Dal testo di
Francesco Zanotto
"Ma intanto
uscivano i Veneziani la notte con ottanta legni, e sul romper dell'alba si
presentavano dinanzi al porto di quella città. Così Ravenna improvvisamente
assalita per terra e per mare ad un tempo mal potè resistere a quella
battaglia. Imperocchè i Veneziani, non
ancor sorto il giorno, schieraronsi ir battaglia dando mano a fulminar la città
con terribili proiettili, in quel tempo appellati fuochi greci ... "
ANNO 730
Cosa ci racconta il disegno di Gatteri
Liutprando con il pretesto di difendere la fede
dall'eresia iconoclasta attacca la città di Ravenna e la conquista. Cade l'esarcato ma il governatore
bizantino perora la sua causa presso il governo ducale e chiede l'aiuto
del Papa. Così alla fine i Veneziani
offrono aiuto militare e sbarcati dalla flotta riescono a infrangere
la resistenza ...
7 - LA SCHEDA STORICA
La leggenda avvolge
anche i due successori di Paoluccio, Augusto e Marcello Tegelliano,
quest'ultimo già "magister militum" che pare abbia provveduto ad
armare un certo numero di imbarcazioni veneziane per far fronte alle continue
scorrerie dei corsari che allora infestavano le coste dell'alto Adriatico.
Alla morte di costui, i suffragi dell'assemblea riunitasi ad
Eraclea per l'elezione del nuovo doge, si concentrarono su di un certo Orso
Ipato, cittadino della stessa Eraclea che le fonti descrivono come un uomo
bellicoso ed intraprendente.
Intanto il clima politico generale stava ancora una volta
mutando rapidamente. L'imperatore d'Oriente, Leone III Isaurico, aveva
emanato infatti nel 726 un editto con il quale veniva proibito il culto delle
immagini sacre (iconoclastismo). L'editto era naturalmente valido in tutto
l'impero dove ancora rientravano le zone della penisola italiana occupate dai
Bizantini e tra queste l'immediato entroterra veneto con tutta l'area lagunare.
Il provvedimento non mancò di suscitare, tanto in
Oriente quanto in Occidente, violente proteste, quando non si trattò di veri e
propri tumulti. Fu quest'ultimo il caso di Ravenna dove l'esarca Paolo venne
assassinato dai rivoltosi - rivolta che si estese ben presto in tutto
l'Esarcato - e di Roma, dove il duca bizantino con il figlio vennero ugualmente
trucidati. Il culto delle immagini sacre
era e doveva restare una delle caratteristiche peculiari ed irrinunciabili del
culto cristiano.
In Italia, intanto, alla proteste del Pontefice contro il
provvedimento imperiale, si erano unite anche quelle del re longobardo
Liutprando che vedeva in quel momento di estrema debolezza dell'Impero
bizantino, una preziosa occasione per poter conquistare l'Esarcato ravennate.
Fatto che puntualmente si verificò.
Fu lo stesso successore di Paolo, Eutichio, che impossibilitato
a entrare a Ravenna per la situazione di estrema incertezza che ancora regnava
nella città, ad aprire le ostilità nel 732 contro i Longobardi. Lo scontro non
fu certo favorevole all'esarca che infatti venne sconfitto dal re Liutprando
presso Bologna in quell'occasione conquistata dai Longobardi. Dalla città l'esercito di Liutprando riuscì in successione a conquistare
anche gran parte dell'Emilia e delle Marche, arrivando ad occupare l'importante
porto bizantino di Classe, stringendo d'assedio la stessa Ravenna che venne
infine conquistata. All'esarca non restò che la fuga e con lui fuggiva anche
l'arcivescovo ravennate. La meta?
Eraclea, sede del duca veneziano Orso. Da questi l'esarca si aspettava
evidentemente un aiuto per la riconquista di Ravenna, contando sulla efficienza
della flotta veneziana. A tal fine premeva anche lo stesso Papa, preoccupato
per l'avanzata dei Longobardi verso Roma.
Nel 732 il pontefice Gregorio III si era infatti rivolto anche al Patriarca di Grado Antonino,
affinché si adoperasse perché Ravenna tornasse al più presto terra imperiale.
E' probabile che il Papa si sia rivolto al Patriarca di Grado nella certezza
che questi avrebbe potuto a sua volta intercedere con successo presso i
Veneziani, convincendoli sull'opportunità e sulla necessità di un loro
intervento armato a favore dell'esarca.
Una realtà consolidata
Ormai le 'Venetiae"rappresentavano, evidentemente, una
realtà anche politica e militare determinante negli equilibri che si giocavano
nell'intera penisola. Al suo rappresentante religioso - il Patriarca di Grado -
e politico - il doge Orso- , si rivolgevano niente meno che le massime autorità
dell'epoca, il Pontefice e, indirettamente tramite il suo rappresentante,
l'imperatore di Bisanzio. In cambio del loro impegno militare a favore
dell'esarca, i Veneziani avrebbero ottenuto franchigie ed immunità commerciali
nelle terre e nei porti bizantini della penisola. Di fronte a tali benefici i
lagunari, pur avendo stretto in passato dei trattati con i Longobardi, misero a
disposizione dell'esarca una grossa flotta (Ravenna allora era ancora bagnata
dal mare) che assalì la città dal lato marittimo mentre le altre truppe
bizantine la prendevano da terra. Ildebrando, nipote del re longobardo
Liutprando e Perendeo, duca di Vicenza, invano tentarono di tenere la città.
Ravenna venne infatti riconquistata dai Bizantini grazie
anche al fondamentale aiuto dei Veneziani che non mancarono di approfittare
dell'occasione per portare in patria una certa quantità di bottino e con questo
anche Ildebrando quale illustre prigioniero.
Le drammatiche conseguenze dell'editto imperiale del 726,
con la rivolta delle popolazioni italiche ancora sotto il dominio bizantino non
lascia tuttavia ancora intravvedere, al di là delle motivazioni religiose,
alcuna intenzione autonomistica o di scissione rispetto allo stesso Impero.
Il processo, in
particolare nelle isole realtine, doveva rivelarsi ancora lungo e complesso. Lo
stesso duca Orso portava ancora il titolo di "Ipato", ovvero di
console imperiale, persona quindi che si era recata a Costantinopoli a rendere
omaggio all'imperatore. Lo stesso aiuto reso dai Veneziani ai Bizantini nella
riconquista di Ravenna, testimonia ulteriormente di come le realtà
veneto-lagunari si sentissero ancora parte integrante dell'impero bizantino.
Fonte: srs di Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA, volume 1, SCRIPTA EDIZIONI
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