Dal testo di Francesco Zanotto
"Difatti la sera
de' 5 ottobre 1607, mentre in sul declinare del giorno unitamente al laico fra
Marino ed al vecchio gentiluomo Alessandro Malipiero, avviavasi al suo
monastero, e già n'era vicino, venne assalito da cinque persone, le quali
improvvisamente lo strinsero da ogni lato; e coll' esplosione d'un arma da
fuoco intimorirono da prima li due che lo accompagnavano, poi avventaronsi
contro di lui armati di stili e colpirono di due stilettate nel collo e di una
terza nel volto, la quale ultima entrava
nella destra orecchia ... "
ANNO 1697
Giuseppe Gatteri
Cosa ci racconta il disegno di Gatteri.
Nello storico
scontro tra la Serenissima ed il papato agli inizi del XVI secolo, fra Paolo
Sarpi diventa il paladino delle libertà della repubblica veneta rischiando per
questo anche la vita ...
LA SCHEDA STORICA - 111
Con la fine del XVI secolo, arrivarono per Venezia nuovi ed
imprevisti problemi. Non erano i turchi questa volta, ma paradossalmente il
papa a creare dei seri "grattacapi" al governo ducale. Venezia del
resto non si era mai distinta neppure in passato per una politica fortemente o
indiscutibilmente filopapale e i momenti di tensione non erano infatti mai
mancati.
Già in un paio di circostanze sulla città era piombata come
un fulmine la scomunica o l'interdetto pontifici. A scontrarsi erano due
opposte concezioni politiche, più che religiose, dal momento che a Venezia mai
l'aspetto religioso si era veramente distinto nella sua gestione da quello
politico. Le due sfere d'azione, pur formalmente distinte, in realtà
rispondevano ad un unico, comune scopo: il bene e la sicurezza della
Serenissima prima di tutto ed innanzitutto.
La vocazione mercantile della città, poi, radice prima della
sua potenza e della sua grandezza, ne aveva fatto da sempre una città
fortemente aperta e cosmopolita, tollerante anche e necessariamente in campo
religioso. Turchi, ebrei, cattolici, convivevano tranquillamente in nome di un
comune interesse: l'attività commerciale.
Questa libertà, tuttavia, iniziava, con le mutate condizioni
storiche sul finire del secolo, a suscitare le violente reazioni del pontefice.
Il clima della Controriforma si stava facendo pesante e apertamente
intollerante in ogni campo, da quello culturale, morale e politico, ovviamente.
Il terrore di soccombere di fronte al dilagare della religione protestante,
trasformò ben presto le direttive del Concilio di Trento in una vera e propria
crociata contro i nuovi eretici.
A Venezia, invece, si pubblicavano e si importavano libri di
preghiere protestanti, si tenevano, seppur solo in cappelle private, funzioni
anglicane e si pubblicavano i libri che altrove erano stati invece messi
all'indice dalla Santa Sede come libri proibiti.
Non solo. I laici, per di più, non potevano vendere beni
immobili a degli ecclesiastici o a una chiesa.
La Santa Sede non poteva più sopportare questi fatti che le
sembravano dei veri e propri affronti da parte di un governo che si era sempre
dimostrato incurante dei ripetuti richiami del precedente pontefice.
Con il nuovo secolo e con il nuovo pontefice, Paolo V,
tuttavia le cose precipitarono e la crisi scoppiò violenta nel 1605. Non solo
Venezia non aveva mandato a Roma il nuovo patriarca, Francesco Vendramin, affinché
venisse confermato nella nomina dal papa, ma teneva in carcere due preti
accusati di una serie di reati tra i quali la frode, l'omicidio e un mal
riuscito tentativo di seduzione. Alla notizia il papa, già spazientito, reagì
furiosamente. Quelli erano due ecclesiastici e come tali soggetti a un solo
tribunale, quello ecclesiastico.
