Dal testo di Francesco Zanotto
"Tremila de' nostri perirono,
altrettanti cadder prigioni. L'infame Guiscardo non contento della vittoria,
esercitò sopra i miseri cattivi la crudeltà più esecranda. Cavar fece a molti
gli occhi, ad altri troncar le mani o il naso od un piede; ed a coloro che ebbero
ventura di uscir salvi, fe dire per un araldo, che se avessero voluto prender
servigio nelle sue milizie, sarebbero rimasti soddisfi. Ma essi a rincontro fieramente risposero:
volere piuttosto essere tagliati a pezzi, che militare contro la patria ed i
Greci loro antichi alleati ... "
ANNO 1085
Giuseppe Gatteri
Cosa ci racconta il disegno di Gatteri
Roberto il
Guiscardo, re dei Normanni, riesce grazie al tradimento a sorprendere le navi veneziane di grosso
tonnellaggio all’ancora sulla costa albanese. La sconfitta è terribile e le perdite sono molto alte. I
superstiti posti di fronte all’invito a militare nell’esercito
avversario rifiutano preferendo la morte ...
(Nell’illustrazione di
Giuseppe Gatteri i marinai veneziani
rifiutano di prestare servizio presso i Normanni accettando di essere
condannati a morte)
24 - LA SCHEDA STORICA
Alla morte del doge Pietro Orseolo, i Veneziani portarono
sul trono il figlio di lui Ottone, già da tempo associato dal padre alla ducea.
Il potere raggiunto dagli Orseolo con la straordinaria politica di Pietro II
stava tuttavia sollevando non poche gelosie, dubbi e rancori tra le grandi
famiglie veneziane e tra il popolo da sempre violentemente riluttanti ad ogni
forma ereditaria o personalistica del ducato. E così Ottone dovrà ben presto
pagare il prezzo dello strapotere raggiunto dalla sua famiglia con la
deposizione e l'esilio dalla sua città.
Era il 1023 quando Ottone lasciava Venezia e con lui il
fratello Orso creato già dal padre patriarca di Grado - il terzo fratello
Domenico era invece stato destinato a ricoprire la cattedra vescovile cittadina
di Olivolo - Castello.
Con la fuga degli Orseolo tuttavia, la situazione era
destinata a precipitare. Rimasta vacante la sede patriarcale di Grado, non
mancò infatti di approfittarne il patriarca di Aquileia Peppone - le contese e
i rancori tra le due sedi patriarcali rivali non si erano mai del tutto
riassorbite -, che attaccò niente meno che la stessa città di Grado.
A quel punto i Veneziani, visto minacciato il loro centro
spirituale, richiamarono frettolosamente dall'esilio il patriarca Orso ed il
fratello Ottone che riuscì con le sue truppe a recuperare prontamente il centro
gradense.
La nuova vittoria, non fu tuttavia salutata con gande
entusiasmo dai Veneziani che sicuramente soddisfatti si ritrovavano nuovamente
a fare i conti con gli Orseolo. Ottone venne così costretto ad un altro esilio,
questa volta definitivo, a Costantinopoli su pressione della parte avversa agli
Orseolo capeggiata in quella circostanza da un tal Domenico Flabiano.
Al vuoto politico creatosi con la partenza di Ottone per
Costantinopoli dove morirà l'anno seguente, i Veneziani rimediarono consegnando
le redini del dogato al fratello-patriarca Orso che dopo un breve periodo di
reggenza si ritirò definitivamente nella sua sede patriarcale di Grado. Il declino degli Orseolo, si era definitivamente
compiuto.
Era il 1032 e Domenico Flabiano veniva eletto quale nuovo
doge. La tendenza delle grandi famiglie veneziane del decimo secolo, dai
Partecipazio ai Candiano sino agli Orseolo di rendere ereditario il dogato,
venne ufficialmente spezzata in virtù di un provvedimento preso immediatamente
dal nuovo doge.
Il decreto stabiliva
che il doge non poteva d'ora innanzi, affiancarsi un coreggente come non poteva
indicare il suo eventuale successore. La nomina ducale doveva restare
prerogativa esclusiva del Consiglio mentre al doge vennero affiancati due consiglieri.
