp. 115-116 (con bibliografia citata a nota 36), in particolare per quanto riguarda i suoi rapporti con Orti Manara.

51) FRANZONI, La Valpolicella ... , p. 146.

52) RAZZETTI, Monumenti ed iscrizioni ... , c. 12.

53) G. RAZZETTI, Monumenti romani e medioevali di Marano, Valgatara e Sanfloriano disegnati per incarico del conte Giovanni Orti Manara, in Biblioteca Civica di Verona, ms. 1938, tav. I.

54) Reliquie ... , p. 140

55) FRANZONI, La Valpolicella ... , pp. 144-147.

56)  Cosi RAZZETTI, Monumenti ed iscrizioni ...

57)      Impianti idraulici sono per esempio documentati presso il santuario di Gabii (M. ALMAGRO GORBEA, El santuario de [uno en Gabii, Roma 1982, pp. 589-591), di Ercole Vincitore a Tivoli (F. COARELLI,  I santuari del Lazio in età repubblicana, Roma 1987, pp. 89-90 e 140), di Ercole Curino nella Conca Peligna (G.F. LA TORRE, Il santuario di Ercole Curino, in Dalla villa di Ovidio al santuario di Ercole, a cura di E. Mattiocco, Sulmona 1989, p. 118) e in quello iberico di Munigua (F. COARELLI, Munigua, Praeneste e Tibur. I modelli laziali di un municipio della Baetica, «Lucentum». 6 (1987), pp. 91-100).  Sulla presenza degli impianti idrici nei santuari si veda in generale J. SHEID, Sanctuaries et thermes sous l'Empire, in Les thermes romains, actes de la table ronde organisée par l'École Française de Rome, Rome 11-12 novembre 1988, Rome 1991, pp. 205-214.

58)  MASTROCINQUE, Culti ... , pp. 221-224; GREGORI, Brescia ... , pp. 270-272.

59)  Da escludere comunque a Marano una funzione terapeutica in quanto non mi risulta che le sorgenti della zona presentino particolari proprietà curative.

60)  Sull'idrografia del territorio di Marano si veda Marano ... , pp. 30-32.

61)  SHEID, Sanctuaries ... , pp. 209-211.

62)      SAGLIO, Labrum, in DA, iuh; p. 112; G.F. LA TORRE, Il
santuario ... , p. 140; SHEID, Sanctuaries ... , p. 209; C. LETTA, I santuari rurali nell'Italia centro-appenninica: valori religiosi e funzione integrativa, «Mélanges de l'École Française de Rome. Antiquité»,
104 (1992), p. in.

63)  SAGLIO, Labrum ... , pp. 111-112; H. LAVAGNE, Fontane e ninfei, in Civiltà dei Romani. La città, il territorio e l'impero, a cura di S. Settis, Milano 1990, pp. l25-138;  A. Mosca. La grande tazza marmorea di Riva del Garda, «Archeologia Classica», XLII (1990), pp. 426-427;  G. BODON, Un elemento di fontana a labrum presso il Museo Civico Archeologico di Padova, «Bollettino del Museo Civico di Padova», LXXXIII (1994), pp. 52-54;  A. AMBROGI, Vasche di età romana in marmi bianchi e colorati, Roma 1995, pp. 9-12.

64) RAZZETTl,  Monumenti ed iscrizioni ... , c. 8.

65)  Presso Castello Soardi si trovavano infatti diversi repertirinvenuti da Orti Manara durante le sue indagini nel tempio. Marano ... , pp. 55-56.

66)  Potrebbe essere questo eventualmente il caso della villa di Negrar (su questa villa si veda da ultima DE FRANCESCHINI, Le ville ... , pp. 160-167 con precedenti riferimenti bibliografici).

67)  P. GUSMANN, L’Art décoratif de Rome, I, Paris 1909, tav. 2.

68)   P.H. VON BLANCKENHAGEN C. ALEXANDER, The paintings from Boscotrecase, «Mitteilungen des Deutschen Archeologischen Instituts», suppl. 6 (1962), p. 21.

69)  Museo Archeologico Nazionale di Napoli (n. inv. 147503); un immagine del pezzo è in O. CAZANOVE,  Suspension d'ex-voto dans les bois sacrés, in Les bois sacrés, actes du colloque international organisé par le Centre Jean Berard et l'École Pratique des Hautes Etudes, Naples 23-25 novembre 1989,  Naples 1993, fig. 3·

70)  Cosi credo debba essere inteso il termine 'segmento'.

