di GILBERTO ONETO
I mezzi di comunicazione danno in questi giorni grande
risalto alle notizie delle infiltrazioni della ‘ndrangheta nel Ponente
ligure. In molti degli articoli e dei servizi si legge sotto traccia quasi un
senso di piacere nel fare sapere che anche nelle regioni padane si sia
infiltrata la malavita organizzata, che le virtuose comunità
settentrionali non possano più vantare una sorta di superiorità morale
nei confronti del Mezzogiorno. Lo stesso atteggiamento compare quando si danno
notizie delle presenze camorristiche in Lombardia, degli appalti inquinati
dalla mafia in Valtellina o in Piemonte, della “laboriosità” delle cosche
criminali in Emilia o in Veneto.
Nessuno può pretendere di essere diverso e più virtuoso
– pontificano sotto sotto i giornalisti (e non solo loro) di regime – quando
tutte le parti della penisola si comportano allo stesso modo, vivono di
schifezze e compromessi, convivono con la corruzione, eleggono politici
collusi, tacciono di fronte alla presenza del malaffare nella vita quotidiana.
Qualche ragione ce l’hanno nell’affermare che ormai gran parte della Repubblica
italiana conviva o addirittura abbia assunto i ritmi biologici delle peggiori
consorterie. L’unificazione della penisola che non è riuscita con la
propaganda, il patriottismo retorico degli inni e dei vessilli, che è stata
inutilmente tentata con guerre e sangue, è finalmente riuscita grazie alla
malavita organizzata. Dove non sono arrivati il libro Cuore, le scuole
dell’obbligo e il generale Cadorna ci sono arrivati mafiosi e camorristi.
Aveva ben visto lontano Garibaldi a “sdoganare” le
onorate società, a prenderle come alleati e a impiegare i picciotti
per fare l’Italia. Nel poetico inno che i bambini dovranno imparare a scuola
dovrebbe essere inserita una strofetta di aggiornamento che parla di pizzi,
tangenti e ‘ndrine perché questa è l’Italia, perché questa è la sola vera
manifestazione di unità compiuta. Via i monumenti a Cavour: i veri eroi da
celebrare sulle piazze sono Lucky Luciano, Totò Riina e qualche lungimirante “galantuomo”
nazionalista come Crispi. La pubblica devozione per altri fulgidi eroi
contemporanei dell’affettuoso rapporto fra le mafie e lo Stato è (solo) per il
momento secretata.
Come si è arrivati a questa patriottica
unificazione? Gli strumenti sono stati essenzialmente due: il
massiccio trasferimento di mafiosità al Nord e la gestione del potere politico.
Non riuscendo a “convertire” le popolazioni padano-alpine alle gioie della
società mafiosa pelasgica, non riuscendo a modificare le loro retrive mentalità
retaggio di antichi contatti con l’Europa, non potendo guarirle dall’ottusa
dipendenza dal lavoro e da tutta una serie di devastanti patologie e
inclinazioni (l’onestà, la solidarietà, il senso del dovere, lo spirito di
sacrificio, il valore del merito) condensate nel trogloditico e nebbioso mantra
del «male non fare, paura non avere», gli operosi costruttori dell’italianità
hanno risolto il problema trasferendo grosse fette di Meridione a nord. Lo
hanno fatto prima mandando in avanscoperta pattuglie di malavitosi in domicilio
coatto e poi ondate di migranti composte da tanta gente per bene ma anche da
mascalzoni della peggior specie. Insomma non potendo cambiare il Settentrione,
vi hanno trasferito grosse fette di Mezzogiorno. Qui i malavitosi hanno potuto
costruire le loro patriottiche reti grazie ai legami intrecciati nei paesi di
origine e grazie al mutato tessuto sociale, intriso di “paisà” resi meno
reattivi verso la malavita da una secolare accettazione passiva. Il
tessuto sociale indigeno, sfilacciato, spesso localmente messo in minoranza
numerica, ha cominciato a cedere.
Ma il processo aveva bisogno della connivenza del potere.
Trasmigrazioni di analoga portata si sono avute ad esempio anche in Germania o
in Svizzera (oltre che in America) ma in questi paesi si sono dovute scontrare
con politici, strutture amministrative, organi di polizia e della magistratura
che erano di fatto impermeabili alle lusinghe mafiose. Qualcuno si è magari
individualmente fatto corrompere o minacciare ma in generale le strutture
comunitarie hanno dimostrato di avere gli anticorpi adatti a resistere alle
infiltrazioni e a combatterle come una qualsiasi altra manifestazione
malavitosa. La Padania non ha potuto godere delle stesse protezioni
istituzionali, non ha confini politici e giuridici dietro ai quali
organizzare una difesa: si è trovata invasa nell’anagrafe ma anche e
soprattutto nei palazzi del potere. Le leggi vengono confezionate, interpretate
e fatte rispettare altrove o da gente che risponde a logiche che non sono
quelle delle comunità o delle tradizioni locali.
Le organizzazioni malavitose hanno contribuito all’unità
d’Italia e l’Italia unita ha restituito il favore aprendo loro un enorme
spazio di azione: risulta difficile distinguere i due compari come entità
diverse, come dimostra anche la posizione dell’Italia nelle classifiche
mondiali della corruzione.
Oggi ci raccontano che la provincia di Imperia sia in
mano alla ‘ndrangheta: qualcuno è andato a vedere i cognomi dei personaggi
coinvolti o quanti oriundi calabresi ci siano nei ruolini anagrafici dei comuni
della zona? Uno dei big incontrastati della politica locale è stato – ad
esempio – Scajola, un patronimico che non gronda ligusticità.
Hanno unito l’Italia nella mafiosità. Cosa fare?
Quando si vuole liberare un’area sommersa dai liquami di una inondazione, la si
deve prima circondare con un argine protettivo e poi mettere in azione le
idrovore. Indipendenza!
Fonte: srs di GILBERTO ONETO, da L’indipendenza del 7 dicembre
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