DI MARINELLA CORREGGIA
E’ troppo chiedere ai media di analizzare le denunce e i
materiali video che ricevono, facendosi le classiche domande: chi, come, se,
perché, cui prodest eccetera? Non lo hanno fatto, né in Italia né all’estero,
di fronte alla cosiddetta “strage del pane” ad Halfaya, Siria, 23 dicembre 2012: “Mig di Assad uccidono trecento persone mentre in mille facevano la
fila per il pane”. Gli oppositori dell’Osservatorio siriano per i diritti
umani basato a Londra
e dei Comitati di coordinamento locali hanno diffuso video che proverebbero un
bombardamento dell’aviazione siriana (Mig russi) contro mille civili in coda
per il pane ad Halfaya. Perché? Per ritorsione contro l’avanzata
dell’opposizione armata, sostengono i media.
Mandare un aereo a massacrare per ritorsione persone inermi
affamate e per di più intorno a Natale, sarebbe non solo un atto diabolico ma
anche suicida. Quel che ci vuole per tirarsi addosso l’ira armata del mondo,
alienandosi anche chi continua a sostenere il negoziato anziché interventi
militari.
Tanto più che in Siria e dunque nel mondo infuria quel che
l’emittente Russia Today ha definito guerra
chimica delle parole (con governo e gruppi armati a reciprocamente accusarsi
dell’uso di armi vietate; ma solo le accuse dei gruppi armati sono tenute per
buone). E tanto più che nello stesso giorno arrivava a Damasco l’inviato
dell’Onu Lakdar Brahimi per parlare con il presidente Assad.
Eppure le notizie e i video sul 23 dicembre sono ripresi da
tutti i media internazionali – e italiani – esattamente nella versione proposta
dall’opposizione, senza avanzare dubbi di natura giornalistica sulle “prove
video” le quali mostrano molte contraddizioni e nulla rivelano sui colpevoli,
né sulla dinamica.
L’unica cosa certa, come per tantissime immagini e notizie
su questa orrenda guerra fomentata, è che ci sono morti.
LA GUERRA MEDIATICA NON SI CHIEDE
“CHI COSA COME PERCHE’”
Madrina della “notizia” è stata la tivù satellitare saudita al Arabiya, con la cifra di 300 uccisi
che ha rotto ogni argine nella diffusione della notizia. La tivù saudita non è
nuova agli exploit: nel febbraio 2001 un suo twitter lanciò la enorme e tragica
bufala dei “diecimila morti in Libia”,
una strada senza ritorno. Nel poco tempo in cui l’ Ansa ha dato per certo il
numero di 300 morti la notizia – poi ridimensionata, questa è stata posta in testa
alla home page del sito, dopo il ridimensionamento è tornata in una posizione
meno visibile. Poche ore dopo, l’emittente qatariana al Jazeera metteva in
evidenza la denuncia di “attivisti” di Homs
per i quali sette persone sarebbero morte per aver inalato un gas sconosciuto.
In questi giorni, è una coincidenza? I paesi del Golfo si sono incontrati e hanno
parlato anche di Siria. Inoltre, nei giorni festivi o prefestivi ci sono meno
notizie, addirittura mancano i quotidiani (a ferragosto e natale), le agenzie
staccano almeno per qualche ora completamente. Quindi le notizie hanno una
“persistenza” molto maggiore. Insomma una notizia in un giorno del tipo
ferragosto, Natale, capodanno, può avere un impatto molto superiore a una
notizia analoga uscita in un giorno feriale qualsiasi.
Oltre a ciò i media, non solo italiani, prendono per buone
le denunce dell’opposizione senza cercarne le prove.
Per il Tg3: “Novanta
morti secondo fonti ufficiali, oltre 300 secondo il canale satellitare al
Arabiya”. Per il Tg3, dunque, “ufficiale” è la fonte dell’Osservatorio
siriano di Londra.
Surreale anche il
Fatto quotidiano (versione stampata) del giorno 24 dicembre: “Nessuno si aspettava che lo spietato regime
siriano avrebbe fermato i suoi jet carichi di bombe e il lancio di scud, per
concedere ai cittadini siriani di fede cristiana di prepararsi al Natale”
(eppure, come tutti sanno, i cristiani in Siria sono nel mirino non dei Mig e
degli Scud ma dei gruppi armati
dell’opposizione islamista). Il Fatto online cita l’emittente saudita, con le
sue fonti: testimoni oculari e attivisti anti-regime dei comitati locali (Lcc)
e dall’Osservatorio per i diritti umani.
Qualche richiamo internazionale. Dall’agenzia Reuters: “Decine
di persone uccise e molte altre ferite in un attacco aereo governativo contro una
panetteria, domenica, secondo gli attivisti” (…); “se confermato, l’attacco ad
Halfaya, presa dai ribelli la settimana scorsa, sarebbe no egli attacchi aerei
più mortali nella guerra civile in Siria”. Come prova si citano i
video e un “attivista” locale: “Quando sono arrivato sul posto c’erano
pile di corpi a terra, e fra questi donne e bambini” (NB. L’attivista non parla
di aerei) (…) “I residenti di Halfaya parlano di 90 morti, l’Osservatorio di
Londra di 60”.
