Dal testo di Francesco Zanotto
"Nell'alto adunque della notte 5
settembre dell'anno 978, partirono da Rialto sur un piccolo legno, travestiti
in modo da non essere da alcun conosciuti ed approdarono al borgo di S. Ilario
presso a Fusina. lvi stavano già preparati sei cavalli; e montato in sella
ciascuno al suo, attraversarono le provincie Lombarde e le Piemontesi,
valicarono le Alpi, e in brevi dì giunsero nel Rossiglione e finalmente a
Cussano; ove l'Orseolo, il Morosini e il Gradenigo assunsero le desiderate lane
monastiche ... "
ANNO 978
Giuseppe Gatteri
Cosa ci racconta il disegno di Gatteri
Da sempre
fortemente religioso, eletto dal popolo alla somma carica proprio per le sue
virtù, dopo aver governato facendo molte buone opere sceglie di ritirarsi in
convento per essere coerente con lo spirito di carità che aveva sempre
informato la sua vita. Una scelta la sua che verrà poi celebrata da Papa
Clemente XII quale segno di santità ...
(Nell’illustrazione
di Giuseppe Gatteri il momento della fuga da Venezia del doge Pietro I Orseolo)
20 - LA SCHEDA STORICA
Non si era ancora spenta la rovente atmosfera nella quale si
era consumata l'atroce esecuzione di Pietro Candiano e del suo figlioletto che
il 12 agosto del 976 il popolo veneziano riunitosi nella chiesa di S. Pietro di Castello, elesse
il suo nuovo doge, Pietro Orseolo.
La famiglia degli Orseolo, pur di antica tradizione, non si
era tuttavia mai distinta nei secoli precedenti per aver ricoperto alcuna
carica importante. Pietro era il primo
della famiglia ad assurgere a tanta altezza, inaugurando la dinastia ducale
degli Orseolo.
In un momento estremamente delicato per la storia di
Venezia, nuovamente scossa da violenti disordini che portarono alla deposizione
ed uccisione del Candiano, il popolo veneziano con l'elezione di Pietro
Orseolo, dimostrava tutta l'esigenza di un lungo periodo di pace. E
principalmente alla pacificazione interna, non a caso, si votò il doge Pietro,
dimostrando la sua indole di uomo saggio e pio.
Non è da escludere, tuttavia, che la sua elezione fosse in
realtà il prezzo che i Veneziani accettarono di pagare in cambio della
disponibilità dell'Orseolo in occasione della rivolta contro il suo
predecessore. Pare infatti che l'incendio con il quale i rivoltosi riuscirono a
stanare il doge Candiano fosse iniziato proprio dalla casa di Pietro Orseolo.
La notizia, se vera, dimostrerebbe la piena e totale adesione di quest'ultimo
alla causa dei rivoltosi. In cambio avrebbe chiesto di essere portato sul trono
ducale qualora le cose fossero andate a
buon fine. In realtà non è dato sapere con certezza quali siano state le
circostanze che portarono all'elezione di Pietro Orseolo. Certo è che il nuovo
eletto " ... fin da principio del suo potere governò le cose di Venezia
pel bene comune e si contenne in tutto secondo le norme della legge".
Evidentemente con Pietro I i diritti e i poteri del Gran
Consiglio, come la Costituzione del 959 trovavano una solida garanzia e con
essi quel "bene comune" tanto caro al popolo veneziano e calpestato
invece dal precedente doge con la sua politica personalistica o presunta tale.
E al bene comune effettivamente Pietro I si dimostrò instancabile servitore, in
molti sensi. Innanzitutto fece in modo di rinnovare il trattato con i
Capodistriani dato che il precedente trattato era andato distrutto con tutto
l'archivio ducale durante la rivolta. Il nuovo trattato confermava la piena
libertà di commercio per i Veneziani nella città di Capodistria (allora
Giustinopoli), con la garanzia della loro totale incolumità.