Conclusasi, dopo dieci anni la ducea di Flabiano, venne così
eletto nel 1042 Domenico Contarini.
Sotto il suo governo ebbero inizio i lavori di costruzione
della nuova basilica di S. Marco nelle
forme ancora oggi ammirabili. I lavori
della fabbrica proseguirono celermente anche sotto il successore del Contarini,
Domenico Selvo, o Silvio, eletto nel 1070. Ben altri problemi, tuttavia,
dovevano richiamare l'attenzione del doge e dell'intera flotta ed esercito
veneziani.
Il pericolo per
Venezia, questa volta, veniva dalle lontane terre del Nord e si chiamava
Normanni. Abili navigatori e coraggiosi
guerrieri, i Normanni, dalle originarie sedi scandinave avevano già da tempo
trovato stabile dimora in vasti territori dell'Europa settentrionale (Russia,
Inghilterra e Francia del nord-Normandia) e poco dopo il mille, il ramo
francese degli Altavilla, era pronto per scendere in Italia. La meta era il sud
dell'Italia dove in precedenza truppe normanne si erano distinte nell'intricato
groviglio di guerre che vedevano scontrarsi Longobardi, Bizantini, Saraceni e
libere città campane.
Ottenuti vari territori quali compensi per i servizi resi
(contea di Aversa e Melfi), solo con le conquiste di Roberto il Guiscardo
(l'Astuto) i Normanni riuscirono ad imporsi quali nuovi Signori del Meridione,
venendo riconosciuti come tali dallo stesso Pontefice Leone IX.
Roberto il Guiscardo ed il fratello Ruggiero presero a
muoversi in due ben precise direzioni di conquista: Puglia e Calabria, ancora
bizantine, e la Sicilia occupata dagli Arabi.
Il Guiscardo occupò così Bari nel 1071 e nel 1077 entrava
invece vittorioso a Salerno. Non soddisfatto, per rendere più sicure le sue
conquiste, il Guiscardo occupò successivamente anche l'Albania, l'Epiro e l'isola
di Malta.
La conquista di Durazzo nel 1082 mise in serio allarme il
governo veneziano che seguiva con crescente preoccupazione l'avanzata
travolgente di questi "pirati" nel sud Italia e nei Balcani, i due
crocevia strategici per i traffici veneziani con Bisanzio che aveva ormai perso
il proprio dominio nella penisola. La
confluenza d'interessi tra Bisanzio e Venezia, portò i Veneziani ad appoggiare
i propositi di rivincita dell'imperatore greco Alessio I Comneno.
Dal 1081 i Veneziani iniziarono così a scontrarsi con i
Normanni. La flotta veneziana era riuscita ad occupare Corfù verso la quale
faceva ora vela la flotta normanna. Nelle
acque dell'isola per ben tre volte vi furono accesi scontri. Ma il terzo
scontro, si dimostrò fatale per i Veneti.
Di quella tragica sconfitta ci resta la preziosa
testimonianza della figlia dell'imperatore bizantino Anna Comnena. Sette delle
grandi navi veneziane, racconta la principessa, vennero affondate e due, forse,
prese all'arrembaggio dal nemico. Nè miglior sorte toccò ai bastimenti più
piccoli posti al centro dello schieramento. Le navi, eccessivamente alleggerite
dei loro carichi e delle loro zavorre al fine di facilitarne gli spostamenti in
mare, nel momento della battaglia si sbilanciarono paurosamente diventando
instabili per alla fine capovolgersi con tutto il loro carico umano. Anna dice
che in questo modo perirono almeno 13.000 veneti mentre 2.700 furono quelli
catturati dai Normanni.
La principessa greca sottolinea anche le terribili torture
alle quali furono sottoposti i prigionieri veneziani ai quali, secondo la
leggenda, il Guiscardo promise salva la vita se avessero accettato di
combattere nelle milizie normanne. Alla proposta del re fece riscontro
naturalmente, l'eroico rifiuto dei marinai veneziani che si rifiutarono di
tradire la propria patria preferendo per
essa morire
Fonte: srs di Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani,
Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA
VENETA, volume 1, SCRIPTA EDIZIONI
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