Cifre in libertà anche sulla Cnn (che almeno fin dal titolo
precisa che è una denuncia dell’opposizione): secondo i Comitati di
coordinamento locale – che riforniscono di notizie l’Osservatorio a Londra –
“sono state uccise oltre 100 persone ma il numero è destinato a salire; un
attivista ha visto la sepoltura di almeno 109 persone”. (…) L’attivista locale
– sono sempre chiamati attivisti anche gli armati – spiega che “gli
addetti dell’ospedale hanno dichiarato che l’area del panificio non era
raggiungibile” (NB. Come mai se Halfaya è nelle mani dei gruppi
armati?). Subito
dopo lo stesso attivista sostiene che “gli ospedali non riescono a
curare tutti i feriti”.
Ma le contraddizioni sarebbero state molto maggiori se i media
si fossero dati la briga di analizzare per bene i video portati come prova…
LE SMENTITE IGNORATE
Naturalmente quasi nessuno riporta la smentita del governo
di Damasco, veicolata dalla agenzia Sana. Eccola, per un po’ di par
condicio: “Gruppi terroristi hanno attaccato la cittadina di Hilfaya e
commesso crimini contro la popolazione (…) per poi girare video in modo da
accusare l’esercito siriano di questi crimini. Residenti di Hilfaya hanno
accusato i gruppi armati di aver attaccato il dispensario e la municipalità” (NB.
Un video mostra armati trionfanti sui tetti di questi edifici). “Gli
abitanti hanno detto di aver chiamato l’esercito il quale ha affrontato i
terroristi eliminandone un gran numero”.
La Syrian Tv ha analizzato i video sottolineando le incongruità
nelle denunce verbali che accompagnavano le immagini e le non corrispondenze
fra lo stato e il numero dei corpi (e l’essere questi tutti uomini) e la
denuncia di un massacro per via aerea su una folla enorme di donne e bambini.
ANALISI DEI VIDEO. COSA E’ SUCCESSO DAVVERO AD HALFAYA, E
NON SOLO ?
Gruppi di persone sparse in diversi paesi (Siria inclusa) si
sono permesse il lusso di ignorare entrambe le versioni (essendo esse di parte)
e di studiare i video. Tutte le loro versioni – e il buon senso – concordano
nel dire che a) i video non sono credibili perché sono contraddittori, b) i
video non portano alcuna prova sul colpevole e sulle circostanze.
Ci soffermiamo su questi due link:
e
Rileviamo quanto segue.
- Non c’è traccia di passaggio di aerei e nessun segno che
possa indicare chi ha sparato e in quale circostanza e contro chi.
- Non ci sono donne e bambini fra gli uccisi, i quali ultimi
sembrano meno numerosi di quanto denunciato.
- Nessun indizio per capire che si tratti di un panificio,
anzi… un particolare mostrerebbe la messinscena: nel video un uomo depone per
terra un pane tondo tradizionale, sul sangue. Per mostrare al mondo che si
trattava di una panetteria? Poco dopo un’altra mano raccoglie il pane. Ma come
ha tradotto il Tg1 della Rai sul suo sito? “Uno scatto fra gli altri testimonia
la strage, quello di un ribelle che raccoglie una tradizionale pita, il pane
siriano, da una pozza di sangue”. A conclusioni simili sono arrivati anche gli
attivisti europei di Mediawerkgroep Syrië
l’analisi del sito siriano Syriatruth che non è governativo
né sostiene l’opposizione armata: “Anche volendo trascurare la solita
“coincidenza” tra la strage e l’arrivo di Brahimi a Damasco, da una prima
analisi dei filmati emergono alcune incongruenze rispetto alle notizie poi
diffuse: – non si vedono donne o bambini, eccetto una donna e un ragazzo, forse
solo dei passanti; e tutte le vittime sono uomini adulti.
- Il numero massimo delle vittime dovrebbe essere tra i 20 e
i 30 (cifra ben distante dai 90 di cui si parla, figuriamoci dai 300!).
Se i
primi due elementi possono ridimensionare la tragedia, ma non diminuirne la
gravità, il terzo sembra più significativo:
- dalle immagini non risultano macerie tali da far pensare a
un bombardamento aereo, non ci sono tracce dell’impatto della bomba o missile
lanciato dal presunto Mig, ma solo un foro sull’edificio e rovine di piccola
entità, più facilmente riconducibili a un ordigno di modesta portata. Questo
particolare genera un altro quesito: da dove arrivano le macerie visibili sotto
l’edificio? Non certo dall’unico foro che sembra visibile.
