18/05/2008
Di chi è colpa? Non è colpa di Silvio Berlusconi, di Romano
Prodi, di Cicchitto, di Casini, di Caltagirone, e soci. Non è colpa della
Casta, né di quella dei giornali coi milioni di euro di prebende, e non è stata
colpa di Ingrao, Forlani o Craxi. Non è la Mafia, non sono le logge dei
venerabili, né l’Opus Dei, non è Confindustria o la lobby bancaria. La colpa è
nostra. Punto. L’informazione che abbiamo è quella che noi italiani vogliamo.
Qui si potrebbe concludere il mio saggio sullo stato
dell’informazione in Italia. Non ho altro da dire, in sostanza. Quello che
posso aggiungere nelle righe che seguono sono solo riflessioni a sostegno della
mia tesi, per chi avesse voglia di leggere un poco di più. E inizio di nuovo da
noi italiani.
SONO LE NOSTRE OMBRE SUL MURO.
Ciò che la gente vuole. Lo scadimento dell’informazione in
questo Paese riflette ciò che noi siamo, in tv particolarmente. Nulla meglio si
adatta al caso Italia del sagace commento di Barnes Clive, nota firma del New
York Post, che sull’odierne tendenze dei palinsesti televisivi ebbe a dire: “La
televisione è la prima cultura genuinamente democratica, la prima cultura
disponibile a tutti e retta da ciò che la gente vuole. La cosa più terribile è
ciò che la gente vuole”.
E in effetti si rimane perplessi, se non un tantino delusi,
dal semplicismo delle analisi di personaggi come Beppe Grillo e altri quando
tuonano contro la legge Gasparri come il costrutto infernale che strozza il
nostro diritto a essere decorosamente informati. Ci si chiede: c’è la Gasparri
nei salotti di milioni di italiani di varie età che ogni sera, pomeriggio o
mattina scelgono col loro telecomando le peggiori fregnacce televisive? E’ la
Gasparri che impedisce a noi italiani di portare La Storia Siamo Noi di
Giovanni Minoli a uno share visibile ad occhio nudo invece che al microscopio?
O di portare Report al 25% invece di condannarlo a un cronico
annaspamento per non affogare sotto il 10? Eppure il contenitore di Milena
Gabanelli è in prima serata, mica occorre perdere il sonno, basterebbe un click
del telecomando. E state certi che Report o C’era una Volta oltre
il 20% di share avrebbero prodotto una mischia degli inserzionisti per piazzare
lì gli spot, garantendoci di conseguenza una certa qualità in più nelle nostre
case tutto l’anno. Potete immaginare quanto ci metterebbero a sparire i
prodotti-spazzatura come Porta a Porta o Amici, oppure le
ragliate di Sgarbi o altra robaccia del genere, se agonizzassero nella pigrizia
dei nostri telecomandi? Meno di un minuto, Gasparri o non Gasparri.
Illuminante fu un episodio da me vissuto in Gran Bretagna
nel corso di un reportage sull’Auditel inglese che svolgevo a fine anni ’90 per
conto proprio di Report. Nel corso dell’intervista al responsabile dei
palinsesti della maggior Tv commerciale britannica, ITV, mi fu rivelato che la
prima serata di quel network era riservata in maggioranza a programmi di alta
qualità informativa. Com’era possibile? “Perché il miglior consumatore
di questo Paese” spiegò il funzionario, “è l’inglese della classe
media, e quel tipo di ascoltatore premia immancabilmente con il telecomando la
tv di qualità. Ed è lì che ovviamente si fiondano i nostri inserzionisti”.
Semplice. Sono inglesi, tutto qui. Non per nulla la sera della vigilia di
Natale del 1999 la BBC 2 trasmise in prime time e per un’ora e mezza uno
special dedicato al suo cameraman Mohamed Amin, l’uomo che nel 1984 ebbe lo
straordinario merito di noleggiare un bimotore privato a sue spese ( e nei
tempi delle sue ferie) per volare in Etiopia a filmare l’immane tragedia della
devastante carestia che stava decimando quel popolo, e che divenne grazie a
quelle scioccanti immagini una causa celebre con l’intervento di Bob Geldof e
della sua Live Aid l’anno successivo. Ve l’immaginate voi una prima
serata natalizia di quel tipo alla RAI? Che share farebbe?
Ma poi, perdonate, c’è la legge Gasparri in edicola o su
Internet? Lì l’informazione c’è, ma al chiosco dei giornali Sorrisi e
Canzoni TV o CHI vendono cento volte Micromega o Limes.
Su Youtube le pregnanti interviste a Giancarlo Caselli catturano poche
centinaia di visitatori, mentre cinque minuti di bava alla bocca con Sgarbi e
Mike Bongiorno ne registrano quasi mezzo milione.
Mi direte: tutto questo è proprio il frutto del
bombardamento mediatico dell’uomo di Arcore e dei suoi vent’anni e più di
avvelenamento dei nostri cervelli. E io rispondo: e se a partire dal 1979
cliccavate altro sul vostro telecomando, come fanno gli inglesi, dove finivano
il Biscione e relativi scherani? Era semplice, perché non lo abbiamo
fatto? Lo si vuole capire che non è lui che ha fatto noi ma noi che abbiamo
fatto lui? Silvio Berlusconi non ci ha rimbecilliti, ci ha semplicemente
rispecchiati. E allo specchio ci siamo perduti in noi stessi.
(Ultima ora: poco prima di divulgare questo articolo mi
imbatto nel sito www.corriere.it e leggo
sulla colonna di destra la classifica dei servizi più letti del Corriere
online: al primo posto “L’invasione dei ragni giganti”, al secondo “Basta
volgarità, non sono una pin up”, al terzo “Che fine ha fatto Boy George?
Vende magliette in un mercato di Londra”. Come volevasi dimostrare…)
Rimanendo con la vituperata figura dell’attuale presidente
del Consiglio, è di questi giorni l’intervento di Marco Travaglio in chiusura
del V2-day di Torino, dove il giornalista ha perentoriamente affermato che il
Cavaliere trionfa oggi alle urne poiché proprio le devianti leggi dell’assetto
radio-televisivo italiano gli hanno dato i mezzi per obnubilare la mente degli
elettori in quindici anni di strapotere mediatico: “Prima non eravamo così”,
ha sentenziato poi il noto cronista. Forse Travaglio è troppo giovane, e non
ricorda, ma si vorrebbe chiedergli: chi aveva lavato il cervello dei nostri
connazionali quando in massa premiavano alle urne ceffi ignobili della posta di
Cossiga, Gava, Cirino Pomicino, De Michelis, De Lorenzo, Andreotti, De Mita, e
la loro accolita di vassalli laidi o criminali? Berlusconi a quei tempi era
ancora alle prese con la sua Tv condominiale via cavo a Milano 2, non c’entra.
Era un’Italia migliore quella? Per caso il Corriere o la RAI erano il Times
e la BBC a quei tempi? L’Idra di Tangentopoli, col suo ventre molle di
corruzioni endemiche in ogni anfratto del Paese, non fu il parto di “quindici
anni berlusconiani”, ahimè no, non risulta. Le stragi, la svendita dei
sindacati, dei servizi pubblici, della certezza del lavoro, e ancora l’Irpinia,
l’IRI e le sue voragini, le devianze del sistema giudiziario, l’omertà a
vuoto pneumatico di tutto il Sistema-potere pre e post P2 e cinquant’anni di
cronica evasione a tappeto, dimostrano che obnubilati nel cervello e nel senso
civico lo siamo sempre stati, prima di Berlusconi, durante, e lo saremo dopo
purtroppo. E anzi: la cosa più onesta che possiamo fare è di affermare una
volta per tutte che la famigerata Casta e le sue grottesche comparse
sono solo un’ombra sul muro di ciò che noi italiani siamo e siamo sempre stati.
Nulla di più.
I NUOVI ‘PALADINI’
DELLA CONTROINFORMAZIONE: POCO UTILI, DANNOSI.
Ma purtroppo professionisti stimati e un po’ troppo
acriticamente seguiti come appunto Marco Travaglio, Gianantonio Stella, Lorenzo
Fazio o Gianni Barbacetto e molti altri, e capipopolo come Grillo o Piero Ricca
hanno banalmente invertito l’ordine dei fattori, e sostengono che l’Italia è
oggi vittima della Casta, quando è la Casta a essere il prodotto
degli italiani.
Devo a questo punto della narrazione precisare un passaggio
fondamentale, e invito il lettore a porvi attenzione. I nuovi ‘paladini’ della
controinformazione che vanta l’Italia, di cui ho citato alcuni nomi qui sopra,
denunciano cose sacrosante (quasi sempre): inciuci, corruttele, grottesche
raccomandazioni, sprechi osceni, mafiosità e collusioni, decadenze del sistema
democratico eccetra, perpetrate da parte soprattutto della cosiddetta Casta.
Loro lo fanno, ma il fatto straordinario è che oggi in questo Paese il solo
fatto di averlo fatto gli garantisce un plauso appassionato e febbricitante da
parte di masse crescenti di cittadini. Un plauso cieco, ovvero un assegno in
bianco di imperitura giustezza ed eroismo. Divengono degli intoccabili,
incriticabili, e infatti Beppe Grillo tuona “I giornalisti che ancora danno
dignità a questo Paese con la loro voce vanno protetti dagli sciaccalli di
regime, dai killer della parola. Nessuno tocchi il soldato Travaglio…”
(1), e Michele Santoro si scaglia contro il Corriere e Repubblica per “aver
aperto una campagna critica contro Anno Zero e contro lo stesso Travaglio” (2)
– una campagna di critica, la più democratica delle iniziative, eppure.
Chiunque osi infilare mezza osservazione nel loro agire viene immediatamente
travolto dall’ira dei loro fans, il cui ragionamento è immancabilmente questo: ma
come si fa a rompere le scatole a quei pochi ancora rimasti a dirci la verità
in questo regime? E in effetti di fronte alla nauseabonda natura delle
pratiche del ‘regime’ verrebbe proprio da gettarsi ciecamente dietro ai
sopraccitati ‘paladini’. Ma la vita richiede saggezza, e in questi tumulti ne
rimane ben poca. Infatti, la salute in democrazia impone che nessuno divenga
intoccabile, neppure per il più sacrosanto dei motivi, proprio perché si corre
il rischio che costui possa commettere malefatte o errori di grosso calibro protetto
dal suo scudo di venerabilità, e che quelle malefatte o errori finiscano poi
per far più danno del beneficio che il medesimo individuo procura alla società.
