Le solite balle di Padoan
sulla ripresa italiana
di FRANCESCO SIMONCELLI*
Dopo aver presentato la traduzione
di un discorso della Yellen, mi sembrava opportuno fornire anche una
traduzione delle parole che il nostro Ministro delle Finanze ha
pronunciato di recente in seguito ai dati raccapriccianti fatti
registrare dalla nostra economia.
L’Italia continua a viaggiare in un limbo, a cavallo
di una recessione costante che sta esigendo dalla popolazione un prezzo alto da
pagare. Per sua volontà? No di certo. Il deleveraging delle bolle degli anni
passati è stato forzato interamente sul settore privato, ovvero, sui
contribuenti, lasciando intatte quelle realtà che invece dovevano essere
liquidate.
Banche commerciali, aziende privilegiate, amministrazioni
pubbliche, tutti questi dovevano essere lasciati fallire a seguito del caos
scoppiato nel 2010. Invece è stata iniettata vita artificiale nelle loro vene,
consentendoli di rimanere in partita e consumando progressivamente risorse che
invece (molto probabilmente) sarebbero andate a finanziare realtà sostitutive
in grado di permettere una ripresa fisiologica dagli eccessi passati.
I Paesi più fiscalmente responsabili hanno preteso che
quelli più fiscalmente irresponsabili gravassero le loro popolazioni col
pesante fardello di ripagare gli errori fatti da altri, ovvero, i dirigenti
politici. Nei periodi di momentanea stabilità è andata così, mentre in quelli
più turbolenti c’hanno pensato i contribuenti di quei Paesi più fiscalmente
responsabili. Apprendiamo una lezione qui: il bancomat degli Stati sono i
contribuenti. Questo almeno finché il bacino dei risparmi reali è in crescita.
Una volta che diventa stagnante, o peggio cala, questa
illusione sbiadisce lasciando solo un mucchio di conti da pagare impossibili da
saldare. Le ultime
esternazioni di Draghi, infatti, rappresentano la volontà
pianificatrice di accentrare ulteriormente le attività del mercato facendo
convergere il più possibile sempre più risorse nelle mani della pianificazione
centrale. Ogni scostamento dai piani dei dirigenti politici rappresenta un voto
contrario alla loro strategia. Non possono permettere un tale accumulo.
Allora agiscono per rendersi “indispensabili”, portatori
di luce in un mondo colmo di tenebra. La loro mente, la loro strategia, la
loro onniscenza, è tutto quello che serve gli individui per ritrovare la giusta
strada da percorrere. Ci serve crescita. Che tipo? Una crescita. Peccato che il
meccanismo di trasmissione attraverso il quale fluiva il credito è praticamente
rotto. Le famiglie e le imprese hanno raggiunto un picco nell’indebitamento
privato.
Non possono andare avanti così. L’unica crescita che
importa alla banca centrale è questa. Altrimenti, se il mercato fosse lasciato
indirizzare la propria crescita (se davvero fosse necessaria), a che
servirebbero gli economisti? Le ultime vicende però stanno sottolineando come
queste figure, presumibilmente professionali, altro non sono che stregoni in
cerca di visibilità. Non sanno quello che fanno perché hanno deturpato
irrimediabilmente l’ambiente economico.
Il quarto anno consecutivo di tassi di interesse
ultra-bassi è stato il catalizzatore della loro cecità totale. Il mercato è
un enigma per loro. Soprattutto il lungo termine. Per il momento ancora
riescono a gestire il breve termine, ma questo lasso di tempo si stringerà
ancora di più mentre continueranno ad armeggiare con i cosiddetti strumenti non
convenzionali. Passeremo, quindi, al brevissimo termine. E poi? Poi accadrà
quello che doveva accadere all’Italia alla fine degli anni ’90: default.
Ma il Ministro Padoan rifiuta di vedere la situazione per
quella che è. Per dovere istituzionale? Forse. In realtà per un motivo
specifico: è keynesiano. Per lui rinunciare ad una visione centralizzata
dell’economia è qualcosa di impossibile, tutta la sua vita accademica è stata
scandita da questo mantra ed ora che viene messo alla prova si rifiuta di
accettare il risultato. Il keynesismo è in bancarotta.
E’ una bancarotta intellettuale. Lo è sempre stato,
ma così come per gli schemi di Ponzi, i suoi aderenti si sono sempre rifiutati
di accettare questa realtà. Ne pagheranno le conseguenze.
MINISTRO PADOAN È UN
PO’ DI TEMPO CHE LA SENTIAMO RIPETERE CHE L’ECONOMIA È FERMA, NON SI RIPRENDE.
CHE FA: SI ISCRIVE ANCHE LEI AL PARTITO DEI GUFI?
No, non mi iscrivo a
nessun partito dei gufi, sono sempre stato iscritto al partito dei realisti e
qui resto. I dati dell’economia anche più recenti confermano un’economia che
stenta a uscire dalla recessione. Rimango, però, convinto che esistano segnali
positivi che andranno apprezzandosi nei prossimi trimestri e nei prossimi anni.
Parlo del 2015 e del 2016. E dico questo non per una banalità contabile, ma
perché è importante mantenere una prospettiva di medio periodo e i primi atti
del governo Renzi sono, per me, tutti orientati a un obiettivo: realizzare
politiche con impatto duraturo e crescente nel lungo termine.
Traduzione: “L’ottimismo dei dati era un trucco statistico per tenere
buoni gli sciocchi che ancora credono in una salvezza attraverso lo Stato.
Stiamo guadagnando tempo. Non sappiamo dove siamo diretti, perché non abbiamo
idea di cosa stiamo facendo. Al momento ci limitiamo a rimpinzare i conti
pubblici con denaro proveniente dai contribuenti. E’ una strategia che per il
momento tiene in piedi la baracca. Finché funziona, continueremo ad adottarla.
Quando non funzionerà più ci inventeremo qualcos’altro da far ingurgitare alla
popolazione. Perché sarà la popolazione che ingoierà sempre il boccone amaro.”
Non ho capito: è vero
o no che l’economia sta andando male, male, non è ferma, addirittura in
recessione?
I dati negativi che ci
arrivano dall’Istat riguardano, soprattutto, gli investimenti mentre, invece, i
dati su consumi e esportazioni sono moderatamente positivi. Questo fa sperare
bene sul recupero di fiducia delle famiglie e conferma che c’è una fase di
uscita dalla recessione che è molto faticosa perché la recessione è davvero
profonda. Non dimentichiamoci che il 2013 ha chiuso con un risultato finale di
meno 1,9.
Traduzione: “Se gli
imprenditori sono tassati a morte, come pretendere che possano investire? Non
possono infatti, quindi le loro attività rimangono al palo. Nel frattempo
vengono distrutte anche quelle di coloro che non riescono più a tenere il passo
con la tassazione selvaggia e la burocrazia opprimente. Fortunatamente l’euro è
in condizioni meno pietose rispetto alle altre valute del mondo, quindi le
importazioni ci costano meno. Ma stiamo lavorando anche su questo aspetto,
tirando per la giacchetta Draghi affinché adotti una visione mercantilista
sotto steroidi dell’economia.”
Il presidente della
Confcommercio, Carlo Sangalli, ha detto che l’effetto degli 80 euro è «quasi
invisibile». Renzi ha risposto che la ripresa è come l’estate: prima o poi
arriva. Si è mai pentito di avere iniziato dal bonus Irpef e non dall’Irap?
No, non mi sono mai
pentito, naturalmente avrei voluto avere a disposizione risorse per fare di
più, ma è importante del bonus Irpef ricordare due cose. La prima: riguarda 11
milioni di persone. La seconda: sarà permanente. Questo è importante perché le
famiglie devono avere più risorse e più fiducia per fare sì che queste risorse
vengano spese.