- Ulteriore interrogativo: se, come si racconta, sono state
colpite delle persone in fila per il pane, perché si vedono solo corpi al di
fuori della struttura e l’interno non è quasi inquadrato? E come mai è ancora
quasi perfettamente integro?
- Un altro particolare riguarda la data: in un video più
volte si ribadisce che è sabato 21 dicembre; mentre in un altro si parla del 23
dicembre.
- Il luogo, poi, è pieno di gruppi armati, alcuni in
uniforme, altri in abiti civili, ma comunque armati (in una scena è chiaramente
visibile che uno di loro toglie un kalashnikov dalle mani di un cadavere)”.
Non si sa dunque cosa sia successo. Le ipotesi sono diverse
e nessuna per ora verificabile, ma la più assurda è proprio che un Mig bombardi
sotto gli occhi del mondo mille persone in fila per il pane. Le vittime
potrebbero essere come in altri casi (ad esempio il “massacro di Tremsheh”),
membri di gruppi armati utilizzati per creare un altro possibile casus belli
contro il governo siriano. Il sito potrebbe in effetti essere stato bombardato
dall’esercito, negli scontri che avvengono quotidianamente con l’opposizione
armata, in ambito anche urbano, là dove la guerra è stata portata. Poiché non
ci sono prove che fosse un centro per la distribuzione del pane al momento
della tragedia, potrebbe essere stato uno spazio preso dai gruppi armati per
fabbricare esplosivi ed essere esploso. C’è poi chi (come la radio Irib)
sostiene che potrebbe essersi trattato di un colpo portato da una delle fazioni
dell’opposizione all’altra, piazzando un ordigno in piena città. Non si sa.
Quel che è certo è che a causa della guerra, delle sanzioni, dei furti il pane
scarseggia.
Abbondano invece le “notizie” di bombardamenti aerei su file
per il pane e panifici: il Consiglio nazionale siriano, un po’ detronizzato
dalla neonata Coalizione di Doha, denuncia alla tivù satellitare saudita un
attacco a Homs con dieci bambini morti; e i Comitati di coordinamento di Homs
parlano di un bombardamento aereo a Talbise, anche lì colpito un panificio (e
un ospedale da campo) con vari morti fra cui bambini e donne. Anche lì, sul
“chi, come, se, perché” non ci sono prove. La disinformazione legittima
l’ingerenza anche militare e quest’ultima aumenta la guerra e i morti, in un
perfetto circolo vizioso.
CASI PRECEDENTI: GLI AEREI DI GHEDDAFI E IL MERCATO DI
SARAJEVO
Ricordiamo en passant che la guerra Nato in Libia dovette molto,
nella fase di preparazione anche mediatica, alle denunce senza prove circa i
Mig governativi che massacravano manifestanti pacifici. Tutto falso, si è
scoperto. Ben presto, ma troppo tardi.
Ricordiamo anche alcuni episodi a Sarajevo negli anni 1990. Citando
Michel Collon, giornalista belga da tempo attivo sulle “menzogne di guerra”:
“Il 27 maggio 1992 una bomba uccide almeno sedici persone
che facevano la coda davanti a una panetteria a Sarajevo; un centinaio i
feriti. Subito vengono accusati gli assedianti serbi. Il Consiglio di Sicurezza
Onu decreta sanzioni economiche contro quel che rimane della Jugoslavia, ovvero
Serbia e Montenegro, accusata di appoggiare i serbi di Bosnia. Un’inchiesta sui
responsabili, effettuata in seguito all’Onu, non verrà mai pubblicata.
Il giornale
britannico The Independent spiegò in seguito:
‘I responsabili delle Nazioni Unite e alti funzionari
occidentali ritengono che alcuni dei peggiori massacri a Sarajevo, e anche la
strage del pane, siano stati compiuti dai musulmani, difensori della città, e
non dagli assedianti, per forzare un intervento militare occidentale’. (…) I
due attentati che colpirono il mercato di Sarajevo nel febbraio 1994 e
nell’agosto 1995 si possono far risalire alla stessa strategia. Il primo arrivò
giusto per far fallire il piano di pace proposto dagli europei di fronte
all’intransigenza degli Usa e del leader musulmano della Bosnia, Izetbegovic
(la percentuale degli statunitensi favorevoli a un attacco armato contro i
serbi passò d’un colpo da un terzo a oltre la metà). Il secondo legittimò i
massicci attacchi contro le postazioni serbe intorno a Sarajevo”.
Aggiungiamo che mesi dopo la prima strage di Markale, 5
febbraio 1994, Jasushi Akashi, delegato speciale ONU per la Bosnia, dichiarò
alla Deutsche Presse Agentur che un rapporto segreto Onu aveva attribuito da
subito ai musulmani la paternità della strage, ma che il Segretario Generale
Butrous Ghali non ne aveva parlato per ragioni di opportunità politica. Poco
tempo dopo Akashi venne rimosso dall’incarico.
Fonte: srs di Marinella Correggia, da SIRIALIBERA del 25 dicembre
2012
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