71)  Cosi almeno scrive Orti Manara anche se in realtà per Razzetti, nella pianta in scala del ms. 1938, questo lato è lungo 9,50 m (la misura è calcolata sul lato interno).

72)  Tale particolare risulta su entrambe le tavole di Razzetti.

73)  Questa misura risulta indicata a mano nel manoscritto, anche se nella tavola contenuta nel ms. 1938 il muro rinvenuto risulta incompleto e messo in luce per una lunghezza massima di circa 5 m. Un'aggiunta fatta successivamente a matita fa proseguire il muro per una lunghezza complessiva di 7,50 m.

74)      In generale sull'opera reticolata nel mondo romano si veda G. LUGLI, La tecnica edilizia romana, Roma 1957, pp. 487-513; per la sua applicazione in Italia settentrionale M. TORELLI, Innovazione nelle tecniche edilizie romane tra il I sec. a. C. ed il I sec. d. C., in Tecnologia, economia e società nel mondo romano, atti del convegno, Como 27-29 settembre 1979, Como 1980, pp. 153-154.

75)  Da segnalare è anche il caso del Capitolium di Brescia dove è documentato un paramento in opus quasi reticulatum (M. MIRABELLA ROBERTl, Il Capitolium repubblicano di Brescia, in Atti del VII Congresso Internazionale di Archeologia Classica, Roma 1961, II, pp. 351, 362-363;  A. FROVA M.P. ROSSIGNANI G. CAVALIERI MANASSE, Il Capitolium e la decorazione architettonica romana di Brescia, in Atti del Convegno internazionale per il XIX centenario della dedicazione del "Capitolium" e per il 150°  anniversario della sua scoperta, Brescia 27-30 settembre 1973,  II, Brescia 1976, p. 56;   F. ROSSI A. GARZETTl, Nuovi dati sul santuario tardorepubblicano di Brescia, in Splendida Civitas Nostra. Studi archeologici in onore di Antonio Frova, a cura di G. Cavalieri Manasse ed E. Roffia, Roma 1995, p. 79). Su questo edificio si veda in particolare A. Frova,  Il Capitolium di Brescia, in La città nell'Italia settentrionale in età romana. Morfologie, strutture e funzionamento dei centri urbani delle Regiones X e XI, atti del convegno organizzato dal Dipartimento di Scienze dell' Antichità dell'Università di Trieste e dall'École Française de Rome, Trieste 13-15 marzo 1987, Trieste-Roma 1990, pp. 341-363 e riferimenti bibliografici ivi citati da integrare con ROSSI-GARZETTl, Nuovi dati ... ;  G. CAVALIERI MANASSE,  Architetture ellenistico-italiche in Cisalpina: le testimonianze del santuario bresciano, in Nuove ricerche sul Capitolium di Brescia. Scavi, studi e restauri, a cura di F. Rossi, Milano 2002, p. 103·

76)   Sull'impiego dell'opera reticolata a Verona si veda G. CAVALIERI MANASSSE, Verona (I secolo a.c. I secolo d.C.), in Tesori della Postumia. Archeologia e storia intorno a una grande strada romana alle radici dell'Europa, Milano 1998, pp. 445-446 e note 32-34 con relativi riferimenti bibliografici.

77)  F. BIONDANI, Verona. Via Ponte Pietra 19· Rinvenimento di strutture in opera reticolata, «Quaderni di Archeologia del Veneto», XIV (1998), pp. 59-60.

78)  CAVALIERI MANASSE, Verona ... , p. 452 nota 32;  BIONDANI, Verona ... , pp. 59-60.

79)  CAVALIERI MANASSE, Verona ... , p. 446; BIONDANI, Verona ... , p. 60.

80)      Reliquie ... , p. 142.

81)   Egli lo dovette comunque individuare in quanto nella  relazione, citando il rinvenimento di alcuni oggetti, riferisce che questi si trovavano vicino all'ingresso (Reliquie ... , p. 140).

82)      VITR., IV, 5,1.