Di ben altro parere, ovviamente, il governo veneziano: i due
erano anche, e prima di tutto, cittadini veneziani e come tali dovevano essere
giudicati dalle autorità civili competenti.
Fioccarono così le prime minacce d'interdetto che si
concretizzarono nella primavera del 1606.
Il 6 maggio, il doge Leonardo Donà rispondeva all'atto di
scomunica e d'interdetto del papa con un decreto ducale nel quale veniva
richiamato all'ordine tutto il clero veneziano invitato a proseguire
regolarmente nelle sue abituali funzioni e riconoscendo quale unica superiore
autorità solo la ''Divina Maestà".
La Chiesa sbagliava poichè si rifiutava di riconoscere ed
accettare i legittimi e sacrosanti diritti della repubblica e pregava Dio,
infine, affinché il papa riconoscesse il suo errore.
In questa durissima ed energica riaffermazione della propria
legittimità, ed in fondo della propria storia, il governo ducale si avvalse di
una delle più vive e lucide intelligenze dell'epoca: lo storico veneziano frà
Paolo Sarpi, dell'Ordine dei Servi di Maria.
Il 28 gennaio del 1606, alle prime minacce papali
d'interdetto, Sarpi era stato nominato "consultore in iure" del
governo ducale che si avvalse della sua straordinaria preparazione
teologico-giuridica per controbattere riga su riga alle ragioni accampate da
Paolo V. La sua oratoria, la sua straordinaria lucidità di giurista-teologo
furono le efficientissime armi usate dal governo veneziano in quel
delicatissimo frangente. Con le parole, anche i fatti.
Su suggerimento del Sarpi, infatti, vennero cacciati da
tutto il territorio della repubblica i Gesuiti, la longa manus della Santa
Sede, ma anche i Teatini e i Cappuccini mentre veniva licenziato anche il
Nunzio Apostolico.
Frà Sarpi in quei
frenetici mesi predicava, scriveva e polemizzava, tutto ciò nel generoso
tentativo di rendere chiara la distinzione fra questioni celesti e questioni
temporali appoggiando ovviamente la posizione del governo veneziano.
Tutto questo gli procurò ben presto una citazione davanti al
Tribunale dell'Inquisizione. Coerentemente e ovviamente Sarpi non si presentò,
ignorando in pieno la convocazione.
Era guerra aperta, una "guerra" che si sarebbe
conclusa solo un anno dopo con la mediazione della Francia, ma con una vittoria
morale e politica di Venezia che non aveva minimamente ceduto.
Nell'aprile del 1607 Paolo V fu costretto a revocare
l'interdetto sulla città. Fu anche l'ultimo nella storia della Chiesa.
Intanto frà Sarpi continuava nel suo incarico di consulente
giuridico del governo ducale, incurante delle voci che la sua vita fosse in
serio pericolo. Non erano solo voci.
Il 25 ottobre del 1607 sulla via del ritorno in monastero da
Palazzo Ducale, mentre scendeva gli scalini del ponte di S. Fosca, venne
infatti circondato da almeno cinque sconosciuti e colpito da questi con tre
pugnalate al volto e al collo. Una delle pugnalate aveva colpito l'orecchio
destro e si era conficcata nello zigomo tanto da far credere ai suoi aggressori
che fosse morto.
Miracolosamente, invece, Sarpi riuscì a sopravvivere e
quando gli mostrarono il pugnale con il quale era stato ferito, disse
toccandone la punta: "Conosco lo
stile - i modi - della Chiesa Romana". Contro gli aggressori che nel frattempo
avevano trovato rifugio e protezione a Roma, non a caso certamente, niente
venne fatto.
Il governo veneziano
invece offrì a Paolo Sarpi una casa in Piazza S. Marco in modo da evitare di
percorrere troppa strada da solo, ma con la massima umiltà e ringraziando, il
Sarpi preferì restarsene nella pace del suo convento.
Fonte: srs di
Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura
Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA,
volume 4, SCRIPTA EDIZIONI
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