Nave shardana
Giangiacomo Pisu, comandante di marina e grande esperto di mare, prendendo spunto da quanto pubblicato da Leonardo Melis, nel suo primo libro del 2004 analizza le navicelle riprodotte nei bronzetti, definite da alcuni lampade votive ma che a un'analisi più attenta si dimostrano riproduzioni di vere e proprie navi. Nel secondo libro, uscito nel 2005, si sofferma invece sui porti sia del periodo Nuragico che di quello Shardana. In questa pagina sintetizziamo i concetti presenti nei due volumi che più ci sembrano significativi. Il terzo volume nasce come atto d'amore verso una Terra che continua ad essere violentata culturalmente, e verso un popolo che chiede a gran voce la restituzione della propria storia.
Le popolazioni Nuragica e Shardana
L'arrivo dei Shardana si va a sovrapporre alla popolazione che aveva abitato l'isola precedentemente, creando presto una commistione tra due diverse popolazioni.
Giangiacomo Pisu riporta i risultati di uno studio di Giuseppe Vona, docente di Antropologia e Biologia delle Popolazioni Umane presso l'Università di Cagliari. In esso si afferma che l'archeologia e l'antropologia molecolare dispongono già di indicazioni precise sulle origini dei sardi; e molte sono basate sul DNA. Lo studio del DNA mitocondriale, ereditato per via materna, dei sardi e dei Corsi porta a ritenere che l'espansione demografica in Sardegna sia avvenuta tra i 78.000 ed i 27.000 anni fa, da qui poi la popolazione sarebbe passata in Corsica quando le due isole erano ancora unite tra i 42.000 ed i 14.550 anni fa.
E le analisi di Simona Sanna sul DNA mitocondriale antico di età nuragica, effettuate sui loro resti fossili, individuano caratteristiche comuni e quindi una forte omogeneità in tutta l'isola, senza però alcuna analogia con quella dei sardi attuali. Il cromosoma Y, che viene ereditato per via paterna e permette di seguire le migrazioni maschili, ci dice che i sardi attuali lo condividono con le altre popolazioni mediterranee, e si ritiene lo abbiano ereditato da migrazioni dal vicino Oriente. Tracce però di una popolazione precedente si conservano comunque, dato che solo i sardi hanno nei rami principali del DNA gli aplogruppi M26 e HG2.2, assenti in tutte le altre popolazioni europee e del bacino del Mediterraneo. La conclusione è che tra la popolazione antica e quella moderna si erge una barriera genetica simile a quella che separa i sardi di oggi da tutte le altre popolazioni mediterranee ed europee.
Crani di Genna
In una delle numerose grotte dell'altipiano del Golgo utilizzate come sepolture, la grotta di Genna e Ludalbu, sono stati rinvenuti gli scheletri di due inumati di media statura, uno brachimorfo (cranio corto e largo) e l'altro dolicomorfo (cranio stretto e allungato), quest'ultimo databile 2.000-1500 a.C. in pieno periodo Shardana. Si tratta dei tratti somatici di due popolazioni diverse, la prima di tipo negroide e la seconda con le caratteristiche tipiche delle popolazioni indo-europee e semitiche.
Pisu analizza nei dettagli il bronzetto che riproduce una navicella rinvenuta nel santuario di Hera Lacinia, dea greca protettrice delle donne, dei pascoli e della fertilità, in Calabria vicino a capo Colonna, non lontano da Crotone, analizzata anche da Giovanni Lilliu. Sulla navicella sono presenti carri trainati da buoi vicini alle murate di dritta (destra) e sinistra. Dalle misure dei carri è possibile risalire alle dimensioni della nave, che appare lunga 40 metri, con un pescaggio di 4,8 metri ed un bordo libero alto 1,80 metri. Il baricentro della nave cade esattamente al centro, ma tutte le strutture sono presenti verso poppa, ottenendo un appoppamento della nave e quindi un buon assetto di navigazione. All'estrema poppa è presente una stivetta coperta per imbarcare viveri, protetti dal mare e dalle intemperie.
