Di Goeoffrey Hull
Riporto la prima e la seconda parte dell'estratto di un interessante,
approfondito e straordinariamente documentato saggio, opera del prof. Geoffrey Hull, docente all'Università
di Melbourne: testimonianza sorprendente di come il problema delle lingue
minoritarie (anche di quelle ostinatamente negate dalla ignorante ufficialità
politica romana) sia ormai al centro dell'attenzione dei più illustri
ricercatori, e per di più in un Paese
geograficamente così lontano da noi.
Nell'isolare dal sistema linguistico italiano le parlate
ladine, Ascoli lasciò in un limbo
terminologico i dialetti che il Biondelli,
trent'anni prima, aveva denominato "GALLO-ITALICI" (1).
Secondo l'illustre dialettologo goriziano, il piemontese, il
ligure, il lombardo e l'emiliano-romagnolo, “si distaccano dal sistema italiano
vero e proprio, ma pur non entrano a far parte di alcun sistema neolatino
estraneo all'Italia” (2).
Durante i primi decenni dell'unità nazionale i glottologi
provarono a definire più chiaramente lo status del “gallo-italico” nei confronti del ladino da un
lato e dei dialetti peninsulari dall'altro. In quell'epoca di nazionalismo
esasperato era difficile che l'indagine non assumesse toni politici. Parecchi
studiosi infatti si sentivano in dovere di dimostrare a priori l'italianità sia del gallo-italico sia del ladino, mentre
l'insistenza di altri linguisti (soprattutto germanofoni) sulla fisionomia
palesemente galloromanza dei due gruppi non poteva allora non sembrare colorita
di pregiudizi antirisorgimentali (3).
Che la lingua indigena della Valle Padana, regione da
considerarsi la pietra angolare dell'unità italiana, potesse risultare
dall'analisi strutturalista sorella del francese e solo cugina del toscano era
per molti una considerazione tanto intollerabile quanto eretica.
Venne dunque canonizzato un sistema di classificazione
specificatamente italiano e ribadito più dalla tradizione classicista che dal
metodo scientifico in base al quale "italiani" (o
"italoromanzi") risultavano quei dialetti che si erano da tempo
subordinati al toscano letterario (4).
Secondo un tale criterio un dialetto come l'emiliano o il
ticinese, che condivide tutte o quasi le caratteristiche fondamentali col
francese, poteva definirsi senza tema di errore "italiano".
Per chi non accetta la tesi italianista la denominazione di
"gallo-italico", applicata a vernacoli parlati sì in territorio
politicamente italiano ma a nord della nota linea La Spezia-Rimini, rimane inesatta nonché ingannevole.
Anche ammettendo l'importanza psicologica dell'orientamento
culturale, è difficile capire come sia possibile dedurre da aspetti secondari
(che costituiscono d'altronde solo una patina di superstrato) che tale dialetto
sia strutturalmente
italoromanzo: nessuno si sognerebbe per esempio di definire il còrso
dialetto galloromanzo a cagione degli influssi genovesi e poi francesi che lo
trasformano da secoli.
Riteniamo dunque sostanzialmente giusto il giudizio dei vari
Specialisti di glottologia romanza che considerano il cosiddetto "altoitaliano" come parte
integrante del sistema galloromanzo e parente stretto del francese (incluso il
franco-provenzale) e dell'occitano catalano (5). E diremmo con Pierre Bec
che il termine "gallo-italico" va corretto in "galloromanzo cisalpino" o "galloromanzo italiano" (qui
"italiano" si intende in senso rigorosamente extralinguistico).
La classificazione spoliticizzata dei dialetti della Padania
ha inevitabilmente modificato la concezione del ladino come unità linguistica
indipendente dal "ramo padano dell'italoromanzo".
Anche i ladinisti più accaniti hanno potuto trascendere la
loro posizione di difesa di una favella che sin dal Medioevo si era sviluppata
fuori dalla sfera culturale italiana, col guardare oltre gli italianismi superficiali
dei dialetti della pianura. Molti di loro si sono infatti dichiarati aperti
alla tesi di una originaria unità reto-cisalpina,
a patto che si rinunci a ogni tentativo di collegare questo sistema
all'italiano vero e proprio (6). Si
ammette che la "conquista toscana" della Valle Padana nel
Rinascimento abbia portato a una certa italianizzazione del vernacolo
galloromanzo (o potremmo dire, ladino) di questa zona (7), e che sono appunto le aree marginali chiamate più tardi
"Ladinia" che conservarono incontaminata (prescindendo da forti
influssi tedeschi nei Grigioni e nel Tirolo) l'originaria tradizione
linguistica della Padania.
Nel 1982 ho presentato una tesi di dottorato di ricerca col
titolo inglese di The Linguistic Unity
of Northen Italy and Rhaetia in cui ho tentato di delineare lo sviluppo
storico e la fisionomia attuale dei dialetti ladini e padani (8). L'ipotizzata unità l'ho
ribattezzata "padanese", coniazione che si vuol riferire alla Padania
linguistica anziché geografica (cioè all'anfizona reto-cisalpina) e necessitata
dal fatto che l'aggettivo padano indica propriamente la lingua di solo il
bacino del Po.
LA PADANIA: TERRA GALLICA NEL MONDO ITALICO
È risaputo che nella struttura etnica dell'Italia la
principale linea divisoria coincide quasi perfettamente con il crinale degli
Appennini tosco-emiliani. A nord di questa linea si era stabilita in tempi
antichi una popolazione celtica o celtizzata la cui terra fu chiamata Gallia
Cisalpina dai Romani che la conquistarono fra il 193 e il 78 a.C. Venti Secoli più tardi l'antropologia della
Padania è poco cambiata, nonostante la profonda romanizzazione della zona e la
seriore affermazione di una civiltà tosco-italiana: razza compattamente brachicefalica
anziché mesocefalica o dolicocefalica come nella Penisola;
abitazioni popolari di tipo alpino o subalpino anziché mediterraneo; consumo di
prodotti bovini anziché ovini e cottura al burro anziché all'olio; canto
polifonico, sillabico e narrativo anziché solistico, melismatico e lirico;
coscienza linguistica e filosofica tendenzialmente analitica anziché sintetica,
e così via.
