La Biblioteca di Alessandria era non solo una delle glorie dell’antico Egitto, ma si può dire di tutto il Mediterraneo e del mondo antico. Storicamente, si può collocare la sua fondazione all’inizio del III Secolo a.C.; voluta da Tolomeo I Sotere con l’idea di custodire l’intero scibile umano
Tolomeo I, grande cultore delle arti letterarie, intuì quanto fosse importante preservare tutto il sapere dell’umanità, non solo per metterlo a disposizione dei dotti, ma al fine di tramandarlo ai posteri. Possiamo comprendere quanto fosse difficile l’idea del sovrano. In quel periodo la conservazione dei testi era per lo più affidata a scribi, sacerdoti o a pochi privati; la diffusione dei testi era molto limitata anche a causa del costo proibitivo di tavolette, papiro e pergamene.
Il primo a concepire l’idea di una trasmissione dei testi sotto forma di raccolta fu Aristotele, che tramandò la sua opera letteraria ai propri allievi, tra i quali vi era Teofrasto, a sua volta amico di Demetrio Falereo.
Per dare vita alla proprio progetto, Tolomeo si avvalse proprio della collaborazione dell’ illustre letterato dell’epoca, il greco Demetrio Falereo che, fuggito da Atene, si era rifugiato ad Alessandria presso i Tolomei. La Biblioteca di Alessandria fu pertanto concepita sul modello di quella aristotelica, cioè sulla raccolta sistematica dei testi che venivano in seguito messi a disposizione di un più vasto pubblico.
Realizzata nei dieci anni in cui Demetrio Falereo restò nella città, venne impostata su due importanti istituzioni: la Biblioteca ed il Museo. Essa si trovava all'interno del palazzo imperiale, che occupava almeno un quarto della città di Alessandria.
La Biblioteca ed il Museo furono costruiti molto vicini l’una all’altro, i testi venivano materialmente raccolti nella Biblioteca, mentre nel Museo venivano redatte le rispettive relazioni critiche; lo scopo iniziale era quello di raccogliere i soli testi greci, ma ben presto la collezione si arricchì di opere che spaziavano in ogni campo e che provenivano da ogni parte del mondo. In virtù della sua enorme popolarità la Biblioteca venne ingrandita, fino ad avere dieci enormi sale e, altre salette più piccole, riservate agli studiosi.
Non solo per la Biblioteca si ricercavano i libri in tutte le città del mondo allora conosciuto, in gara con le altre biblioteche dell'ecumene greca, tra cui quella di Atene del Liceo aristotelico e quella di Pergamo, ma se ne studiavano i testi e si compilavano, attraverso il loro confronto, i commenti e le edizioni critiche.
Si dava la caccia alle edizioni rare e si copiavano le opere ancora mancanti dei grandi filosofi, astronomi, matematici, filologi, grammatici, ecc. Tutti i libri in possesso delle navi, in transito da Alessandria, erano vagliati e, se non erano presenti nella Biblioteca, venivano copiati. Questi erano catalogati come «libri delle navi".
Zenodoto di Efeso fu il primo bibliotecario; il poeta Callimaco che gli successe pose in atto il catalogo, un'opera necessaria per poter consultare i quattrocentomila rotoli di papiro, il cui numero era in continua crescita. Il terzo bibliotecario fu Eratostene, uno scienziato, poeta e critico letterario, che elaborò la carta geografica della terra abitata e preparò una cronologia universale.
Divenne in breve tappa obbligata per tutti gli studiosi dell’antichità: la frequentarono assiduamente Euclide, il padre della geometria, Aristarco di Samo ed Erone di Alessandria.
Giunta al massimo del proprio splendore accadde però l’imprevedibile.
Nel 47 a.C., i romani di Giulio Cesare incendiarono una delle sezioni della Biblioteca trasformando in cenere circa quarantamila rotoli; seguirono gli incendi ad opera di Zenobia, sovrana di Paimyra, di Diocleziano nel 295 d.C., fino alla completa distruzione da parte del Generale Amr Ibnel-as, agli ordini del Califfo Omar I.
Ma la tradizione che fosse stato Cesare a provocare l'incendio della Biblioteca potrebbe essere errata: lo ha dimostrato Luciano Canfora ne “La biblioteca scomparsa” (Sellerio Editore), studiando le fonti: essa fu distrutta, o almeno quel che ne rimaneva dopo molti secoli, da parte del Generale Amr Ibnel-as, agli ordini del Califfo Omar I. In quell’occasione il destino della Biblioteca di Alessandria si compì tragicamente e definitivamente.
Era il 646 d.C. quando Omar I pronunciò le famose parole:
“…….Se i libri non riportano quanto scritto nel Corano allora vanno distrutti, poiché non dicono il vero. Se i libri riportano quanto scritto nel Corano vanno distrutti ugualmente perché sono inutili”.
La Biblioteca, tutto il suo contenuto ed il sogno che essa rappresentava, vennero per sempre avvolti dalle fiamme. I rotoli furono usati anche come combustibile per i bagni di Alessandria, ben quattromila, e sembra che ci siano voluti sei mesi per distruggere tutto il materiale.
Un’ irreparabile perdita per l’umanità, ma anche un monito per il futuro.
Questo oggi è quello che rimane della Biblioteca perduta di Alessandria
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