Aristotele
Presso i Veneti succede, a quanto si dice, un fatto stranissimo.
Sulle loro terre infatti calano a migliaia le “cornacchie” e saccheggiano il grano da loro seminato.
I Veneti allora offrono loro, prima che oltrepassino i confini della regione, dei doni, gettando semi di ogni genere, se le “cornacchie” li mangiano, non passano sul loro territorio e i Veneti sanno di poter stare tranquilli; se non ne mangiano, pensano che costituiranno una minaccia, tale quale un attacco nemico.
Teopompo di Chio
Teopompo narra che gli Eneti abitanti lungo l’ Adriatico, quando è il momento dell’ aratura e della semina, offrono alle “cornacchie” doni consistenti in specie di pani e focacce, impastate molto bene.
L’offerta di questi doni vuole allettare e stabilire una tregua con le “cornacchie”, in modo che esse non scavino e non raccolgano il frutto di Demetra affidato alla terra.
Lico concorda con questo racconto e vi aggiunge che (gli Eneti portano) anche cinghie purpuree e che gli offerenti poi se ne vanno.
Gli stormi delle “cornacchie” rimangono fuori dei confini, mentre due o tre di esse sono scelte e mandate verso i messi che vengono dalle città, per rendersi conto dell’insieme dei doni.
Queste, dopo l’esame, fanno ritorno e chiamano le altre, per l’istinto naturale per il quale le une chiamano e le altre obbediscono.
Arrivano dunque a nugoli e, se assaggiano le offerte suddette, gli Eneti sanno di essere in stato di intesa con gli uccelli in questione; se invece non le curano e, sprezzandole come modeste, non le gustano, gli indigeni restano convinti che il costo di quel disprezzo sia per loro la fame.
Se infatti i predetti uccelli non ne mangiano e, per così dire, non si lasciano corrompere, essi calano sui campi e saccheggiano la maggior parte delle sementi, scavando e cercando con rabbia tremenda.
Timeo
Molti poeti e storici dicono infatti che Fetonte, figlio di Elio, ancora in età infantile, convinse il padre a dargli, per un giorno, la guida del suo carro.
Ottenutolo, Fetonte, nel condurre il carro, non riusciva a reggere le briglie e i cavalli, sprezzando la guida del ragazzo, uscirono dalla solita orbita.
Dapprima, girovagando per il cielo, lo incendiarono e formarono quella che oggi è definita Via Lattea, poi, arsa molta parte della terra abitata, devastarono con le fiamme non poche regioni.
Perciò Zeus, indignato per l’accaduto, scagliò un fulmine su Fetonte e fece tornare Elio sulla sua solita orbita.
Fetonte cadde alle foci del fiume ora detto Po e in passato chiamato Eridano e le sorelle, a gara, piansero la sua morte e, per l’intensità del lutto, persero il loro primitivo aspetto, trasformandosi in pioppi.
Questi, ogni anno nello stesso periodo, stillano una lacrima che, induritasi, produce la cosiddetta ambra.
Questa supera per splendore le pietre dello stesso tipo e, nella regione, viene usata in segno di lutto alla morte dei giovani . (…)
Catone
La maggior parte della Gallia coltiva soprattutto l’arte militare e l’eloquenza.
Polibio
Un altro popolo, già da tempo, si era insediato lungo il litorale adriatico; sono chiamati Veneti e, per costumi e abbigliamento, sono poco diversi dai Celti, ma usano un’altra lingua. (…)
I Galli della Cisalpina desiderano seguire Annibale, ma se ne restano tranquilli per timore dei Romani; alcuni sono poi costretti a militare tra le fila romane.
Catullo
Ma morranno gli Annali di Volusio proprio vicino alla sua Padua e forniranno spesso ampi cartocci per gli sgombri.
Cicerone
Gli abitanti di Vicenza mostrano grande rispetto verso di me e verso M. Bruto.
Ti prego perciò di fare in modo che non subiscano un torto in senato per la questione dei vernae.
La loro causa è più che legittima, la loro lealtà verso lo stato è provata, i loro avversari invece sono tipi indegni totalmente di fiducia e turbolenti.
Da Vercelli, 21 maggio (43 a.C.).
Non si può certo passare sotto silenzio il valore, la fermezza e la dignità della provincia della Gallia.
Essa costituisce davvero il fiore d’Italia, il sostegno del popolo romano, l’ornamento della sua grandezza. (…)
Ovidio
Mantova è fiera di Virgilio, Verona di Catullo (…).
Stradone
Si tratta di una pianura estremamente ricca e costellata di fertili colline.
E’ divisa circa a metà dal Po in due regioni, chiamate rispettivamente Cispadana e Transpadana; la Cispadana quella verso i monti Appennini e la Liguria, la Transpadana quella restante.
La prima è abitata da stirpi liguri e celtiche, le une sulle montagne, le altre in pianura, la seconda è abitata da Celti e da Veneti.
Questi Celti sono della stessa razza dei Celti transalpini, mentre per quanto riguarda i Veneti la spiegazione è duplice.
Alcuni sostengono infatti che siano un ramo degli omonimi Celti abitanti lungo l’Oceano, altri che siano dei Veneti della Paflagonia, salvatisi qui con Antenore dopo la guerra di Troia.
A prova di questa loro affermazione costoro citano il loro zelo per l’allevamento dei cavalli, attività oggi completamente scomparsa, ma un tempo molto in onore presso di loro e derivante da una antica predilezione per le cavalle generatrici di muli, cui allude Omero: “dal paese dei Veneti, da cui (proviene) una razza di muli selvatici”.
E Dionigi, il tiranno di Sicilia, aveva fatto venire di qui il suo allevamento di cavalli da corsa, tanto che i Greci conobbero la fama degli allevatori veneti e questa razza divenne per lungo tempo celebre presso di loro.
L’intero territorio abbonda di fiumi e di lagune, soprattutto nella parte abitata dai Veneti (…).
(…)
Sono un fatto accertato invece gli onori resi a Diomede presso i Veneti.
Gli si sacrifica infatti un cavallo bianco e si mostrano due boschi sacri l’uno ad Era Argiva, l’altro ad Artemide Etolia.
Si favoleggia poi, com’è ovvio, che in questi boschi le fiere diventino domestiche, che i cervi vivano in branco con i lupi, lasciandosi avvicinare ed accarezzare dagli uomini, che la selvaggina inseguita dai cani, non appena rifugiatasi qui, si salva dall’inseguimento.
Si racconta anche che uno dei maggiorenti del luogo, conosciuto perché amava offrirsi come garante e per questo deriso, incontrò dei cacciatori che avevano preso in trappola un lupo.
Costoro, per scherzo, gli promisero che, se dava garanzia per il lupo e pagava il prezzo dei danni che poteva fare, lo avrebbero liberato dai lacci ed egli acconsentì.
Il lupo, liberato, si imbatté in un gruppo di cavalle non marchiate e le spinse verso la scuderia del suo garante; questi, sensibile a una tale prova di riconoscenza, marchiò le cavalle con un lupo e le chiamò licofore, bestie più rinomate per velocità e per bellezza.
I suoi discendenti conservano il marchio e il nome di questa razza di cavalli e si fecero come legge di non vendere all’estero neppure una giumenta, per mantenere solo per sé la razza autentica, dato che là questo allevamento era diventato famoso.
Ora però, come abbiamo detto, questa attività è del tutto scomparsa (…).
Fonte: Da “Le fonti letterarie per la storia della Venetia et Histria”
Clizia Voltan,
"Da Omero a Strabone", Volume I – (Venezia, 1989. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti)
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