La suddivisione dell'Italia in due diocesi (con le capitali
rispettive a Roma e a Milano) compiuta da Diocleziano nel 298 d.C. non solo
mise in rilievo le esistenti differenze etniche e ambientali delle due Italie,
ma inserì la Padania pienamente nel nuovo e opulento mondo galloromano che
aveva da tempo eclissato Roma e il suo retroterra peninsulare.
Ciò è confermato tra l'altro dalla tradizione scolastica
latina che si mantenne più salda in Padania che nella penisola e dal prestigio
della chiesa ambrosiana nei cui santuari si celebrava una liturgia di tipo
gallicano piuttosto che romano e i cui fedeli erano stati convertiti “freschi”
dal paganesimo e non tramite un elemento cristiano greco nella popolazione
locale. Si svilupparono quindi nell'Italia continentale dialetti di stampo
galloromanzo che non dovevano essere diversi in nessun particolare importante
dal proto-francese.
Al potente superstrato franco della Francia settentrionale
corrisponde in Padania la doppia presenza longobarda e franca. Nel tardo
Medioevo si erano diffuse nel Nord le lingue letterarie francese e provenzale
che erano così accessibili ai cisalpini da ostacolare, alla vigilia del “miracolo fiorentino”, la formazione di
una genuina e duratura koiné padana (9).
Se i Longobardi non avessero aggregato la Toscana al loro
regno padano è chiaro che sarebbero sorte due nazioni sul territorio
dell'Italia augustea, così diverse fra loro come la spagnuola e la francese.
Legata politicamente e culturalmente al Nord, la Toscana,
regione “meridionale”, si andò arricchendo di correnti provenienti dalla
Galloromania. Il suo dialetto, pur conservando la struttura italoromanza, s’intrise
di elementi padani. Ne risultò una trasformazione fisionomica che consentì al
toscano di diventare la perfetta koiné italica, con l'ascesa dei grandi autori
fiorentini, la sola lingua letteraria capace di riunire in un'unica nazione
ideale la Padania gallica e le terre tosco-italiche ed elleniche della Penisola
e delle Isole.
La fiorente civiltà comunale della Padania medioevale è, per
altro, inseparabile dal coevo fenomeno toscano. Si era infatti formata una
sfera di cultura tosco-padana nella quale Firenze assunse presto il predominio,
tant'è vero che quasi l'intera Padania accolse senza esitazioni la civiltà
rinascimentale irradiata dalla Toscana, e rinunciò - pare per sempre- a ogni
vera ambizione di crearsi una propria lingua letteraria comune radicata nella
parlata materna.
Nell'ambito di questa moderna Italia, la Padania fu
destinata a rimanere una provincia di carattere ambiguo: italiana di cultura
elevata, ma galloromana nelle sue tradizioni popolari. Solo i futuri Ladini,
cioè i "lombardi" delle zone alpine dominate dagli Alemanni e dai
Bavaresi, si erano sottratti a questo processo centrifugo.
Oggi i Padani si definiscono spontaneamente italiani
settentrionali, sentendosi infatti così italiani da poter asserire sciovinisticamente
che “l'Italia finisce al Po” o perlomeno “agli Appennini”. Non manca chi
ritiene che la stessa nozione di un'etnia padana distinta da quella italiana
sia del tutto assurda (10). Può essere anche vero.
Nondimeno rimangono saldissimi i tratti distintivi della
lingua ereditaria di questi “italiani settentrionali”, la quale, dopo
quattordici secoli di simbiosi tosco-padana, si mantiene più galloromana che
mai. Diremmo inoltre che la frantumazione dialettale, normalissima in una
lingua eteronoma che non è mai stata codificata, non è neppure progredita al punto
di alterarne l'unità fondamentale.
In questa unità faremmo rientrare, con solo limitate
riserve, il friulano, il ladino dolomitico e svizzero, e i dialetti lievemente
italianizzati della Liguria, del Veneto e dell'Istria.
(continua)
NOTE:
(1) Bernardino
Biodelli, Saggio sui dialetti
galloitalici, Milano, 1853. Vedasi in particolare pp. XXI-XXII;
(2) G.I. Ascoli,
"L'Italia dialettale", AGI
VIII (1882), p.103. Da notarsi che l'Ascoli esclude dal gruppo gallo-italico i
dialetti veneti i quali considerava più affini al toscano.
(3) Le
argomentazioni a favore dell'italianità del ladino e del gallo-italico, tesi
formulata e sostenuta da Carlo Salvioni, furono riassunte alla vigilia della
seconda guerra mondiale da Carlo Battisti in Storia della 'Questione Ladina', Firenze, Le Monier, 1937. Si veda anche G.B.
Pellegrini, "A proposito di 'ladino'
e 'Ladini' ", in Saggi sul ladino dolomitico e sul friulano,
Bari, Adriatica, 1972. pp 96-130.
