lunedì 9 febbraio 2009

Vicenza Valsugana: Mario Pontarollo una vita di contrabbando



Mario Pontarollo  una vita di contrabbando

di Gianni Sartori 


Il  14 maggio del 1995 Ë scomparso uno degli ultimi contrabbandieri della Valsugana, Mario Pontarollo. 

Dopo solo  un paio di mesi moriva anche la moglie, Florinda Moro. 


Penso non sia retorico affermare che,  insieme a Mario e a Florinda, se n’ E' andato un  pezzo di Storia. 

Abitavano a Sasso Stefani, in  Valsugana, presso Valstagna. 

Ero capitato per  caso in questa contrada qualche anno fa, quando il sentiero dei contrabbandieri, detto anche  dei carpenedi, non era ancora stato segnalato dal CAI. 

Il percorso mi venne indicato da Mario  che, con un certo orgoglio, racconto' di averlo  percorso infinite volte (di notte, anche con la  neve) con in spalla il sacco pieno di tabacco. 

Di contrabbando naturalmente. 

Dall’incontro con  Mario e la moglie non ricavai soltanto le indicazioni per una nuova escursione, ma anche la  consapevolezza che coltivazione e commercio  del tabacco, oltre che nell’economia, sono stati  alquanto rilevanti nella storia e nella cultura  della vallata. 

Al punto che si potrebbe quasi parlare di rapporti simbiotici tra i ì Canalotiî doc e  l’Erba Regina (secondo altri: della Regina). 

Rapporti che con il tempo si rivestirono di significati e valenze simboliche, inestricabilmente intrecciati con il senso di appartenenza e di identita'. 

Gli eventi che portarono all’introduzione della pianta (presumibilmente avvenuta tra il XVI e il XVII sec.) sono in gran parte avvolti nel mistero. 

Circola ancora la leggenda di un anonimo benefattore (alcuni parlano di un monaco, di un eremita...) che avrebbe fatto dono di alcuni preziosi semi ai poveri diseredati della valle, a quel tempo alquanto depressa e sottosviluppata. 

Dato che all’epoca vigeva una sorta di interdizione e un severo controllo, i semi sarebbero stati introdotti abusivamente, pare dalla Francia, nascosti in un bastone da pellegrino cavo all’interno. 

»’  evidente come questa storia ricalchi l’analogo racconto in merito all’introduzione nel Veneto del baco da seta. 

Anche in quel caso, peraltro documentato, fu un monaco a portarsi appresso dall’Oriente il prezioso lepdottero, nascondendo i bruchi (i famosi cavalieri ghiotti delle foglie del moraro) o forse le crisalidi, nel cavo di un bastone. 

All’inizio l’esotica solanacea veniva coltivata non per essere fumata ma per le sue qualita' terapeutiche e medicamentose. Solo successivamente l’Erba (della) Regina venne ìsqualificataî e le sue foglie ridotte a prosaico trinciato (forte per lo piu'). 

Pare  che i primi tentativi di coltivazione si registrassero proprio a Valstagna e Oliero e forse anche a Sasso Stefani dove risiedeva il nostro contrabbandiere superstite. 

I primi contratti notarili tra Venezia e Valstagna risalgono al 1763. 

I diritti cosi' acquisiti dai Canaloti vennero riconosciuti e convalidati persino durante la breve parentesi napoleonica. 

Lo stesso avvenne poi con Francesco I d’Austria. 

Ma i prezzi ufficiali restavano irrisori e i locali trovavano conveniente continuare ad ìesportarloî e rivenderlo per proprio conto. 

Cosi' andarono le cose fino al 1866, quando con l’unita' d’Italia la situazione divenne alquanto difficile. 

Infatti la Regia Amministrazione Italiana riusciì in breve tempo a provocare il deprezzamento del prodotto e anche il conseguente abbandono di molte masiere coltivate a tabacco. 

L’introduzione della nuova prassi di misurare il quantitativo in base non piu' al peso ma al numero delle foglie fu alquanto deleteria per i valligiani.

 Contemporaneamente la repressione del contrabbando divenne ancora piu' dura, toccando livelli mai visti in precedenza. 

In proposito e' interessante osservare come sia sempre esistita una notevole sfasatura tra l’opinione istituzionale del contrabbandiere  (considerato alla stregua di un volgare delinquente) e il prestigio di cui ancora gode tra i valligiani. 

