lunedì 28 dicembre 2015

STORIA VENETA – 135: 1698 - DOPO GLI ONORI RIPRENDONO LE BATTAGLIE. VITTORIA A METELLINO!



Dal testo di Francesco Zanotto


''Non è a dire qual nuovo e sanguinoso combattimento si ridestasse giacche' prossimi i barbari a montare sulla puppa, facean cadere i marinai ed i soldati che resistevano. Nulla però valse loro per conseguirla; imperocchè animati tutti dall'intrepido valore del Cornaro, col fuoco incessante dei bronzi e dei fucili non poterono vincerla, e si  chè gloriosamente uscita da quella orrida mischia, potè collo aiuto del Cielo e per l'indomito animo de' suoi difenditori, giungere ed unirsi alla flotta ormai per lungo tratto da essa divisa".


ANNO 1698


Giuseppe Gatteri


Cosa ci racconta il disegno di Gatteri.


Dopo la morte di Francesco Morosini, Venezia prosegue nello scontro contro i turchi nell'Egeo.  A procurare una straordinaria vittoria alla Serenissima il nuovo comandante Jacopo Cornaro ...


LA SCHEDA STORICA  - 135


 La situazione per le navi veneziane di stanza nell'Egeo, si era dunque sensibilmente aggravata tanto da dover richiedere ancora una volta la presenza dell'ormai malato ed anziano Morosini. Questi nel 1690 aveva lasciato il comando della sua flotta a Girolamo Cornaro, che pur avendo conquistato la fortezza di Malvasia, mori poco dopo, a Valona, di malattia.
Il suo successore, Domenico Mocenigo, si rivelò ben presto un incapace e nel 1692 abbandonò l'impresa di conquista della Canea.
I turchi intanto, approfittando della pausa invernale (92-93), avevano rinforzato le difese proprio di quella regione intuendo le intenzioni dei veneziani. Non solo. Anche a Negroponte e a Corinto gli ottomani si erano ulteriormente organizzati mentre anche dei forti venti contrari persuasero il Morosini a non intraprendere alcuna azione.
I mesi intanto trascorrevano vuoti e nell'immobilismo più totale, quasi un triste preludio all'imminente fine dello stesso comandante veneziano.
Per l'inverno del 1693 i veneziani ripararono a Nupulia dove, dopo un mese di sofferenze causate da calcolosi biliare, il vecchio doge infatti si spegneva il giorno dell'Epifania del 1694.
Con lui sembrò spegnersi anche l'ultima speranza per Venezia di concludere dignitosamente la campagna nel Peloponneso che aveva avuto proprio nel Morosini il suo principale e più valoroso protagonista.
Moriva da comandante, Morosini, nelle zone che lo avevano visto solo pochi anni prima trionfatore ed ora invece spegnersi nel silenzio delle armi.  
Venezia perdeva così uno dei suoi ultimi eroi, sicuramente il suo ultimo doge-guerriero.
La Serenissima infatti, non perdeva allora solo il suo comandante generale, ma anche il proprio doge, cariche che Francesco Morosini infatti aveva praticamente riunito nella sua persona.
Per ovviare quindi al ripetersi di questo inconveniente - erano in molti fra l'altro a vederne una pericolosa concentrazione di potere -, si pensò bene d'ora in poi di tenere accuratamente separate le due cariche.
E così, se il nuovo doge di Venezia fu Silvestro Valier, il comando della flotta venne invece conferito ad Antonio Zen che imbarcatosi nell'estate del 1694 approdò all'isola di Scio i primi giorni di settembre.
Attese a lungo tuttavia il nuovo comandante prima di scontrarsi con i turchi, scontro che ebbe inizio infatti solo il 9 febbraio dell'anno successivo, il 1695.
Fu una battaglia durissima che contò solo nella sua prima fase 465 morti tra le fila dei veneziani una battaglia incerta fino alla fine nel suo esito, quando, il 19 febbraio i capitani veneti decisero di abbandonare ai turchi l'isola conquistata neppure sei mesi prima.
L'inettitudine e la codardia del comandante Antonio Zen, vennero severamente punite dal Senato della Repubblica. Tradotto in ceppi a Venezia, lo Zen morirà  infatti in prigione nel 1697.
Morto un comandante, se ne fece un altro. Ad Alessandro Molin spettò l'arduo compito di ridare fiducia ai veneziani e possibilmente altre vittorie.
L'abilità del nuovo comandante rispose in parte a queste aspettative sbaragliando una flotta nemica al  largo di Scio e respingendo poco dopo un tentativo di sbarco nell'Argolide da parte dei turchi che vennero nuovamente sconfitti nel settembre del 1698.
Venezia riacquistava così, grazie alle nuove vittorie, il parziale controllo dell'Egeo.
In quel medesimo anno però, per il Molin scadevano i tre anni previsti per la carica di comandante, carica che veniva assunta ora da Jacopo Cornaro.
Questi riunì subito un consiglio generale di guerra per stabilire le future strategie. Il cavaliere Dolfin prendeva così il comando delle navi che condusse fino all'isola di Lemno mentre anche i turchi iniziavano a loro volta a muoversi nuovamente uscendo con una flotta, comandata da Capitan Bassà, detto Mezzomorto, dal porto di Istanbul.
Nel frattempo si ricongiungevano alle navi del Dolfin quelle del comandante generale Cornaro, pronte a dar battaglia alla flotta nemica che sembrava più temporeggiare che cercare lo scontro con le navi venete numericamente molto superiori.
Tanto indietreggiò la flotta turca da arrivare in prossimità dello stretto dei Dardanelli dove per le secche, la capitana di Tunisi si ritrovò irrimediabilmente incagliata e quindi persa.
Trascorse comunque ancora un mese durante il quale le due flotte, pur non perdendosi mai di vista, evitarono lo scontro.
Solo il 21 settembre del 1698 le navi veneziane presero finalmente l'iniziativa stringendo quelle turche nelle acque presso Metellino dove scoppiò presto una furibonda battaglia.
Tuttavia a mettere in difficoltà le navi veneziane, non furono solo le navi nemiche, ma incredibilmente anche una nave veneta, quella comandata da Marc'Antonio Diedo che incocciando di poppa con quella del Dolfin nella mischia della battaglia, si ritrovò sospinta dall'urto nel bel mezzo del fuoco nemico, in uno scontro che si protrasse per circa due ore.
Fortunatamente arrivarono i primi soccorsi, con la nave comandata da Fabio Bonvicini.
Non andavano meglio nel frattempo, le sorti per la nave ammiraglia comandata dal Cornaro che quasi subito dopo l'inizio della battaglia, era stata gravemente danneggiata in più punti, tanto da dover iniziare le manovre di ritiro.
I turchi accortisi delle disastrate condizioni della nave veneziana, malgrado fosse ormai imminente la sera, decisero di attaccarla a suon di cannonate.
Si scatenò così un'ultima, cruenta battaglia, che vide trionfare alla fine il valore ed il coraggio degli equipaggi veneziani che riuscirono, seppur malconci, ad imboccare la rotta del ritorno riagganciando il resto della flotta ormai già a debita distanza.
Ma altre questioni in quel momento stavano surriscaldando l'orizzonte politico in Europa, questioni dinastiche relative al trono spagnolo al quale aspiravano contemporaneamente due alleati della Lega cristiana: l'imperatore ed il re di Francia, Luigi XIV.
Una profonda crepa si stava aprendo così nel fronte anti-turco mentre anche Venezia, dopo molti anni di rinnovato impegno militare, anelava ad una pace duratura.


Fonte: srs di Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA,  volume  5,  SCRIPTA EDIZIONI



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