mercoledì 5 gennaio 2011

RONCÀ DI VERONA. Ricca di sorprendenti scoperte la campagna di scavo 2010 sul monte Duello.

Il sindaco Turri analizza un reperto durante gli scavi

RONCA: fra le centinaia di reperti paleontologici spiccano numerosi fossili e un misterioso osso. Quei denti di squalo hanno 40 milioni di anni. È venuta alla luce anche una scapola: potrebbe appartenere al dugongo, che popolava la grande «laguna pietrificata»

Gli scavi paleontologici regalano un mistero: e se fosse di Prototherium la scapola ritrovata sul monte Duello? E’ l’interrogativo più esaltante che si stanno ponendo i partecipanti allo scavo nel sito (in territorio di Montecchia) dove, un secolo e mezzo fa, venne ritrovato lo scheletro del dugongo marino. Solo lo studio che occuperà nei prossimi mesi gli addetti ai lavori della Soprintendenza di Verona, sarà in grado di risolvere il giallo.

Il professor Roberto Zorzin

«Ipotesi affascinante», riconosce Roberto Zorzin, conservatore della sezione Geologia e paleontologia del Museo di storia naturale di Verona e direttore dello scavo, richiesto dal Comune e autorizzato dal ministero per i Beni culturali, «ma servirà del tempo anche per leggere cosa siano altri pezzi che di primo acchito sembrano pure ossa. Stiamo sulle certezze», dice Zorzin, «e le certezze sono che sono stati comunque trovati pezzi molto rari. Sto parlando di due denti di squalo con ancora il loro smalto originale, datazione approssimativa 40 milioni di anni fa, e, tra i lamellibranchi, di più di qualche Cypraea. Non solo: martedì abbiamo rinvenuto un esemplare ben conservato e intero di Campanile defrenatum, di 40 centimetri e un altro più piccolo ed incompleto. Abbiamo anche recuperato una lastra contenente gasteropodi, bivalvi, coralli e un bel riccio di mare con gli aculei».




Uno dei denti di squalo, perfettamente conservato.  FOTOSERVIZIO AMATO

Completano l’elenco lamellibranchi come Laevicardium e Cyrena (simili a vongole), gasteropodi come Turritella, pregevoli esemplari di Cerithium (campanili), assieme a chele di granchio, nummuliti e a massi su cui sembrerebbero esserci altre ossa. «Interessante lo è di sicuro questo materiale», aggiunge Zorzin, «ma dovremo valutare se proseguire ancora lo scavo o rivolgere l’attenzione al secondo cantiere, quello che dopo la vendemmia aprirà in località Costo, zona Valle della Chiesa».

Il sindaco Roberto Turri, che fece richiesta al ministero per scavare, al cantiere s’è fatto vedere spesso: non è un addetto ai lavori, ma promuove positivamente l’esperienza fatta. Guarda ai reperti raccolti in questa settimana scavando nei due micro cantieri individuati nell’area: i fossili sono stati raccolti, ordinati e numerati e sono custoditi al museo di Roncà. Dovranno essere puliti anche se in via grossolana, classificati, restaurati e inventariati: ci vorranno mesi ma le centinaia di pezzi raccolti permetteranno di incrementare le conoscenze e le collezioni dell’esposizione di Roncà.

Sarà questo il momento in cui entreranno in scena i tecnici: oltre al citato Zorzin, i rilievi scientifici saranno eseguiti da un’equipe composta anche da Paolo Mietto (università di Padova), Carla Alberta Accorsi (Museo di paleobiologia e orto botanico dell’università di Modena e Reggio Emilia) e Michele Mattioli (università di Urbino). Il merito è, in primis, di chi ha dedicato il suo tempo a scavare con le mani, martelletti e picchetti, tra le rocce millenarie. In venti si sono alternati sul cantiere, per un giorno solo o tutta la settimana, costituendo ogni giorno squadre miste di neofiti e veterani dello scavo che, a sentire loro, sono state l’autentica formula del successo dell’esperienza.