La propulsione non era a remi ma era probabilmente a vela, come dimostra la presenza dell'albero e come attestano le riproduzioni di navi Shardana realizzate dagli egizi. Sulla sommità dell'albero è presente un anello. Escludendo che l'anello fosse una sorta di bussola, come pensa l'archeologo Mario Pincherle, perché, anche ammesso che conoscessero la bussola, cosa tutta da dimostrare, non avrebbe senso porla in cima all'albero invece che in una posizione più comoda. Si può pensare invece che all'interno dell'anello passasse un albero più fine, un pennone, al quale veniva applicata una vela triangolare.
Secondo uno studio dell'archeologo olandese Hans ten Raa, la presenza di un unico albero grosso e corto appoggiato sulla chiglia e fissato alla stiva con accessori in bronzo, l'anello con inserito il pennone e la vela sarda erano concepiti per poter tornare agevolmente controvento. Vi ritroviamo le caratteristiche ancora oggi presenti su molte imbarcazioni arabe, mediterranee ed africane a vela latina. Sopra l'albero è sempre presente la riproduzione di una colombella o un altro uccello, probabilmente un indicatore di direzione del vento come molti se ne vedono, di latta, in campagna sui tetti delle fattorie, e come sono spesso presenti ancor oggi sulle barche a vela latina.
Sull'albero è presente un misterioso anello rotante sormontato da due corna o una mezzaluna, sul quale sono state fatte due ipotesi. Poteva servire all'inserimento di un albero trasversale che sosteneva una vela che cadeva con due triangoli ai lati dello scafo, che la rotazione dell'anello avrebbe spostato consentendo alla vela una manovra spedita senza uso di remi né timone. Una seconda interpretazione più azzardata ma affascinante, elaborata dall'archeologo Mario Pincherle in base a incisioni su una stele cartaginese, vede nella mezzaluna un magnete e quindi nell'intera struttura addirittura una bussola con un sestante...
La forma delle navi e le ancore
Analizzando la forma di questa e di altre navi riprodotte nei bronzetti, si deduce che lo scafo molto largo e la forma erano adatti ad annullare quasi del tutto la resistenza ai vortici. Per ridurre il rollio bastava ridurre la superficie velica, mentre il beccheggio veniva ridotto dalla struttura della nave con il maggior carico nella zona poppiera e la prora alta, che ovviavano all'imbarco di acqua nelle zone prodiere.
Sui bronzetti è riportato, a metà dello scafo, un bordo da alcuni interpretato come la linea di galleggiamento, mentre per altri potrebbe essere una sorta di aletta antirollio. Ci sono poi due sporgenze in basso, che per alcuni rappresentano barre stabilizzatrici, ma sono posizionate troppo in basso, ed inoltre sono improbabili in navi realizzate interamente in legno, nelle quali l'incastro di alette tra le tavole della murata avrebbe infragilito lo scafo. Probabilmente si tratta solo di peduncoli per l'appoggio della navicella su un piano.
In Sardegna si sono sempre prodotte granaglie. Il trasporto di questo carico è difficoltoso essendo il materiale molto scorrevole. l'unico modo per evitare lo spostamento del carico durante la navigazione poteva essere sistemare nella stiva una divisione longitudinale detta cascio, e disporre sopra il carico tavole o robusti teli sui quali disporre dei fermacarichi: sacchi di granaglie, o panetti di rame che probabilmente venivano disposti tipo puzzle, data la curiosa forma di quelli che sono stati rinvenuti.
Ancore
Diversi ritrovamenti, alcuni effettuati dallo stesso Pisu, portano a risalire al tipo di ancore utilizzate su queste navi. Le più antiche sono blocchi di granito con solo un foro, utilizzate in piccole imbarcazioni dato la scarsa presa sul fondo. Le più recenti hanno un foro in alto per il collegamento della cima all'ancora, e due fori in basso nei quali venivano probabilmente inserire delle marre (in legno, dato che non ne sono state ritrovate, o forse in bronzo) per garantire la miglior presa dell'ancora sul fondo.
L'organizzazione portuale Nuragica e Shardana
Gli ultimi studi storici ed archeologici ci danno la certezza che buona parte di porti Fenici e Cartaginesi, tutti situati in prossimità delle zone minerarie, agricole e di controllo militare del mare circostante, sono stati edificati su pre-esistenti porti Shardana, o forse addirittura su porti Nuragici.