(4) È indicativa
l'affermazione di G.B. Pellegrini nel suo saggio "I cinque sistemi dell'italo-romanzo": “..con 'italo-romanzo'
alludo alle varie parlate della Penisola e delle Isole che hanno scelto, già da
tempo, come 'lingua guida' l'italiano” (Saggi
di linguistica italiana, Torino, Boringhieri, 1975, pp. 56-7);
(5) Scrive
l'occitanista Pierre Bec: “Ad un tempo innovatore e arcaizzante di fronte al
gallo-italico, il reto-friulano dev'essere ad ogni modo integrato all'insieme
tipologico galloromanzo italiano o cisalpino, del quale costituisce...un'area
marginale e conservatrice” (Manuel
pratique de philolpogie romane, Paris, Picard, 1970-71, vol. II, p 316);
(6) Significative
le concessioni condizionali del ladinista Lois Craffonara: “...anche se si
potesse un giorno provare conclusivamente una anteriore ladinità dell'antica
Venezia e delle zone contigue che oggi appartengono senza dubbio
all'italo-romanzo [per noi il veneto è bensì un dialetto padano italianizzato],
non esiste tuttavia nessun motivo per considerare i dialetti della Sella e del
Friuli come dialetti periferici del sistema italiano, poiché resta
incontrovertibile il fatto che la vecchia Padania apparteneva alla
Galloromania. Quindi i nostri dialetti rimangono - anche nel caso di
un'eventuale dimostrazione dell'originaria ladinità della zona veneta - relitti
di una romanità un tempo estesa ma distinta da quella italiana” ("Zur
Stellung der Sellamundarten in romanischen Sprachraum", in Ladinia, Sföi cultural dai Ladins dles
Dolomites, I (1977), pp 73-120). Lo
svizzero Andrea Schorta ha concepito addirittura una maggiore unità
'ladino-cisalpina' ("Il rumantsch - grischun sco favella neolatina", Annalas da la Società Retorumantscha,
LXXII (1959), pp 44-63), e il suo connazionale Heinrich Schmid afferma del pari
che: “quei tratti che il retoromancio condivide con la zona alto-italiana (...)
appartengono quasi senza eccezione alla comune base del romanzo occidentale la
quale indica appunto il carattere non-italiano di tutti questi dialetti” (“Über
Randgebiete und Sprachgrenzen", Voz Romanica, XV (1956), pp. 79-80);
(7)
L'italianizzazione della Liguria e del Veneto (evidente anzitutto nel
ripristino del vocalismo atono finale) era iniziata invece già nell'alto
Medioevo come conseguenza di contatti marittimi e mercantili con la Penisola;
(8) Tesi di Ph.D.
inedita, Università di Sidney, 1982, 2 volumi;
(9) V.G. Devoto, Il linguaggio d'Italia, Milano, Rizzoli,
1974, pp. 238-39. La cosiddetta (e in realtà poco unitaria) koiné padana in
quest'epoca fu, come il vernacolo veneto contemporaneo, un idioma
italianeggiante anziché consapevolmente galloromanzo.
(10) Per Sergio
Salvi l'idea è più anacronistica che assurda. Ne scrive a proposito in "Le Lingue tagliate" (Milano,
Rizzoli, 1975): “Se da un lato è indubbio che i tratti caratteristici dei
dialetti alto-italiani sono abbastanza simili fra loro e divergono notevolmente
tanto dall'italiano ufficiale quanto dai dialetti del centro e de sud della penisola..., da altro lato ci pare che
l'”italianizzazione” del territorio alto-italiano (e delle sue parlate) sia in
una fase davvero avanzata, irrimediabilmente segnata, poi, dalla massiccia
immigrazione di italiani del centro e, soprattutto del meridione. Piemonte e
Lombardia... sono, probabilmente, irrecuperabili alla parlata materna. Quelli
dell' ALP (Movimento Autonomista Libera Padania) cercano di aggirare l'ostacolo
puntando sulle smilze aree depresse ed emarginate che contornano le grandi oasi
del benessere (ormai convertite alla lingua di stato...): ma ci sembra che
puntino su di un cavallo tanto nobile quanto zoppo. Il “padano", del
resto, è al di là da venire anche nelle aree alto-italiane “all'estero”
(Ticino, Grigioni italiani, Istria) dove la popolazione difende la propria
identità adottando (a torto) proprio l'italiano ufficiale> (pp. 85-85, n° 9)
di Geoffrey Hull
Fonte: srs di di
Geoffrey Hull; (prima parte dell'articolo di G. Hull apparso su
"Etnie", n° 13-1987)
LA LINGUA PADANA
O PADANESE – SECONDA PARTE
Di Goeoffrey Hull
Con un'attenta analisi
di taluni tratti fonologici, morfosintattici e lessicali delle parlate
padanesi, che ne mettono in risalto la netta separazione dai dialetti italiani
e la parentela con le altre varietà di galloromanzo, il prof. Hull termina la
sua avvincente ricerca e lancia, attraverso l'elaborazione di un codice
ortografico comune, la questione della, forse possibile, creazione di una
"koiné" reto-cisalpina.
Limitazioni di spazio ci permettono di accennare soltanto
brevemente ad alcuni dei tratti specifici delle parlate padanesi, di cui
intendiamo soprattutto segnalare quegli aspetti che le separano in modo vistoso
dai dialetti italiani e che mettono in risalto la loro parentela con le altre
varietà del galloromanzo.
Le diverse forme dialettali sono state di proposito ridotte
a prototipi Reto-cisalpini raccolti in una grafia unitaria di tipo etimologico
e capace di abbracciare ogni variante fonetica. (1)
Nel vocalismo tonico spicca anzitutto la potenziale
dittongazione di tutte le vocali toniche in posizione libera (2): i tipi reto-cisalpini mär
(növ) concordano pienamente con il
francese mer, poil, saveur, miei, neuf,
mentre discordano dalle forme mare, pelo,
sapore, mele, nove del toscano popolare e dei dialetti metafonizzanti della
Penisola stricto sensu. (3)
Sono caratteristiche di gran parte della Padania i fonemi
palatali ü (lat. ū) e
ö (üo < uo < lat. ŏ); probabili riflessi dell’antico
sostrato gallico del paese: nelle zone centrali e occidentali si pronuncia
infatti mür, cör, più o meno come in francese (mur, coeur), e tali suoni sono indigeni in Padania e non
"stranieri" o "francesi" come credono tanti. (4)
Il Padanese, come il francese, ha sviluppato una serie di
vocali nasali toniche, così i tipi paun/pan,
serein, bon (bõ), vin (vi)
corrispondono al fr. pain, serein, bon,
vin. Ma il tratto più importante del
vocalismo del padanese quale lingua galloromanza è senz'altro la caduta
regolare di tutte le vocali atone finali eccetto -a: camp 'campo', part 'parte',
quist 'questi' (ma pòrta, fenèstra).
