Dal testo di Francesco Zanotto
"Gli assalitori del castello erano
giovani delle vicine città e della stessa Trivigi (... ) Le armi scambievoli
con cui combattevano gli assalitori e le difenditrici erano fiori, aranci,
poma, confetture e acque odorose ( ... ). Gli assalitori erano divisi in tre
schiere: Padovani, Trivigiani e Veneziani, e ognuna aveva per segnale il
vessillo delle proprie città ( ... ) quando tutto ad un tratto accadde un tale
disordine, avvegnachè mentre i giovani Veneziani da un lato valorosamente
combattendo, presa una porta, erano per piantare in breve nel castello il loro
stendardo ... ( ... ) i Padovani fecero insulto all'alfiere veneziano ...
"
Giuseppe Gatteri
Cosa ci racconta il disegno di Gatteri.
Anche un gioco,
quale quello svoltosi in piazza a Treviso, fra dame e cavalieri, si può risolvere in battaglia
quando sullo sfondo ci stanno vecchi risentimenti. Così il castello d'amore si
rivelò un segnale per la guerra anche se la cosa poi si risolse in una
mezza burla ...
35 - LA SCHEDA
STORICA
Alla notizia della morte
del vecchio doge Enrico Dandolo giunta a Venezia solo dopo cinquanta giorni, si
radunò immediatamente l'Assemblea per l'elezione del nuovo doge che venne
scelto nella persona di Pietro Ziani figlio del precedente doge Sebastiano e
come il padre abile commerciante e speculatore.
Una volta conquistata l'isola di Creta, fu proprio Ziani a
mandarvi Jacopo Tiepolo col titolo di "duca" di Candia per tentare di
affermare una volta per tutte l'organizzazione e l'autorità politica veneziane,
cosa che seppur con una certa fatica infine si realizzò.
Ma durante il dogato dello Ziani si incominciò soprattutto a
raccogliere i frutti dell'egemonia commerciale che Venezia si era assicurata
con la conquista di Costantinopoli e del suo impero.
Da Negroponte e dal Peloponneso potevano ora prendere la via
grossi carichi di frumento, legname e seta, mentre dal Bosforo era ormai facile
raggiungere i porti ed i mercati del Mar Nero e della Crimea in particolare.
Questa condizione privilegiata si traduceva per la città in
un costante incremento dei commerci e di conseguenza delle attività e della
ricchezza locali. Le concerie di pelli, specie concentrate alla Giudecca, le
tessiture di lana, le vetrerie, così numerose queste ultime già alla fine del
Duecento che il governo ducale si vide costretto a trasferirle in massa
nell'isola di Murano, ed infine l'importante industria delle costruzioni navali
attiva soprattutto all'Arsenale di Stato conobbero nei primi decenni del secolo
un vero e proprio boom.
Accanto alla produzione di grandi navi da guerra o di
mercantili, Venezia produceva inoltre un gran numero di piccole e medie
imbarcazioni adatte alla navigazione fluviale che pur manteneva ancora la sua
importanza. Attraverso le arterie fluviali infatti (Brenta, Adige e
Bacchiglione), Venezia entrava in contatto commerciale con l'immediato
entroterra veneto e con i suoi Comuni e tra questi, in particolare, con quello
padovano e trevigiano.
Un contrasto destinato ad accrescersi
Fino agli inizi del Duecento i rapporti con le due città si
erano informati a dei buoni rapporti di vicinato. Certo, Padova nel secolo
precedente con il tentativo maldestro di dirottare le acque del Brenta aveva
avuto modo di scontrarsi brevemente con i veneziani, ma la cosa non aveva
prodotto grosse conseguenze.
Fu nel 1214 che padovani e veneziani giunsero nuovamente
alle armi, ma questa volta il pretesto e
le circostanze che scatenarono la guerra erano di ben altra natura.
L'incidente, tuttavia, mise in luce tutta la fragilità dei rapporti del ducato
veneziano, compresso ormai negli angusti confini lagunari, con i comuni
cittadini limitrofi.
Questi i fatti. In
occasione della Pasqua di quell'anno il Comune di Treviso aveva bandito una
festa alla quale erano stati invitati alcuni tra i più importanti comuni della
Venezia-Giulia e tra questi non poteva certo mancare Venezia.
Il culmine della festa era rappresentato da un singolare
gioco che veniva chiamato "Castel
d'Amore". Si trattava di un castello costruito con il legno e ricoperto di
stoffe preziose dove prendevano posto delle giovani spose e delle ragazze.
Queste, riccamente ingioiellate ed ornate, dovevano difendere il castello
dall'assalto di giovani divisi in varie compagnie ciascuna sotto l'insegna del
proprio Comune. Quali armi di difesa per le donzelle e di attacco per i
giovani, solo rose, garofani, gigli, ma anche, a quanto pare, noci, datteri e
altra frutta ancora e altri fiori pregiati. La guerra simulata era poi accompagnata da un
sottofondo sonoro che accentuava e completava il clima di giocosa cortesia che
caratterizzava la festa. Un clima, tuttavia, che in occasione della festa di
quell' anno venne presto violentemente interrotto.
Il gruppo dei giovani veneziani era sul punto di conquistare
il castello - e le dame - quando i giovani padovani, forse invidiosi, forse
volutamente canzonati, strapparono all'improvviso dalle mani dei probabili
vincitori lo stendardo di S. Marco e lo gettarono a terra calpestandolo e
facendolo a pezzi. La reazione dei veneziani di fronte a tanto strazio del loro
amato simbolo cittadino, non si fece naturalmente attendere e così dalla festa
e da una guerra simulata, si arrivò presto alle mani e ad una vera e propria
guerra armata.
Sedati temporaneamente gli animi dei turbolenti giovani ed
interrotta la festa, le ostilità infatti si spostarono e ripresero in ben altro
campo. I padovani, appoggiati dai trevigiani - entrambe le città non guardavano
certo con entusiasmo alla crescente potenza di Venezia -, minacciarono la città
di Chioggia e saccheggiarono il territorio veneziano limitrofo. Infine
tentarono un assalto ad un castello, ma questa volta ad una castello vero,
quello delle Bebbe, collocato quale avamposto difensivo dei veneziani verso
Padova, Adria e Ferrara ..
I padovani dallo scontro coi veneziani, aiutati in questa
occasione dai chioggiotti, ne uscirono anche questa volta drammaticamente
sconfitti, complice, pare, un'improvvisa inondazione d'acqua marina che presto
allagò l'intera area dove si erano accampati. In questa inaspettata situazione
i padovani si trovarono così circondati improvvisamente dall'acqua e dagli acquitrini
diventando facili prede per i veneziani che infatti riuscirono a catturarne
svariate centinaia senza colpo ferire.
La pace tra Padova e Venezia si concluse il 9 aprile del
1216 alla condizione che Padova consegnasse ai veneziani almeno 25 di quei
giovani principalmente responsabili dei disordini scoppiati a Treviso e
all'origine della guerra che ne seguì. Il Comune di Padova acconsentì e
consegnò i giovani al governo veneziano che tuttavia, avuta la soddisfazione di
vedere la sottomissione di Padova, dopo una breve prigionia rispedì i giovani
sani e salvi alle loro case.
Si chiudeva così, finalmente, un'ingloriosa parentesi,
presagio di ben più dure e cruente battaglie tra le due città.
Fonte: srs di Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco
Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA
VENETA, volume 2, SCRIPTA EDIZIONI
Nessun commento:
Posta un commento