Alcuni approdi e porti forse, in base all'allineamento di nuraghi di segnalazione, si può ritenere fossero utilizzati addirittura in epoca nuragica. Può risultare interessante, a questo proposito, quanto scrive Danilo Scintu in «Torri del Cielo», dove sostiene che uno dei significati etimologici del termine nuraghe possa essere desunto da Nur-Hag, ossia Torre di Fuoco, intesa come Torre della Luce, forse come Faro. I nuraghi edificati lungo la costa potevano forse avere una funzione di guida per le imbarcazioni del periodo nuragico.
I principali punti di approdo e porti della costa sarda
Nello stagno di Santa Gilla vicino a Cagliari sono state rinvenute centinaia di anfore ricolme di cibo pronte per essere stivate, maschere di terracotta ed altri manufatti. È probabile che un porto Shardana fosse presente nello stagno e sembra stia iniziando una poderosa campagna di archeologia sottomarina.
Le rovine ci fanno vedere il porto di Nora utilizzato da Fenici, Cartaginesi e dai Romani. Raimondo Carta Raspi ha dimostrato come il grande cataclisma del 1200 a.C. ed il conseguente maremoto abbia provocato un innalzamento del livello del mare di circa 2,5 metri. è stata sommersa gran parte di un porto edificato prima dell'avvento dei Fenici, probabilmente un porto Shardana, del quale si vedono ancora oggi i resti sul fondale.
A Chia i pochi resti dell'antica città di Bithia sono mura, abitazioni ed il cosiddetto tempio di Bes al quale erano dedicate le isole di Sardegna e Baleari (statue di Bes, dio della gioia e della fertilità, sono state trovate a Bithia, Karalis, due a Maracalagonis, due a Fordongianus).
Verso capo Teulada, lo sperone di roccia a strapiombo chiamato capo Malfatano è posizionato di fronte a Cartagine che distava solo 100 miglia marine verso sud. A un paio di metri di profondità c'è una colossale muraglia di grosse pietre squadrate lunga 90 metri, e sulla sponda opposta un altro muraglione di 110 metri. Tra loro, un varco di 240 metri consente l'accesso alla spiaggia. È la più grande struttura portuale antica finora trovata nel Mediterraneo. Le carte di Tolomeo indicano in questa posizione Portus Erculi, forse il porto di Melqart, l'Ercole dei Cartaginesi. La rada è circondata da numerosi nuraghi, il che lascia supporre che fosse conosciuto già in età nuragica.
Nei pressi di Gonnesa, nel villaggio di Seruci, sono stati rinvenuti pani di metallo stivati nel mastio del nuraghe e tracce di forni fusori. Una nave micenea affondata tra Carloforte e Portoscuso trasportava pani di rame provenienti probabilmente da Seruci, ed una campagna archeologica sottomarina nel 1972 ha portato alla luce elmi, armi, anfore, lingotti in rame e piombo. Seruci era probabilmente un insediamento marittimo fino dal XVIII secolo a.C.
La città di Neapolis si ritiene sia stata fondata dai Cartaginesi nella seconda metà del VI secolo a.C. e di essa non restano tracce. Ma Pisu osserva che capo Frasca era chiamato anche capo Neapolis, vicino passa il Flumini Mannu chiamato anticamente Rivus Sacer e lungo il corso si trova la chiesa di Santa Maria di Nabui. Secondo Carta Raspi, Neapolis, che lì sorgeva a circa sette chilometri a sud-ovest di Torralba, doveva il nome alla Romanizzazione della precedente denominazione, Nabui appunto. In Babilonia Nabu era il dio degli scribi e delle arti, nelle località dove hanno vissuto i Shardana il nome Nabu indicava genericamente la divinità. Neapolis quindi sarebbe stata una città marittima già al tempo dei Shardana, il cui bacino portuale si trovava presumibilmente dove oggi è lo stagno di Santa Maria.
