Dal testo di Francesco Zanotto
"Immenso fu il bottino raccolto dai
nostri, essendo cadute in lor mano le salmerie e gl'impedimenti de' nemici e i
tesori da essi rapinati nell'Istria. Orso usò generosamente dalla vittoria,
rimettendo alle chiese dell'Istria quanto ad esse rubato avevano i barbari, e
molti prigioni liberò con largo animo senza riscatto. Tornava quindi in patria con pompa trionfale,
cinto da' suoi guerrieri, preceduto dalle insegne conquistate e dai tesori
raccolti, seguiti da prigioni, ed incontrato dal clero e dal popolo esultante
... "
ANNO 880
Cosa ci racconta il disegno di Gatteri
Il Doge Orso Partecipazio accolto dal popolo
esultante per la vittoria sopra gli Slavi, i Croati ed i Dalmati. Ma neanche
la ritrovata supremazia militare frena le guerre intestine che minano
all'interno la solidità delle istituzioni dogali e provocano una
continua emorragia di uomini ...
(Nell’illustrazione
di Giuseppe Gatteri il ritorno a Venezia del doge Orso Partecipazio dopo la
campagna contro i pirati slavi)
13 - LA SCHEDA STORICA
Dopo l'assassinio del doge Tradonico, i Veneziani
rimediarono ben presto al vuoto politico con l'elezione di un nuovo doge nella
persona di Orso Partecipazio. Non è provato un legame di parentela tra questi e
gli esponenti della dinastia di Agnello Parlecipazio, anche se l'eventualità
non è del tutto da escludere.
Salito al trono nell'861, Orso reggerà il governo delle
isole veneziane per circa vent'anni distinguendosi, in particolare, per le
numerose vittorie navali riportate sui Saraceni e sui vicini pirati slavi che
ancora infestavano pericolosamente le coste dalmate ed istriane. Qui gli Slavi
avevano devastato le città di Umago, Cittanova e di Rovigno in soccorso delle
quali intervennero i Veneziani con ben trenta navi riuscendo, infine, a
liberarle. Il ruolo determinante assunto da Venezia nella difesa delle coste
orientali della Penisola, sembra confermato dal rinnovo del trattato sancito a
Ravenna tra l'imperatore Carlo il Grosso e i Veneziani stessi. Non disponendo
di una valida flotta, all'imperatore franco non restava che affidarsi ai
Veneziani.
Se ad est il problema più grave restava quello dei pirati
slavi e croati in particolare - Orso riuscirà a reprimere duramente i più
bellicosi, quelli di Narenta -, a sud si faceva ogni giorno più pressante ed
urgente il problema Saraceni. Verso l'870 pare che una flotta guidata dal doge
in persona, si sia diretta verso Taranto dove si erano nel frattempo concentrate
le forze navali arabe e lì si sia infine scontrata vittoriosamente con queste.
Del resto la presenza dei Saraceni lungo le coste meridionali della penisola
rappresentava un serio e pericoloso intralcio per i traffici commerciali dei
Veneziani con il vicino Oriente. E il pericolo stava inoltre minacciosamente
risalendo ancora una volta il mare Adriatico. I Saraceni infatti, piombarono da
lì a poco tempo sulla città di Grado che assediarono per ben due giorni senza
del resto riuscirvi ad entrare. Il doge Orso appena ricevuta la notizia
dell'assedio, inviò prontamente il figlio Giovanni con una flotta in soccorso
dei Gradensi. A quel punto gli Arabi preferirono allo scontro la ritirata,
invertendo così la rotta verso sud non senza prima aver devastato il centro di
Comacchio.
Ad essere seriamente preoccupati per l'incomoda presenza
degli Arabi nell'Adriatico e nelle regioni meridionali, non erano tuttavia solo
i Veneziani. I Bizantini, nel cui impero rientravano ancora molti centri del
sud Italia e lo stesso imperatore d'Occidente Ludovico il Pio, non potevano che
mal sopportare le scorrerie dei pirati arabi e la loro stabile presenza nella
penisola. E così, di fronte al comune nemico, la flotta veneziana, bizantina e
dell'imperatore carolingio, si unirono scontrandosi finalmente vittoriosamente
nell'870 con le navi nemiche riuscendo in quell'occasione a liberare la città
di Bari dagli Arabi.
