Erano gli anni anno ’80 e, come sempre, appena avevo qualche giorno libero, accompagnavo mia moglie a trovare sua padre a Chiavari. Il suocero era innamorato di quella cittadina: il paese era accogliente, la natura stupenda e il mare bellissimo, ed io approfittavo di quei giorni per ritemprare il corpo e lo spirito e… cadere nei piaceri della tavola. Sì, perché i negozi di gastronomia lungo i portici erano, e sono ancora, una vera tentazione.
Quel fine settimana l’avevo impegnato a visitare il mercatino dell’antiquariato che avevano aperto a Chiavari proprio in quegli anni.
Benché non sia un grande appassionato di antiquariato, osservavo con attenzione sia i libri antichi che gli utensili del passato, quando lo sguardo mi cadde su alcuni oggetti, molto belli che, più di antiquariato, mi parevano di archeologia.
Oggetti archeologici in vendita sulla bancarella
Il venditore mi disse che provenivano dal Bacino del Mediterraneo, nord Africa e Medio Oriente, ed erano tutti regolarmente importati.
Bottiglia in vetro periodo romano di provenienza Nord Africa
Scattai un paio di foto di sfuggita e mi misi a parlare di altro; alla fine la chiacchierata ricapitombolò ancora sull’archeologia. Il venditore, con un velato autocompiacimento, mi disse: “Guarda, ti faccio vedere un reperto bellissimo: nel mondo cene sono circa una mezza dozzina”. Da un scatolo estrasse con cura, un oggetto incartato, lo aprì. Era un disco di argilla rossastra, di un diametro di un “palmo di mano”, ricoperto da una vernice nero su cui erano disegnati a spirale concentrica dei pittogrammi. Sembrava una copia del il disco di Festo. Non ricordo più cosa disse per la provenienza, mi sembra Siria o Turchia.
Disco Chiavari
Non chiesi nemmeno il prezzo, perché non mi è mai interessato acquistare o tenere oggetti di antiquariato, figuriamoci di archeologia. Di essi mi piace, semmai, avere come memoria solo delle fotografie. Ottenni di poter fare alcuni scatti per “valutare meglio” l’oggetto.
Le diapositive rimasero archiviate “nell’armadio delle diapositive”, anzi, di queste, non ricordavo quasi più neppure di averle fatte. Sono rimaste lì ad invecchiare per quasi venticinque anni e, solo in questi mesi che sto digitalizzando il mio archivio di dia, sono ritornate alla luce.
Visto la “peculiarità” dell’oggetto, ho pensato di inserire le foto nel blog, per vedere se vi sono persone che hanno delle informazioni su questi particolari reperti, o che siano di interesse a qualcuno per i suoi studi.
Attualmente, per me, è solo: IL DISCO DI CHIAVARI ovvero l’alians del “Il disco di Festo”.
PS. Per quel che penso io è il lavoro di un scarso falsario...roba da souvenir
PS. Per quel che penso io è il lavoro di un scarso falsario...roba da souvenir
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