E’ il caso proprio di Travaglio e compagni.
Sono oggi inutili. Hanno fondato negli ultimi anni un’Industria
della Denuncia e della Indignazione che, come ho già avuto occasione di
scrivere, “denuncia i misfatti politici a mezzo stampa o editoria a un ritmo
incessante, nella incomprensibile convinzione che aggiungere la cinquecentesima
denuncia alla quattrocentonovantanove in un martellamento ossessivo di libri
fotocopia, blog e serate televisive serva a cambiare l’Italia. Eppure, che la
politica italiana fosse laida, ladra e corrotta, milioni di italiani lo
sapevano benissimo già prima che molti di questi industriali dell’indignazione
nascessero, e assai poco è cambiato” (3). Infatti. Il loro lavoro,
per quanto efficiente nello svelare il malaffare, è del tutto inutile se
si spera che da esso derivi un miglioramento. Le prove sono davanti agli occhi
di tutti, e sono incontestabili: oggi l’Italia non è un Paese più civile, né
più onesto, né più libero di quanto lo fosse sedici o trent’anni fa, in barba
all’offensiva della sopraccitata industria nel denunciare
compulsivamente il marcio. Gomez, Travaglio e Barbacetto lo hanno persino
confermato nel loro libro Mani Sporche, la cui tesi centrale è proprio
il recidivo peggioramento di ogni indicatore civico, politico e morale in
Italia da Tangentopoli ad oggi, cioè precisamente nel periodo della massima
attività della loro Industria della Denuncia e della Indignazione.
Notate: hanno scritto di loro pugno che ciò che fanno non serve quasi a nulla,
ma non se ne sono resi conto, meno che meno sono disposti a porsi qualche
domanda difficile ma vitale, del tipo: e se fosse altro quello che si deve
fare?
Le smentite che vengono loro dalla realtà dei fatti sono
clamorose, ma non li smuovono dalla compulsività di ciò che fanno: hanno visto
coi loro occhi Beppe Grillo celebrare un suo autoproclamato “successo pazzesco”
di consenso l’8 settembre del 2007 per le 300.000 firme raccolte dal suo primo
Vday, e quindi proclamare roboante che questi politici “non esistono più”.
Ma con gli stessi occhi hanno visto poche settimane dopo 3.517.370 italiani
fioccare entusiati al parto dell’ennesimo carrozzone della più rancida politica
riciclata, il PD di Veltroni. Mettiamola così: l’Italia della Casta
batte Grillo 10 a 1, e questo avvenne quando le sue ultime grida quasi ancora
riecheggiavano in piazza Maggiore a Bologna, e all’apice del successo di libri
come La Casta o Regime. Non suggerisce nulla questo?
E poi c’è il risultato elettorale dell’aprile scorso, che li
ha travolti come mai nella storia republicana.
Possibile che a fronte di questa desolate Caporetto dell’Industria
della Denuncia e della Indignazione a nessuno sorga il dubbio che forse è
ben altro quello che si deve fare? Possibilissimo, infatti la reazione dei
‘paladini’ della controinformazione proprio in questi giorni è di rincarare la
dose della loro inutilissima medicina. Questa recidività mi ricorda la vicenda
della vegetariana inglese e delle sue carote, un fatto realmente avvenuto a
metà degli anni ’90 a Londra e riportato dal quotidiano The Guardian: ella si
era convinta che per proteggersi dai tumori era necessario divorare grandi
quantità di carote, ma ne ingurgitò così tante da finire in ospedale con
serissimi guai al fegato. Messa di
fronte all’evidenza della sua patologia, la signora concluse quanto segue: se
sto male è perché evidentemente non ho mangiato abbastanza carote. Si
dimise e corse a rincarare la dose della sua verdura salvifica. Cosa fu di lei
non si sa, ma non si fatica a immaginarlo.
E sono dannosi. In realtà, e tristemente, il modo di agire
dei sopraccitati ‘paladini’ serve a giustificare (oltre agli incassi degli
autori e la loro ipertrofica fama) l’auto assoluzione di masse enormi di
italiani, noi italiani come sempre entusiasti di incolpare qualcun altro, e mai
noi stessi e la nostra becera inerzia, per ciò che ci accade. Questo è il
motivo per cui il nostro Paese rimane perennemente al palo della civiltà. La
colpa non è mai nostra, ce lo confermano incessantemente quegli sventurati
‘paladini’ della controinformazione coi loro martellanti scritti e interventi,
e questo è il danno tremendo che ci fanno. Assolti da ogni peccato,
fervidamente impegnati a fustigare le nostre ombre sui muri, finiamo per non
crescere mai, e le uniche speranze di ripulire questo Paese vanno perdute.
E allora, codesti ‘paladini’ piuttosto che celebrare processi
in Tv, invece di fare i PR fanatizzanti di alcuni magistrati violando così le
più basilari regole dei checks and balances della nostra professione, e
invece di ossessionarci con i dettagli della mafiosità o corruttela del
politico numero 847, dopo averci raccontato quelli del numero 846 e dopo che
per le precedenti 846 volte nulla è cambiato, dovrebbero aiutarci a processare
noi stessi, a metterci tutti davanti allo specchio per dirci: l’Italia siamo
noi, i ladri siamo noi, i moralmente decomposti siamo tutti noi, coi nostri 270
miliardi di euro di evasione di sola IVA, con l’omertà endemica che ci tappa la
bocca ovunque vediamo del marcio - al lavoro, per strada o nei pubblici uffici,
con la nostra adulazione del potere, e col nostro amore per l’abuso del potere
appena ne abbiamo un briciolo in pugno, dagli insegnanti ai vigili urbani, dai
medici agli ispettori delle pubbliche amministrazioni. Noi italiani con il
nostro individualismo ammalato che al massimo si espande in parrocchialismo, ma
mai in capacità di fare gruppo civico aperto alla critica, e ciò neppure quando
ci proclamiamo antagonisti. Questa Italietta sudicia, ipocrita, fregona e anche
violenta siamo noi.
E allora cari ‘paladini’ è con noi che ve la dovete prendere
per cambiare l’Italia, è su di noi che dovete scrivere fiumi di libri o
articoli, perché lo ripeto: gli Schifani, Berlusconi o Ricucci sono le nostre
ombre sul muro. E a che serve prendersela ossessivamente con delle ombre?
Il giornalismo investigativo in Italia deve esplodere,
perché come ho appena dimostrato è un mito, poco utile e dannoso. Esso è
certamente utile altrove, in Paesi come gli USA o la Francia o la Gran
Bretagna, ma solo perché esso cade a pioggia su una società civile del tutto
diversa dalla nostra. E allora di nuovo: la variabile determinante non è la
denuncia, ma chi la recepisce. Se prima non educhiamo gli italiani a essere
civici, cioè a partecipare, inutile denunciare compulsivamente.
Incomprensioni. Quando Beppe Grillo nel ricordarci le
malefatte della Casta grida dal palco del V2 day di Torino che i manigoldi
saranno annientati perché “noi li pigliamo per il culo”, io mi dispero.
Lo stesso faccio quando Piero Ricca si arma di coraggio e telecamera e attende
il momento buono per gridare a Silvio Berlusconi “buffone!”. E mi
dispero ancor più se possibile quando vedo così tanta gente esultare sia nel
primo che nel secondo caso. Perché entrambe quelle affermazioni sono messaggi
(cioè informazione) falsi e pericolosissimi.
Grillo ignora (o vuole ignorare) cosa sia realmente il
Sistema-potere, e cosa occorra per abbatterlo. Se la prende con una classe
politica nazionale che “avendo abdicato tutti i suoi poteri ad organi
sovranazionali come la Bce, la Commissione Europea, il WTO, la Banca Mondiale”,
e io aggiungo alle lobby come il Trans Atlantic Business Dialogue
(TABD), il Liberalization of Trade in Services (LOTIS), l’Investmente
Network (IN) o la International Chamber of Commerce (ICC), “non
può fare assolutamente niente se non l’ordinaria amministrazione” (4).
Egli non comprende che i grandi mali che affliggono l’Italia, dalla
disoccupazione alla precarietà, dal rilancio finanziario delle mafie
all’informazione plastificata, e poi gli equilibri economici in disfacimento,
il degrado ambientale e la pessima qualità dei servizi ecc., derivano ormai
interamente da decisioni prese altrove. Da chi? Dai sopraccitati poteri, che in
soli 35 anni hanno saputo ribaltare due secoli e mezzo di Storia, che hanno
reso di nuovo plausibile l’inimmaginabile nella vita quotidiana di 800 milioni
di cittadini occidentali, che muovono più di 1,5 trilioni di dollari di
capitale al giorno, e che tengono ben salde nelle loro mani tutte le leve della
nostra Esistenza Commerciale (inclusa quella di Grillo, moglie e figli).
Costoro non stanno perdendo neppure un singolo minuto di sonno per lui e per i
suoi colleghi ‘paladini’ dell’Antisistema italiano. Ma ha un’idea Grillo di
come lavorano questi? Dovrebbe smettere di sbraitare e capire, proprio
visualizzare, il potere di chi è riuscito in un attimo della Storia a
compattare migliaia di destre economiche eterogenee sotto un’unica egida e
sotto un pugno di semplicissime ma ferree regole, per poi travolgere il pianeta
ribaltandolo da cima a fondo: il Potere è ed è stato coeso, annullando ogni individualismo
fra i potenti; è ed è stato disciplinato all’inverosimile, ossessivamente
preciso in ogni analisi, immensamente competente, sempre silenzioso, al lavoro
24 ore su 24 senza mai un respiro di pausa, comunicatore raffinato, con a
disposizione i cervelli più abili del pianeta e mezzi colossali. Crede Grillo
che questa immensa macchina planetaria che regola ogni sospiro della vita
italiana si preoccupi delle sue sceneggiate di piazza, o dell’incedere di un
nugolo di personaggi e istrioni più o meno credibili con al seguito una
minoranza di adepti/fans persi nell’ingenua buona fede? E allora: cosa mai
risolveranno i referendum di Beppe Grillo fanaticamente concentrato in una
guerra contro una Casta nostrana che nella stanza dei bottoni ha a
malapena il controllo del pulsante del citofono?