(5)
Non esiterei ad asserire che ovunque incontriamo in
territorio padano forme intere come campo,
parte, quisti (cioè in Liguria, nel Veneto, e in parte altrove), si tratta
in realtà di influssi peninsulari (italoromanzi) recenti o medioevali. (6)
Profonde differenze strutturali segnano pure il sistema
consonantico del gruppo reto-cisalpino di fronte all’italiano. Oltre allo
scempiamento delle doppie (copa
'coppa', maza 'ammazza') e
all'indebolimento delle scempie intervocaliche LATINU > ladin, SECURU > segur,
SUDARE > suar, SCALA > scara), sono da notarsi l'ormai rara
palatalizzazione spontanea (nell'ovest) o reattiva (nell'est) delle velari (castel, gat, formiga) (7) e tendenze fonetiche quali la
soluzione galloromanza dei nessi -ct-,
-cs- (-x-) (FACTU > fait, fač,
LAXARE > laissar, lašar), la riduzione di -gli- a -j- (föja 'foglia',
aj 'aglio') e la desonorizzazione
delle finali (neiv > neif 'neve', verd > vert 'verde').
I fattori principali ĠĞdella scissione fra i dialetti
montani (alpini ed appenninici) da una parte e le parlate della pianura
dall'altra sono i medesimi che vengono invocati dagli studiosi favorevoli
all'indipendenza del "ladino" (per loro solo il grigionese, il
dolomitico e il friulano) dal padano".
In realtà si tratta delle differenze tra dialetti
conservativi o addirittura arcaici e dialetti innovatori (e spesso aperti a
potenti influssi italiani). A parte qualche particolarità del vocalismo tonico
(ad es. resti dell'antica metafonia galloromanza nella Ladinia occidentale e
centrale e in Romagna, e le dittongazioni spontanee del friulano) osserviamo
nella fisionomia delle varietà periferiche del padanese una forte resistenza a
quelle assimilazioni di fonemi consonantici che in pianura hanno portato tra
l'altro all'assimilazione di č, ğ (čiel
> tsiel > siel, ğent
> dzent > zent), alla
mutazione di ğ,
š, ž,
ts, dz (ga > ğa
> dza > za 'già', pes > peš
'pesce', bazar > bažar 'baciare', tsapa > sapa 'zappa', mèdza > mèza 'mezza'), al ripristino
di -d- (dal lat. -D-: crua > cruda) e alla palatalizzazione dei gruppi pl,
bl, fi, cl, gi (blanc > bianc, clav > ciav = čav).
Perduta in vaste aree della bassa Padania è anche la -s
finale, un tempo normale in forme sostantivali e verbali: las casas / les cases > la casa / le case, tu tires > tu
tir(e), egl mòrts 'i morti' > i mòrt. (8)
Segnaliamo qualche altra caratteristica della morfosintassi
del retocisalpino nella quale sussistono tuttora tutti i più importanti
elementi e tendenze del galloromanzo comune. Nei dialetti più genuini gli
aggettivi ubbidiscono a un unico modello, come avviene in francese, ad es. un om fòrt ~ una femna fòrta 'un homme
fort ~ une femme forte'.
Pure obbligatorio è l'uso del soggetto pronominale con le
forme finite del verbo: eu vuogl 'voglio', tu dis 'dici', ieu eu vegn
(in pianura mi eu vegn) 'io vengo':
si confrontino i costrutti francesi je veux,
tu dis, moi je viens. Le parlate
cisalpine aggiungono volentieri questo pronome a quello relativo (tipo la tousa che (el) la canta 'la
ragazza che canta').
Il tipo di costrutto om
va (=francese on va ' si va'), una volta alquanto diffuso in territorio
cisalpino, ha soppiantato nei dialetti della Lombardia orientale le forme di
quarta persona del verbo: lom. em porta
= portem 'portiamo' (cfr. on porte = nous portons nel francese popolare).
Un'altra caratteristica condivisa con il francese è l'uso dell'atono
eu (< EGO) alla quarta (e alla
quinta) persona del verbo: eu rivem =
j'arrivons (forma dialettale per
'nous arrivons').
In quasi tutta la sezione cisalpina dell'anfizona si notano
sostituzioni di certi pronomi personali, cioè lui rimpiazza él tonico,
e similmente élla cede a liei, éls, éllas / élles > lour 'loro', ieu > mi 'io', tu > ti 'tu', mei > mi 'me', tei-ti
'te', gli > ghe 'gli, le'.
Interessante la presenza, sia in padanese che in francese,
di un pronome impersonale, probabile relitto (calcato) del superstrato
germanico, ad es. el me par 'mi
pare', el coventa partir 'bisogna
partire' (cfr. il me parait, il faut partir).
Un aspetto del verbo padanese che è arrivato a investire la
sintassi dell'italiano del Nord è la sostituzione del perfetto col passato
remoto il quale sopravvive però come tempo letterario e persiste in qualche
vernacolo emiliano-romagnolo. L'italiano regionale offre anche frequenti
riflessi di altri tratti della sintassi indigena: alludiamo ai costrutti èsser drieu a + infinito per indicare
azioni continue (l'es drieu a seriver
'sta scrivendo', cfr. in qualche dialetto francese il tipo il est après d'écrire); alla negazione dell'imperativo mediante il
verbo star (no star a cridar 'non
gridare'); all'uso obbligatorio di un avverbio rafforzativo nelle espressioni
negative (el (no) parla miga 'il ne parle pas/(mie)', tu (no)
dormes brixa / (bric, nient, pa ecc.)
'tu ne dors pas'); e all'analogo rafforzamento dei dimostrativi (questa
cadriega qui 'cette chaise-ci', quel
prieved li 'ce prêtre-là').
