Ricostruzione del neanderthaliano
scoperto vicino ad Avesa
DNA. Scoperte
mutazioni genetiche immunitarie
Verona. Arriva dal Dna dell’uomo di Neanderthal il
segreto della sopravvivenza alle malattie infettive, determinante
nell’evoluzione dell’uomo moderno.
È quanto emerge da una ricerca condotta con un importante
contributo dell’Italia e che fa risalire a circa 100.000 anni fa un evento che
portò alla drastica riduzione della popolazione a poche migliaia di individui
stanziati in Africa.
La ricerca, pubblicata sulla rivista dell’Accademia delle
Scienze degli Stati Uniti, Pnas, è stata coordinata dalla Scuola di medicina
dell’Università della California a san Diego assieme al gruppo del dipartimento
di Biologia evoluzionistica dell’università di Firenze guidato da David Caramelli e all’Istituto di
tecnologie biomediche del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr).
Le analisi genetiche sono state eseguite sui resti dell’uomo
di Neandertal rinvenuto, al Riparo Mezzena, nei pressi di Avesa. Come è noto, grazie al Dna di questo fossile
umano è stato possibile conoscere aspetti fenotipici come i capelli rossi e gli
occhi chiari.
Secondo gli studiosi, l’inattivazione di due geni legati al
sistema immunitario può aver favorito quegli antenati dotati di una migliore
protezione rispetto ad alcuni ceppi batterici patogeni, come l’Escherichia coli
e lo Streptococco, le principali cause di sepsi e meningite nel periodo
prenatale e nei neonati. Gli esseri umani moderni sarebbero emersi da questa
popolazione, crescendo e sviluppando nuove caratteristiche genetiche.
I ricercatori hanno scoperto due geni non più funzionali
negli esseri umani moderni (Siglec -13 e Siglec -17), ma che potevano esserlo
nei primi ominidi, come lo sono nei primati.
«In una piccola popolazione, una singola mutazione può
avere
un grande effetto», spiega Caramelli. «La sopravvivenza di una specie può
essere stata legata all’eliminazione delle proteine colpite dagli agenti
patogeni».
I ricercatori hanno studiato le tracce molecolari legate ai
geni Siglec, ipotizzando che i predecessori dell’uomo moderno si siano trovati
alle prese con una grande minaccia legata ad un agente patogeno tra 100.000 e
200.000 anni fa.
«I dati genetici - spiega Caramelli - suggeriscono che i due
geni si ’spenserò in alcuni individui fra i 440.000 e i 270.000 anni fa, prima
che gli esseri umani moderni si separassero dai nostri "cugini"
Neandertaliani e Denisoviani. Ma ci
volle molto tempo perché gli effetti si diffondessero all’intera popolazione
umana».
«Le cause della drastica riduzione della popolazione furono il
risultato dell’interazione di numerosi fattori - conclude Caramelli - ma grazie
alle evidenze del nostro studio, ritengo che in quel lungo periodo di tempo, i
nostri antenati siano stati decimati dalle infezioni. Solo quelli con
particolari mutazioni genetiche sopravvissero, facendo emergere la popolazione
di uomini anatomicamente moderni».
Fonte: da L’Arena di Verona, di giovedì 07 giugno 2012, pagina 7
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