La finanza domina l’economia, mentre dovrebbe essere al suo servizio
L’economia domina la
politica, mentre della politica dovrebbe essere strumento
L’economia domina la ricerca scientifica, la formazione e
l’educazione, che da strumenti di critica e consapevolezza, diventano mezzi di
propaganda al servizio dell’economia
Infine, la politica, che dovrebbe servire gli esseri umani,
li mette all’ultimo posto
PERCHÉ?
perché quanto più il virus del potere si diffonde, tanto più
accade che:
– prepotenti e disonesti vengano premiati e ammirati
– onesti e virtuosi vengano ignorati o puniti
INDOVINATE A QUALE CATEGORIA APPARTENGONO LA MAGGIOR PARTE
DEI GOVERNANTI E DEI DIRIGENTI?
I primi hanno “successo” e fanno carriera; i secondi pagano
debiti e tasse. Questi ultimi, divisi tra loro e ipnotizzati dalla propaganda,
non hanno né la forza né la consapevolezza di reagire. Ma solo il vizio di
lamentarsi.
Se Dante fosse ancora vivo, ne dedurrebbe una prova certa
dell’esistenza di Dio. Solo la sua provvidenza, infatti, può spiegare un
fenomeno altrimenti incomprensibile: come mai non ci siamo ancora estinti.
(Testo liberamente elaborato dall’originale di Luigi
Zoja, La morte del prossimo, Einaudi)
PSICOPATIA AZIENDALE
E nato da poco un nuovo settore di studio: la corporate
psychopathy (psicopatia aziendale).
Negli scandali di fine secolo xx e inizio secolo xxi,
infatti, non si sono trovate immoralità occasionali di persone che hanno
sbagliato, e possono pentirsi, ma perversioni morali permanenti che, se
non fossero state scoperte, sarebbero continuate perché non lasciavano sensi
di colpa: è la condizione chiamata psicopatia, considerata difficile
da redimere.
Uno dei più noti questionari per identificare i disturbi
psicopatici è lo Psychopathy
Checklist di Robert Hare.
Sotto la spinta della nuova immoralità aziendale, l'autore ne ha prodotto una
versione differenziata in due parti.
Una prima lista va in cerca del FATTORE 1:
mancanza di scrupoli, di responsabilità,
di sensi di colpa,
tendenza alla menzogna e alla manipolazione,
cinismo e cosi via.
Il secondo elenco riguarda il FATTORE 2:
instabilità,
comportamenti apertamente devianti,
aggressività non controllata.
In Europa gli studi sulla corporate psychopathy sono
meno sviluppati rispetto all'America, ma mostrano tendenze simili. Una ricerca di Belinda Board e Katarina
Fritzon, dell'Università del Surrey, ha comparato un gruppo di 39 manager di
successo con criminali e pazienti psichiatrici gravi. La loro classificazione
finale ha diviso la popolazione esaminata in «psicopatici di successo» e
«psicopatici senza successo».
Proviamo a riassumere quello che interessa ai nostri scopi.
Tanto secondo gli studi di Hare e Babiak, quanto secondo quelli di Board e Fritzon - effettuati non solo in istituzioni diverse, ma in
continenti diversi:
La personalità del manager brillante ha non pochi elementi in comune con quella
dello psicopatico.
Le caratteristiche antisociali, però, sono presenti in
quantità diverse e si manifestano meno direttamente.
Il fattore 1 di Hare, che corrisponde a un'immoralità
non visibile, quindi particolarmente pericolosa, è presente sia nei manager
sia negli psicopatici criminali.
Il fattore 2, invece, si ritrova solo nei
criminali tradizionali. È, in un certo senso, meno sorprendente e meno
pericoloso, perché scontato e visibile.
I soggetti che, nella classificazione di Hare, possiedono
solo il fattore 1, secondo l'Università del Surrey sono «psicopatici di
successo» e rivestono alte cariche aziendali.
Quello che li differenzia dal gruppo dei «senza successo» è
l'aggressività. Nei manager essa si manifesta in modo più differenziato e senza
fretta: non aggrediscono fisicamente, sottomettono l'ex-prossimo a un
cinismo aziendale.
II gruppo degli «psicopatici senza successo» si
compone invece di criminali classici (sempre secondo lo studio dell'Università
del Surrey, che infatti li ha intervistati in carcere). Si tratta di malfattori
d'altri tempi i quali, pur disponendo di caratteristiche necessarie come la
mancanza di scrupoli, non hanno saputo adattarsi completamente ai nuovi
rapporti economici e tecnologici.