E piu' lo Stato criminalizzava i contrabbandieri,  piu' cresceva l’identificazione e la solidarieta' della popolazione. 

Ovviamente tributi e balzelli non erano graditi e questo favoriva la percezione del contrabbando come un "non crimine" e una forma di ribellione.  

Anche perche' tutti, chi piu', chi meno, vi erano partecipi e ne traevano sostentamento, integrandolo nell’economia locale. 

La scarsa collaborazione fornita  alle forze dell’ordine determino' un inasprimento della repressione che si spinse a veri e propri eccessi, anche a livello legislativo, sproporzionati rispetto all’entita' del reato.

Questo soprattutto con l’avvento dello stato unitario. 


Leggi speciali contro i contrabbandieri 


Dopo il 1866 si comincio' ad arrestare sistematicamente anche coloro che solo "si accingevano a compiere il crimine". 

In questi casi non ci si limitava piu' alla confisca della merce (come avveniva precedentemente) ma il tentativo veniva equiparato alla consumazione del delitto stesso. 

In pratica chiunque venisse scoperto con carichi sospetti nella zona veniva quasi sempre arrestato preventivamente. 

Questo naturalmente non accadeva solo in Valsugana e dintorni, ma capitava un po’ dovunque sulle Prealpi venete. 

Si contrabbandassero foglie di tabacco, fiammiferi, pietre focaie, sale, carte da gioco o altri generi di monopolio e non. 

Ce lo ricorda il gran numero di sentieri denominati non a caso ìdei contrabbandieriî. 

Quello del Fumante attraverso cui si poteva accedere al Carega, quello del Pasubio ora denominato "Baglioni", quelli che  collegano la Val d’Adige con la Lessinia... 

Proprio in questi ultimi paraggi si conserva memoria nientemeno che di un "Inno dei Contrabbandieri", il cui testo la dice lunga sulla sostanziale divergenza di opinioni in materia di legalita' tra istituzioni e masse popolari. 

La pratica del contrabbando non si esauriì con  l’annessione del Veneto e nemmeno con la fine della prima guerra mondiale. 

Le magre condizioni di vita e la quasi monocoltura del tabacco (una sorta di condanna al prezzo governativo) imposero ai canaloti una continua deroga agli ordinamenti in vigore. 

Unica alternativa al contrabbando era, ovviamente, l’emigrazione. 

Esperienza questa che il nostro Mario ebbe ampiamente modo di sperimentare. 

Da questo punto di vista le vicende dei coniugi Pontarollo sono state emblematiche. 

Mi raccontava la signora  Florinda che da giovane era andata regolarmente in bici fino a San Pietro in Gu' (ma talvolta si spingeva fino a Treviso) con il tabacco sotto i  vestiti e nella cesta, ben nascosto sotto il figlio piu' piccolo del momento (ne ha avuti sette). 

Per avviarsi doveva aspettare mezzogiorno, quando i finanzieri smettevano per un po' di controllare le strade. 

Era costretta a darsi al contrabbando soprattutto nei periodi in cui Mario lavorava all’estero (in Germania, in Africa...). 

Del resto era questa una esperienza comune a gran parte delle donne della Valsugana. 

I mariti emigranti per periodi piu' o meno lunghi e le femene casa a  spetare i schei; che qualche volta arrivavano,  qualche altra no. 

Intanto dovevano tirar vanti e tirar su i fioi. 

Mario Pontarollo ricordava che le sue vicessitudini cominciarono molto presto, a quattro anni. 

All’epoca la sua casa venne a trovarsi praticamente in prima linea. Completamente distrutta dai bombardamenti, pote' essere ricostruita solo nel dopoguerra. 

Nel frattempo ando' sfollato (ma lui preferiva definirsi profugo) con il resto della famiglia. 

L’ultima volta che ci eravamo visti,  Mario mi aveva chiesto notizie sullo stato del "suo" sentiero, probabilmente con un po' di nostalgia. 

Non ricordava di essersi mai spinto oltre il  bordo soprastante dell’Altopiano, dove il sentiero sbuca in un pascolo. 

Arrivato lassu' consegnava il carico a chi lo stava aspettando, tirava i schei e tornava in valle. 

Praticamente per tutta la vita aveva alternato contrabbando ed emigrazione. Tranne quando la patria si ricordo' di lui  per la "parentesi di guerra" in Grecia e Albania. 

Ma questa era un’altra storia... 