Fra i pronomi indefiniti, gli avverbi, le preposizioni e le
congiunzioni si rivelano numerose le formazioni prettamente padanesi come negun 'nessuno', nuglia, negot(a) 'niente', vergot(a),
alc, alchet
'qualcosa', medem 'stesso', minca 'ogni', massa 'troppo', avonda, assai 'abbastanza'. nomai 'soltanto', just(a)
'appena, appunto', debon, dessèn
'davvero', cour(a) 'quando', encuoi (uoi, oz) 'oggi', ancamò, amò 'ancora', drieu, davors
'dietro; dopo', despuoi 'da allora' (fr. depuis).
Notevolissimo il fenomeno de 'verbo localizzato', di ispirazione germanica, ad
es. star sus 'alzarsi', meter sus 'erigere', tras jos 'demolire'.
La maggior parte del vocabolario comune dei dialetti
reto-cisalpini consiste di termini romanzi e latini che si trovano in tutte le
lingue neolatine dell'Europa occidentale e centrale. Assai più ristretti
numericamente sono i relitti dei sostrati gallico e pregallico e gli apporti
lessicali del superstrato germanico dell'alto Medioevo.
Imponente invece è l'influsso dei recenti superstrati e
adstrati sui diversi dialetti padanesi, soprattutto l'elemento italiano nel
lessico del padano (incluso il friulano) e l'elemento alto-tedesco e tedesco
moderno nel ladino grigionese e dolomitico. Vistosi, seppur meno importanti, sono
i prestiti francesi e occitanici in piemontese.
Quello che ci interessa in modo particolare è però il
lessico tipico del padanese concepito come unità linguistica.
Molto significative sono le numerose voci che confermano la
stretta parentela fra il padanese e le altre lingue galloromanze, ad es. àmeda 'zia' (fr. tante), av 'nonno' (fr. aïeul), cadriega 'sedia' (fr. chaise),
fat 'insipido' (fr. fade), feida 'pecora'
(occ. feda), got 'bicchiere' (occ. got,
fr. godet), empremudar 'prendere a prestito' (fr. emprunter), maxon
(fr. maison), mogliar 'bagnare' (fr.
mouiller), mocar 'spegnere' (fr. moucher), menton 'mento' (fr. menton),
meisson 'messe' (fr. moisson), mica 'pagnotta' (fr. miche), nèza 'nipote,
f.' (fr. nièce), paveglion 'farfalla' (fr.
pavillon, papillon), plorar, plurar 'piangere' (fr. pleurer), saxon
'stagione' (fr. saison).
Un numero discreto di vocaboli troppo antichi per potersi
definire prestiti dall'italiano sono in compenso testimonianza della secolare
orientazione meridionale della Padania, ad es. bevolc 'bifolco', cadin
'catino', descedar 'destare', grem 'grembo', ledam 'letame', menestra,
mescedar 'mescitare', miz / niz
'mézzo', massaira 'massaia', piegora, spuzar 'puzzare', regordar 'ricordare', refudar 'rifiutare', roncar, seron 'siero'. Nessuna di queste
voci si riscontra nel galloromanzo transalpino.
Abbiamo poi un'abbondanza di vocaboli padanesi che non sono
sempre collegabili a lessemi francesi e occitanici, ma che contrastano tuttavia
con l'uso lessicale della Toscana e della Penisola in generale.
Formano così parte del lessico padanese 'classico': barba (m.) 'zio', barbix 'baffi', biàdeg 'nipotino',
boleid 'fungo', bugnon 'fignolo', calegair
'calzolaio', calzair 'scarpa', çanc 'sinistro', catar 'trovare; raccogliere', cegaira
'nebbia', cioc 'ubriaco', cocombre 'cetriolo', compagn 'simile', covatar 'nascondere, coprire', coveida
'brama', cop 'tegolo', cosp 'zoccolo', (em)pizar 'accendere', fallar
'sbagliare', forcellina (piron) 'forchetta', formenton 'granturco', franc 'lira',
geld 'frigido', gnec 'malaticcio', liguoir
'ramarro', luxour 'splendore' , marangon 'falegname', molleta 'arrotino', muola 'macina', padimar
'consolare', presça 'fretta', rampin 'gancio', rauba 'cosa', ladin
'sciolto', ninzar 'intaccare,
scolpire', lugànega 'salsiccia', pander 'annunciare', rexentar 'sciaquare', sabla, sablon 'rena', sangueta 'mignatta', segar 'falciare', sarir 'sarchiare', sopressar
'stirare', tòc 'pezzo', tomàtes 'pomodoro', travonder 'inghiottire', tuoisseg
'veleno', zivolar (sublar) 'fischiare'.
L'unità lessicale del padanese, come quella di qualsiasi
lingua frantumata, è naturalmente relativa. Per un gran numero di concetti i
dialetti occidentali presentano una voce sconosciuta in quelli orientali, e
viceversa. Nella seguente lista di doppioni il primo termine è sempre quello
occidentale: bigat / cavalier 'baco
da seta', brèn, crusca / sémola, rémol(a) 'crusca', càmola / tarma 'tigna', ferrair / favre 'fabbro', gudaz, padrin / sàntol 'padrino' (tosc. compare), lassair / lagar
'lasciare', lavandin / seglair
'acquaio', mascherpa / poïna
'ricotta', ninçuola / noxella 'nocciuola', pigliar / tuor 'prendere', senestre / çanc 'sinistro', solair / granair 'soffitta' , tiret / casset 'cassetto'.
Un'altra importante divisione lessematica contrasta l'uso
cisalpino con quello retico (e con quest'ultimo concorda talvolta anche il
ladino delle Dolomiti).
Al retico baselga
corrisponde il cisalpino gliesia
'chiesa', e così anche caxuol / formàdeg, formaj 'cacio, formaggio', clauder / serrar 'chiudere', còcen / ross 'rosso', coudex / libre 'libro', èdema / setema(u)na 'settimana', figliol / figlioç 'figlioccio', folin / calijen 'fuliggine', jentar / disnar ‘pranzare', lisura / jointura 'congiuntura', meil / pom 'mela', meisa
/ taula 'tavola', mur / rat, pondeg,
sourex 'topo', neir / negre
'nero', saglir / saultar 'saltare', solegl / soul 'sole', tema / pavoira 'paura' , zevrar / deslaitar, desierar 'divezzare' (cf. il fr. sevrer).
