Incontro con di Gianandrea Gaiani - 13/01/2012
Gianandrea Gaiani [nella foto], analista militare, è
direttore del mensile telematico “Analisi
Difesa” e collaboratore di varie testate: ha una sua rubrica su “Panorama”
e scrive per “Il Sole 24 Ore”, “Il Foglio” e “Libero”. Recentemente il dottor
Gaiani ha espresso posizioni molto dure sul nuovo governo italiano, sia in un editoriale
di “Analisi Difesa” sia in una lettera
a “Il Foglio”. Definito come un “governo di occupazione”, imposto all’Italia da
potenze esterne, il gabinetto Monti, a giudizio del dott. Gaiani, si
distinguerebbe per sudditanza e non starebbe facendo davvero gl’interessi
dell’Italia, ma anzi danneggiandoli. Il con-direttore Daniele Scalea ha incontrato il dott. Gaiani per discutere con lui
della sua forte presa di posizione.
L’ITALIA È SOTTO “OCCUPAZIONE STRANIERA”?
DS: Dottor Gaiani, pare di capire che, a suo
giudizio, i paesi che avrebbero imposto questo “governo d’occupazione”
all’Italia sarebbero Francia, Germania e USA. È corretto?
GG: Per essere precisi, ritengono che siano state
Parigi e Berlino a prendere la decisione. Washington si è limitata ad
intervenire per salvaguardare i propri interessi: Obama, in un colloquio
telefonico col presidente Napolitano, gli avrebbe suggerito i nomi cui affidare
i dicasteri della Difesa e degli Esteri (evidentemente più cari agli USA),
ossia rispettivamente quello del presidente del Comitato militare della NATO
ammiraglio Di Paola e
dell’ambasciatore a Washington Terzi di
Sant’Agata.
In sostanza, comunque, è avvenuto ciò che è avvenuto in Grecia:
è stato imposto un “governo fantoccio”, che rende conto a potentati esterni
anziché al popolo.
Nei suoi interventi ha attirato l’attenzione su una
questione inspiegabilmente passata sotto silenzio dai media: la richiesta dell’UE di abrogare le cosiddette “golden
shares”. Ossia le quote e ben precisi poteri decisionali che lo Stato
italiano mantiene nelle aziende strategiche privatizzate.
È paradossale che l’UE, in una situazione descritta come di
piena emergenza, non trovi di meglio da fare che occuparsi delle golden
shares italiane. Tanto più che Francesi e Tedeschi hanno meccanismi simili
per proteggere le loro aziende strategiche. A breve scade l’ultimatum lanciato
dall’UE all’Italia: senza una legge che sostituisca le golden shares e
fornisca una protezione da scalate esterne, il settore strategico italiano
(Telecom, Finmeccanica, ENI, Enel, ma anche le banche) sarà acquisito dagli
stranieri per due soldi, complici le cadute nelle contrattazioni borsistiche.
Facciamo qualche esempio. Le banche italiane hanno oggi una capitalizzazione
che supera di poco i 30 miliardi di euro, ma gestiscono una quantità di denaro
che è cinque volte superiore. Eppure, acquistarle tutte assieme costerebbe meno
che acquistare la sola BNP Paribas. Finmeccanica ha una capitalizzazione di 2
miliardi, ma possiede beni immobili che da soli valgono 4 miliardi. Francesi,
Tedeschi, ma non solo, si preparano a comperare i pezzi pregiati della nostra
industria, e lo faranno anche per eliminare dei rivali. In fondo, la guerra in
Libia non è servita a togliere interessi strategici all’Italia, e rimpiazzarla
nel paese nordafricano? Vi sono due modi per togliere di mezzo un rivale:
soffiargli i contratti, come in Libia, oppure comprarlo, farlo passare sotto il
proprio controllo, come rischia di succedere alle aziende italiane.
Il
negoziato per alleggerire i termini del rientro sul debito, chiesto dall’Italia
all’UE, ci metterà di fronte ad un ricatto: svendere in cambio le nostre
industrie pregiate. I due pesi e le due misure sono palesi: alla Germania è
stato chiesto di eliminare dei provvedimenti che tutelano il suo settore
automobilistico; non lo fa, eppure non riceve alcun ultimatum. Ben diverso è il
trattamento riservato all’Italia, alla Grecia o all’Ungheria. Quest’ultima è
stata costretta a rinunciare a leggi decise dai suoi rappresentanti eletti in
cambio d’aiuti finanziari europei.
Poche settimane prima della caduta del governo
Berlusconi, si era parlato di un interessamento della Cina ad acquisire
partecipazioni nell’industria strategica. Non è possibile che queste manovre
siano state motivate anche dalla decisione di non permettere a Pechino di
realizzare queste acquisizioni?
Non credo, perché l’interesse cinese tende più verso i
titoli di debito pubblico. È più semplice penetrare lì, che nel settore
strategico.
Alcuni critici hanno tacciato il gabinetto Monti
d’essere un “governo dei banchieri”. Tuttavia, si è visto come le banche
italiane siano state discriminate dall’UE, che ha richiesto una
ricapitalizzazione in ragione dei titoli del Tesoro italiano posseduto da
queste banche, risparmiando invece gl’istituti finanziari francesi e tedeschi
pieni di “titoli tossici”. Insomma: se anche le banche sono “vittime”, chi sono
i “complici” interni di questa “occupazione”? E se non ve ne sono, come ha
potuto essere imposto all’Italia un “governo d’occupazione”, come lo definisce
lei?
Si è imposto grazie alla debolezza della politica. Ed a
metodi di pressione dall’esterno che non necessariamente richiedono complicità
interne. Berlusconi ha accelerato i tempi delle sue dimissioni dopo che un
pesante attacco speculativo fece crollare il titolo Mediaset in borsa… E
comunque, un governo delle banche non deve esserlo necessariamente di quelle
italiane (che pure sono state favorite da numerosi provvedimenti). La stessa
ricapitalizzazione chiesta dall’UE può aiutare gli stranieri ad entrare nelle
banche italiane. Che sono particolarmente ghiotte perché contengono l’ingente
risparmio delle famiglie italiane.
Ma insomma, esistono settori “nazionali”, animati da
senso dello Stato e – perché no? – sano patriottismo, che potrebbero reagire a
tutto ciò?
L’unico modo per reagire è far mancare il sostegno al
Governo in Parlamento. Ma la politica non è in grado, perché non può fornire
un’alternativa e comunque è lieta che ad aumentare le tasse sia un governo
tecnico. Un “governo d’occupazione”, dico io, perché favorisce i competitori
dell’Italia. Sono davvero “straordinarie”, come le ha definite la Merkel, le misure
del gabinetto Monti: infatti ci garantiranno recessione ed inflazione allo
stesso tempo. Togliere di mezzo una delle maggiori potenze economiche mondiali
è nell’interesse di parecchi paesi.
E dato che lei è prima di tutto un analista militare,
veniamo ad una scottante questione che è salita all’onore delle cronache,
proprio in rapporto alla politica d’austerità, negli ultimi giorni. Mi
riferisco alla polemica relativa all’oneroso acquisto dei caccia multiruolo
statunitensi “Joint Strike Fighter” F-35 da parte dell’Italia. Al di là degli
argomenti antimilitaristi, da un punto di vista realista, quest’acquisizione
conviene o non conviene?
Il programma JSF avrebbe dovuto costare all’Italia, nei
piani originari, 2 miliardi per lo sviluppo e 15 miliardi per l’acquisto di 131
aerei. Si tratta d’una cifra che è già oggetto di riesame: probabilmente ne
compreremo solo un centinaio. In ogni caso, lo sviluppo dell’aereo è arrivato
in ritardo rispetto alla tabella di marcia, ed il conseguente aumento dei costi
è difficile da quantificare. In Italia ufficialmente si prevede d’acquistare
ciascun velivolo al costo unitario di 78 milioni di dollari. I canadesi, però,
calcolano che ogni JSF costerà loro 146 milioni.
Diciamo subito che gli aerei,
dopo trent’anni, è normale vadano cambiati. Si può ovviamente decidere di
cambiarli con meno mezzi, ed è già il nostro caso: i 131 F-35 daranno il cambio
a 220-250 velivoli più vecchi.