Anno II, N. 5 - Maggio-Giugno 1996


Fonte: - Quaderni Padani  38



INNO DEI CONTRABBANDIERI  DELLA LESSINIA 


Noàntri contrabandèri 

vegnemo su da Ala 

e co la carga in spala 

pasemo el confin 


Noàntri contrabandàri 

semo sensa creansa 

bastonemo la finansa 

sensa farse ciapar 


Noantri contrabandèri 

ghe disemo al brigadiere 

che una de ste sere 

la pele ghe faren 


No ghe sarà Vitorio 

e gnanca Garibaldi 

che co i so stronsi caldi 

el ne sapia fermar 





L’itinerario 


(Sentiero dei Carpenedi o dei Contrabbandieri) 


Come ho detto la casa di Florinda e Mario fa  angolo con l’attacco del sentiero; in quel di Sasso Stefani (metri 170), nei pressi di Valstagna. 

Nel primo tratto l’itinerario ricalca una vecchia mulattiera. 

Piuttosto ripida, sembra piu' un impluvio lastricato che un normale sentiero. Ottimo, oltre che per far scorrere l’acqua, per "segare" subito le gambe dei domenicali. 

E anche per smorzare gli entusiasmi di qualche ultraquarantenne irriducibile. 

Non sottovalutatelo e adottate un passo regolare, cercando poi di mantenerlo per tutto il percorso. 

Ci si inoltra tra le masiere, protetti da alti muri a secco da dove sporgono file austere di gradini in pietra, senza sbocco dato che costituiscono l’accesso ai magri campicelli. 

A circa 300 metri di quota la mulattiera se ne  va per conto suo sulla sinistra, mentre ai viandanti conviene proseguire lungo il solco vallivo. 

In questo tratto il pendio si fa meno ripido e il sentiero non e' piu' acciotolato ma ghiaioso ed erboso, alternativamente. 

Punta decisamente verso un accenno di selletta, una sorta di tacca, di  incisione sulla vostra destra. 

L’intaglio rompe la continuita' del crinale brullo, spoglio di vegetazione ma costellato di caratteristiche guglie,  eteree nell’eventuale foschia o circonfuse di luce contro il cielo terso (salendo, al mattino il sole e' alle vostre spalle). Alla vostra sinistra troneggiano imponenti e impervie le pareti del Sasso  Rosso. 

Il valico, come vedrete, Ë costituito da una galleria della prima guerra mondiale che permette di accedere comodamente alla Val Calieroni. 

Il  termine veneto di ‘caliero’ qui sta ad indicare le caratteristiche marmitte di roccia prodotte dall’erosione. 

Nel periodo invernale fate attenzione ai festoni di stalattiti di ghiaccio che pendono dalla volta. 

Per un tratto si prosegue quasi in piano, lungo un leggiadro sentierino, non esente comunque da rischi oggettivi per distratti. 

Il sentiero quindi si infila nel bosco e risale con decisione. 

Qui il percorso torna ripido, quasi scosceso. 

Ricalca in parte un vecchio sentiero di guerra, come testimoniano le numerose ferite mai rimarginate delle trincee. 

Ancor piu' numerose e deturpanti le tracce lasciate sui tronchi dai zelanti segnapista di professione. 

Le indicazioni biancorosse si sprecano. Nel senso letterale. 

Il percorso utilizza un sistema di cengie naturali e l’escursione si mantiene stimolante grazie ad alcuni tratti relativamente esposti: fare attenzione con neve ghiacciata. 

E' in situazioni del genere che l’abitudine indotta a orientarsi  cercando non le tracce naturali del sentiero (ovvero dove posare i piedi) ma i segni di vernice sui tronchi dei faggi, puo' rivelarsi alquanto controproducente. 

Ancora un ultimo sforzo e al vostro sguardo,  presumibilmente ormai appannato dal sudore della fronte, appariranno le pareti precipiti sulla Val Gadena. 

Intanto il sentiero vi ha condotto nella parte sommitale della Val delle More, a due passi dalla cima del Sasso Rosso (1196 metri). 

Da qui ci si puÚ spingere verso Col Carpanedi (a nord), in cerca del raccordo con Val Gadena da utilizzare per il rientro. 


Anno II, N. 5 - Maggio-Giugno 1996 


Fonte: Quaderni Padani - 39 


Vedere:    http://www.veja.it/?p=4378

Nessun commento: