Dalla fine del III alla fine del II millennio a.C. gente chiamata Hapiru dilagò dall'Elam all’altopiano ittita, fino alle frontiere dell'Egitto, sconvolgendo una situazione politicamente instabile. Nei testi cuneiformi che ne tramandano le gesta, gli Hapiru sono ricordati come stranieri, uomini declassati in conflitto con la società, ipotesi sostenuta da un altro termine che li definisce Sa.gaz, letteralmente tagliagole, briganti.
Sebbene la comparsa degli Hapiru coincise con il periodo delle migrazioni indoariane, la loro identità etnica è tuttora da scoprire. Forse questi sconosciuti appartenevano alla tribù semita del biblico Beniamino.
Gli Hapiru erano stanziati ai confini di Sumer e nell’Elam, in Mesopotamia, ma di fatto provenivano dall'Est, effettuando scorrerie in Siria, in Palestina e nel territorio babilonese a scapito dei possedimenti egizi. Si sa che fondarono una città ed ebbero un re di nome Hanni, principe di Aiapir. I Babilonesi pronunciavano questo nome Apir o Apr, non è escluso quindi che fossero indicati popolarmente come "la gente di Aiapiru".
Organizzati in bande di piccole dimensioni, gli Hapiru per quasi due millenni servirono ora uno ora l'altro dei signori locali, preferendo gli Ittiti agli Egizi, diventando proverbiale la loro fedeltà nei confronti di chi li assoldava. Alcuni testi cuneiformi parlano infatti di un certo Idrimi (1490-1450 a.c.) re di Alalakh, il quale, sentendosi in pericolo per via delle mire espansionistiche dei suoi vicini, si rifugiò in un accampamento degli Hapiru restandovi sette anni. Se l'onore dei suoi ospiti non fosse stato a tutta prova, sarebbe stato un gioco per i nemici di Idrimi corromperli per farlo assassinare.
Agli Hapiru furono affidati anche compiti di polizia. In un testo del XIII secolo a.c. trovato a Ras-Shamra
(nelle foto a lato due testi al re Amenofi scoperte ad Amarna in cui si parlava dello stesso problema)
fu stilata una convenzione tra questi briganti ed il re ittita Hattusil IIl (1275-1250 a.c.) il quale s’impegnava a rendere al re di Ugarit tutti gli uomini che avrebbero cercato scampo in territorio hapiru. Un compito facile, se è vero che gli schiavi recavano marcato a fuoco sulla fronte l'avvertimento: "Prendetelo, è un fuggitivo!". Qualche archeologo vede in questo la prova che scagiona gli Hapiru dall’accusa di brigantaggio. In effetti, se tutti sapevano dov’erano, come mai a nessuno venne in mente di andare a snidarli? Gli Egizi combatterono spesso questa gente.
Se visitiamo le imponenti rovine del forte egiziano di Beth Shan, polveroso ricordo dell’espansionismo in Asia del faraone Tutmosis III situato venticinque chilometri a sud della Galilea, e a soli sei dalla riva occidentale del Giordano, potremmo vedere una stele i cui geroglifici narrano gli avvenimenti accaduti nella regione al tempo del faraone Sethos (1317-1301 a.C.).
Ancora una volta è citato il nome degli Hapiru che in questa regione operarono contro gli avamposti egiziani. La debolezza del governo centrale o l'occasione della morte di un faraone, davano spesso il pretesto ai vassalli per insorgere, aiutati dai loro misteriosi alleati briganti. Sethos (nella foto in basso raffigurato insieme al dio Horus) s'era quindi trovato a ricucire insieme ciò che i suoi predecessori, Amenophis III e Amenophis IV, avevano disfatto nel giro di 38 anni del loro regno. Il secondo mistero è legato proprio all'identità di questi due faraoni, di origine Hapiru, se non ebraica a detta di qualche studioso.
L’Inno al Sole di Amenophi IV, il faraone della diciottesima dinastia noto per aver introdotto il primo culto monoteistico in Egitto, tradirebbe questa discendenza. Amenophi IV era stato sempre sordo ai lamenti dei suoi alleati, che si dolevano delle scorrerie degli Hapiru. Costruita una città ad Amarna, a 300 chilometri da Menfi, lungo il Nilo, in una reggia lontana da ogni influenza nefasta dei sacerdoti dei vecchi dei, compose una bellissima poesia al Sole, l’astro che ha «dato inizio al vivere... dio unico, al di fuori del quale nessuno esiste».
L'apparente mollezza della vita del giovane faraone (aveva allora poco più di 23 anni) era dunque intenzionale? Regnando Amenophi IV, Suppiluliuma, re degli Ittiti, con l’aiuto degli Hapiru aveva conquistato le città di Vasciuganni, di Ugarit e Qadesh, mentre le popolazioni, terrorizzate, si rifugiavano sulle montagne o varcavano le frontiere dell'Egitto chiedendo protezione ai presidi militari. Era necessario porre un freno alle prodezze degli sgherri dei principi asiatici ribelli, ma il comportamento del faraone non approdò a mulla di concreto, provocando lo sdegno dei suoi funzionari. Il governatore di Gerusalemme senza mezzi termini scriveva:
«È molto tempo che vado ripetendo al rappresentante del Re mio Signore: perchè amate gli Hapiru e detestate i vostri governatori?». Era un’accusa passibile di pena di morte poiché insinuava che il faraone tradiva il suo popolo.
Gli Hapiru, in effetti, veneravano un solo dio, un’entità che alcuni testi sumerici identificavano nella stella dei Sa.gal., forse il pianeta Venere, considerato in tutto il Medioriente la "stella dei Pastori", e in altri testi cuneiformi definita esplicitamente "la stella dei briganti".
Fonte: srs di Joel Sherman da Cronos N. 2 febbraio 2009
Nessun commento:
Posta un commento