Ma all’Italia servono
questi F-35?
Servono se vogliamo continuare a bombardare in giro per il mondo
a fianco dei nostri alleati. Quest’aereo sarà acquistato da altri paesi della
NATO, e possederlo renderà le nostre forze integrabili con quelle alleate.
In
ogni caso, l’aereo è statunitense: noi abbiamo un ruolo di sub-fornitori, e
dunque deboli ricadute industriali. Acquistando l’F-35, rinunciamo alla
capacità di produrre da soli i nostri aerei, come con l’Eurofighter, o come
fanno i Francesi con il Rafale. Rinunciamo a sviluppare la versione d’attacco
al suolo dell’Eurofighter, su cui invece investiranno i Tedeschi. Ciò ci
condanna a lavorare su prodotti nordamericani per molti anni a venire.
I
Francesi non riescono ad esportare il loro Rafale: esaurite le commesse
interne, chiuderanno la catena di montaggio. Fra dieci anni in Occidente ci
sarà una sola catena di montaggio: quella degli USA. Non è una scelta d’oggi: è
stata presa nel 1996 e confermata nel 2002.
Se vogliamo continuare a fare la
guerra (anche contro i nostri interessi, come talvolta accade) ci servono
questi aerei. Andrebbero bene anche gli Eurofighter, in realtà, a maggior
ragione visto che i nostri avversari sono guerriglieri o eserciti scalcinati.
La sofisticazione è però utile all’industria, perché permette d’acquisire
tecnologia assieme agli aerei.
Ma v’è infine un aspetto fondamentale di cui non
si parla mai: gli F-35 costano molto, ma costa ancora più caro tenerli in
linea. Il bilancio della Difesa sarà sempre più ridotto dai tagli finanziari:
già oggi conta poco più dei soldi necessari a pagare gli stipendi. Dovremmo
allora blindare i bilanci della Difesa per i prossimi 15-20 anni, o corriamo il
rischio di ritrovarci con tanti moderni F-35, ma senza i soldi per fargli il
pieno. Già succede in parte: la voce dell’esercizio è quella più colpita dai
tagli. Se non garantiamo risorse alla Difesa, ha poco senso acquistare questi
aerei. L’aeronautica italiana punta a mantenere una forza su due diversi
velivoli, l’Eurofighter Typhoon per la difesa e l’F-35 per l’attacco. Anche la
Gran Bretagna lo fa, ma ha molti più soldi di noi come del resto Francia e
Germania che avranno invece un solo velivolo multiruolo.
Nei suoi interventi ha ricordato che l’Italia ha una
“sovranità limitata” da molti decenni: potremmo dire dal 1943. La domanda che
mi pongo è: l’Italia può essere sovrana dentro la NATO? Ovvero bisogna trovare
una nuova configurazione strategica, quale può essere una ristrutturazione
dell’Alleanza Atlantica, o un trattato di sicurezza collettiva pan-europeo,
quale quello promosso dai Russi negli ultimi anni?
Durante la Guerra Fredda, anche se la nostra sovranità era
limitata, gl’interessi dell’Italia (e dell’Europa) e degli USA convergevano.
Oggi la situazione è mutata, come dimostra il caso libico. Gli USA negli ultimi
mesi hanno sacrificato molti regimi arabi loro alleati per rimpiazzarli con
nuovi regimi a loro volta non molto democratici. Persino l’Arabia Saudita si
preoccupa, tanto da intervenire in Bahrayn prima che lo facessero gli USA.
Siamo sicuri che il Mediterraneo dominato dall’islamismo sia nell’interesse
europeo? Io credo di no. Invece può esserlo in quello degli USA, che sono più
lontani, al di là dell’oceano.
Bisogna rivalutare il ruolo italiano ed europeo
rispetto ai nostri interessi. Gli USA hanno giocato un ruolo tutto sommato
stabilizzatore fino a Bush, mentre ora ricoprono un ruolo palesemente
destabilizzatore. L’Italia stessa è stata destabilizzata con la guerra di
Libia. Berlusconi partecipò controvoglia all’intervento, inizialmente decidendo
che i velivoli italiani non avrebbero lanciato bombe. Il venerdì di Pasqua Kerry,
presidente della Commissione esteri del Senato statunitense, giunse in Italia
per conferire privatamente con Berlusconi. La domenica successiva Obama
telefonò a Berlusconi. Il giorno dopo, anche l’Italia diede il via ai
bombardamenti. Questo significa avere sovranità limitata. Sovranità che oggi è
proprio azzerata.