Michele Sabaini, 35 anni, forse merita il premio dedizione: lavora in una fabbrica di succhi di frutta, s’è fatto mettere di notte sei notti di fila e smontando alle 6 alle 8.30 era già sul cantiere. «I miei ultimi 20 anni sono stati di scavo. Sono un fedelissimo della Pesciara di Bolca e dei Covoli di Velo e se penso che questa esperienza sta per finire…»: il seguito della frase sono due occhi lucidi. «L’emozione più grande? Il primo giorno, quando ho trovato un Cerithium a sette spire: e il giorno dopo un riccio».

Stefano Castellani, geologo, 24 anni, fresco di laurea, arriva da Montagnana ed è al primo scavo: «Esperienza fantastica per i compagni di squadra che ho avuto… ma anche per quel dente di squalo che mi è capitato tra le mani». Del gruppo ha fatto parte anche Patrizio Paperelli, «palombaro della terra», come si definisce. Agronomo nella vita, ha deciso che sapere tutto o quasi del sopra della terra non gli basta: «Avevo visitato il museo di Roncà, l’argomento mi interessava ed eccomi qua, contento e soddisfatto di questa esperienza splendida».

Promozione a pieni voti anche da Giovanni Todesco, il paleontologo dilettante che 30 anni fa scoprì Ciro, il baby dinosauro italiano: «Entusiasmante lo scavo, ma che fatica! Abbiamo trovato interessanti esemplari, ed io ho trovato una splendida equipe».


Da esposizione a museo  un sogno realizzabile


Le idee dal cantiere: proseguire la partnership col museo di Montecchio Maggiore e dedicare, negli spazi di quello di Roncà, uno spazio didattico-interattivo ai bambini. Sono due donne a suggerire altrettante proposte: «Essere attaccati alla natura significa essere più aperti e concreti: l’ho imparato da mio marito, l’ho insegnato ai miei figli e sono convinta che se al museo di Roncà venisse allestito un laboratorio per i bambini si farebbe una cosa eccellente».
Lo dice Lucia Trivero, moglie di Francesco Sforza, medico in pensione, «da 30 anni col martello da scavo in mano». Quattro figli e una cena per dodici persone all’attivo il giorno prima di essere sul monte Duello, non ha dubbi: «In cucina è stato più faticoso che smartellare. E’ una esperienza splendida, soprattutto per la compagnia perché condividere lo stesso interesse crea la passione».

Viviana Frisone, conservatrice-naturalista del Museo di archeologia e storia naturale di Montecchio Maggiore, promuove a pieni voti il sodalizio tra musei: «Esperienza ottima, questa al Duello, scavo organizzato bene e ottimi gruppi di lavoro. Valeva la pena di esserci perché questa esperienza ha rilievo scientifico», dice Frisone, «e quella dello scavo è una delle fasi più importanti. Come museo», conclude, «siamo contentissimi di esserci e ci auguriamo che questa sia la prima di una serie di collaborazioni».
Il più entusiasta all’idea è Giancarlo Tessari, un po’ l’anima del «museo» di Roncà:  le virgolette sono d’obbligo visto che oggi la collezione è classificata come esposizione ed è in corso l’iter per la promozione formale a museo. C’era anche lui a scavare: «Esperienza straordinaria, anche dal punto di vista umano», dice.

Non gli par vero di aver incontrato persone che condividono la sua passione, la stessa che lo ha trasformato in custode e factotum del «museo roncadese. «Abbiamo trovato nuovi amici per il museo che vogliamo far crescere. Ho distribuito ai soci un questionario chiedendo loro di dire quello che vorrebbero fare per promuoverlo e renderlo vivo e come potrebbero mettersi a disposizione per le tante attività che abbiamo nel cassetto.

«Ce la stiamo mettendo tutta, i sei soci ed io, anche perché i cinquanta iscritti formalizzino l’associazione e permettano all’Associazione geopaleontologica-Gruppo Val Nera di adeguarsi alle norme e diventare un interlocutore istituzionalmente valido. Da qui parte la rinascita del museo e del sentiero naturalistico, tesori da far conoscere». (P.D.C.)


Fonte: srs di Paola Dalli Cani da L’Arena di Verona di Domenica 29 Agosto 2010, PROVINCIA, pagina 27



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