venerdì 8 maggio 2015

STORIA VENETA - 14: 881 - PARTECIPAZIO INCONTRA IL FRATELLO. RILASCIATO ORMAI MORENTE DAL CONTE MARINO



Dal testo di Francesco Zanotto


"Adagiato fu quindi l'infelice sur un mobile letto, tratto quando da uomini, e quando da docili animali, e condotto era alle isole Realtine. Della quale venuta avvertito il Doge, accorre a tosto mestissimo ad incontrare il quasi morente fratello, con quella pietà degna del lagrimevole caso, e degna del pari di un amoroso e stretto parente. Il quale atto, che onora l'uomo, e più se capo di una nazione, venne dal pittore mostrato nella tavola unita  per mettere sotto gli occhi dell'osservatore ... il Principe al suo popolo esempio di pietà ... "


ANNO 881


Giuseppe Gatteri


Cosa ci racconta il disegno di Gatteri


Inviato a Roma da Papa Giovanni VIII, il fratello del Doge, Badoario, cade in un agguato tesogli dal conte Marino feudatario della contea di Comacchio.  Il motivo è da ricercarsi nel timore del conte che Badoario potesse ricevere l'investitura del feudo.  Badoario ferito viene tenuto prigioniero fino a che, ritenuto ormai morente, viene rispedito a Venezia per evitare vendette ...
 (Nell’illustrazione di Giuseppe Gatteri Badoario, fratello del doge Giovanni Partecipazio, viene trasportato ferito gravemente alla sede ducale)



14 - LA SCHEDA STORICA


Prima di morire nell'881, Orso Partecipazio aveva già da tempo provveduto a dare una sistemazione ai membri della sua numerosa famiglia. Vittore era stato nominato patriarca di Grado mentre l'altro figlio Giovanni era stato già da alcuni anni associato al trono ducale. Anche le due figlie avevano trovato una loro dignitosa collocazione. La prima, Felicita, andando sposa al duca di Bologna Rodoaldo, mentre la seconda, Giovanna, vestendo l'abito monastico e diventando badessa del potente monastero di S. Zaccaria.
Alla morte del doge, tuttavia, restava ancora un figlio da sistemare, il giovane Badoario. Narra la leggenda che il padre avesse comunque già pensato anche a lui. Sul letto di morte, infatti, Orso si era fatto giurare dal figlio e successore Giovanni, che avrebbe provveduto al più presto di procurare al fratello la contea di Comacchio.
Il centro lagunare - compreso tra il corso del Reno e del Po di Volano -, era un ricco centro dove già da alcuni secoli avevano trovato rifugio le popolazioni fuggiasche dell'entroterra trovando poi nei commerci e nell'estrazione del sale, le due principali fonti di ricchezza. Una ricchezza ben presto impiegata nella costruzione e nel mantenimento di una potente flotta con la quale nell'809 gli abitanti di Comacchio avevano sconfitto le armate bizantine e veneziane.
Alla morte del doge Orso, Comacchio, che a fatica si stava riprendendo dal saccheggio subìto da parte degli Arabi, era governata da un conte di nome Marino, uomo bellicoso ed irrequieto come gran parte dei suoi colleghi di Romagna.
Così, alla morte del padre, Giovanni incaricò una missione di recarsi a Roma presso il pontefice, per chiedere l'investitura per suo fratello Badoario della contea di Comacchio sulla quale si estendeva anche l'autorità della sede Apostolica oltre che quella comitale.
La duplicità del governo di queste terre, anzi, provocava continui e violenti attriti favorendo l'arbitrio delle piccole tirannie locali. Lo stesso pontefice, infatti si lamenta per i continui gravi danni ed abusi subiti tanto dagli uomini quanto dalle cose della Chiesa in quelle terre. Questa situazione di debolezza interna dovuta ai contrasti tra il Pontefice e i conti locali di Romagna, offriva una buona occasione ai Veneziani per espandere la loro presenza marittima anche a sud della laguna vera e propria a danno però degli interessi della stessa Chiesa.


Il ritorno del fratello del Doge gravemente ferito


 La notizia delle mosse e delle aspirazioni veneziane, non poteva certo restare tuttavia segreta e non giungere alle orecchie del conte Marino. Questi infatti, avutane notizia, non perse altro tempo e in un'imboscata presso Ravenna assalì la comitiva veneziana guidata dallo stesso Badoario che invano oppose una coraggiosa resistenza. L'estremo tentativo di difesa, anzi, gli procurò una grave e profonda ferita ad una coscia tanto che, trascorsi alcuni giorni e peggiorando la situazione, lo stesso conte Marino iniziò a preoccuparsi.  
Di fronte all'eventualità di un sicuro intervento armato da parte dei Veneziani se Badoario non fosse stato liberato o peggio, fosse morto, il conte decise di rispedire in tutta fretta a Venezia il prezioso prigioniero. Qui lo attendeva impaziente il fratello Giovanni avvertito per tempo dell'arrivo dell'ormai moribondo congiunto che attese ed accolse a Rialto con profonda pietà e commozione.
Dopo la morte del fratello, e forse in parte per vendicarla, Giovanni abbandonava la via diplomatica per passare alle vie di fatto nei confronti del conte Marino e della "sua" contea. Organizzata la spedizione, la flotta veneziana piombava fulminea attorno alla città mentre il conte Marino si asserragliava nel suo castello dove, poco dopo, venne catturato. Da quella tragica circostanza, di lui non si seppe più niente mentre Comacchio entrava a far parte dei domini veneziani. Non per molto, tuttavia.
Il pontefice infatti, non poteva certo stare a guardare e così nè Adriano III nè il suo successore Stefano V accettarono di investire del comitato comacchiese il duca veneziano.
"Nullo modo, nullo ingenio et nulla quacumque intentione", in nessun caso, dunque, scriveva il pontefice nell'886, sarebbe stato concesso il titolo di conte di Comacchio al doge veneziano. Anzi, all'azione bellica dei lagunari, venne opposta niente meno che la scomunica, tanto che la "preda" dovette ben presto essere restituita.  I Veneziani rinunciavano così a Comacchio, ma non certamente alla possibilità e alla volontà di espansione lungo le coste dell'Adriatico. Il dominio del mare, del resto, stava diventando a poco a poco il vero miraggio del governo e delle popolazioni lagunari venete, la nuova frontiera.


Fonte: srs di Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA,  volume  1, SCRIPTA EDIZIONI




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