Dal testo di Francesco Zanotto
"Se non che caduto Giovanni gravemente
malato, nè avendo lusinga di riaversi, permise che il popolo acclamasse doge
Pietro suo fratello; il quale continuò ad essergli compagno nella dignità anche
dopo che fu ristabilito in salute. L'ebbe per altro collega per poco, mentrechè Pietro poco
appresso passava a vita migliore. Volle allora Giovanni a lui sostituito
l'altro suo fratello Orso, quantunque il sapesse inabile al governo di uno
stato ... E l'aiutò egli veramente obbedendo sempre a' suoi comandi ... "
Cosa ci racconta il disegno di Gatteri
Amante della patria, dolce di carattere, il Doge
Giovanni II Partecipazio compie un grande gesto di magnanimità e di
lungimiranza politica: dopo una malattia si sente inabile al comando e prima si
fa affiancare dal fratello poi cede lo scettro del potere ad un nuovo Doge
dimostrando una grande sensibilità umana ...
(Nell’illustrazione
di Giuseppe Gatteri il doge Giovanni Partecipazio rinuncia alla carica)
15 - LA SCHEDA STORICA
Da ben altra
iniziativa al doge sarebbero tuttavia giunti vantaggi e gloria. Il 13 maggio
dell'883 infatti, Giovanni concludeva a Mantova con l'imperatore Carlo il
Grosso, un'importantissima convenzione. Con il trattato venivano infatti
confermati e rinforzati i privilegi già in parte ottenuti da Venezia con la
pace di Aquisgrana (813). Veniva riconfermata al doge, al Patriarca e a tutti
gli abitanti delle isole, la possibilità di possedere ed amministrare autonomamente
tutti i beni acquistati entro i confini dell'impero e si decretava inoltre,
cosa altrettanto importante, la massima libertà di commercio per i Veneziani in
tutto l'impero con l'esenzione da ogni dazio doganale.
Non solo. Veniva infatti stabilito che ogni veneto residente
in qualsiasi parte dell'impero fosse soggetto ugualmente alla giurisdizione
ducale con la proibizione, pena la perseguibilità, di proteggerlo contro
eventuali ricerche o sentenze del doge. Gli abitanti di Venezia, residenti o meno,
dovevano in tal modo rispondere comunque ed esclusivamente al loro
"duca".
Ma con questo trattato il doge Giovanni rimetteva in un
certo qualmodo tutti i suoi beni e possedimenti sotto la protezione
dell'imperatore d'Occidente, stringendo con Carlo il Grosso una sorta di
rapporto vassallatico anche se del tutto speciale.
La rottura con Bisanzio non poteva essere più evidente e
profonda. La corte imperiale non avrebbe mai potuto accettare un simile dato di
fatto stando semplicemente a guardare. Le ritorsioni, infatti ed
inevitabilmente, non si fecero attendere non mancando certamente ai Bizantini
delle armi estremamente persuasive. Migliaia di veneziani, infatti, dimoravano
a Costantinopoli con estese e ricche proprietà di ogni genere ed entità accumulate
in lunghi anni di scambi commerciali con la capitale. Inimicarsi l'imperatore
greco era un rischio dunque non meno grave e pericoloso che scontrarsi con
quello franco, divenuto il garante dei beni e dei possedimenti veneziani in Occidente.
L'imperatore bizantino, conoscendo evidentemente il punto debole dei Veneti,
giunse a minacciare di ritirare le franchigie e tutte le proprietà di cui
godevano i Veneziani in Oriente se il loro doge non avesse prontamente fatto
dietro-front nei confronti dell'imperatore Carlo il Grosso. Forte di questo, a Venezia il partito
filo-greco tornava a tramare contro il doge.
Approfittando di una lunga malattia di Giovanni, gli venne
probabilmente affiancato alla ducea il giovanissimo fratello Pietro, forse non
ancora maggiorenne ma proprio per questo più facilmente manovrabile. La nuova
situazione tuttavia, non sortì gli effetti sperati data la prematura morte del
ragazzo. E così, su invito dello stesso doge Giovanni evidentemente fiaccato
dalla malattia, si procedette allora all'elezione di un altro doge.
Il 17 aprile dell'887 veniva così investito dell'alta carica
Pietro Candiano esponente di una delle più nobili famiglie veneziane che si
disputerà il dogato nel secolo successivo, con l'altra grande famiglia quella
appunto dei Partecipazi.
Intanto, Giovanni Partecipazio, sembrava destinato a non
avere un successore. Il dogato di Pietro
Candiano, infatti, ebbe la durata di un'estate. Nell'autunno dello stesso anno
in cui venne eletto, il doge veniva mortalmente ferito in una durissima
battaglia contro i pirati slavi nelle acque dell'alto Adriatico. Il problema
della ducea si riapriva nuovamente e con esso la possibilità di nuovi scontri
tra le diverse fazioni che da sempre agitavano la scena politica veneziana.
A far temere il peggio in questo senso, giunse anche la
notizia della deposizione dell'imperatore Carlo il Grosso da parte dei
turbolenti principi tedeschi. A questo punto la parte filo-franca di Venezia
temendo appunto lo scoppio di nuovi disordini nella città, chiese ed ottenne il
ritorno al trono di Giovanni Partecipazio che tuttavia dopo soli sei mesi
rinunciò definitivamente alla ducea. Gli animi nel frattempo si erano infatti
sedati e le gravi condizioni di salute lo portarono all'estrema decisione e al
definitivo ritiro a vita privata. L'uscita di scena di Carlo il Grosso e la
venuta meno di questo fondamentale appoggio, deve essere stata poi
un'ulteriore, valida ragione che portò Giovanni al suo definitivo ritiro dalla
convulsa scena politica lagunare.
Così, nella primavera dell'888 il popolo veneziano eleggeva
ancora una volta il proprio doge sul quale confluirono i consensi di tutte le
parti. Pietro Tribuno, questo il nome del nuovo eletto, era figlio del tribuno
Domenico e di Agnella, nipote del doge Pietro Tradonico assassinato nell'864
all'uscita della chiesa di S. Zaccaria. Pietro dunque, apparteneva a quella classe
tribunizia preposta dal doge all'amministrazione della giustizia penale e
civile. Una sorta di tribunato generale che non di rado apriva la via alle più
alte cariche dello Stato veneziano. Che il neo eletto fosse ben accetto anche
dalla parte filo-greca era ben dimostrato dalla nomina di Pietro a protospatario
imperiale da parte dell'imperatore greco Leone il Filosofo.
Tornati più distesi i rapporti con Bisanzio anche a causa
della disastrosa situazione politica europea, ben altri e più gravi problemi
dovette affrontare Pietro nei suoi 23 anni di dogato. L'Europa, chiusasi
tristemente la gloriosa parentesi carolingia, stava infatti ripiombando
nell'anarchia più totale e ancora una volta si apprestava a diventare facile
preda di turbolente e bellicose popolazioni 'barbare". Era giunto, ora, il
turno degli Ungari.
Fonte: Fonte: srs
di Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo,
Laura Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA, volume
1, SCRIPTA EDIZIONI
Link: Link: http://www.storiavicentina.it
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