Nelle immagini aeree il territorio di Tharros con strutture sommerse
Il porto di Tharros è in uno dei migliori punti strategici di tutta l'isola ed offre ottima protezione da tutti i venti. Da qui partivano i carichi di ossidiana già dal tempo nuragico, su imbarcazioni probabilmente simili ai fassonis realizzati con fieno palustre e giunchi dai pescatori degli stagni di Cabras e Santa Giusta. Rilevazioni aeree hanno permesso di individuare il porto sommerso dell'antica Tharros, sotto il tophet Fenicio, e quindi realizzato prima dell'arrivo dei Fenici
Secondo Carta Raspi, lungo la costa tra capo Caccia e l'Argentiera si trovava la città portuale di Nure. Pisu vi ha trovato un'ancora in pietra di circa 1 metro, ed ha studiato i resti del nuraghe del Vino e di un secondo nuraghe non censito, poi battezzato di Acqua Chiara, che risultano allineati rispetto ad una secca profonda 50 cm, che in età nuragica doveva essere alta due metri rispetto al mare, formando un frangiflutti naturale.
Cala del Vino poteva essere un rifugio per le navi che incappavano in una tempesta, ed i fuochi accesi sui nuraghi ne segnalavano la posizione, a conferma dell'esistenza di nuraghi marittimi e della presenza di porti già in età nuragica. Vi potevano attraccare le barche dei pescatori, e lì vicino c'è la torre di Bantine Sale il cui nome indica la spianata del sale, infatti sotto la scogliera c'è una spianata che poteva un tempo essere una grande salina, ed il sale era già allora utile per la conservazione del pescato. cala del Vino si trova in una posizione strategica anche per motivi difensivi, consentendo di bloccare eventuali invasori nella zona di capo Caccia, partendo da porto Conte e la cala del Vino.
L'Asinara deriva il nome da Sin-Ara, tempio del Dio Sin. Numerose testimonianze attestano la frequentazione della zona fino dal periodo nuragico, e i Shardana frequentavano la costa orlata di stagni e saline. Nel tratto di mare tra Stintino e cala Reale, sull'Asinara, è stata trovata un'ancora in pietra. Alcuni pescatori hanno segnalato la presenza di un muro sommerso davanti a punta Trabuccato, sull'Asinara, ed altri di una presunta strada sommersa tra la chiesa di Balai Lontano e punta Tramontana, verso Castelsardo. Sarebbe interessante individuare e datare questi resti.
Anche lo studio di cala Ostina, poco a est di Castelsardo, porta ad individuare due nuraghi di segnalazione: il nuraghe Campulandro ad est ed il nuraghe cala Ostina lungo la linea di mezzeria della cala. Un'ancora in pietra è stata trovata anche nel fondale vicino a Santa Teresa di Gallura. Numerosi punti di approdo si trovano nella costa e nelle isole dell'arcipelago de La Maddalena.
Presso Porto Rotondo è stata portata alla luce un'ancora in pietra a soli 2 metri di profondità, decorata con nove righe parallele di punti che richiama le decorazioni sulle ceramiche dell'Eneolitico evoluto, prima dell'arrivo dei Shardana.
Nel golfo di Orosei ancora oggi molti anziani chiamano cala Sisine con il nome di Portu Sisine, dato che dove oggi è la cala si trovava un fiordo che era lo sbocco naturale dell'altipiano del Golgo. Qui si trovano numerosi siti archeologici ancora non censiti, tra i quali tre grandi villaggi preistorici. Nel margine occidentale dell'altipiano nel 1984 l'archeologo Elio Aste ha individuato in località Doladòrgiu i resti di una fortezza dell'età nuragica, a circa 500 metri dal nuraghe Alvu, in posizione strategica per il controllo del possibile accesso all'altipiano dalla codula di Sisine.
Le rotte seguite dalle navi Shardana
Giangiacomo Pisu nei suoi volumi analizza, poi, le rotte seguite dalle navi Shardana. Qui riportiamo solo l'andamento delle correnti nel mese di luglio, quando lungo la costa occidentale della Sardegna, partendo da capo Caccia, costeggiano verso sud passando per Tharros, Solki e Nora, mentre lungo la costa orientale scendono dalla Corsica verso il golfo di Olbia, a quello di Orosei, per congiungersi al largo di capo Carbonara con quelle provenienti da occidente. Da qui la corrente prosegue fino alle coste della Sicilia, nel Trapanese, dove sono stati trovati bronzetti e ceramica sarda.
