Marco Della Luna
Notiamo evidenti convergenze tra le strategie recessive del
governo Monti e la strategia autolesionistica di certe banche e industrie. I
due fenomeni si illuminano a vicenda.
A marzo 2012 nel silenzio dei mass media divampava il caso Viola-BPER-MPS. Fabrizio Viola passa da
AD di Biper (Banca Popolare dell’Emilia Romagna) a direttore generale di MPS,
proprio mentre si rinegoziava il contratto collettivo aziendale di quest’ultimo
(31.000 dipendenti).
Nel bollettino BPER Futura (Dicembre 2011) dell’omonima
associazione di azionisti BPER, si leggono dati molto rilevanti. Nei 3 anni
della direzione Viola, BPER ha perso quasi 2/3 della capitalizzazione, il 40%
dell’utile netto, il 300% circa del suo saldo interbancario (andando a – 4,3
miliardi), diversi gradi di rating, e ciononostante gli ha rinnovato l’incarico
e pagato compensi per € 5.312.667. E’
inoltre esposta verso i propri massimi dirigenti per 431.000.000 – cioè questi
hanno usato la banca per prestare a se stessi quella somma, in palese conflitto
di interessi. Inoltre hanno messo su poltrone della banca loro familiari ed
amici.
Viola subentra ad Antonio
Vigni quale A.D. nella direzione di MPS, il quale, durante la direzione
Vigni, è caduto in gravi difficoltà anche di liquidità, soprattutto perché ha
speso 9 miliardi per comperare la Banca Antonveneta che ne valeva 2 (quindi
qualcuno ha lucrato 7), perché era piena di sofferenze (6 volte la media di
MPS) dovute alla prassi diffusa e accettata di concessioni allegre di crediti a
soggetti inidonei, e al quasi assente controllo della qualità del credito.
Vigni rimane al MPS come consulente, esterno?
Nessuno dei responsabili e dei beneficiari di questi
disastri viene chiamato a render conto e a risarcire, anzi vengono rotati tra
loro e la carriera continua. Cosa che difficilmente si può spiegare se non
rifacendosi a un disegno a livello di poteri sovrastanti, che dà direttive e
copertura per questo tipo di gestione.
BPER Futura denuncia quanto sopra e denuncia che “i consigli
di amministrazione, un tempo composti da uomini di grande valore che vedevano
l’incarico come un servizio a termine, si sono riempiti di Amministratori a
vita, che considerano la carica un mestiere”. Reclama che i dirigenti siano
pagati in base al risultato ed entro limiti di decenza, che abbiano incarichi a
termine, che non possano usare la banca per dare soldi a se stessi e poltrone
ai parenti. Cita il caso dell’amministratore Vittorio Fini, che ha subito due
ipoteche giudiziarie di un pool di banche sue creditrici per 68,5 milioni di
Euro, e tra queste banche vi è anche quella di cui è amministratore, la BPER!
E per quale motivo, per quale logica o merito
imprenditoriale il CDA rinnovava l’incarico a Viola, nonostante i pessimi
risultati, e gli ha anzi dato un maggior compenso, in parte determinato a
discrezione? Mi chiedo io: lo ha fatto perché i risultati non interessano, o
perché interessa che siano così, perché ha fatto esattamente ciò che gli si
richiedeva? E, con questi presupposti, per quali interessi MPS viene affidato a
un Viola, per quale logica programmatica?
Anche nella Fiat,
massima industria nazionale, si notano decisi tratti di strategia “riduttiva”:
Marchionne non la sta rilanciando tecnologicamente e commercialmente, non sta
investendo i 20 miliardi promessi per ottenere le firme sindacali al nuovo
contratto – sta considerando di chiudere un paio di stabilimenti in Italia.
Vi è chi arguisce un piano per liquidare, mandandole a gambe
all’aria, le grandi banche italiane e sostituirle con un sistema bancario,
probabilmente, germanico, emanato da BCE e MES.
E c’è un’analogia, un parallelismo tra un simile progetto e
un progetto di mandare all’aria gli stessi paesi
eurodeboli attraverso politiche di risanamento e sviluppo
programmaticamente errate e fallimentari, per poi governarli direttamente via
MES?
Anche Corrado Passera, prima di esser fatto ministro dello
sviluppo, aveva diretto una grande banca, Intesa San Paolo, con risultati non
buoni. E così il nuovo presidente di MPS, Alessandro Profumo, indagato per
frode fiscale, non è che abbia lasciato Unicredit in condizioni rigogliose. La
sua controllata Fineco Leasing ha addirittura qualche pignoramento e sequestro
conservativo – vedi Cerved.
E’ un fatto, che l’intero paese, tragicamente privo anche di
significativi progetti infrastrutturali, appare in via di svuotamento, di
raschiatura del fondo, di gestione terminale, ad esaurimento, non di
preservazione e tantomeno di rilancio.
Come si può parlare di ripresa economica mentre si tagliano
i redditi, si aumentano le tasse e le tariffe, e si procurano soldi alle banche
all’1,7% non affinché finanzino la “ripresa” ma affinché speculino comperando
btp che rendono il 6-5%?
Dove va un paese che offre lavori instabili da 700 Euro al
mese, e pensioni da 400, con un pari costo della vita rispetto a paesi dove
stipendi e pensioni e servizi sono molto migliori e le tasse inferiori?
Che senso ha vivere in esso, per un lavoratore, anziché
emigrare?
Credo che il disegno franco-tedesco di cui parla Galloni nel
recentissimo saggio Chi ha tradito
l’economia italiana? (ama pure in altri scritti) sia di eliminare,
attraverso la demolizione del reddito, dell’autonomia nazionale e della
capacità manageriale, tutte le strutture socioeconomiche e politiche autoctone,
e insieme indurre ad emigrare gli imprenditori più attivi, a chiudere quelli
meno forti (soprattutto la sacca di resistenza dura a morire delle piccole e
medie imprese del Nord-Est), per poter poi plasmare, su un terreno spianato e
sgomberato, incapace di opporsi, un’Italia diversa, a loro convenienza, facendone un bacino di mano d’opera a basso
costo, vicino e direttamente controllato, che funga anche da mercato di
sfogo per loro produzioni non meglio vendibili.
Questa ipotesi di drastico abbattimento economico spiega le
scelte demolitive per l’Italia da parte di Merkel, Monti, Marchionne, Viola,
Vigni e altri.
Tutto quadra, tutto ha una sua coerenza. Anche l’elevare la
pressione fiscale a livelli tali che gli investimenti non possono ripartire.
Anche il porre sui carburanti accise tanto alte, che il conseguente crollo dei
consumi determina una calo del gettito di accise sui carburanti, oltre a un
generale rincaro dei prezzi e abbassamento della domanda, dovuti ai maggiori
costi per trasporto, e che abbatte ulteriormente il gettito fiscale. La leva
fiscale è usata per indurre imprese, capitali e cittadini capaci ad emigrare, a
lasciar libero il territorio.
Conosco consulenti che fanno proprio questo servizio alle
aziende, aiutandole a restare legalmente operative in Italia, ma con sede,
redditi e capitali esterizzati.
Questo è il Salva-Italia di Monti: un Accoppa-Italia, o una
Acchiappa-Italia. Precipitare il paese nella spirale dell’avvitamento fiscale
facilità chi ne deve prendere il controllo da fuori.
E la supertassa per le supercars? I rivenditori italiani di
Ferrari, Lamborghini e Maserati hanno avuto un crollo delle vendite, mentre i
governi tedesco, francese e ungherese hanno introdotto norme che consentono di
immatricolare tali automobili nei loro paesi risparmiando il 50% sul bollo e
sull’assicurazione. Quindi il ricco italiano va là per comperarsi la supercar,
e porta là il soldi del prezzo, del bollo e della polizza. E i rivenditori
italiani si associano a partners stranieri per eludere il superbollo,
trasferendo capitali e vetture all’estero. La Lamborghini se l’è già presa la
Audi e ora fa concorrenza dura alla Ferrari, mentre la Maserati e la Ducati
sono in procinto di essere rilevate da altri tedeschi. Vielen Dank, du lieber
Mario!