Ma le premure del nuovo doge si concentravano soprattutto
all'interno dove c'erano da sanare i danni provocati dall'incendio che aveva portato alla quasi totale distruzione
del palazzo Ducale e dell'annessa cappella
di S. Marco. Pietro I provvide allora a
far ristrutturare quest'ultimo edificio e diede inizio ai lavori per la
ricostruzione del Palazzo. Ma anche ad altre opere il nome del doge Pietro
restò per sempre legato.
La sua considerazione e la sua attenzione per i poveri e i
diseredati della città, si concretizzarono infatti, nella costruzione di un
"Hospitale" non molto lontano dallo stesso Palazzo Ducale dove
potevano trovare alloggio anche i pellegrini che venivano a visitare le sacre reliquie
dell'evangelista Marco al quale era probabilmente dedicato lo stesso ospedale
ancora visibile alla fine del Medioevo.
Alla natura benevola del doge rispondevano positivamente
anche i sudditi e i membri del Consiglio. Quando, per risarcire la vedova di
Pietro Candiano, Waldrada, fuggita presso la corte italica dell'imperatore
Ottone II a Pavia, il doge ebbe bisogno di un comune sforzo economico da parte
dei veneziani, questi si dimostrarono pronti a versare il tributo al proprio
doge che in questo modo si liberò da ogni tipo di possibile rivendicazione da
parte dell'ex duchessa. Tuttavia, la fazione rimasta fedele al doge trucidato e
alla sua famiglia, mal sopportava la politica del nuovo eletto. Lo stesso
Patriarca di Grado, Vitale, figlio del predecessore trucidato, era fuggito da
Venezia al momento dell'ascesa al trono ducale di Pietro, trovando rifugio
presso il fautore dei Candiano, l'imperatore Ottone II.
Giunse così, inesorabile e quasi inevitabile, anche per
Pietro, il tempo nefasto delle congiure. Se ne ha notizia di una, in
particolare, miracolosamente scampata dal doge che prese a meditare sulla
possibilità di lasciare il proprio, alto incarico.
Arrivò a Venezia in quei giorni, l'abate Marino di Cusano,
lontano centro dei Pirenei e famoso per il suo monastero. L'abate era giunto a
Venezia per rendere omaggio e devozione alle sacre reliquie di S. Marco,
sottratte, fra l'altro, alla vista dei più dopo la ristrutturazione della
Cappella ducale da parte del doge. Ma non solo, probabilmente.
La ripresa delle congiure e delle cospirazioni contro il
doge da parte del partito filoimperiale, dovevano preoccupare non poco, anche
gli esponenti della chiesa veneta che certo non potevano accettare l'idea di
venir inglobati in una chiesa dove era l'imperatore a fare il bello e cattivo
tempo. Si doveva assolutamente salvare Pietro I.
La presenza dell'abate Marino a Venezia, forse, si
giustifica con la possibilità di questi ad ospitare eventualmente il doge nel
suo sicuro e lontano monastero. Con il doge dovevano essere assolutamente
tratti in salvo anche Giovanni Gradenigo, uno dei capi della congiura contro il
Candiano, e Giovanni Morosini, genero del doge. Con loro, solo altri due frati,
l'abate Guarino e il monaco Romualdo, il futuro fondatore dell'eremo di Camaldoli
e del medesimo ordine. Romualdo fu
probabilmente anche l'assistente spirituale dello stesso doge, una volta che
questi ebbe raggiunto sano e salvo il monastero di Cusano. Qui i tre veneziani
intrapresero la durissima vita del noviziato e Pietro della santità.
Non tornerà mai più a Venezia il doge Pietro Orseolo,
accettando invece di vivere e di chiudere la propria vita, il 10 gennaio del
997, nella pace del piccolo convento. La sua scelta di vita, troverà il massimo
riconoscimento solo 800 anni dopo la sua morte, quando il papa Clemente XII nel
1733 lo dichiarò santo ed inviò a Venezia una sua preziosa reliquia custodita
nella Basilica Marciana.
Fonte: srs di Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco
Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA,
volume 1, SCRIPTA EDIZIONI
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