Silvio Berlusconi sarà tante cose spiacevoli, ma di sicuro
una non lo è: un buffone. E’ invece uno dei più geniali interpreti del
carattere nazionale che sia mai esistito, e certamente il più geniale in epoca
contemporanea. La sua abilità sia come manager che come politico incute
soggezione. Lasciate perdere per un attimo che il suo percorso sia intriso di
corruttele e malaffare, lo è quello di ogni singolo magnate del pianeta; ciò
che ci interessa qui, è capire che questo uomo tiene saldamente le leve di una
macchina sofisticatissima e multimiliardaria di creazione del consenso,
che per essere combattuta va presa estremamente sul serio, altro che buffone e
prese per il sedere. E arrivo a dire che la cosa più demenziale e infausta che
l’opposizione intellettuale e movimentista al Cavaliere potesse immaginare di
fare in questi anni è quello che ha invece sempre fatto: sbeffeggiarlo,
insultarlo, ridicolizzarlo, chiamarlo psiconano, e insistere compulsivamente
nel denunciarne le malefatte già ultranote a ogni singolo italiano attraverso
la cronaca quotidiana e il lavoro dei giudici, mentre lui intanto si mangiava
il Paese col consenso. Andava invece attentamente studiato, andavano comprese e
individuate le sinapsi della mentalità italiana su cui la sua comunicazione si
allacciava con spaventosa efficacia, ed esclusivamente su quelle sinapsi
bisognava lavorare, con una macchia comunicativa altrettanto fruibile e
martellante quanto la sua, anche se portatrice di valori opposti, e che la
sinistra intellettuale (snob) non ha saputo costruire. Altro che buffone e
pernacchie.
MAFIE, ‘PARROCCHIE’ E INFORMAZIONE.
Guardiamoci. Siamo un popolo che si divide inesorabilmente
in ‘parrocchie’ o ‘mafie’. Se non siamo mafiosi, siamo parrocchiali, una delle
due, non si fugge. Cioè, se non ci aggreghiamo per colludere in affari
criminosi di vario grado, col loro corredo di atrocità, truffe, omertà,
insensibilità per la sofferenza altrui, adulazione del potente, piacere
nell’abuso del potere (dall’associazione per delinquere di stampo narcomafioso
o bancario, alla cordata assicurazione-pretura-avvocati-grande policlinico per
tacitare un’operata di cancro nella mammella sbagliata; dal patto trasversale
ipermercati-grossisti per fare cartello sui prezzi truffando i cittadini, al
consapevole risucchio dei pensionati in difficoltà nelle più ignobili spirali
di indebitamento da parte di finanziarie da galera ecc.), noi italiani ci
raggruppiamo in parrocchiette di ‘compagni di merende’, litigiose, esclusive
proprio nel senso di escludenti, solo formalmente aperte ma in realtà a
strettissimo raggio, nemiche giurate della libertà di pensiero, insomma
consociative ma sempre travestite da qualcos’altro (e questo dal Corriere
della Sera al periodico universitario, passando per le redazioni televisive,
per i centri sociali, ONG, blog più o meno noti, gruppi online, comitati
civici, ONLUS ecc.). Come si può facilmente immaginare, il pensare liberamente
e la facoltà di criticare a 360 gradi non sono compatibili con gli interessi né
delle mafie né delle ‘parrocchie’. Ma sono proprio il libero pensiero e la
critica senza barriere le componenti fondamentali della libera informazione al
sevizio dei cittadini. E allora?
In altre parole, noi italiani la libertà di informare non la
vogliamo, e quando si affaccia sulla soglia della nostra ‘mafia’ o ‘parrocchia’
la odiamo e la cacciamo con singolare ferocia.
E COME FA UN POPOLO
COSÌ AD AVERE UNA LIBERA INFORMAZIONE?
Già posso già udire la levata di scudi di quelli che “Io?
Io proprio no! Io compro il Manifesto… io leggo Libero… io sono Padano mica
italiano… io sono con Beppe, vaffa te Barnard… io sono stato in Afghanistan con
Gino, figuriamoci… io dico viva Travaglio, che c’entro io?...” . E invece
c’entrate, c’entriamo tutti, e soprattutto proprio quelli di noi che sono
confluiti negli ultimi anni nel cortile dei nuovi antagonisti, altra
‘parrocchia’ che sta ahimè replicando molti dei tratti più meschini dei più
trazionali conglomerati mediatici italiani.
In questo mio scritto dedicato all’informazione mi concentro
proprio su questo cortile antagonista per una serissima ragione: perché esso
dovrebbe essere la fucina delle uniche speranze rimaste in Italia di ottenere
un’informazione libera, e se dunque al suo interno si replicano le meschinità
del Sistema-potere, se anch’esso è divenuto ‘parrocchia’, è veramente una
tragedia immane per tutti. Dell’altro cortile, quello del giornalismo
regimentato, non dico nulla qui, tutto è già stato scritto fino alla nausea.
Vi snocciolo ora alcuni esempi a riprova di ciò che
sostengo, fra i tantissimi possibili. Sono tutti frutto della mia esperienza
personale, e non per protagonismo ma solo per la certezza di ciò che posso
descrivere, avendoli vissuti in prima persona.
Nella primavera del 2007 inviavo agli amici di Peacereporter,
sito portavoce dell’ONG Emergency,
una critica all’operato di Gino Strada, che da settimane si scagliava con
crescente acrimonia contro il governo Karzai in Afghanistan, reo, secondo il
chirurgo e un ampio stuolo di intellettuali italiani, di violare tutte le più
elementari regole del garantismo giuridico con la detenzione di Ramatullah
Hanefi, manager dell’ospedale di Emergency a Lashkargah e mediatore per
l’Italia nel noto rapimento di Daniele Mastrogiacomo. Un appello per la liberazione di Hanefi venne
scritto e divulgato, con firme della posta di Claudio Magris, Enzo Biagi,
Gherado Colombo e Maurizio Costanzo fra gli altri. Il testo cominciava con le parole “La
Costituzione afghana…”. Ma quale Costituzione? Quella esportata laggiù a
colpi di bombe cluster e di migliaia di morti? Quella solennemente varata a
Kabul nel 2003 da Hamid Karzai e dalla sua Lloya Jirga, e cioè da un pupazzo
del Dipartimento di Stato americano ex consulente del gigante petrolifero USA
UNOCAL, tenuto sotto la mira dei B52 della US Airforce, e in combutta con la
peggior masnada di criminali di guerra e stupratori noti con l’appellativo di
Alleanza del Nord? Quella contemplata con stupore dagli afghani nella speranza
che qualunque cosa (anche un testo marziano venuto da chissà dove) fermasse le
stragi della NATO e le inaudite violenze dei ceffi dell’Alleanza del Nord
–responsabili di oltre 50.000 morti civili dal 1993 al 1998 di cui 24.000 solo
nel 1994, e poi stupri, mutilazioni, spaccio di eroina? (5) Cioè
la più classica “Constitution at gunpoint” per promuovere la “Democracy
at gunpoint”? Quella? Sì, proprio quella. E il testo degli intellettuali
italiani continuava così: “Il prolungarsi della detenzione di Rahmatullah
Hanefi, in spregio ai diritti universali e alla più elementare dignità umana,
avviene in palese violazione della Costituzione afgana… L’attuale sistema
giuridico afgano è stato costruito con la collaborazione e l’importante
sostegno finanziario per cinquanta milioni di dollari dell’Italia”.
Diritti universali, dignità umana, e leggi eufemisticamente
nate dalla collaborazione e dal denaro italiano. Risulta a qualcuno che i
pastori tagiki, che i commercianti pashtun, o che le donne hazara se li siano
mai scelti quei diritti? Sappiamo almeno se li condividono? Ha un senso per
loro la nostra dignità? Si sono mai espressi su quella? Cosa hanno da spartire
le regole delle democrazie parlamentari europee con duemila anni di relazioni
tribali centroasiatiche? Con che diritto l’Italia, Gino Strada e
l’intellighenzia al suo seguito pretendono il rispetto di regole e di diritti
che con secoli di vita afghana c’entrano come un intervento di laparoscopia
robotica con le pratiche curative sciamaniche? Importa qualcosa che a
magistrati, medici e giornalisti cresciuti su un altro pianeta certe regole
afghane creino sgomento e riprovazione? Sono afghane, sono le loro
regole. E il mio ragionamento continuava: se si sancisce il diritto di una
potenza conquistatrice di imporre ad un altro Paese le sue regole di “democrazia
e giustizia occidentale ora, subito!” a suon di proteste (di insulti, di
ricatti commerciali e di missili), allora sanciamo fin da ora il diritto degli
afghani, dei talebani, o dei cinesi o di chiunque al mondo di gridare “tortura
e pena di morte ora, subito!” se mai capiterà che un giorno siano loro ad
avere abbastanza bombe per offrirci la loro Costituzione. E tornando
dunque alla ferrea determinazione di Gino Strada e soci nell’avanzare quelle
perentorie richieste, quale differenza c’è fra il loro modo di pretendere “democrazia
e giustizia occidentale ora, subito!” in Afghanistan e quello tipico
dell’imperialismo culturale dei neocons americani capitanati da Samuel
Huntington con il loro “democrazia all’americana ora, subito!” esportato
in mezzo mondo? L’uso delle bombe invece che una petizione scritta a Milano? I
sordidi fini di sfruttamento degli americani invece del sentimento di giustizia
dei nostri intellettuali? Davvero? Credete voi che la lettera di Strada,
Colombo e soci sarebbe mai giunta a Kabul senza quel dettaglio degli 8.000
morti civili di questa orribile invasione, della coventrizzazione di interi
villaggi, e della nova resa in schiavitù delle donne afghane che oggi si danno
fuoco con disperazione senza precedenti? (6) Credete che le consulenze
giuridiche discese da Roma su Kabul non servano proprio a spianare la strada
agli avvocati delle solite note corporazioni o agli infausti ‘cooperatori’
internazionali?