Hanno infatti ancora bisogno del prossimo: anche
se, come richiede il loro temperamento, ne hanno bisogno per aggredirlo.
ACCELERAZIONE E COMPETIZIONE
FAVORISCONO L’EMERGERE DI PERSONALITÀ PSICOPATICHE
L'accelerazione imposta alla società dalla
rivoluzione informatica e dalla competizione del mercato:
ha eliminato persone dotate di fedeltà, cautele e
scrupoli,
favorendo l'emergere di tipi intuitivi, cinici, opportunisti.
Questa «selezione culturale» ripropone, nella vita
economica quotidiana, una strozzatura attraverso cui un flusso pacifico diventa
un getto aggressivo.
Una simile selezione si è già vista in occasione di grandi
rivolgimenti politici.
Anche le loro accelerazioni hanno favorito
le psicopatie:
si è imposto chi sapeva
cogliere vantaggi immediati,
perdendo il senso ultimo dell'azione politica.
Lo abbiamo visto sia nei nazionalismi, quando sono scivolati
in fascismi, sia nella rivoluzione russa o in quella culturale cinese, sia nel
rinazionalizzarsi dei comunismi, per esempio con la disgregazione della
Iugoslavia. Ognuna di queste strozzature ha compresso e accelerato la storia.
Ogni volta, la compressione ha trattenuto la maggioranza delle personalità
equilibrate e liberato un getto di psicopatici.
Gli studi sulla psicopatia aziendale non hanno niente di
rivoluzionario. Spesso si limitano ad
assemblare dettagli di microstoria che, a loro volta, si connettono alla
macrostoria. Un manager poi rivelatosi
psicopatico, ad esempio, avrebbe dovuto mettere sull'avviso perché non era
andato ai funerali di sua madre. Ma questo, apprendiamo dai libri, è quello che
fece anche Stalin. La differenza è che, quando si comportò cosi, Stalin
era già Stalin, mentre un amministratore d'azienda non dovrebbe avere il
potere di un tiranno: interpellato in proposito, l'80 per cento dei lettori
del sito Cnn ha risposto che i responsabili aziendali dovrebbero oggi esser
sottoposti a test per valutare la presenza di psicopatie. Nei fatti, niente di
simile avviene: il risultato è l'esplodere quotidiano di nuovi scandali.
Forse, la lotta finale non sarà - come aveva predetto
Ignazio Silone nel suo scritto sui comunisti delusi - uno scontro tra comunisti
ed ex-comunisti, ma tra capitalisti ed ex-capitalisti divenuti psicopatici.
All'imprenditore postmoderno si richiedono doti
non comuni: eppure non è facile che diventi, per i suoi dipendenti, un mito
equivalente agli eroi tradizionali. Come avevano previsto già Lev Tolstoj e
John Ruskin, la sua attività lo trasforma facilmente in un cinico senza
onore: all'opposto del comandante che mette in salvo i suoi e affonda con
la nave, è lui il primo che deve salvarsi.
PROGRAMMA DELL’ECONOMIA MODERNA
Del resto, risale a quasi un secolo fa il programma
dell'economia moderna, secondo cui il capitalismo-avidità avrebbe finito
col rimpiazzare quello classico o fordista.
Già nel 1919, infatti, un giudice americano
aveva condannato Henry Ford, che voleva reinvestire gli utili
della sua fabbrica di automobili creando nuovi stabilimenti e migliorando la
produzione: la storica sentenza diede ragione ai suoi soci fratelli Dodge - più tardi industriali
dell'automobile a loro volta - perché, diceva:
lo scopo di un'azienda è arricchire i proprietari
e non dar lavoro agli operai
o prodotti più utili ai consumatori.
Al mondo esistono ancora, nominalmente, diversi paesi
anticapitalisti, comunisti e/o persino rivoluzionari; e diversi movimenti
anticapitalisti, comunisti e/o rivoluzionari nei paesi capitalisti. Mezzo
secolo fa le loro voci minacciavano di morte il capitalismo liberale, anche se
proprio in quegli anni i paesi a economia di mercato stavano effettuando la più
equa distribuzione di redditi e di servizi della storia umana.
Si dava ormai per scontato che sanità e istruzione
fossero un diritto universale: quanto alla redistribuzione della ricchezza,
persino negli Stati Uniti e con un governo di centro-destra (quello del
repubblicano Dwight Eisenhower, già capo delle Forze Armate) le aliquote delle
tasse sul reddito personale arrivavano al 90 per cento. Insomma, anche nella
patria del capitalismo, in nome degli interessi della società, lo Stato
prelevava agli individui più avidamente di ogni capitalista.