CONCLUSIONE
Ammessa la fondamentale unità delle parlate reto-cisalpine
si pone la questione della loro unificazione. Il sistema di trascrizione che
abbiamo elaborato sul fondamento delle caratteristiche comuni del gruppo
costituisce una base formale capace di servire non solo da spunto per una
riforma (o sistemazione) ortografica dei singoli dialetti padanesi, ma si
presta anche come codice in cui registrare il ricchissimo ma mai radunato
tesoro lessicale della lingua.
Anche chi dubita del valore di una sintetica koiné padanese
destinata a concorrere anacronisticamente con l'italiano pan-padano, non potrà
smentire l'auspicabilità, sia pure solo come compito scientifico, di un
equivalente cisalpino del Tresor dòu
Felibrige e dei dizionari pan-occitanici compilati nei decenni recenti.
Allo scopo di illustrare la fattibilità dell'unificazione
ortografica - il primo passo verso la creazione di una koiné reto-cisalpina -
presentiamo sotto otto branetti tolti da vari autori dialettali, tutti ridotti
alla nostra comune "grafia padanese"
e paragonati con l'attuale grafia regionale:
1. PIEMONTESE
Puoi pauc a pauc el ha
mollau de cau la pluova e el soul, surtend fòra da les nìvoles, el ha fait
luxer ent l'aria les ùltimes stizes. Entloura eu son surtiu encima a l'aira a
cuoglier les granes de tempèsta ch'elles eren ancoura nient sleguades. Les
gallines elles cacaraven ch'elles semegliaven mates e les rondolines empleniven
l'aria degl suoi squiz, voland tut en gir a la cassina.
Peui pòch a pòch a l'ha molà 'd cò la pieuva e 'l sol,
surtend fòra da le nìvole, l'ha fàit luse ant l'aria j'ùltime stisse. Anlora i
son surtì ansima a l'àira a cheuje le gran-e 'd tempesta ch'a j'ero ancora nen
slinguà. Le galin-e cacaravo ch'a smijavo mate e le rondolin-e ampinìo l'aria
dij sò squiss, voland tut an gir a la cassin-a (9).
2. LOMBARDO
OCCIDENTALE (MILANESE)
(Eu) s'era setada en tèrra, col cau en maun, e egl gombed
sugl genuogl: me zifolava el vent ent egl cavegl: demanamaun che vegneiva un
quagl bof, el me portava come una voux che vegna de lontaun: ella me pareiva la
soa voux, (eu) alzava egl uogl, (eu) guardava entorna: ma el es nuoit, el es
senza luna, e no se ved negot. (Eu) clame…Pedrin!... Pedrin!.... Neissun
respond.
S'era settada in terra, col coo in man, e i gombet sui
genoeucc: me ziffolava el vent in di cavij: demeneman che vegneva on quaj bôff,
el me portava come ona vôs che vegna de lontan: la me pareva la soa vôs, alzava
i oeucc, guardava intorna: ma l'è nott,
l'è senza luna, e no se vede nagott. Ciami…. Pedrin! Pedrin!.... Nissun respond
(10).
3. LIGURE (GENOVESE)
Cruoses rìpides, streites,
lastregades da riçuogl redondi con la passiera de madoin. Cruosetes fra does
muraglies flanchejades da lo passaman de fèrro e dagl lampioin. Portetes
misteriouses vernixades de verde con targheta e sonaglin. Copies [cobles]
fermes ent egl canti plui appartades, dònnes dagl portelleti degl balcoin.
Crêuze ripide, strèite, lastregae da rissêu riondi co' a
passüa de möin. Crêuzette fra due mûage fiarichezzae da-o passaman de faero e
dai lampioin. Portette misteriose vernixae de verde con targhetta e sûnaggin.
Coppie ferme in ti canti ciù appartae, donne da-i portelletti di barcoin. (11)
4. ROMAGNOLO
Un tòc, les does, el
sona el campanon. Per la contrada les scarpes elles baten sugl saiss e drenta
les cambres chi senten egl nuostre pass egl scrichen egl lieit de fòglies de
formenton…. Un àndit scur, un gat e puoi a lí sota el lum m'una fenéstra bassa;
drenta una vècia [vègia] a smasar ent una cassa: les does de la nuoit (a), per
una berreta rota!
Un tòc, al dò, e' sòuna e' Campanòun. Par la cuntrèda al schèrpi
al batt si sas e dréinta al cambri chi sint i nóst pass e' scréca i létt ad fôi
'd furmantòun. Un andìt schéur, un gatt e pu a lè sòta ancòura e' lóm m'una
finèstra bassa; dréinta una vècia a smasè t'una cassa: al dò dla nòta, pr'una
brèta ròta! (12)
5. VENETO (FELTRINO
RUSTICO)
Sot un covèrt larg ghe
n'es una plui bèlla fontana che buta; denanzi les fenèstres vasi de flours,
d'entorn a la casa, el par che sia sempre fèsfa, che ghe n'es un orden e una
netixia straordenaria; en tèrra no se vedereiv una paglia, gnanca a cercar-la.
Un bèl tosat, mòro, el es sentau sus una banca piturada de verd; el guarda
pensieriouso sus per egl bosc; el ha la fuma en boca, quasi studada.
Sot on cuert larc ghe n'è na pì bela fontana che buta;
denanzi le finestre vasi de fior; d'intorn a la casa, 'l par che sia sempre
festa, chè ghe n'è 'n orden e na netisia straordenargia; in tera no se vederee
na paja, gnanca a zercarla. 'N bel tosat, moro, l'è sentà su na banca piturada
de vert; el varda pensieroso su pa i bosc; l'à la fuma in boca, quasi stuada. (13)
6. FRIULANO
Egl ieren tre quatre
dis che Linda ella aveva alc. A no aveir
mai nuglia, alc el es alc! Linda ella
iera contenta. "Gli el dixerai esnuoit," ella pensà dut el di. Sierrada l'ostaria - egl sierraven atorn dieix
- egl cenaren come sempre, lour doi de bessogl, dessovra. Ella lavò la
massaría, la meté sul desgotaplats. Lui el era quiet e el sbesegliava plancut
depruouv de un campanèl elétric. "Martin!.. .eu hai un fruit!"
