Dal testo di Francesco Zanotto
"Nel fervor della
pugna il doge venerando, armato di tutto punto stava sul ponte della sua galea,
con in pugno il vessillo di San Marco, e da colà eccitava i suoi alla vittoria,
ed or pregava ed or minacciava i remiganti, volendo che il portassero a terra.
Ed essi se lo presero in collo recandolo in sulla spiaggia. In quel punto tutte
le navi, come fossero una sola, si avvicinano al lido, gettano i loro ponti sui
ripari della città; i combattenti si contendono l'aria, più che il terreno,
petto a petto, colle lancie e colle spade ... "
ANNO 1203
Giuseppe Gatteri
Cosa ci racconta
il disegno di Gatteri.
Per Venezia la
Quarta Crociata si rivela una vera manna: dopo la riconquista della città
dalmata è la volta della
capitale di quello che resta di un grande impero. Il Doge Dandolo segue con efficacia gli
attacchi delle truppe di terra alleate e
di quelle montate sui navigli della repubblica. Naturalmente l'esito è scontato,
troppo impari il rapporto di forze ...
31 - LA SCHEDA STORICA
All'inizio del 1203
giunse a Zara dove si trovavano i crociati, una lettera per il marchese
Bonifacio di Monferrato. La lettera era firmata dal re di Germania Filippo di
Svevia, figlio del Barbarossa e fratello del defunto imperatore Enrico VI. A
queste relazioni parentali che facevano di Filippo uno degli aspiranti al trono
imperiale, si aggiungeva il fatto di essere anche il genero del deposto
imperatore bizantino Isacco il cui figlio Alessio, fuggito dalle prigioni
costantinopolitane, aveva trovato naturale rifugio proprio presso la corte di
Filippo. Da qui partiva dunque la lettera diretta ai crociati.
Nella missiva Alessio prometteva l'impegno militare
bizantino nella riconquista della Terra Santa se i crociati lo avessero aiutato
a riconquistare il trono per sè e per suo padre, cacciando lo zio usurpatore
Alessio III. Per avere
poi anche il consenso del papa, Alessio prometteva che, una volta sul trono,
avrebbe sancito l'unificazione delle due chiese, d'Oriente e d'Occidente,
divise a seguito dello scisma del 1054, con il riconoscimento della supremazia
del pontefice romano.
Quando la proposta venne resa nota al vecchio doge dal
marchese Bonifacio, questi sfondava praticamente una porta aperta. Già da anni
i rapporti con Bisanzio infatti, si erano incrinati e deteriorati ed il nuovo
imperatore-usurpatore aveva frapposto non poche difficoltà per il rinnovo delle
concessioni commerciali ai Veneziani.
Riportare sul trono un imperatore che si legava in questo
modo a filo doppio all'Occidente, significava per Venezia recuperare il monopolio
nei mercati orientali. Non tutti si dimostrarono entusiasti della nuova
proposta, e se ne andarono, ma la maggioranza si lasciò abbagliare dall'idea di
una Cristianità finalmente riunita e dalla paventata possibilità di rafforzare
militarmente la crociata.
Il pontefice stesso non poteva non lasciarsi sedurre da una
simile prospettiva e malgrado la scomunica che ancora pendeva sui Veneziani per
la guerra contro Zara, fece arrivare infine il seppur non entusiastico
"ni" del legato pontificio all'impresa. In fondo i Bizantini in
quanto scismatici, non potevano che ritenersi alla stregua degli infedeli
musulmani.
E così, i primi di maggio, la flotta salpò da Zara alla
volta di Costantinopoli portando con sè l'imperatore Alessio IV. Il 24 di quello stesso mese le navi
crociato-veneziane, giungevano in vista della città. Era una giornata limpida e
ventilata, così narrano le fonti, vigilia di Pentecoste, quando le navi, le
galee, i vascelli e le navi dei mercanti che le seguivano, piegarono le vele
davanti ad uno spettacolo strabiliante.
Una cinta di altissime mura e di robusti bastioni cingeva il
cuore di una delle più belle e ricche città d'Oriente. Sulle alte mura, intanto
si andavano radunando gli abitanti, attoniti di fronte a tanto spiegamento di
forze di cui, evidentemente sfuggiva il segreto intento, tant'è che neppure
l'usurpatore Alessio III aveva approntato una qualche difesa. Anche i primi,
non convinti tentativi di fermare i crociati presso Calcedonia e Galata, erano
miseramente falliti ed il dispositivo di apertura e chiusura dell'imbocco del
Bosforo era caduto in mano crociata.
Alla notizia dell'avanzata i Bizantini si resero
improvvisamente conto del pericolo che incombeva sulla loro città, una città
che per novecento anni non era mai caduta in mano nemica. Per allestire
un'efficace difesa era tuttavia ormai troppo tardi. Il mattino del 17 luglio
del 1203, Bisanzio veniva assalita contemporaneamente da terra e dal mare.
Inizialmente l'esercito franco venne respinto dai contingenti danesi ed inglesi
che da almeno due secoli costituivano il corpo speciale della guardia
imperiale. Furono i Veneziani con il loro deciso e decisivo intervento dal mare
a ribaltare le sorti della spedizione. I Veneziani certo, ma specialmente il vecchio
quanto coraggioso doge Enrico Dandolo.
I marinai veneziani erano infatti alquanto riluttanti ad
arrivare sino alla riva e ad effettuare lo sbarco che avrebbe implicato uno
scontro corpo a corpo coi Bizantini.
Allora, l'anziano doge " ... salì ritto sulla prua della sua
galea armato di tutto punto e con il vessillo di S. Marco davanti a sè gridando
ai suoi uomini di portare le navi sulla riva se avevano cara la vita ...
". E così fu.
Dopo poche ore, nel bel mezzo della battaglia, il doge
poteva informare i suoi alleati franchi che ben 25 torri delle mura erano già
state conquistate grazie anche a delle ingegnose piattaforme pensili costruite
tra i pennoni delle navi che portavano gli uomini alla medesima altezza delle
mura così più facilmente abbordabili. L'attacco, intanto, veniva coperto da un
fuoco di frecce e di pietre.
La città dopo un brevissimo assedio, veniva così
conquistata. Alessio III, l'usurpatore era nel frattempo ignobilmente fuggito
dal Palazzo imperiale e dalla città. Sul trono di Costantinopoli, come dai
patti sottoscritti, saliva il giovane Alessio IV e ritornava con lui anche il
vecchio Isacco mentre l'unione delle due chiese veniva solennemente proclamata.
Agli eserciti crociati venne chiesta dal giovane imperatore
di svernare a Costantinopoli mentre garantiva il suo aiuto per la conquista
della Terra Santa. Una tappa così lunga non rientrava certo nei piani dei
Veneziani e tanto meno dei crociati.
Le spese per il mantenimento di una flotta e di un esercito
inattivi sarebbe stata senz'altro eccessiva, ma evidentemente l'imperatore
aveva bisogno della loro presenza. Ripristinato sul trono dai Latini, non
doveva certo essere molto amato dalla sua gente dal momento che questo suo
gesto aveva portato un esercito, mal tollerato e sentito come straniero, nel
cuore dell'impero.
Alla fine i crociati decisero di restare. Più che i
crociati, probabilmente, furono i Veneziani a prendere una tale decisione. Una
decisione che, se per il momento si dimostrava indispensabile all'imperatore
per consolidare la sua posizione, doveva ben presto dimostrarsi un tragico,
fatale errore per sé e per il suo Impero.
Fonte: srs di Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani,
Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA
VENETA, volume 1, SCRIPTA EDIZION
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