I ripetuti impegni bellici non avevano tuttavia
completamente distolto il doge Orso dalle vicende interne che esigevano, come
sempre, la massima presenza ed attenzione. L'attività del doge, in particolare,
sembrava concentrarsi primariamente sulle questioni ecclesiastiche attraverso
le quali, sempre più spesso, passavano anche quelle politiche.
Prima dell'avvento di Orso, nell'area veneziana oltre al
patriarca di Grado e al vescovo di Olivolo-Castello, non c'erano molte altre
diocesi. Sotto il suo dogato, probabilmente, si assiste invece alla nascita di
numerose nuove diocesi come quella di Caorle, Eraclea-Cittanova, Malamocco, o
per lo meno la rete ecclesiastica veniva profondamente ristrutturata e
riorganizzata in termini alquanto funzionali al potere ducale.
Nell'873 era intanto deceduto il Patriarca di Grado al quale
era prontamente succeduto un tal Pietro di oscure origini, ma ritenuto dai più
uomo pio e colto. Nel frattempo a Torcello veniva nominato dallo stesso doge il
nuovo vescovo nella persona di Domenico, già abate di S. Stefano di Altino.
Personaggio estremamente ambiguo, di lui si ha notizia per il fatto di essersi
evirato a seguito dell'infamante accusa di " ... incontinenza carnale ...
". Le condizioni del povero Domenico non erano tuttavia rare tra i membri
monastici della chiesa bizantina dove lo stato di eunuco garantiva
l'impossibilità di unirsi con la donna. Resta che il nuovo patriarca Pietro, si
rifiutò di consacrarlo, non tanto forse per la sua condizione effettivamente
condannata dalla chiesa romana, quanto piuttosto per la sua nomina avvenuta da
parte del doge e per una pesante accusa di corruzione che pesava sul vescovo
nel frattempo scomunicato. Il patriarca tuttavia, si ritrovò ben presto isolato
nella sua ferma decisione di non consacrare il vescovo nominato dal doge, dato
che la maggioranza del clero lagunare preferì appoggiare invece la scelta di
quest'ultimo. Pietro si vide alla fine costretto a fuggire a Roma presso il
pontefice Giovanni VIII che, dopo aver invano tentato di convocare un concilio
sulla delicata questione, si dimostrò incapace di risolverla completamente.
Pesava, molto probabilmente sul pontefice, il pericolo della
minaccia del doge Orso di sottoporre i vescovadi della Venezia alla chiesa di
Costantinopoli se non si fosse dimostrato tollerante sulla nomina ducale di
Domenico. Di fronte a questa insopportabile prospettiva, al Papa non restò che
indietreggiare e scendere, insieme al patriarca Pietro, a patti col doge. E i
patti furono che Domenico non sarebbe stato consacrato finché restava in vita
il Patriarca, ma avrebbe ugualmente goduto delle rendite vescovili dimorando
nel palazzo vescovile di Torcello. In questo modo, Domenico malgrado la mancata
consacrazione, poteva ritenersi di fatto il nuovo vescovo dell'isola lagunare.
Accettato il compromesso, il patriarca tornò dunque a Venezia dove, tuttavia,
poco dopo morì, secondo alcuni avvelenato per ordine dello stesso doge.
Sospetto tanto più rinforzato dalla scelta, non certo casuale, del suo
successore: Vittore, il figlio del doge. E gli effetti di tale nomina non si
fecero attendere. Vittore infatti, dovette immediatamente giurare di consacrare
a vescovo di Torcello chiunque il doge - suo padre! - avesse scelto. Il primo a
beneficiare di una simile condizione, non poteva che essere Domenico che veniva
consacrato vescovo. Il doge aveva così ottenuto quello che voleva, il pieno
controllo della "sua" chiesa.
Fonte: srs di Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco
Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA
VENETA, volume 1, SCRIPTA EDIZIONI
Link: Link: http://www.storiavicentina.it
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