A' jerin tre quatri dîs che Linde 'e veve alc. A no vê mai
nuje, alc Al è alc! Linde 'e jere
contente. "J al disarai usgnot", 'e pensà dut il di. Siarade l'ostarie - a' siaravin tôr dîs - a'
cenàrin come simpri, lôr doi di bessoi,
disore. 'E lavà la massarie, la meté sul
disgoteplàz. Lui al jere cuiet e al sbisiave plancut daprûf di un campanel
eletric. "Martin!. 'o ai un frut!" (14)
7. LADINO DOLOMITICO
(GARDENESE)
Encuoi, doménega.,,,
davors la gran messa avomnos tòlt comiau de nòssi òmes sun plaza de gliexa. El
capellan Favé ha teniu una rexonada e ha dait la bendizion a quegl, che
mosseiva laissar l'encasa, senza saveir se egl la podeiva vedeir amò una
vegada. Gent braglava. Anca vègli egl aveiva las làgremes ent egl uogli. Quegl
che fòva stati cridai a jir a combater, se òva amò pestau e ordenau.
Ncuëi, dumënia, dò la gran messa ons tëut cumià da nosc
uëmes sun piaza de dlieja. L caplan Favé a tenì na rujnèda y à dat la
bendiscion a chëi, che messòva iascé l ncësa, zënza savëi, sce i la pudòva udëi
mò n iëde. Jent bradlava. Nce vedli ëi òva la lègrimes ti uëdli. Chëi che fòva
stac cherdei a jì a cumbater, se òva mò pistà e urdenà. (15)
8. LADINO RETICO
(ALTO ENGADINESE)
El stoveiva ensèn
bauld rir, courch'el vegnif (f)òr del tren. Seguentre dex-sèt ans d'absenza
torneiva el a casa e sortiva una stazion mema bauld. Apòsta. Negun no lo
speitaeiva e segur che negun no brameiva sieu arriv. Seguentre aveir depositau
sias dos greivas valis se metet el en via vèrs casa. Ensí, cols mauns vuoids e
senza peis terrestre, voleiva el far quel ùltim tuoc via chi l'era stada ensí
crapousa el di de sia partenza!
El stuvaiva insè bod rir, cur ch'el gnit our dal tren. Zieva
deschset ans d'absenza turnaiva el a chesa e sortiva üna staziun memma bod. Aposta. Üngün nu'l spettaiva e sgür ch'üngün
nu bramaiva sieu arriv. Zieva avair deposito sias duos greivas valischs as
mettet el in via Vers chesa. Uschè, culs mauns vöds e sainza pais terrester,
vulaiva ci fer quel ultim töch via chi l'eira steda uschè crappusa il di da sia
partenza! (16)
Varianti unificabili di un'unica lingua, o tante piccole
lingue. È la discussione delle caratteristiche ideali dell'auspicata 'lingua padanese ' (e le scelte
arbitrarie che tale lavoro di sintesi richiederebbe): la affidiamo al futuro e
alla volontà collettiva degli eredi del patrimonio linguistico che accomuna i
popoli dell'Italia settentrionale e della Svizzera meridionale.
Intanto, per terminare il presente discorso, do un breve
campione del linguaggio sintetico in cui ho tradotto il Vangelo di San Marco.
Sono stati adoperati, oltre la grafia unificata, un consonantismo conservativo,
un vocalismo evoluto più o meno simile a quello che sta alla base del milanese,
una morfosintassi "cisalpina" ispirata al friulano, e un lessico
volutamente panpadanese. Ecco i primi undici versetti del primo capitolo:
EL VANGELI DE SAINT MARC - TRADOIT EN LENGUA PADANEISA -
CAPITOL PRIM
Comenzament del Vangeli de Jesus Crist, Figl de Dieu, co
ch'el es scrit en Isaia el profeta: "Guardaid, eu tramete el mieu nonzi
denanz de tei, ch'el te pareja la via". La voux d'un chi clama ent el
desért: "Preparaid la via del Segnour, egualivaid les soes sendes!"
Ensi compari Joan ent el desèrt a batejar e a predegar un bateisem de penitenza
per el perdon degl pecai. E l'entriega contrada de Judea e tuit egl abitants de
Jerusalem jiven depruov a lui e se faxeiven batejar de lui ent el flum Jordaun,
confessand egl lor pecai. Joan era vestiu de peil de cameil e el portava una
ceinta de coiram entorn de la vita. El
manjava cigales e miel selvàdega. E el
predegava ensì: "Davors de mei el vein un chi es plui possent che ieu, e
eu no sont miga degn de sbassar-me per desnoar les correjes degl suoi calzairs.
Ieu eu vos hai batejai ent l'aigua, ma lui el vos batejarà ent el Spirit
Saint".
Ent quegl dis Jesus rivà de Nazaret de Galilea e vens
batejau de Joan ent el Jordaun. E pròpi co ch'el vegniva fuor de l'aigua, el
ciel se dervi e om vit a vegnir jos souvra de lui el Spirit Saint en forma
d'una colomba. E una voux rivà del ciel dixend: "Tu ses el mieu FigI amau,
en tei eu hai el mieu plaxeir".
NOTE:
(1) Abbiamo
adattato al padanese comune (prototipico) la grafia vocalica dell'occitanico
moderno, nella quale e, o
rappresentano sempre vocali chiuse (e,o) e le vocali aperte (e,o) portano
regolarmente l'accento grave: è, ò. Il
padanese occidentale e centrale concorda con la lettura occitanica di u come (ü). Quanto alle consonanti ci siamo attenuti alla
tradizionale ortografia italiana (creazione non meno padana che toscana) salvo
nei seguenti casi. I digrafi italiani ci, gi rappresentano [ts] [dz]
unicamente in parole di origine non-padanese e quando indicano le varianti
palatalizzate di cl, gl: altrimenti
si adoperano i grafemi gallo-romanzi (e tanto più adatti al sistema fonematico
padanese) ç (= ci), j (= gi), e pure sc (= sci).