La realtà, per chi vuole vederla, è che Gino Strada, proprio
lui, si era accodato al più classico imperialismo culturale, e questo era
sbagliato. Terribilmente sbagliato.
Scrissi tutto ciò a Peacereporter, li invitai a una
riflessione fondamentale, che va al cuore dell’intercultura, che è oggi di
drammatica attualità. Sostenevo che non è in quel modo che si ottiene un
avanzamento dei valori fondamentali dei popoli (ciascuno i suoi). Lo
pubblicarono? Macché. Concessero ai loro lettori il beneficio del dissenso?
Macché. La ‘parrocchia’ si chiuse a riccio, e fine del libero dibattito.
E poi ancor peggio. Nel settembre scorso un paio di
simpatizzanti di Emergency mi contattarono per chiedermi un favore:
"Paolo, fra pochi giorni alla convention nazionale di Emergency ci sarà
lo storico americano dissidente Howard Zinn. Ci faresti la cortesia di
intervistarlo? L'intervista sarà pubblicata da Arcoiris Tv". Risposi
di sì, me lo chiedevano come amici ma soprattutto in virtù del mio specifico di
politica estera. Pochi giorni dopo, in evidente imbarazzo, i due sopraccitati
mi dettero la seguente notizia: "Dalla dirigenza di Emergency è
arrivato un veto sulla tua presenza. Non ti vogliono, non hanno preso bene le
tue critiche a Gino Strada". Una
sintetica mail di Peacereporter, poco dopo, mi confermava questa
incredibile decisione.
La prima cosa che mi venne in mente lì per lì fu George W.
Bush, di nuovo. Così come Bush si arroga il diritto esclusivo di terrorizzare
qualsiasi popolo - nel senso che a nessun altro è concesso il diritto di
terrorizzare gli americani, così Emergency e Peacereporter si
arrogano il dritto esclusivo di criticare ferocemente gli altri - nel senso che
a nessun altro è concesso il diritto di criticare loro. Eppure la libera
critica dovrebbe essere la linfa vitale della giustizia e della democrazia. O
sbaglio?
Infatti su Peacereporter un libero dibattito su Emergency
e sulle sue tante controversie è impossibile.
Se questa parrocchialità accade fra i ‘nuovi’, fra quelli
che non hanno Confindustria o il Vaticano che gli soffia sul collo, immaginate
al Corriere o al TG1 di Gianni Riotta.
E di seguito: si chiuse a riccio la ‘parrocchia’ del Manifesto
quando, dopo vent’anni di collaborazione, mi negarono la pubblicazione di un
editoriale dove gli chiedevo: “Se Calipari fosse morto nelle stesse
identiche circostanze, ma per salvare Agliana, Quattrocchi, o Cupertino, voi
cosa avreste scritto di lui? Avreste celebrato la morte di un eroe, o avreste
scritto di uno ‘sbirro’ al servizio sciagurato dei contractors imperialisti?”.
In altre parole, l’onestà intellettuale non andrebbe posta in cima al lavoro
della storica testata senza padroni? Se non si fa chiarezza su questo punto in
via Bargoni, come si procede? Si può procedere? Silenzio.
Spettacolare la parrocchialità di un gruppo No Tav della Val
di Susa, e sto sempre nell’ambito dei cosiddetti ‘liberi battitori’, per gli
essenziali motivi citati in precedenza. Il 14 febbraio 2008 ricevo da una loro
attivista un invito a tenere un dibattito in valle: “Sia come associazione
che come comitati No Tav saremmo felici di averti ospite a qualcuna delle
serate informative che organizziamo, oppure di organizzarti alcune serate (nei
vari paesi della Val di Susa e Sangone) sul tema della censura
sull’informazione in Italia.” Notate che il fulcro della cosa è la censura.
Rispondo il 27 dello stesso mese e fra le altre cose scrivo: “Possiamo
parlare di informazione, società civile organizzata, cosa fare e come. Sappi
che dico cose molto impopolari per i fans di Grillo, Travaglio ecc.”. La
solerte signora cinque giorni dopo specifica: “Nella riunione di comitato di
giovedì scorso ho portato il nostro scambio di mail e ci siamo chiesti
cosa intendi con ‘cose molto impopolari per i fans di Grillo, Travaglio
ecc’… vorremmo capire meglio, anche per non creare confusione fra la gente a
cui ci rivolgiamo, visto che martedì avremo, per l’appunto, Marco
Travaglio che presenterà il suo libro Mani sporche… Se riesci a
mandarci uno spunto per fargli magari qualche domanda specifica che ci faccia
capire te ne saremmo grati.”. La indirizzo alla lettura del mio Considerazioni
sul V-day (7) e allego una precisa serie di domande critiche per
Travaglio, poi attendo. Attendo,
attendo. Dopo diversi giorni sollecito, e a metà marzo mi arriva una mail di
centosette righe fitte, dove l’attivista No Tav si dilunga eternamente sulle
sue lotte sociali, sul coraggio, sugli alti ideali. Poi, in fondo: “… Devo
dirti in tutta onestà che non abbiamo sfidato Travaglio… gli siamo riconoscenti
per essere venuto… grazie a questo fatto sono arrivati tantissimi cittadadini (uno
stadio zeppo come da foto allegata, nda)”. Ed ecco la stoccata finale: “Tu
sei un grande e coraggioso giornalista… all’interno del nostro comitato il
dibattito è al punto che ci piacerebbe avere prima un incontro-confronto con
te, per capire…”.
Ah sì?, rispondo. Lo avete fatto “l’incontro-confronto
per capire” con Travaglio? Con Imposimato? Con Diego Novelli? Cioè con
tutti gli altri ospiti delle vostre serate? E vi siete preoccupati anche con
loro di “non creare confusione fra la gente a cui ci rivolgiamo”? Da
quando si fanno i pre-esami agli intellettuali che si invitano a parlare alle
serate? Risulta a qualcuno che questa sia la prassi? Non commento oltre, non
credo ce ne sia bisogno. Censura, altro che libero dibattito in quel No Tav. La
‘parrocchia’ è chiusa in Val di Susa, e perdonate la rima.
La medesima cosa mi accade in un centro sociale di Bologna,
l’XM24, forse ancora peggio. Questi sono gli antagonisti arrabbiati, i
giovanissimi irriducibili, gli sfasciaSistema per eccellenza. Bene. L’invito
che ricevo è a parlare di informazione, e tutti sanno che sono nel mezzo di
un’aspra polemica con Report di Milena Gabanelli, che accuso di essere
collusa con la RAI in Censura Legale (8) e impegnata in un’opera
di censura a tappeto del dissenso nel forum della sua trasmissione (9).
Tre giorni prima dell’incontro, un rappresentante del collettivo si presenta a
casa mia: ha parlato con Bernardo Iovene, collaboratore stretto di Gabanelli ma
soprattutto amico intimo del leader di XM24. Iovene sostiene che io vado raccontando
balle e diffamazioni sia su Censura Legale che sulla censura nel forum
di Report, è vero? In via del tutto eccezionale, data la giovanissima età del
ragazzo, gli perdono quello che non ho perdonato ai No Tav, e mi sottopongo a
verifica preventiva. Mostro al giovane tutti i documenti processuali, le prove
nero su bianco, rispondo a ogni domanda. Lui è soddisfatto. L’incontro si fa.
Dopo 48 ore mi arriva una chiamata: Iovene è stato di nuovo al collettivo, c’è
stata discussione, e allora “Barnard lei può venire, può parlare di
informazione, ma non può parlare di Report (sic)”. Avete letto giusto: i
giovani antagonisti, gli antiSistema duri e puri, vietano preventivamente
all’ospite di parlare, gli mettono un guinzaglio affinché più in là di qualche
metro non vada. Non credo sia mai capitato a Porta a Porta, non così
spudoratamente. ‘Parrocchia’ anche qui.
E poi i meet up di Beppe Grillo, e Grillo in persona.
Qui la ‘parrocchia’ ha veramente funzionato, soffocando un pezzo di
informazione con la stessa efficienza di un Tg di Emilio Fede. Spiego i fatti. La eco della mia pubblica denuncia della
collusione di Milena Gabanelli con RAI in Censura Legale ha toccato gli
angoli più disparati della Rete, e naturalmente è approdata ai meet up.
Alcuni membri di quei gruppi hanno d’istinto portato la vicenda nella
pagine del blog di Grillo, visto che si parlava di censura e a pochi giorni dal
V2 day sull’informazione. Ma a quel punto un fatto curioso ha iniziato ad accadere:
i loro messaggi indirizzati al comico genovese sparivano. Strano. Vi lascio
alla spettacolare sequenza di eventi così come sono accaduti al meet up
di Napoli, per comprendere di cosa sto parlando:
“Posted mar 27, 2008 at 11:32 AM
Qualche giorno fa mi hanno passato questi due link: http://www.arcoiris.t... e http://www.arcoiris.t... Questi
video non sono altro che l'intervista a Paolo Barnard: uno dei migliori
giornalisti...scusatemi... EX giornalista di Report, la famosa trasmissione
televisiva di rai tre condotta da Milena Gabanelli. Dovete - per favore - vedere i video perchè
DOVETE aprire gli occhi. Milena Gabanelli come Pozio Pilanto se ne è lavata le
mani, sul forum di Report sono stati bannati (censurati) tutti gli interventi
su questo argomento (CESURA LEGALE).
Sul sito di Beppe Grillo è stata fatta la stessa cosa...
Apriamo gli occhi.
Vittorio Emanuele”
“Posted mar 28, 2008 at 3:38 PM
Io scrivo sul forum di annozero e qualche volta su quello
di report. Ho partecipato solo all'inizio alla lunghissima discussione che c'è
stata e che poi è sparita. Conosco le persone bannate, sono persone civili,
educate, acute, con un senso civico altissimo. Non hanno mai sforato nell'offesa
o nella volgarità, ma hanno dato fastidio chiedendo, pretendendo chiarimenti.
Tutto questo può diventare improvvisamente non
interessante perchè barnard ha fatto il nome di grillo?