LA RIVOLUZIONE AVVENUTA
Tra allora e oggi, una rivoluzione (alla lettera: un
ribaltamento) è avvenuta. Quella tendenza, infatti, si è letteralmente
rovesciata. Infiniti «paradisi fiscali» permettono di evitare le tassazioni più
alte - che sono comunque diventate, anche nei socialismi scandinavi,
infinitamente inferiori -, mentre nell'ultimo grande paese comunista, la Cina,
il coefficiente di Gini (che cresce con la concentrazione dei redditi) ha
continuato ad aumentare fino a esser doppio di quello di un paese prototipo del
capitalismo come il Giappone e si avvicina ormai a quello del Brasile. La
ricchezza si sta addensando di nuovo nelle mani dei privilegiati, con una
velocità che non ha precedenti nella storia, mentre il progresso economico
lascia spesso a lavoratori e classi medie solo le briciole.
Sappiamo che, nella modernità, la distanza tra paesi
poveri e ricchi ha continuato ad aumentare. All'inizio della rivoluzione
industriale l'Occidente «ricco» aveva in media un reddito prò capite 3-4 volte
superiore a quello dei paesi extraeuropei. Oggi il differenziale è nell'ordine
delle centinaia: il reddito prò capite del paese più ricco, la Norvegia, è
ormai oltre 500 volte quello del Congo, e quasi 700 volte quello del Burundi.
All'interno di Europa e Nordamerica, però, la prima
metà del xx secolo aveva portato non solo un grande progresso tecnico,
sanitario e dell'educazione, ma anche una sostanziale diminuzione
delle differenze sociali.
Intorno agli anni Sessanta la tendenza si è invertita.
Oggi negli Stati Uniti l'1 per cento della popolazione dispone di un reddito
pari a quello del 55 per cento che sta più in basso.
Ancora nel 1980 il capo (ceo) di un'azienda americana
guadagnava mediamente 40 volte lo stipendio dei suoi dipendenti. Ora la
differenza ufficiale è già di centinaia di volte, ma quella reale è ancor
maggiore, perché i dati non includono i guadagni sul capitale attribuiti ai
manager. Nello stesso paese, nella stessa città, ma anche all'interno dello
stesso luogo di lavoro, dove si finge di essersi avvicinati dandosi del tu,
la distanza si è fatta sconfinata.
LA PSICOPATIA HA OCCUPATO I VERTICI
DELLA SOCIETÀ
Con maggiore o minor ritardo, il mondo sta seguendo questa
tendenza. Le persone ragionevoli si pongono una domanda: se ai vertici delle
singole imprese industriali e finanziarie le recenti trasformazioni hanno
concentrato una inattesa percentuale di psicopatici, cosa succede al vertice
di tutta la società?
Questa punta della macropiramide sociale è infatti la somma
dei vertici delle micropiramidi (imprese, gruppi sociali ecc.) che la
compongono: anche se l'analisi clinica di tutto lo strato più alto della
società non è possibile, è logico supporre che sia un concentrato delle
psicopatie accertate alla cima dei settori di cui si compone.
I rivoluzionari cambiamenti, dunque, non consistono solo in
rapidissime concentrazioni di ricchezza. L'altra scioccante novità è che
nei posti guida si è seduta
una immoralità
senza precedenti.
A denunciarla come psicopatica, questa volta non sono gli
anticapitalisti ma alcuni ipercapitalisti.
Se scorrete internet alla voce significativa corporate
psychopathy, troverete pagine e pagine e pagine che elencano libri e
articoli su questa nuova criminalità: non provengono, però, da editori o
movimenti di sinistra e tantomeno da Chiese, per cui le sorti del prossimo non
paiono di attualità, ma da pubblicazioni specializzate nella gestione
aziendale. Da quando la respublica è diventata res privata, a scrivere di queste cose sono, come
abbiamo visto, le esperte di psicologia criminale dell'Università del Surrey. O il dottor Paul Babiak, psicologo
dell'industria newyorkese (che, inevitabilmente, dalle industrie trae il suo
reddito). Il più celebre è il citato
Robert Hare, professor emeritus all'Università della British Columbia, a lungo
consulente di organizzazioni sovversive come l'Fbi, che espone le sue teorie in
laboratori rivoluzionari come i congressi della polizia canadese. La critica
alla nuova disumanità del capitalismo post-industriale è divenuta una
specializzazione della società capitalista post-industriale.
Fonte: da il Quaderno di Mauriozio Scardorelli
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