Costeggiando la Sicilia fino a Malta, questa corrente si unisce ai rami provenienti dalla Calabria e dal golfo di Taranto e si dirige in direzione del nord Africa, verso Alessandria d'Egitto e Porto Said. Non è un caso che riproduzioni di navi Shardana sono state ritrovate in Egitto nei bassorilievi di Medinet Abu.
Dall'Egitto le correnti risalgono, costeggiando Israele, Libano e Siria, fino a Cipro, dove è stato trovato bronzo sardo. Proseguono lungo le coste turche, dove è stato rinvenuto il relitto di Uluburun, passano nelle isole greche ed arrivano a capo Maleas (capo Matapan); da qui un ramo risale verso Corfù per arrivare al golfo di Taranto, mentre un altro ramo porta verso lo stretto di Messina e risale verso le coste tosco-laziali per unirsi alla corrente proveniente da nord dalla Corsica.
Per quanto riguarda le direzioni del vento, in inverno i venti da nord-ovest sono troppo forti per consentire la navigazione di piccole imbarcazioni. In primavera abbiamo venti da poppa andando dalla Sardegna verso sud-est, mentre durante i mesi estivi lo scirocco da sud-est consente il rientro dalle coste libiche ed egiziane verso la Sardegna. È probabile che le navi da carico Shardana partissero verso aprile e rientrassero dopo cinque o sei mesi per svernare nell'isola e preparare un nuovo carico per l'anno successivo.
La navigazione avveniva sotto costa, in piccolo cabotaggio. Di giorno a vista, di notte l'orientamento fa riferimento alla stella polare, la più luminosa dell'orsa minore, individuabile prolungando cinque volte la distanza tra le due prime stelle dell'orsa maggiore, che nell'arco dell'anno ruota attorno all'orsa minore ma conserva sempre il puntamento delle prime due stelle verso la stella polare.
Sappiamo che al tempo dei nuraghi già si conosceva l'orsa maggiore. Leonardo Melis riporta la scoperta di Bruno Pia, che ha rilevato come la posizione di sette nuraghi nella campagna di Mogoro riproduca esattamente quella delle stelle dell'orsa maggiore, e prolungando cinque volte la distanza tra i due primi nuraghi del carro si arrivi proprio nell'abitato di Mogoro.
Ma Pisu si domanda come mai Mogoro non si trovi, rispetto a questi nuraghi, nella posizione della stella polare, che oggi indica il nord. Risponde a questo interrogativo con il fenomeno della processione della terra, ossia la lenta rotazione dell'asse terrestre nel tempo, e dimostra che intorno al 2000 a.C. la stella che indicava il nord non era la stella polare, bensì la stella Thurban, detta anche Dragonis, della costellazione del drago.
Il ritrovamento di anfore trasformate in fanali per l'illuminazione di bordo e per segnalazioni notturne a distanza, lasciano presumere che esistessero anche rotte lontane dal piccolo cabotaggio, dirette a mare aperto. Il ritrovamento di spade sarde in un relitto naufragato al largo delle coste spagnole ha evidenziato la possibilità che esistesse una rotta commerciale tra l'atlantico ed il Mediterraneo 3000 anni fa.
La navigazione verso l'Africa sub-sahariana
Nei dintorni di Baunei sono stati trovati bronzetti che provano come i navigatori Shardana avessero raggiunto nei loro viaggi le coste dell'Africa centrale. Una navicella ha una perfetta riproduzione nella protome della testa di un'antilope; su un'altra navicella è presente una scimmia antropoide, probabilmente un gorilla. Non si potevano riprodurre con tanta precisione, se non si erano prima viste di persona, specie animali presenti solo nell'africa sub-sahariana. Un altro bronzetto, per di più, rappresenta una persona con i tipici tratti somatici di un negro. E solo i Shardana li hanno riprodotti, perché solo loro li hanno visti, non lo hanno fatto nè Sumeri, nè Assiri o Babilonesi, nè Egei o Fenici o Cartaginesi, dato che nessuno di loro si è mai spinto in territori così lontani dal bacino del Mediterraneo.