Grillo sta organizzando un V-day sulla informazione,
perchè non affrontare anche questa questione? E' importante o no per la
democrazia, per il sistema informazione in Italia....la Gabanelli non ne parla.
Maria Gabriella”
“Posted mar 28, 2008 at 9:51 PM
Ho bisogno di una risposta a questo quesito: io e altri
abbiamo ripetutamente postato la lettera aperta (su Censura Legale di
Barnard, nda) sul blog di Grillo. Non è mai stata postata. Come mai?
Qualcuno sa darmi una spiegazione? Grazie.
Maria Gabriella”
“Posted mar 28, 2008 at 10:03 PM
Prova a spezzettarla, il blog accetta 2000 caratteri per
volta.
Mariano.”
“Posted mar 28, 2008 at 10:37 PM
...cmq è vero è da piu di mezzora che cerco di postare su
blog di Grillo la lettera aperta su Censura Legale (di Barnard, nda),
non riuscendoci... Non mi postano neanche le mie proteste in merito.........
non capisco...........
Mariano.”
“Posted mar 29, 2008 at 1:17 AM
non potevo, non volevo crederci... mi chiedo che senso
abbia il v2day sull' INFORMAZIONE se Grillo sul suo blog applica la censura nei
cfr. di determinati argomenti.... sono confuso....deluso...
pretendo chiarimenti...chiedo a Roberto Fico, Marco
Savarese e Vittorio, e a tutti gli amici del meetup di napoli di pretendere
altrettanto.... di chiedere chiarimenti a Grillo.... che questa discussione
venga puntinata.”
La notizia che anche Grillo stia censurando sul suo blog
rimbalza allarmante a diversi altri snodi italiani dove si raggruppano i
seguaci del comico, come Milano, Roma, Bologna, Ladispoli, Carbonia, o Messina:
“Posted apr 13, 2008 at 5:07 PM
Sul BLOG di Grillo i post che contengono il nome di
BARNARD vengono censurati. Provate voi stessi e vedrete. Io ho fatto alcune
prove, anche camuffando il nome. Niente. Mi pare una questione molto seria. Ne
vogliamo discutere?”
“Posted apr 9, 2008 at 9:09 PM
Se ci tappiamo gli occhi di fronte a questa vicenda; se
non siamo in grado di rompere quelle che assomigliano alle vecchie regole di
omertà e fedeltà alla linea di partito; se non facciamo questo, ora e subito,
credo dobbiamo rinunciare ad ogni speranza di cambiamento e di battaglia per la
verità. Voglio poter andare al prossimo V-Day con l'animo in pace e con la
coscienza pulita
Stefano.”
“Fabio bergonzoni (cipputi) Commentatore certificato
01.04.08 11:09 |
quando mi capita di scrivere un commento non troppo "consono"
al blog viene censurato... dio mio c'è del marcio anche qui? ho visto che non
capita solo a me. è triste. è sconfortante. non si sa più dove girarsi... non
c'è più niente di pulito.”
Io stesso ricevo diverse mail che confermano puntualmente la
censura sul blog di Grillo e di cui offro solo alcuni esempi:
Date: Mon, 07 Apr 2008 15:32:29 +0200
From: Stefano
To: dpbarnard@libero.it
Subject: Di nuovo su censura legale
“Ho provato a spedire un messaggio nel blog di Beppe
Grillo, le cui uniche parole riconducibili al tuo caso erano RAI, Gabanelli,
Report e Barnard: niente, il messaggio non è arrivato.
Ultimo tentativo, questa volta con le parole camuffate…
Ne ho spediti un paio e sono rimasti là almeno una mezz'ora/un'ora (probabilmente
erano un po' distratti). Stamattina i miei post erano spariti. Questa vicenda
mi disgusta...”
Date: Tue, 11 Mar 2008 12:17:03 +0100
From: mariapiapil@****
To: dpbarnard@libero.it
Subject: Re: Report e Anno Zero
“Ho scritto quanto segue nel blog di Grillo. Non ne ho
trovato traccia... Mp.
‘Vorrei esprimere il più totale rifiuto e indignazione
verso la Censura Legale di cui è oggetto Paolo Barnard e tutte le persone che
in diversi blog e forum....’”
Date: Fri, 21 Mar 2008 18:21:08 +0100
From: sapesci@****
To: dpbarnard@libero.it
Subject: Grillo censura...
“Avevo già segnalato il tuo caso sul sito di Beppe
Grillo. Una delle due segnalazioni che ho inviato, quella nel commento più
votato, è stata bannata!.... La Gabanelli anche lì evidentemente non si tocca!
ma tu resisti... non sei solo!”
Tutto questo accade a meno di un mese dal V2 day di Torino.
In sostanza: Beppe Grillo, che sta lanciando la più imponente crociata popolare
contro l’informazione “di regime” della storia contemporanea, usa la censura
nel suo stesso blog, da lui sventolato ai quattro venti come il futuro della
libertà di espressione, come il salvagente della libertà di parola in Italia.
Lo fa, aggiungo, perché notoriamente amico intimo di Milena Gabanelli, e fra
compagni di ‘parrocchia’… Ma ciò che sarà ancor peggio, è come l'ondata di
indignazione di tanti membri dei meet up si spegnerà docilmente al
sopraggiungere dell’adrenalinica giornata del 25 aprile, con la sua cornucopia
di emozioni, protagonismo per un giorno e trascinamento acritico di tanti da
parte dell’istrionico genovese. Eppure non sarebbe stato difficile capire che
in gioco vi era un fatto gravissimo, e cioè la scoperta che il grande
inquisitore aveva replicato lo stesso odioso comportamento che si accingeva a
castigare con feroce intransigenza in tanti altri. E se una frazione di rigore
intellettuale e morale fosse riuscita a sopravvivere a quella festa di piazza,
i seguaci di Beppe Grillo avrebbero dovuto imporre una riflessione all’intero
evento: quella replica ipocrita lo aveva già corrotto fin nelle fondamenta
prima ancora di iniziare, inaccettabile continuarlo così.
Ahimè rimane un fatto che da quella data è calato il
silenzio su questo caso. Di nuovo, la ‘parrocchia’ dei meet up ha chiuso
i portoni, e un libero dibattito sulla gravità del comportamento di Beppe
Grillo è rimasto fuori.
IL CASO GABANELLI. IL ‘LITMUS TEST’.
Quando il parroco chiama a raccolta. E sempre in tema, mi
soffermo sulla reazione di alcuni dei più noti rappresentanti dell’Antisistema italiano
a quella parte della mia denuncia su Censura Legale che inevitabilmente
ha gettato ombre sulla conduttrice di Report Milena Gabanelli. Essa si è
rivelata un litmus test, per dirla all’inglese, e cioè un vero banco di
prova. Infatti, nella ‘parrocchia’ che si è chiusa a riccio a protezione della
nota giornalista si sono infilati alcuni dei nomi più celebri della compagine
dell’informazione antagonista italiana. Non è loro bastata la schiacciante mole
di prove documentali che inchiodavano Gabanelli e la RAI; non gli sono bastate
le proteste per iscritto con nomi e cognomi dei tanti cittadini censurati
brutalmente dalla Gabanelli per aver osato dissentire e chiedere spiegazioni;
non è stato sufficiente spiegargli accoratamente che la replica al loro interno
dei metodi del Sistema-potere è una bomba a orologeria moralmente inaccettabile
e che finirà per delegittimarli danneggiando irreparabilmente tutti gli
attivisti italiani. Nulla di tutto questo è servito, e così Marco Travaglio,
Aldo Grasso, Lorenzo Fazio, Sabina Guzzanti, Beppe Grillo e persino Piero Ricca
si sono schierati in difesa della propria ‘parrocchia’, ciascuno a modo suo.
Prima di continuare preciso e sottolineo: il fatto che il
caso Gabanelli sia ricorrente lungo diverse parti di questa narrazione non è
segno di un mio accanimento rancoroso, di una malcelata velleità vendicativa,
di squilibrio professionale. Le ragioni sono quelle appena citate, e solo
quelle: si è trattato di un punto di svolta clamoroso, un episodio che ha per
la prima volta squarciato il velo su una dibattito soffocato anche se di
fondamentale interesse pubblico: sono veramente diversi dal
Sistema-potere i nuovi ‘paladini’ italiani della libertà di parola? Come
reagiscono quando sono loro a essere colti in fallo? Possono centinaia di
migliaia di italiani fidarsi ciecamente di loro? E in ogni caso, è giusto
affidarsi?
Ecco perché quell’affaire ricorre così spesso qui. Mi
ha scritto una lettrice: “Gent.le Dr. Barnard, sono rimasta colpita sia
dalla vicenda in sé, sia dalle relative implicazioni sociali. Ritengo che
quanto è avvenuto sia gravissimo: anche i programmi e le rubriche che
(apparentemente) prendono posizione a favore di una cultura della legalità e
dei diritti sono, dunque, "sepolcri imbiancati" (per usare un'espressione
molto forte ma, credo, non fuori luogo)”.
MARCO TRAVAGLIO.
La prima volta che portai all’attenzione del giovane
cronista di giudiziaria le crepe che si stavano aprendo nel gruppo dei
‘paladini’ fu il 14 dicembre del 2006. Le risposte che mi arrivarono furono dei
monosillabi inespressivi e seccati. Mai alcunché sui punti specifici. Fu uno
dei primi a ricevere la mia denuncia su Censura Legale, di cui lui
stesso è vittima fra l’altro, ma nulla. L’ho sollecitato di recente con una
lettera aperta, nella quale gli chiedevo di esprimersi sia sul critico rapporto
fra fama/potere e libertà d’espressione (Travaglio è un’idolo nazionale e corre
seri rischi in questo), sia sul comportamento della collega Gabanelli. Nessuna
replica. Poi ricevo da un lettore quello che Travaglio aveva a lui dichiarato
in merito a ciò che gli avevo scritto: “Sono tutte balle (vicenda
Gabanelli)” e “Non ho tempo da perdere dietro ai delirii di uno squinternato
che mi diffama su internet con processi alle intenzioni (le mie considerazioni
su fama/potere e libertà)”. Replico a questo livello di tracotanza offensiva e
di ignoranza dei fatti (Travaglio, che è un cronista, evidentemente non sa
nulla delle prove documentali che ho fornito in Censura Legale) e fra le
altre cose scrivo: “Nessun processo alle intenzioni. Travaglio si è già
corrotto. Come fa lui, il censore morale, a stare fisso nel salotto Tv di uno
che per prima cosa è un arcinoto raccomandato di lunga data della lottizzazione
Tv dell’asse PCI-Sandro Curzi, ma che ha poi fatto scempio del mandato
elettorale di tanti italiani per scendere da Strasburgo (dove ha soggiornato a
spese dei cittadini) a riprendersi il suo ‘giocattolo’ preferito? Cos’è un
mandato elettorale? Un parcheggio temporaneo? Una cura ricostituente? E costui,
cioè Santoro, oggi sta in televisione a bacchettare il malcostume della
politica (sic). Può Marco dire quanto sopra in faccia a Santoro in
diretta ad Anno Zero? Eppure sono fatti conclamati. Può? Lo ha fatto?