Analoga la storia della supertassa sugli ormeggi dei
natanti: i natanti e i loro utenti se ne vanno all’estero e ormeggiano in
marine straniere e pagano là, con danno per le marine e il turismo italiano.
Difficile credere che misure così anti-italiane non siano fatte allo scopo di
far emigrare chi può emigrare. Adesso stanno sistemando l’industria italiana
media e grande, e schiacciando la piccola; poi manderanno in crisi le banche
italiane (via EBA e BCE) per metterle sotto controllo di altro capitale
straniero.
Però io credo che questo sia un bene (e non sto scherzando,
lo farei anch’io!), perché il sistema Italia è tanto guasto e inemendabile,
tanto asfittico e distruttivo, che spingere le imprese e le persone capaci e
creative a trasferirsi in altri paesi sia veramente il modo migliore di fare il
loro interesse. Un atto di amore. Inconfessabile, ma di amore. Esodo è bello.
Resteranno, a
contendersi il poco reddito e il poco welfare rimasti, le persone aventi scarso
valore di mercato: i pigri, i vecchi, gli umanisti, i soggetti privi di utile
formazione professionale. E naturalmente terranno loro compagnia i renditieri e
i turisti di lusso che si godono il Belpaese come sempre, anzi più che mai.
Del resto, quando una società viene messa in forte e aperta
interazione con società più grandi, più forti, più avanzate, più efficienti –
come succede all’Italia nel contesto dell’Unione Europa – la storia mostra che quella
società tende a dissolversi. Così come quando una società debole e
“vecchia” viene esposta e compenetrata da popoli molto più prolifici e
aggressivi. E anche questo è il caso dell’Italia.
Considerando ciò che Galloni dimostra nel suo ultimo saggio
sul tradimento dell’economia italiana anche da parte di falsi alleati, non
pochi sospettano che il piano sia appunto mandare all’aria il sistema paese per
poi proporsi come salvatori.
Monti sarebbe il commissario ad acta per l’esecuzione finale
del piano franco-tedesco di abbattimento dell’economia produttiva italiana, di
cui parla Galloni, e al quale le piccole imprese italiane, soprattutto,
riescono ancora a opporsi.
Se, nel corso degli anni, a opportuni intervalli, tolgo a
una nazione la sua moneta, la sovranità del suo debito pubblico, l’autonomia di
bilancio e fisco, la politica economica, le prospettive di lavoro, la
possibilità di sviluppo, il diritto di fare una programmazione economica, poi
le saboto il sistema creditizio e la precipito in recessione, costringendola a
prendere con le tasse la ricchezza dei cittadini e svendere il suoi patrimonio
pubblico per pagare gli interessi sul debito, dopo non mi rimane che presentarmi
ad essa dietro la maschera “Europa”, con un sacchetto di spiccioli in mano, e
dettarle le mia volontà. Sono padrone della piazza. La dittatura moderna è bell’e fatta, nel rispetto della legalità
democratica, nonché accettata per bisogno.
Ma ritorniamo ai nostri bancari alle prese con i banchieri.
I dipendenti di MPS, dal canto loro, sono allarmati dall’arrivo del Viola, che,
non appena arrivato, parlando coi giornalisti prima che coi sindacati, annuncia
un radicale peggioramento del contratto aziendale: la nuova direzione scarica
su di loro 66 milioni di danni prodotti da cattiva gestione ai vertici.
Ma i montepaschini hanno reagito con un’inedita
dimostrazione di protesta il 16 Marzo in migliaia davanti alla sede di MPS,
dove garrivano al vento quasi primaverile striscioni in cui si esprimeva il
concetto “Amministratori superpagati, la colpa è vostra, pagate voi, basta
sprechi, basta autoregali, non tirate in ballo la crisi, non scaricate su di
noi.”
Concetto che ritorna nei blog sindacali. Ma questi
dipendenti dovrebbero capire e tener presente che sono alle prese non con
scelte scorrette di persone specifiche, bensì con una deriva generale del
management verso questo tipo di gestione in quanto questo tipo di gestione è
quello che arricchisce più e prima il management in un sistema in cui
l’economia è finanziarizzata – come meglio si comprenderà proseguendo nella
lettura..