83)      È noto infatti che i Romani nella costruzione degli edifici sacri dettero sempre grande importanza all'impianto scenografico. La realizzazione di un ingresso in corrispondenza del lato a monte avrebbe compromesso quindi la perdita dell'ampia visuale che si poteva avere invece posizionando l'accesso lungo i lati sud-ovest e sud-est. Sulla tendenza scenografica degli edifici di culto romani si vedano le sintesi di G.A. MANSUELLI, Roma e il Mondo Romano. Dalla media repubblica al primo impero (II sec. d.C. I sec. a.C.), Torino 1981, pp. 21-23;  TORELLI, Il tempio ... , pp. 48-52; GROSS, L'architecture ... , pp. 136-140.

84) Anche se i disegni di Razzetti non sono in scala, tuttavia il muro con semicolonne sembra in entrambi i manoscritti occupare gran parte del lato della cella a esso parallelo.

85) VITR., IV, 5,2.

86) Su questo importante asse viario si vedano: L. BOSIO, Le strade romane della Venetia e dell'Histria, Padova 1991, pp. 86-93, in particolare p. 88 per il tratto che interessa la Valpolicella;  S. PESAVENTO MATTIOLI, Il sistema stradale nel quadro della viabilità dell'Italia nord-orientale, in Storia del Trentino, II, L'età romana, a cura di E. Buchi, Trento 2000, pp. 19-21 con aggiornata bibliografia. Sull'orientamento degli edifici sacri si veda anche quanto scritto da VITR., IV, 5,2.

87) VITR., IV, 5,2.

88)  MARCHINI, Antiquari ... , p. 293; M. BOLLA, Bronzetti figurati romani del territorio veronese, «Rassegna di Studi del Civico Museo Archeologico e del Civico Gabinetto Numismatico di Milano», LXIII-LXIV (1999), pp. 210 e 232, fig. 72a-b.

89) Reliquie ... , p. 142.

90) BOLLA, Bronzetti ... , p. 210.

91)  Si vedano in proposito riferimenti citati a nota 83.

92)  MANSUELLI, Roma ... , pp. 31-32; GROSS, L'architecture ... , p. 127 con ulteriore ricca bibliografi.

93)  Si veda in proposito LA TORRE, Il santuario ... , pp. 144-148 con diversi esempi e bibliografia.

94)  Si veda per esempio MASTROCINQUE, Culti. .. , p. 223.

95)  Un esempio noto è quello del tempio dorico di Pompei nel quale è stato però recentemente riconosciuto un tempio con caratteristiche proprie dell'ambito etrusco-italico (J.A.K.E. DE WAELE,  La ricostruzione, in Il tempio dorico del Foro triangolare di Pompei, a cura di  J.A.K.E.  de Waele, Roma 2001, pp. 127-13).

96)  VITR., IV, 3,1.

97)  Mi limito qui a citare GROSS, L'architecture ... , pp. 123- 136;  H. VON HESBERG, Tempio. Roma, in EAA, secondo supplemento 1971-1994, v Roma 1997, pp. 638-639 ai quali rimando anche per gli ulteriori riferimenti bibliografici.

98)      P. GROSS, Aurea Tempia. Recherches sur l'architecture religiuse de Rome à l'Èpoque de Auguste, Rome 1976, pp. 197-207;  MANSUELLI, Roma ... , pp. 31-33; GROSS, L'architecture ... , pp. 140- 149· Per quanto riguarda le caratteristiche dell' architettura sacra in Italia settentrionale si veda G.A. MANSUELLI, Urbanistica e architettura della Cisalpina romana fino III sec. e. n., Bruxelles 1971, pp. 128-139 in particolare pp. 128-134 per i Capitolia e pagine successive per gli altri edifici sacri da integrare con M.J. STRAZZULLA RUSCONI, L'edilizia templare e i programmi decorativi in età repubblicana, in La città nell' Italia settentrionale in età romana. Morfologie, strutture e funzionamento dei centri urbani delle Regiones X e XI, atti del convegno organizzato dal Dipartimento di Scienze dell' Antichità dell'Università di Trieste e dall'École Française de Rome, Trieste 13-15 marzo 1987, Trieste-Roma 1990, pp. 279-304; A. FROVA, Il Capitolium ... , pp. 341-363.

99)  RAZZETTI, Munumenti ed iscrizioni ... , c. 11.  

100)   Reliquie ... , p. 140.

101)  M. WEGNER, Ordini architettonici, in EAA, v, pp. 714-719.

102)   G. MATTHIAE, Colonna. Creta, Grecia, Roma, in EAA, II, pp. 753-754·

103)  VITR., IV, 4,9; WEGNER, Ordini ... , pp. 714-715.