Può Travaglio dire che la sua casa editrice Chiarelettere
è diventata il fans club di un magistrato e di una fetta di magistratura con
tanto di striscione e motto sul sito (caso unico in occidente), facendo così a
pezzi il più sacro dei principi dei checks and balances nel giornalismo? Può? Lo
ha fatto?.
Può Travaglio spiegarci cosa ci stanno facendo lui e
Milena Gabanelli in prima serata Tv dopo che lui stesso ha perentoriamente
dichiarato nel 2006 quanto segue:
‘In televisione è vietato tutto ciò che è libero,
indipendente e autonomo. Perché? Perché non si sa mai cosa può dire uno libero,
che non risponde, non si sa mai cosa potrebbe fare, non si sa mai cosa potrebbe
raccontare... Se uno è asservito è controllabile, si conoscono le dimensioni
del suo guinzaglio, e si sa anche chi lo tiene in mano il guinzaglio. Chi non
ha il guinzaglio in televisione in questo momento non lavora e chi ci lavora in
un modo o nell’altro un suo guinzaglio ce l’ha.
Si tratta a volte di scoprirlo, per quelli più furbi, che
lo nascondono meglio, per altri si tratta di capire quanto è lungo, ma non c’è
dubbio che chiunque lavori in televisione nei posti chiave, che si occupano di
informazione, di attualità, o che si occupano disettori limitrofi, il
guinzaglio c’è e lo tiene in mano qualcuno. Poi ci può essere qualcuno che ha
il guinzaglio e pure è bravo (sic, nda), non è mica escluso, è difficile, ma
non è escluso; la regola è comunque che ciascuno deve essere controllabile e
ciascuno deve essere prevedibile , ciascuno deve avere qualcuno che garantisce
per lui altrimenti sulla base delle proprie forze e delle proprie gambe lì
dentro non ci si entra’?”
E ora aggiungo: può Travaglio farci capire come è possibile
che il direttore di RAI 3 Ruffini sia, secondo le sue lapidarie parole, un
censuratore di professione “perché ha cancellato Raiot di Sabina Guzzanti”,
quando lo stesso Ruffini lascia Report in prima serata da più di 4 anni?
Lo è o non lo è un censuratore? Oppure è la Gabanelli che ha le spalle coperte?
O è Travaglio che diffama a casaccio? Può chiarire?
Può questo giornalista dare conto della sua partigianeria
manifesta per un partito politico con tanto di indicazione di voto pre
elettorale (IDV e Di Pietro) e di come questo suo comportamento deturpi l’abc
della nostra deontologia, che pretende una netta separazione del giornalista
dalle fonti del potere che dovrebbe severamente monitorare?
Può infine avere la decenza di leggersi le carte processuali
che così chiaramente espongono Milena Gabanelli come collusa con la RAI in uno
dei più gravi casi di Cesura Legale, e le testimonianze dei cittadini
censurati dalla condutrice di Report? E avrà la coerenza di prendere
posizione contro quel malaffare nato nel cuore dell’informazione ‘pulita’, così
come lo condannerebbe se praticato da chi non è suo amico personale? Insomma,
avrà la forza di non finire a erigere muri attorno all’ennesima ‘parrocchia’?
La risposta a ciascuno di questi quesiti è no. Perché fra
‘parrocchiani’ non ci si tocca, e al diavolo la libertà di pensiero, la libertà
d’espressione e l’onestà personale.
LORENZO FAZIO E ALDO
GRASSO.
Editore di provenienza Rizzoli e patròn della casa editrice
Chiarelettere – che pubblica Travaglio, Gomez, Corrias, Barbacetto, Beha ecc. –
Lorenzo Fazio ha avuto fra le sue firme sia il sottoscritto che Milena Gabanelli.
Da notare che questo editore ospita nel suo sito un blog dal titolo Tiro
Libero, spazio dedicato al monitoraggio del giornalismo italiano. Sono
ancora in attesa che quel ‘monitoraggio’ dedichi a Censura Legale
qualcosa di meglio di tre righe vaghe e fuori tema. La Censura Legale
non è cosa da poco, è a tutti gli effetti una minaccia serissima alla libertà
di stampa italiana, come conferma mirabilmente un saggio di una delle nostre
più rispettate giuriste, Giovanna Corrias Lucente, e che così riassume la serietà
della questione: “Sulla testa di ogni giornalista pende oggi la spada di
Damocle di una querela per diffamazione. Lui – e il suo giornale – rischia la
bancarotta, chi querela assolutamente niente. Anche se la denuncia si rivela
infondata, infatti, è quasi impossibile ottenere un risarcimento. Risultato: i
giornalisti scrivono sempre di meno e sempre più politically correct, le
querele per diffamazione non si contano e i danni morali liquidati raggiungono
cifre sbalorditive. Con buona pace del pluralismo e della libertà di stampa.”.
(10) Ma Lorenzo Fazio è della ‘parrocchia’, ha la conduttrice di Report
in prima fila fra le firme Vip dei sostenitori della sua impresa editoriale, e
dunque zitto, “con buona pace del pluralismo e della libertà di stampa”.
Aldo Grasso, il critico televisivo più caustico d’Italia,
uno spirito libero, così dicono. Lo chiamo in febbraio, gli espongo la
questione Censura Legale, e lui: “E’ grave, è capitato anche a me, un
editore mi ha lasciato solo in tribunale a sorbirmi tutte le grane di ciò che
mi aveva pubblicato...”. Bene, replico, allora sai di cosa parlo, ci scrivi
due righe sul Corriere? Grasso: “Ma… sai… io sono amico della Gabanelli, e
prima di attaccare un’amica dovrei vedere meglio...”
Notate bene che non ha detto ‘prima di attaccare un
cittadino’, che sarebbe stato solo giusto. Ha detto “un’amica”, cioè il
critico televisivo è ‘compagno di merende’ di chi dovrebbe scrutinare. Non
demordo, gli mando ogni prova documentale, ogni riscontro nero su bianco,
tutto. Lo richiamo dopo quasi un mese, e la solfa è la stessa: “Ma sai… io
sono amico della Gabanelli, e prima di attaccare un’amica…”.
PIERO RICCA.
Il 2 aprile 2008 mi scrive: “Caro Barnard, vorrei capire
meglio la vicenda che la riguarda. Vorrei farle un'intervista, magari video, ma
non necessariamente, da far girare on line, a partire dal mio blog. Un cordiale
saluto, Piero Ricca”. Ne sono felice, accetto. Lui ribadisce: “M’interessa
anche il tuo punto di vista su leadership e responsabilità individuale nel campo
della società civile ‘progressista’ o ‘antagonista’…”. Perfetto, ancora
meglio. E ancora lui: “Confido in video-intervista sugli sviluppi e il
signficato del caso non appena possibile per antrambi”.
Nel frattempo lo rendo edotto di ciò che penso dell’Industria
della Denuncia e dell’Indignazione, e glielo dico chiaro, lui c’è dentro
fino al collo. Parliamone. Inoltre gli manifesto il mio disagio di fronte a
certi suoi, chiamiamoli, eccessi di provocatorietà nel corso dei suoi
arrembaggi a Vip politici o finanziari. Il rischio, suggerisco, è proprio
quello di replicare metodi violenti nel nome di una autoreferenziale giustezza
civica. Piero si risente un poco, me lo comunica. Il tempo però passa, e
dell’intervista che mi voleva fare si sono perse le tracce.
SABINA GUZZANTI.
Stessa trafila di Ricca, anche lei mi contatta per una
intervista, l’11 di febbraio: “Caro Paolo Barnard, dato che sto lavorando a
un film documentario sull’informazione vorrei intervistarti e raccogliere la
tua testimonianza (sperando che la parola non ti ricordi troppo i tribunali)”.
Scottato come sono dall’effetto ‘parrocchia’, decido di mettere le mani avanti:
cara Sabina, leggi prima quello che ho scritto di voi Vip alternativi e di ciò
che state facendo, poi se ancora vorrai sentirmi… Lei replica: “Caro Paolo,
grazie della risposta. Ho letto il tuo articolo e non mi è passata la voglia di
intervistarti. Ti chiamerò un giorno di questi per prendere un appuntamento”.
Sono ammirato, forse qui si respira aria nuova. Nelle settimane seguenti le
mando via mail i dettagli della vicenda Censura Legale, e con essi una
sintetica cronaca in diretta della censura che sta calando implacabile su molti
utenti del forum di Report man mano che la cosa monta. Le segnalo anche
quella del blog di Grillo. Sabina inizia a mandarmi messaggi interlocutori: “Su
Grillo mi sono arrivate voci che sul blog ci sia censura, mi pare che la voce
si stia spargendo, d’altra parte è pure una sua scelta parlare di quello che
vuole…” Le rispondo: “No, scusa, ma hai preso un granchio. Non si tratta
del suo diritto di postare ciò che lui vuole. Qui parliamo dei cittadini, i cui
contributi lui non deve filtrare, se non in casi di palesi volgarità o
illegalità. I post dei cittadini sul suo blog sono liberi, e lo sono sempre
stati. Lui cancella quelli scomodi, li censura”.
