martedì 17 febbraio 2009

I popoli sanno sfidare i loro governanti


Gianfranco Miglio

Solo così si puo cambiare davvero il destino di un paese

Un’altra questione deve essere sollevata e discussa: e cioè se il ricorso alla "disobbedienza civile" costituisca una prerogativa da riconoscere a ciascun cittadino, e da esercitare individualmente o in forma collettiva.

Alla prima domanda si deve rispondere affermativamente: ogni persona, in quanto titolare di diritti  naturali indisponibili, è legittimata a partecipare alla "disobbedienza civile", quando sussistano naturalmente i presupposti più sopra illustrati.

Ma circa l’esercizio di tale prerogativa, sembra evidente che esso debba spettare ad una pluralità consistente di cittadini.
Non credo che per dare vita a una campagna di "disobbedienza civile" sia "necessario creare un movimento o un partito appositi; tuttavia, penso che questo salutare strumento di lotta politica, per essere efficace (al limite: irresistibile) debba radicarsi nelle convinzioni di uno strato abbastanza diffuso della società.
In un determinato momento storico, la ribellione pacifica dei cittadini può cambiare il destino di un Paese soltanto se essa diventa la bandiera di un gruppo che, oltre ad avere dimensioni estese, possegga al suo interno un minimo di organizzazione e quindi esplichi capacità operativa.
Il carattere collettivo di una protesta aggiunge a quest’ultima  un "plusvalore" indispensabile.

E questa considerazione introduce ad un ultimo argomento.

Mi rendo conto che agli occhi delle persone più timorate e amanti dell’ordine (ad ogni costo) la proposta disegnata in queste pagine di una concreta e organica "disobbedienza civile", possa rappresentare una prospettiva di instabilità e di contestazione delle istituzioni: la premessa ad un "disordine permanente".

È una impressione profondamente sbagliata.
I popoli liberi e meglio ordinati sono quelli che si permettono ogni tanto di ribellarsi: che non temono di impugnare le decisioni dei loro governanti, ma che tornano poi ogni volta a rifondare, con più solida persuasione, l’ordinamento in cui vivono.

La "disobbedienza civile" è così una sorta di "valvola di scarico", la quale consente ai cittadini di evitare il pericolo dell’obbedienza per abitudine o pigrizia, e quindi di recuperare una fiducia attiva e convinta nel resto delle istituzioni.

Fonte: srs di Gianfranco Miglio



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