Bisogna riflettere sulle alleanze. La Francia e la Gran
Bretagna, in Libia, hanno fatto i loro interessi. Parigi ha scelto di tenere la
propria flotta fuori dal controllo della NATO, perché alla testa di
quest’ultima c’era un ammiraglio italiano. Il mondo è cambiato, bisogna
riconoscerlo e guardare al nostro interesse nazionale. Oggi ci sono paesi
pronti a tutto per un contratto petrolifero. Quando Sarkozy decise d’attaccare
la Libia, gli aerei francesi sorvolarono l’Italia senza nemmeno chiederci il
permesso. Questi sono competitori, non alleati.
Lei è un “euro-scettico”, vero?
L’Europa non c’è mai stata. Sono vent’anni che seguo guerre
sul campo, e l’Europa non l’ho mai vista, se non nelle chiacchiere e nei
regolamenti astrusi. Persino nei Balcani l’Europa si è dimostrata incapace, ed
ha dovuto far intervenire la NATO. Non c’è un sentimento europeo. E l’Europa
non è democratica: nessuno l’ha votata. Gli unici due referendum costituzionali
li ha persi, per poi scavalcarli tramite il voto dei parlamenti. La verità è
che oggi qualcuno sta riuscendo là dove non era riuscito Napoleone coi
granatieri e Hitler coi panzer. Germania e Francia, con lo spread,
stanno creando un impero.
Berlino e Parigi riusciranno a mantenere
congiuntamente questo “impero”? O alla fine si scontreranno per il potere?
Oggi vi sono due assi in Europa. Il primo è quello
franco-britannico sulla Difesa: lanciano progetti che poi si rifiutano di
condividere col resto dell’UE. Il secondo è il direttorio economico
franco-tedesco. Ma mentre gli USA prima realizzarono l’unione degli Stati
tramite la guerra d’indipendenza e poi costruirono le istituzioni federali, noi
europei prima abbiamo creato le istituzioni e la moneta unica, e poi stiamo
pensando a costituire l’unione politica.
Certo però che bisogna porsi il problema dell’alternativa
all’Unione Europea. In questo mondo che viaggia verso il multipolarismo, in cui
la tendenza evidente è all’integrazione regionale, come potrebbe l’Italia, da
sola, sperare di conservare la sua sovranità, dovendo competere con grandi
potenze semi-continentali o con possenti costruzioni integrate?
Io voglio mantenere l’UE, perché ha alcune cose positive,
come il libero scambio interno. Ma la Turchia, fuori dall’UE, sta costruendo un
suo “impero”, grazie ad una classe politica che ha il coraggio di muoversi su
scala regionale in maniera vincente.
Ma lei, da esperto militare, saprà bene che non si
possono guardare solo le cifre. Certo, come PIL nominale l’Italia è anche più
forte della Turchia. Ma la Turchia ha una coesione morale, una vitalità popolare,
un entusiasmo che mancano all’Italia, un paese declinante sotto molti punti di
vista. Ecco perché ci servirebbe un’alternativa all’UE, se non vogliamo più
restarvi o se dovesse crollare nostro malgrado. Dove trovarla? Forse proprio in
un asse mediterraneo con la Turchia, per gestire ed arrangiare congiuntamente
il nuovo volto del nostro mare?
Non è necessario uscire dall’Europa ma mettere in
discussione questo tipo d’Europa, puntando senza compromessi a garantire i
nostri interessi nazionali specie nell’area mediterranea. Non possiamo
diventare un lander sgangherato della Germania, o un “territorio d’Oltremare”
francese. Ci manca purtroppo una classe politica capace di decisioni forti.
Fonte: srs di Gianandrea Gaiani, da
ariannaeditrice del 13 gennaio 2012
Fonte: Rinascita del
24 aprile 2012
Fonte: Geopolitica
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