Sabina di nuovo: “Mi sembra che il senso della tua
battaglia debba essere protezione legale da parte degli editori per i
giornalisti che si espongono, più che una guerra contro la Gabanelli”.
Comprendo subito il pericolo del fraintendimento che talvolta mi accompagna, e
cioè la convinzione di alcuni che io mi stia accanendo per un rancore personale
contro una giornalista, piuttosto che sui principi di una battaglia per la
libera informazione. Replico con fermezza: “Il senso della battaglia è sia
contro gli editori che ci abbandonano sia contro chiunque censuri, se mi
permetti. Gabanelli sta censurando a man bassa e partecipa a Censura Legale.
Cosa devo fare? Il solito ‘compagno di merende’ alla Aldo Grasso o Grillo che
con la censura di Mimun sbraitano furibondi ma con la loro amica no? Fammi
capire Sabina, la censura puzza di meno se la fa una amica tua o mia? Dimmi
come ti posizioni tu, perché qui veramente si fa fatica a capire. La guerra la
si fa contro chiunque censuri e se si chiama Gabanelli chissenefrega. O
sbaglio?”.
La Guzzanti non si convince, lo scoglio Gabanelli rimane nel
mezzo. Poi, quando scrivo di Marco Travaglio ciò che avete letto sopra, Sabina
cambia tono, ahimè. Mi premuro di ricapitolarle tutti i punti spinosi, le gravi
contraddizioni e i rischi che accompagnano la celeberrima figura del cronista,
e concludo: “Sabina, quando si diventa Star non si è più liberi. Perché la
fama dà potere, e il potere diventa prioritario rispetto alla libertà. Rileggi
i nomi che ho citato (Ivan Illich, Noam Chomsky, Howard Zinn, John Pilger,
Rachel Corrie… Giovanni Ruggeri, Giorgio Ambrosoli, Corrado Staiano, Ilaria
Alpi, Peppino Impastato, nda), quelli non furono e non saranno mai in prima
serata Tv. Va fatto altro, e l’ho scritto e credo che tu l’abbia letto”.
Lei: “Caro Paolo, condivido la battaglia perché i giornalisti siano protetti
legalmente dalle testate per cui lavorano, non condivido la battaglia anti
Gabanelli. Non condivido la battaglia anti Travaglio di cui ho stima.” E di
seguito, a proposito dell’impianto generale delle mie critiche ai ‘paladini’
antisistema, la Guzzanti sentenzia: “Francamente mi sembra un’analisi che
nasconde frustrazione e rivalsa mal indirizzate”. Dunque, sarei in fondo
proprio un rancoroso frustrato che fa battaglie anti qualcuno per rivalsa
personale e invidia. Ci risiamo. La mia ultima replica alla Guzzanti sarà dura,
le scrivo che in fondo anche lei, messa di fronte all’evidenza scritta nero su
bianco della replica fra i suoi colleghi antagonisti della censura e
dell’arroganza tipiche del Sistema-potere, sceglie di non prendere posizione,
di non vedere. E’ facile, le dico, e soprattutto fruttuoso scendere in campo
quando c’è da difendere i censurati Vip, dà visibilità mediatica; ma non vedo
in lei lo stesso fervore di giustizia di fronte alla censura degli anonimi
Marisetta, Salvo, Silvia, Francesco…, o di fronte alla palese violazione della
coerenza morale da parte dei suoi amici Marco, Beppe, Milena, con il pericolo
per tanti che ne consegue. Così, amica mia, si sceglie la propria appartenenza
alla ‘parrocchia’, non l’interesse comune.
(Non mi ha più risposto. Anche l’intervista con la Guzzanti
credo si andata a farsi benedire, ma tant’è)
BEPPE GRILLO.
Del suo essere ‘’compagno di merende’ della Gabanelli (ma
anche di molti altri), e della censura che questa condizione ha generato nel
suo blog ho già detto. Vi rivelo solo un ulteriore aneddoto assai
significativo: una sua cara amica, di nome Valentina, ex studentessa dell’amico
Carlo Belli dell’università di Perugia e attiva nel meet up di Losanna,
si interessò a Censura Legale, di cui postò il testo integralmente. Ne
seguì uno scambio di mail col sottoscritto e la sua iniziativa di
sensibilizzare Grillo con una interpellanza personale. Il comico le rispose: “Dì
a Barnard che faremo il V2 day anche per lui”. Di questa risposta faccio
notare una sola parola: per piuttosto che con. Non con i
temi che Barnard porta allo scoperto. In altre parole: se ne stiano a distanza
Barnard e ciò che denuncia, che noi lavoriamo anche per lui (sic).
In conclusione, quanto sopra dovrebbe in un pubblico sano
destare una profondissima preoccupazione e molte domande. Ma tornando al punto
di partenza, ne rimane una fondamentale: come fa un Paese così intriso nel
Sistema e anche nell’Antisistema dalla perenne tendenza alla parrocchialità a
difendere la libera espressione e ad esprimere una libera informazione?*
Inutile proporre riforme, leggi, invocare esempi esteri di
trasparenza. Fra questi ultimi, per citarne uno, la britannica BBC è
perennemente menzionata. E allora diamo una breve occhiata a come è gestita la
BBC e da chi. Il suo CDA si chiama BBC Trust; la sua dirigenza è la Executive
Board. Il BBC Trust è nominato dalla Regina su consiglio dei
ministri del governo. La Executive Board (16 direttori e direttore
generale) è interamente nominata o approvata dal BBC Trust. Riflettiamo:
tutta l’emittente pubblica britannica, esempio mondiale di indipendenza e
qualità, è gestita a cascata da un monarca e dai suoi ministri, attraverso lo
strumento del BBC Trust che di fatto controlla tutto quanto è sotto di
lui. Un monarca, e dei politici oltre tutto neppure di maggioranza e
opposizione, ma solo di maggioranza. E dov’è dunque il tanto celebrato sbarramento
alla potenziale lottizzazione e manipolazione della Tv pubblica inglese? Non
c’è, o meglio, c’è e si chiama ‘sono inglesi’, tutto qui. Infatti, basta
immaginare il trasferimento di un simile sistema di controllo nel sottobosco
corrotto e bizantino della nostra Italia e capite benissimo perché in queste
righe io insisto sul punto imprescindibile: non va cambiata l’informazione,
vanno cambiati gli italiani.
* (e cosa sarà di Canale Zero di Giulietto Chiesa se prima
non affronteranno il pericolo ‘parrocchia’?)
COS’È INFORMARE. COSA
FA UN GIORNALISTA.
Ve lo diciamo noi. Ogni pomeriggio dell’anno i direttori di
testata, i caporedattori e giornalisti assortiti si riuniscono e decidono cosa
raccontarci il giorno seguente (quotidiani), la settimana entrante (periodici),
la sera stessa (Tg). Sul tavolo delle redazioni giacciono pile di notizie,
principalmente sotto forma delle cosiddette ‘agenzie’ (dispacci delle agenzie
di stampa), ma anche fatti raccolti in ogni modo immaginabile, gossip, segnalazioni,
e di rado qualche inchiesta. Dopo alcune ore l’80% di tutta quella roba viene
scartato, e il rimanente 20% viene eticchettato in ordine di importanza: titolo
d’apertura per questo… questo in evidenza… quello meno… quell’altro solo un
accenno, e così via. I criteri di questa selezione e attribuzione di visibilità
li sapete bene, sono spessissimo vergognosi, inutile qui ricordarli o ricordare
chi li detta (dall’esterno delle redazioni). Ma ciò che è assurdo in tutto
questo non è tanto la vergogna dei criteri sopraccitati, quanto il fatto che si
dia per scontato nel giornalismo attuale che informare significhi selezionare
notizie e offrirle ai cittadini. Questo non è informare.
Informare correttamente è invece solo questo: pubblicare, nei limiti degli spazi fisici
delle testate, tutte le notizie possibili, il maggior numero possibile.
Punto.
La selezione di ciò che è importante, e dunque a cosa dare
il titolo in evidenza, la farà il cittadino nella sua testa leggendo o
guardando le notizie. Ciascuna persona, nella sua libertà di pensiero e facoltà
di discernimento, cioè protagonista dell’informazione, farà i propri
titoli a caratteri cubitali sul giornale o i propri titoli di apertura del Tg,
che di conseguenza nei quotidiani e nei telegiornali dovrebbero scomparire. Ma
per potere fare ciò, le persone devono poter avere tutte le notizie che è
possibile dare nei limiti delle 24 ore, e non una striminzita cernita precotta
e opportunamente enfatizzata rifilatagli ogni santo giorno come l’omogenizzato
al bambino.
I direttori e le redazioni dovrebbero solo verificare
l’attendibilità delle fonti delle notizie, e scartare solo ciò che palesemente
incita alla violenza, palesemente diffama o palesemente falsifica la realtà. E
sottolineo palesemente. Lo spazio per le idee del direttore, delle firme
di prestigio, o dell’editore (e dei loro referenti inevitabili) dovrebbe essere
quello della pagina delle opinioni, o degli editoriali Tv. Parimenti, uno
spazio va riservato alle inchieste, saggi ecc. Ma oltre a ciò, la discrezionalità
dei giornalisti non dovrebbe esistere. Questi dovrebbero essere i limiti del
mestiere di chi pubblica notizie.
Utopia? Mi interessa poco. Di fatto informare dovrebbe
essere questo, cioè raccontare al cittadino quello che lui/lei non può conoscere,
tutto quello che lui/lei non può conoscere. Non vedo l’alternativa.
Compagni di merende.
Il mestiere del giornalista, in Italia più che altrove, è anch’esso male
interpretato. La più bella definizione di cosa significhi fare il nostro
mestiere l’ho sentita anni fa da una giornalista straordinaria, l’israeliana
ebrea Amira Hass. Disse: “Il nostro
compito principale è di monitorare le fonti del potere”. Semplice e
cristallino.