In posizione intervocalica e finale la sorda scempia [s] si
distingue dalla s sonora con la
grafia ss (messa, pass). Le geminate ll, rr, nn del proto-padanese si scrivono sempre eccetto
in posizione intervocalica (rrat > rat, torr > tor, ma tèrra); tuttavia mm viene rappresentata regolarmente dalla grafia m, giustificata dal fatto che la
distinzione mm ~ m andò completamente
perduta in Padania mentre si continuava a lungo a contrastare foneticamente nn ~ n ecc. Le velari [k] [g] in fin di parola si scrivono
-c,-g (e non -ch, -gh giacché disponiamo dei grafemi opposti -ç, -j) e il grafema x
tipico dell'antico padano e del ligure moderno (nonché del veneziano xe!) corrisponde sempre agli esiti di - ć -, -si- (e talvolta -li-).
(2) Nelle zone
periferiche persistono tracce delle condizioni metafoniche un tempo normali nel
gallo-romanzo.
(3) Il consueto
riferimento all'intera Italia come 'la Penisola' è naturalmente inesatto: dal
punto di visita geografico occorre distinguere nettamente fra l'Italia
continentale (cioè la Val Padana con la costiera ligure e l'Istria) e la vera
Italia peninsulare che ha come limite settentrionale la Toscana.
(4) È più che
verosimile che in passato sia il Veneto che la Romagna abbiano conosciuto ü; quanto al friulano e all'istriano (in
cui gli indizi linguistici sembrano del tutto mancanti) è forse significativo
il fatto che il sistema vocalico del confinante dalmatico abbia contenuto un
tempo un ü senza dubbio trasmessogli
dal padano (cfr. čol < čül
< CŪLU).
(5) Quando però
la caduta delle finali risulta difficile riappare una vocale d'appoggio che
trascriviamo -e, ma che si può
pronunciare a seconda dei dialetti -i, -o
(-u) e persino -a: MACRU > *magr > magre (magri, magro, magra). È inoltre diffusa la variante magar nella quale si è verificata una
retrazione della vocale d'appoggio di un tipo anteriore *magra.
(6) Ne fanno
prova ad esempio i testi veneziani antichi in cui l'apocope è ancora frequente,
e le numerosissime false regressioni del ligure presenti in modo particolare
nelle parlate liguri orientali che confinano col toscano. La questione del
ripristino delle finali cadute è trattata nella mia tesi (cit. a n. 8. prima
parte), a § 51.
(7) Le velari [k]
[g] assunsero un colorito mediopalatale (č, ğ) nel gallo-romanzo cisalpino. È probabile
che Milano fosse l'epicentro del fenomeno. Lo si riscontra ancora nei dialetti
retici e lombardi alpini (e ne rimane qualche spia nel padanese di Sicilia), ma
sono ormai rare le parlate che presentano č, ğ in ogni posizione (si pensi al
dialetto valtellinese di Tresivio). Nella maggior parte di questo territorio le
palatali č,
ğ
concorrono oggi con le varianti regressive k, g, tipi čamp, čosta, črepa, vača, sač > camp, vaca, còsta, crepa, sac; formigra, fuog > magra, fuog.
Nella Padania
nord-orientale si realizzò indipendentemente nel tardo Medioevo una
palatalizzazione condizionata di k,g
legata alla semplificazione di qu, gu
dinanzi ad a (quand > cant: cant <
čant, agua > aga, paga > paga).
Tutti e due i fenomeni vanno rigorosamente distinti dal simile sviluppo del
francese.
(8) Nell'alto
Medioevo il padanese, come l'antico francese e l'antico occitanico, disponeva
di una declinazione a due casi (nominativo e accusativo). Con il crollo di
questo sistema bicasuale si generalizzarono in linea di massima le forme
accusative (oblique) al singolare (tipi mòrt, caval), mentre al plurale
maschile le due varianti lottarono a lungo. I dialetti gallo-italici e veneti
vennero a preferire i plurali nominativi (mòrt(i), cavagl), il romancio e
l'engadinese quelli accusativi (mòrts,
cavals), ma il ladino dolomitico e il friulano scelsero una soluzione di
compromesso (cfr. il fri. muarts ~ čavai).
(9) Nino Autelli,
La cros ëd ramuliva.
(10) Tommaso
Grossi, La fuggitiva (poesia).
(11) Aldo
Acquarone, Creuze de Zena (poesia).
(12) Tonino
Guerra, La cuntrèda (poesia).
(13) Paolo
Segato, Come che l'à fat Met a catarse na
femena.
(14) Aurelio
Cantoni, Une peraule!
(15) Elsa
Runggaldier, Lecurdanzes de l'ava.
(16) Selina
Chönz, Il retuorn.
Fonte: srs di Geoffrey Hull; (seconda parte dell'articolo di G. Hull
apparso su "Etnie", n° 14-1988)
Geoffrey Hull è un
linguista della University of West Sydney, Australia, che ha dimostrato in una
tesi (purtroppo ancora non pubblicata) di 700 pagine l'unità linguistica
originaria di "Northern Italy and
Rheatia", spiegando che poi questa unità si è spezzata tra
"Highland Padanese" (= Reto-romanzo) e "Lowland Padanese"
(= il padano di Salvi), sempre più italianizzato a causa della diglossia
padano-italiano. Fin qua non dovrebbero esserci problemi per nessuno, se le
prove portate da Hull reggano all'esame critico. Il problema nasce con la
proposta abbozzata da Hull di ricostruire un padanese moderno. Questa lingua
avrebbe un bacino di utenza di circa 25 milioni di persone!
Geoffrey Hull
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