104)  Maggiormente diffusi durante l'età repubblicana sono quelli ionici-italici e italici-corinzi (STRAZZULLA RUSCONI, Edilizia, p. 291) e quelli corinzi in epoca imperiale (GROSS, L'architecture, p. 135).

105)  Si veda il caso del capitello e del rocchio di colonna rinvenuti in piazzetta Pedrocchi a Padova (G. TOSI, Il significato storico-documentario e gli aspetti formali e stilistici dei reperti, in Padova romana. Testimonianze architettoniche nel nuovo allestimento del Lapidario del Museo Archeologico, a cura di G. Zampieri e M. Cisotto Nalon, Milano 1994, pp. 63-64;  M.A. SCOTTON,  Catalogo, in Padova romana. Testimonianze architettoniche nel nuovo allestimento del Lapidario del Museo Archeologico, a cura di G. Zampieri e M. Cisotto Nalon, Milano 1994, pp. 148, 162, figg. D1-E7).

106)  Sulle tipologie del tempio nel mondo etrusco-romano si vedano B. BELELLI MARCHESINI, Tempio. Etruria, in EAA, secondo supplemento 1971-1994, v, Roma 1997, pp. 628-638;  HESBERG, Tempio. Roma ... , pp. 638-642;  TORELLI, Il tempio ... , pp. 31-61; GROSS, L'architecture ... , pp. 123-127 (per l'ambito etrusco), 127-198 con ricca e aggiornata bibliografia.

107)  Su questo santuario si vedano COARELLI, I santuari. .. , pp. 85-103; M.G. FIORE CAVALIERE S. GIZZI, Tivoli. Il santuario di Ercole Vincitore, Milano 1998, con bibliografia.

108) Non si può neppure escludere che possa trattarsi di un tratto di muratura pertinente a un secondo ambiente non individuato da Orti; in questo caso si avrebbe un tempio a più celle.

109)  Sul tempio gallo-romano in generale si vedano in particolare FAUDET, Les temples ... ; L FAUDET, Atlas des sanctuaires romano-celtiques de Gaule. Les fanums, Paris 1993 e l'ampia sintesi di GROSS, L'architecture ... , pp. 199-203.

110)  MANSUELLI, Urbanistica ... , p. 138; R. CHEVALLlER, La romanisation de la Celtique du Pô. Essai d'Histoire Provinciale, Rome 1983, p. 111 e nota 270.

111)  MANSUELLI, Urbanistica ... , pp. 134, 136; CHEVALLIER, La romanisation ... , p. 111.


112)  F. ROSSI, Il santuario di Minerva a Breno, in La Valcamonica romana. Ricerche e studi, Brescia 1997, pp. 29-51; F. ROSSI, Breno (Brescia).  Loc. Spinera, «Bollettino di Archeologia», 1-2 (1990), pp. 91-93; F. ROSSI, Breno (Brescia).  Loc. Spinera. Santuario di Minerva, «Notiziario. Soprintendenza Archeologica della Lombardia» 1992-1993, pp. 35-36; F. ROSSI, Breno, in EAA, secondo supplemento 1971-1994, I, Roma 1994, p. 733·

113)  ROSSI, Breno (Brescia) ... , p. 93·

114)  F. CANTARELLI, Considerazioni sul culto di Minerva nella Valcamonica alla luce dei nuovi ritrova menti archeologici ed epigrafici, in La Valcamonica romana. Ricerche e studi, Brescia 1987, pp. 100-116; GREGORI, Brescia ... , pp. 288-289·

115)   In letteratura non ho trovato esempi analoghi; tuttavia  è noto che nella realizzazione degli edifici di culto gli architetti romani non mancarono di soluzioni originali, spesso da mettere in relazione a condizionamenti dovuti a tradizioni locali (si veda in proposito HESBERG, Tempio. Roma ... , p. 639)·

116)   Ovviamente non è da escludere la possibilità che più rifacimenti o sistemazioni si siano susseguite nel tempo.

117Reliquie ... , p. 143·

118)  ROSSI, Breno (Brescia) ... , p. 92.


Fonte srs di CRISTINA BASSI da  Il santuario romano del Monte Castelon presso Marano in Valpolicella, da   ANNUARIO STORICO DELLA VALPOLICELLA 2001 – 2003


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