L'incredibile storia del relitto di Uluburun
Relitto di Uluburun
Lungo la costa sud-orientale della Turchia sono stati rinvenuti due relitti, il prino presso capo Gelidonya (fine XIII secolo a.C.) ed il secondo a Uluburun (fine XIV secolo a. C.), entrambi probabilmente riconducibili ai navigatori Shardana.
Herb Dexter, capo della spedizione archeologica dell'università di Filadelfia per il recupero del relitto affondato presso capo Gelidonya in Turchia con un carico di oggetti in bronzo databili 1800 a.C., ha confermato che i Shardana erano abitanti della Sardegna ed erano uno dei popoli presso i quali gli Egizi reclutavano i mercenari.
Nel 1982, nel sito nominato Uluburun 8,5 chilometri a sud-est di Kas sulle coste turche, un pescatore di spugne scopre a 45 metri di profondità il relitto di una nave inizialmente ritenuto degli inizi dell'età del bronzo. Il relitto viene studiato dal 1984 dalla Texas AM University che la definisce una nave reale e la data XIV sec. a.C. ossia del periodo del faraone Amenofi IV.
Leonardo Melis e il Giangiacomo Pisu, che dagli studi sul relitto lo hanno identificato come nave dei Popoli del Mare, avanzano l'affascinante ipotesi che possa trattarsi della nave con la quale i Shardana si erano recati in Egitto per invitare Amenofi IV a ritornare al culto dell'unica Dea Madre. Il faraone, che cambia il suo nome in Akhenaten, e sua moglie Nefertiti aderirono alla richiesta dando origine al primo culto monoteista della storia, sostituendo però l'unica Dea con l'unico Dio Aton.
Lingotti di rame
Nella nave, che potrebbe essere affondata nel viaggio di ritorno, sono stati rinvenuti:
10 tonnellate di lingotti di rame di tipo ox-hide (con la forma di una pelle di bue) del tipo di quelli che sono stati rinvenuti in diverse località sarde;
1 tonnellata di stagno puro in lingotti di origine sconosciuta;
150 lingotti di vetro antico ancora intatto (la prima prova del trasporto di vetro via mare);
1 tonnellata di resina di Terabit usata per gli incensieri;
1 raro libro in ebano portato dall'africa tropicale, del tipo menzionato anche nell'Iliade;
zanne di elefante e denti di ippopotamo;
numerose statuine votive del dio Bes;
una lametta da barba ed un gran numero di spade,
lance, pugnali, archi, frecce del tutto simili a quelle conservate nei musei di Cagliari e Sassari e ritrovate nel Baltico;
trombette in avorio, cimbali in bronzo, liuti fatti con gusci di tartaruga appartenenti a danzatrici reali presenti a bordo della nave;
perline d'ambra del Baltico;
un'ancora in pietra del tipo di quelle ritrovate in Sardegna;
ceramica del tipo miceneo;
uova di struzzo (l'uovo di struzzo veniva usato in Sardegna a Karalis, Bithia e Tharros nelle cerimonie in onore dei defunti);
sigilli Siriani, Assiri, Cassiti e Sumeri.
Sigillo in oro di Nefertiti
Il reperto più importante è, comunque, un sigillo in oro di Nefertiti, l'unico sigillo in oro della regina arrivato fino a noi. Pensiamo che questo sigillo non potesse essere consegnato dalla regina a chiunque. Era forse un suo dono agli ambasciatori Shardana...
I dati provenienti dai relitti di capo Gelidonya e di Uluburun - il primo che sembra svolgesse commercio a lungo raggio di un livello piuttosto alto, mentre il secondo, di un secolo più tardo, doveva essere nave più piccola impiegata in scambi di piccolo cabotaggio - ci aiutano a delineare l'evoluzione degli scambi commerciali ed economici nel Mediterraneo.
Fonte: srs di Giangiacomo Pisu da La mia Sardegna