«In Europa occidentale il culto primaverile di Giorgio ha
trovato espressione in cerimonie che la Chiesa ha fin da subito “istituzionalizzato”,
controllandole e facendole rientrare nella più rassicurante normalità rituale
cristiana: le Rogazioni.
Si tratta di processioni che hanno (o, meglio, avevano)
luogo nei giorni compresi fra quelli dedicati sul Calendario ai santi Teodoro (22 aprile), Giorgio (23), “Giorgino” (o “Giorgetto”, 24 aprile, antica datazione lombarda del
giorno di Giorgio) e Marco (25
aprile).
Esse percorrevano il territorio per benedire i campi con
modalità che palesano la loro evidente origine di riti pagani finalizzati a
sollecitare il ritorno della primavera. Già Gregorio Magno, nel VI secolo,
aveva scritto che si trattava di istituzioni tradizionali, sicuramente già
entrate nell’uso corrente il secolo precedente nella diocesi occitana di
Vienne. In Anjou statue di San Giorgio venivano portate in processione per
assicurare un buon raccolto.
Sembra avessero preso il nome da una antica festa,
i Robigalia, che si
tenevano – come ha riferito Plinio il Vecchio – il trentunesimo giorno dopo
l’equinozio di primavera, per quattro giorni fino al 28 di aprile.
Anche in Padania questa consuetudine, ormai praticamente
scomparsa, è stata per secoli estremamente diffusa e sentita soprattutto
all’interno di una società contadina profondamente legata ai ritmi e ai simboli
della terra. Soprattutto in nell’Occitania alpina e in Padania occidentale le
processioni rogazionali erano significativamente accompagnate dal simulacro di
un drago, che precedeva la croce in segno di sottomissione.
In area insubre, l’insegna – detta Üslasc – era di metallo e aveva una precisa funzione
simbolica nei tre giorni in cui si sviluppavano le processioni rogazionali:
“Il primo giorno se ne andava baldanzoso, a capo della
processione, con la coda dritta e la bocca piena di fiori. (..) Il
secondo giorno era collocato a metà della processione, ed aveva un aspetto meno
fiero procedendo con la coda allineata al corpo adorno di pochi fiori. L’ultimo
giorno, quello del trionfo di Cristo sulle forze del male, il drago chiudeva il
corteo con la coda a penzoloni, l’aspetto mogio e la bocca aperta priva di
fiori”.
La processione rogazionale si presentava così come una
sorta di rivisitazione del combattimento di Giorgio col drago.
In definitiva, il legame di Giorgio con i riti di primavera
scaturisce da una straordinaria serie di coincidenze che vanno dall’omonimia
del Santo con una divinità “specializzata” nei paesi slavi, al suo significato
in lingua greca, dalla coincidenza delle date delle celebrazioni pre-cristiane
fino al fondamentale simbolismo dell’uccisione del drago, inteso come
rappresentazione non solo del male, ma anche delle forze ctonie della natura e
dell’inverno.
C’è chi ha addirittura ipotizzato che a un certo punto la
Chiesa abbia fatto grande ricorso alla figura di Giorgio e al rituale delle
rogazioni, cristianizzandoli, proprio e soprattutto per controllare ed
esorcizzare rituali pagani che non riusciva a sopprimere.
Da tutto quanto finora considerato, risulta infatti del
tutto evidente che San Giorgio altro non sia che la trasposizione cristiana di
una importante divinità pagana simbolizzante il controllo delle forze della
natura, della fertilità, della forza vitalizzante della primavera e della
ciclicità dell’eterno scontro con il drago-inverno. Questo potrebbe spiegare
l’interesse verso la figura di Giorgio dimostrato – ad esempio – dai Templari,
sempre molto attenti al recupero dei simboli più radicati e antichi. E spiega
anche il feroce astio sempre dimostrato verso il culto di Giorgio da parte dei
protestanti e l’accantonamento che ne ha tentato la Chiesa conciliare».
PS. Per i significati simbolici e storici delle Rogazioni,
si veda: Il Santo uccisor del drago. San Giorgio, patrono della libertà.
Rimini: Il Cerchio, 2009, da cui è tratto lo stralcio che segue (pagg. 74 e 75)
Fonte: srs di Gilberto Oneto da L’indipendeza de lubedì23 aprile 2012
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