Monitorare le fonti del potere significa scandagliarne
quattro primariamente: le tre della notissima suddivisione di Montesquieu –
esecutivo, legislativo e giudiziario – e l’ultimo arrivato, il quarto potere,
cioè proprio l’informazione. Per fare ciò, il giornalista necessita di una dote
sopra a tutte: saper essere un professionista solo. Significa
essere un libero battitore, capace di guardare e se necessario criticare a 360
gradi tutto e chiunque, e cioè gli sconosciuti e i distanti, ma anche i
conosciuti e i compagni di strada. In particolare questi ultimi, perché è
proprio all’interno del proprio cortile di casa (o ‘parrocchia’) che spesso si
annidano i misfatti più difficili da snidare. Ne consegue appunto che il
giornalista non deve mai far comunella con alcuno, con i politici, con i
magistrati, con i colleghi ecc., e deve tenersi da tutti a debita distanza.
Invece in questo Paese la norma è che i giornalisti facciano
‘parrocchia’ con altri ‘compagni di merenda’, che siano visti a cena con
legislatori, in vacanza con industriali o con giudici, allo stadio con
amministratori pubblici, ai dibattiti a braccetto coi magistrati, ai convegni
coi banchieri, e che se ne vantino. Capita in Italia di vedere dilagare la banda
dei quattro col comico, il politico, il cronista e il manager occulto che
fanno e disfano mischiando deplorevolmente giornalismo, politica, attivismo,
business, manipolazione di massa col codazzo di altri volenterosi giornalisti;
capita che un direttore di giornale si vanti dell’amicizia personale con l’ex
presidente del Senato grazie alla cui firma il suo quotidiano esiste, in un
incredibile conflitto d’interessi; capita che la nota firma di prestigio
saltelli con disinvoltura dentro e fuori dai poteri che dovrebbe monitorare,
parte PR man-manager-affarista, parte diplomatico-lacché di potente famiglia, e
poi di nuovo giornalista, tutto in uno; capita che giornalisti e magistrati si
abbraccino a tal punto da sfondare nell’ambito del movimentismo, quasi ci si
aspetta di vederli fare picchetti e volantinaggio di fronte ai palazzi di
Giustizia. Alla faccia dei checks and balances che la tradizione
anglosassone ci ha così opportunamente tramandato. Essere ‘compagni di
merenda’, gemelli combattenti, amici degli amici, cordata di colleghi,
commilitoni addirittura, è la norma qui da noi nel giornlismo.
Insomma, tutto ciò è grottesco. E nessuno lo nota più. E’
una mischia ormai fuori controllo.
Ma così, chi controlla più chi?
IN CONCRETO.
Per dare una pennellata di decenza all’informazione italiana
occorre prima di ogni altra cosa puntare il dito sull’informazione che ogni
giorno i cittadini di questo Paese si scelgono, e dire a gran voce che non vi è
soluzione di continuità fra ciò che noi italiani siamo e i media che abbiamo.
Il lavoro è di ordine epocale, cioè dimenticarci per un
attimo delle Caste e metterci davanti allo specchio con vergogna. E
avere il coraggio di vedere nei contorni delle nostre fattezze quegli spicchi
di Berlusconi, Mieli, Riotta, Lerner, Del Noce, Petruccioli, Ricci, Costanzo,
Chiambretti e Sgarbi – e con essi anche tutte verruche nascoste della
compagine dell’Antisistema – che emergono dal nostro derma.
Dobbiamo dunque recuperare il senso della nostra importanza
di persone, la nostra autostima, e poiché importanti e dunque ciascuno di
noi primo cittadino della vita pubblica, dobbiamo decretare
inammissibile in noi stessi l’essere meschini, omertosi, disonesti, pigri,
accomodanti, egoisti, qualunquisti, bugiardi, indifferenti. Inammissibile cioè
che lasciamo scorrere il peggio sotto i nostri occhi senza intervenire, senza
pretendere che ciò non accada. Intervenire e pretendere, tutti noi,
indipendentemente dallo status sociale o dalla cultura, e dunque cambiare il
nostro mondo, la politica e l’informazione.
Un percorso lungo e difficilissimo, lo so. Ma in Italia da
qualche anno si era formata una Società Civile Organizzata che prometteva bene.
Si trattava di una miriade di organizzazioni con al seguito schiere di
cittadini attivi potenzialmente capaci di formare un esercito di creatori di
consenso in grado proprio di aiutare gli italiani a fare ciò che ho appena
descritto – aiutare, lo ripeto, chi non ha il tempo, il denaro, l’autostima per
informarsi, per capire, per intervenire; aiutarli a fare quelle tre cose
affiché un giorno si riescano a mettere al centro, a sentirsi imprescindibili e
infine a cambiare questo Paese. Se questo esercito avesse lavorato
diligentemente, pazientemente, capillarmente, e soprattutto orizzontalmente,
avremmo visto in Italia un inizio di cambiamento verso una cittadinanza onesta,
consapevole e capace di partecipare. Capace infine di spazzar via ogni Casta
politica o mediatica, poiché le Caste sono solo il riflesso di una
cittadinanza disonesta, inconsapevole e incapace di partecipare. Sarebbe stato
il primo passo verso il goal di cui sopra. Era una promessa, l’unica rimasta.
Invece altro è accaduto, purtroppo. La Società Civile
Organizzata si è voluta munire di Guru, Personaggi, Star, in tutto e per tutto
replicando le strutture verticali e vippistiche del Sistema massmediatico
commerciale. L’ipertrofismo di questi nuovi Guru, come ho già scritto in
passato, ha finito per annullare ancor più la capacità di azione dei singoli
cittadini attivi, rendendoli dipendenti dal carisma, dalle proposte, e dalla
presenza di quelle Star. Infatti oggi in assenza del carisma, della presenza e
delle indicazioni di quei Guru pochissimi cittadini agiscono, e all’indomani
della feste di piazza, delle serate col personaggio o delle manifestazioni,
poco o nulla accade.
Per cambiare questo stato di cose, per cioè riportare i
cittadini attivi all’essenziale ruolo di formatori di consapevolezza nei
milioni di cittadini passivi, dovrebbe idealmente accadere che i primi si
scuotessero dal torpore e dall’adorazione acritica dei loro Guru. Lo auspico.
Nel frattempo però codesti divi dell’Antisistema potrebbero
dare una mano compiendo un atto di responsabilità che sarebbe storico, in
particolare nell’ambito proprio dell’informazione e di come essa va ottenuta da
parte del cittadino. Lo sintetizzo in una battuta: devono sgonfiare se stessi e
aiutare le persone a ingrandirsi.
La prima cosa che questi ipertrofici personaggi dovrebbero
fare è di restituire alla gente il potere di informarsi. Lo si fa innanzi tutto
incoraggiandoli a coltivare l’abitudine al dubbio, ovvero il dubbio che
ciò che gli stessi Guru scrivono o proclamano possa essere parziale, miope,
sbagliato, addirittura manipolatorio. Il messaggio di apertura nel rapporto col
loro pubblico dovrebbe sempre essere: siamo solo fonti di notizie,
non oracoli, ascoltateci, ma a debita distanza, fra le tante altre fonti che
ascolterete. Così facendo restituirebbero al pubblico il suo ruolo di protagonista
che deve farsi la verità da solo, e non apprenderla pedissequamente da un
Personaggio visto come un Vate. Si comincia così. Poi ci si rifiuta di fare i
Vday, di avere i megablog, di essere fissi in prima serata Tv come Guest
Stars, di fare il club esclusivo dei divi antagonisti, di pavoneggiarsi
nelle pagine delle opinioni di riviste patinate, e si dismette interamente
quell’abito da eroi della nuova resistenza che così tanti vestono oggi con
orgasmo. Gli odierni divi della controinformazione dovrebbero lavorare
proprio per ottenere che il pubblico non si relazioni più col giornalista
Personaggio/divo/esperto, ma che lo veda sempre come un suo piccolo
consulente di informazioni fra i tanti. Per far comprendere a chi legge quale
dovrebbe essere l’atteggiamento esteriore e interiore di una cittadinanza sana
nei confronti di chi li informa, chiuque egli/ella sia, vi chiedo di immaginare
come il top management di un gigante industriale – per es. la Microsoft
Corporation – si relazionerebbe con un loro consulente. Lo convocherebbe, gli
direbbe senza troppe storie “Prego si faccia avanti, ci dica”, lo
ascolterebbe e poi “Bene, grazie, si accomodi”. Punto. E il consulente
saluta e si mette da parte piccolo e secondario, per lasciare ai manager
l’importante compito esecutivo. Ora, un pubblico di cittadini sani dovrebbe
sentirsi come il management, cioè al centro del potere e delle decisioni,
e gli odierni giornalisti/divi/esperti si dovrebbero ridurre al ruolo
del consulente. Questo dovrebbero fare i Travaglio, Guzzanti, Grillo,
Barbacetto o Gomez ecc.
Oggi purtroppo accade l’esatto contrario: il
giornalista/divo/esperto troneggia, sentenzia e lancia il diktat, e il pubblico
piccolo piccolo lo adora, lo ammira, e peggio, si raggruppa in fans club e
‘parrocchie’ dal seguito quasi sempre acritico. Ed è tristemente emblematico
che l’immaginario colloquio che ho sopra descritto sia nella realtà di oggi esattamente
il modo in cui, al termine della serata-dibattito con l’esperto/divo, viene
invece accolto il pubblico quando chiede timidamente la parola: “Prego si
faccia avanti, ci dica”, e poi “Bene, grazie, si accomodi”, cioè
torni piccolo piccolo.
In questo modo la gente è solo sospinta a rimanere
secondaria, cioè si annulla e non crescerà mai. Così l’Italia non cambierà mai.
L’informazione italiana meno che meno.
Paolo Barnard
2) Corriere della Sera, venerdì 16/5/2008
4) Ripartire dal basso (subito). Centrofondi.it – L’economia
per tutti. 21 sett. 2007
5) http://www.hrw.org/backgrounder/asia/afghan-bck1005.htm
Military Assistance to the Afghan Opposition, Human Rights Watch, Ott. 2001
6) http://www.greenleft.org.au/2003/556/29437
John Pilger: Bush's `war on terror' is a cruel hoax, 1 Ott. 2003, Green Left
Online
10) Il business della diffamazione. Giovanna Corrias
Lucente, Micromega, 29-06-2007
Fonte: srs di Paolo
Barnard da Paolo Barnard del 18 maggio 2008
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