Rispetto al passato, nelle aziende, soprattutto in quelle
grandi, e in particolare anche nelle grandi banche, si sta scegliendo di avere
un personale low cost, poco istruito e poco formato (per evitare che sia capace
di criticare, oltre che per risparmiare su formazione e salari) e
sostanzialmente precario (per poterlo ricattare e per potersi liberare di quei
dipendenti che non rendono o non rendono più).
Sovente i nuovi assunti percepiscono salari intorno ai 700
Euro mensili, e si tende al ribasso. Tale livello retributivo trova
accettazione perché scarseggiano le alternative e perché abbondano i giovani
che tanto rimangono in casa coi genitori e si accontentano di una paghetta per
i loro divertimenti o vizietti comuni nelle nuove generazioni.
Per gestire questo personale, di bassa capacità, si diffonde
l’uso delle procedure standardizzate e rigide (protocolli operativi) e si
accentrano i processi decisionali, i controlli, mediante il crescente ricorso a
strumenti cibernetici, togliendo autonomia anche ai quadri direttivi. Si tende
a omogeneizzare il personale per renderlo più prevedibile, quindi meglio
gestibile. Si introduce nei contratti il principio della fungibilità, ossia che
l’azienda possa cambiare e abbassare le mansioni di ciascun dipendente, anche
dei quadri direttivi, a sua discrezione – cioè si legittima il demansionamento.
Con questo e col nuovo art. 18, il datore di lavoro dispone così di strumenti
potentissimi, in grado di costringere il dipendente alla totale supinità.
Nelle grandi aziende che tradizionalmente coltivavano un
principio di solidarietà, fiduciarietà e riguardo umano verso i dipendenti,
anche per costruire una lealtà, una fidelizzazione del personale, da
valorizzare nel tempo, questo principio viene abbandonato in favore di un
rapporto strettamente utilitario e di sfruttamento in cicli sempre più brevi. La resistenza contro la riforma del lavoro
del governo Monti è, alla luce di quanto sopra, una battaglia di retroguardia, se non una formalità ipocrita di chi
doveva intervenire molto, molto prima. Ora
i buoi sono già scappati.
Ma tutto questo “destino” era già interamente racchiuso
nella scelta di aprirsi alla concorrenza con paesi dove i lavoratori costano
poche decine o centinaia di dollari al mese, non hanno tutele sindacali,
previdenziali, igieniche, antiinfortunistiche. E quella scelta è stata fatta
negli anni ‘90 in ambito GATT-WTO con una decisione imposta unilateralmente
dalla grande finanza americana e passivamente accettata da parlamenti e governi
senza alcun coinvolgimento dei popoli, e senza nemmeno avvisarli che stavano
per diventare anch’essi fungibili, cioè intercambiabili nei ruoli, e
“licenziabili” – cioè abbandonabili dai capitali prodotti da loro stesso
lavoro, perché oramai questi capitali – tutti i capitali – erano divenuti
apolidi, footlose. E tutte le persone erano perciò stesso divenute mere
componenti del processo moltiplicativo di quel capitale. Proprio perché sin da
allora gli attuali sviluppi, con le loro ricadute sui lavoratori e sui
cittadini, erano prevedibili, oggi non
sono credibili i partiti che si stracciano le vesti per l’articolo 18 e la
cassa integrazione e i contratti flessibili, mentre allora stavano zitti zitti
per non disturbare il manovratore, quando non elogiavano la sua liberale
saggezza globalizzatrice.
Dovevano intervenire allora, mobilitare i lavoratori,
combattere affinché ciò non avvenisse, arginare la Cina quando era ancora
possibile, e intanto spiegare ai lavoratori e agli imprenditori occidentali che
l’unico modo per restare competitivi e mantenere il tenor di vita e i diritti cui
si erano abituati, era di impegnarsi anima e corpo nel progredire
scientificamente, tecnologicamente e organizzativamente, eliminando ogni forma
di parassitismo e di consenso elettorale basato sul parassitismo.
Fonte: srs di Marco Della Luna da Stampalibera del 19 aprile
2012
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