Dal testo di Francesco Zanotto
"Adagiato fu
quindi l'infelice sur un mobile letto, tratto quando da uomini, e quando da
docili animali, e condotto era alle isole Realtine. Della quale venuta
avvertito il Doge, accorre a tosto mestissimo ad incontrare il quasi morente
fratello, con quella pietà degna del lagrimevole caso, e degna del pari di un
amoroso e stretto parente. Il quale atto, che onora l'uomo, e più se capo di
una nazione, venne dal pittore mostrato nella tavola unita per mettere sotto gli occhi dell'osservatore
... il Principe al suo popolo esempio di pietà ... "
ANNO 881
ANNO 881
Giuseppe Gatteri
Cosa ci racconta il disegno di Gatteri
Inviato a Roma da Papa Giovanni VIII, il
fratello del Doge, Badoario, cade in un agguato tesogli dal conte Marino
feudatario della contea di Comacchio. Il
motivo è da ricercarsi nel timore del conte che Badoario potesse
ricevere l'investitura del feudo. Badoario ferito viene tenuto prigioniero fino a
che, ritenuto ormai morente, viene rispedito a Venezia per evitare
vendette ...
(Nell’illustrazione di Giuseppe Gatteri
Badoario, fratello del doge Giovanni Partecipazio, viene trasportato ferito
gravemente alla sede ducale)
14 - LA SCHEDA STORICA
Prima di morire nell'881, Orso Partecipazio aveva già da
tempo provveduto a dare una sistemazione ai membri della sua numerosa famiglia.
Vittore era stato nominato patriarca di Grado mentre l'altro figlio Giovanni
era stato già da alcuni anni associato al trono ducale. Anche le due figlie
avevano trovato una loro dignitosa collocazione. La prima, Felicita, andando
sposa al duca di Bologna Rodoaldo, mentre la seconda, Giovanna, vestendo
l'abito monastico e diventando badessa del potente monastero di S. Zaccaria.
Alla morte del doge, tuttavia, restava ancora un figlio da
sistemare, il giovane Badoario. Narra la leggenda che il padre avesse comunque
già pensato anche a lui. Sul letto di morte, infatti, Orso si era fatto giurare
dal figlio e successore Giovanni, che avrebbe provveduto al più presto di
procurare al fratello la contea di Comacchio.
Il centro lagunare - compreso tra il corso del Reno e del Po
di Volano -, era un ricco centro dove già da alcuni secoli avevano trovato
rifugio le popolazioni fuggiasche dell'entroterra trovando poi nei commerci e
nell'estrazione del sale, le due principali fonti di ricchezza. Una ricchezza
ben presto impiegata nella costruzione e nel mantenimento di una potente flotta
con la quale nell'809 gli abitanti di Comacchio avevano sconfitto le armate
bizantine e veneziane.
Alla morte del doge Orso, Comacchio, che a fatica si stava
riprendendo dal saccheggio subìto da parte degli Arabi, era governata da un
conte di nome Marino, uomo bellicoso ed irrequieto come gran parte dei suoi
colleghi di Romagna.
Così, alla morte del padre, Giovanni incaricò una missione
di recarsi a Roma presso il pontefice, per chiedere l'investitura per suo
fratello Badoario della contea di Comacchio sulla quale si estendeva anche
l'autorità della sede Apostolica oltre che quella comitale.
La duplicità del governo di queste terre, anzi, provocava
continui e violenti attriti favorendo l'arbitrio delle piccole tirannie locali.
Lo stesso pontefice, infatti si lamenta per i continui gravi danni ed abusi
subiti tanto dagli uomini quanto dalle cose della Chiesa in quelle terre.
Questa situazione di debolezza interna dovuta ai contrasti tra il Pontefice e i
conti locali di Romagna, offriva una buona occasione ai Veneziani per espandere
la loro presenza marittima anche a sud della laguna vera e propria a danno però
degli interessi della stessa Chiesa.
Il ritorno del fratello del Doge gravemente ferito
La notizia delle
mosse e delle aspirazioni veneziane, non poteva certo restare tuttavia segreta
e non giungere alle orecchie del conte Marino. Questi infatti, avutane notizia,
non perse altro tempo e in un'imboscata presso Ravenna assalì la comitiva
veneziana guidata dallo stesso Badoario che invano oppose una coraggiosa
resistenza. L'estremo tentativo di difesa, anzi, gli procurò una grave e
profonda ferita ad una coscia tanto che, trascorsi alcuni giorni e peggiorando
la situazione, lo stesso conte Marino iniziò a preoccuparsi.
Di fronte all'eventualità di un sicuro intervento armato da
parte dei Veneziani se Badoario non fosse stato liberato o peggio, fosse morto,
il conte decise di rispedire in tutta fretta a Venezia il prezioso prigioniero.
Qui lo attendeva impaziente il fratello Giovanni avvertito per tempo
dell'arrivo dell'ormai moribondo congiunto che attese ed accolse a Rialto con
profonda pietà e commozione.
Dopo la morte del fratello, e forse in parte per vendicarla,
Giovanni abbandonava la via diplomatica per passare alle vie di fatto nei
confronti del conte Marino e della "sua" contea. Organizzata la
spedizione, la flotta veneziana piombava fulminea attorno alla città mentre il
conte Marino si asserragliava nel suo castello dove, poco dopo, venne
catturato. Da quella tragica circostanza, di lui non si seppe più niente mentre
Comacchio entrava a far parte dei domini veneziani. Non per molto, tuttavia.
Il pontefice infatti, non poteva certo stare a guardare e
così nè Adriano III nè il suo
successore Stefano V accettarono di investire del comitato comacchiese il duca
veneziano.
"Nullo modo, nullo ingenio et nulla quacumque intentione",
in nessun caso, dunque, scriveva il pontefice nell'886, sarebbe stato concesso
il titolo di conte di Comacchio al doge veneziano. Anzi, all'azione bellica dei
lagunari, venne opposta niente meno che la scomunica, tanto che la "preda"
dovette ben presto essere restituita. I
Veneziani rinunciavano così a Comacchio, ma non certamente alla possibilità e
alla volontà di espansione lungo le coste dell'Adriatico. Il dominio del mare,
del resto, stava diventando a poco a poco il vero miraggio del governo e delle
popolazioni lagunari venete, la nuova frontiera.
Fonte: srs di Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco
Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA
VENETA, volume 1, SCRIPTA EDIZIONI
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