Traduzione: “Se avessi
potuto, non avrei esitato a spendere a deficit come se non ci fosse stato un
domani. Sono un keynesiano. Per questo penso che uno stimolo fiscale, in
mancanza di uno monetario, possa salvare le sorti dell’Italia. E’ la domanda
che crea l’offerta, quindi abbiamo dato qualche spicciolo agli italiani
affinché abbellissero i numeri del PIL. Non ha funzionato. Hanno aumentato i loro
saldi di cassa. Ci riproveremo l’anno prossimo. Forse.”
Quanto dell’aumento
record della Tasi, da un capo all’altro del Paese, è dovuto indirettamente
alla copertura del bonus Irpef?
L’aumento della Tasi è
slegato da coperture del bonus, ha a che fare con politiche fiscali del governo
precedente che noi abbiamo ereditato.
Traduzione: “Non guardate
noi. Siamo semplicemente gli esecutori materiali di decisioni che vengono prese
al di sopra delle nostre teste. Noi siamo le facce che appaiono in TV per
tenere buona la popolazione. Ho tre parole per voi: ragioneria di Stato. Noi ci
adeguiamo. Certo, abbiamo promesso un cambiamento, una svolta rispetto alla
rotta precedente. Infatti abbiamo già messo nel DEF un aumento progressivo
delle spese e della tassazione. Troveremo le risorse, le elargiremo e ce le
riprenderemo in tanti modi fantasiosi. Il governo precedente, infatti, non
aveva fantasia.”
Insisto: se i Comuni
non sono in grado di fare i tagli richiesti, non crede che seguano la
scorciatoia di aumentare la Tasi e, quindi, mettano una parte del bonus sul
conto a carico dei contribuenti?
Questa è una scelta
successiva, i Comuni hanno a disposizione questo strumento, ma certo il Governo
Renzi non vuole utilizzare la Tasi per finanziare il bonus.
Traduzione: “I Comuni sono
liberi di far fluttuare a loro piacimento i livelli delle aliquote della Tasi.
Non interferiremo. Ci limiteremo ad aumentare progressivamente le accise.
Abbiamo fantasia.”
Se la crescita è zero
o addirittura negativa e non 0,8, la strada che ci separa dal 3% di deficit/pil
si stringe pericolosamente. Sarà larga a sufficienza per evitare una manovra in
autunno?
Il 3% nel 2014, e
anche nel 2015, non sarà superato. Non ci sarà bisogno di una manovra
aggiuntiva.
Traduzione: “Noi abbiamo
fatto la nostra parte, non possiamo giocarci definitivamente l’elettorato.
Avremmo potuto ottenere più consensi con un deficit maggiore, ma non dipende da
noi. Adesso ci sono telefonate che arrivano dall’alto. Ci adeguiamo. Adesso
aspettiamo che sia la BCE a fare la sua parte.”
Sia sincero,
ministro: premesso che il Paese non è in grado di sopportare un’altra manovra,
come fa con questi numeri a essere così sicuro di poterla evitare?
In base alle
informazioni che ho adesso e alle previsioni che abbiamo aggiornato con le
nuove informazioni Istat, ribadisco quello che ho appena detto.
Traduzione: “La statistica ci offre un ampio margine
di manovra. Per anni abbiamo ingannato i polli. Lo
stiamo facendo anche col presunto deficit al 3%. Come disse
anche Juncker qualche tempo fa: ‘Quando le cose si fanno serie, bisogna
mentire.’ Ci adeguiamo.”
Nel Def di aprile è
scritto che, con la legge di stabilità, si devono fare 15 miliardi di tagli
della spesa. Si possono conseguire tagli selettivi per un importo così
rilevante in un tempo così breve? Non sarà che alla fine arriverà, come sempre,
la doppia scure dei tagli lineari e di nuove tasse?
I tagli buoni e giusti
si possono fare e il Governo farà di tutto per evitare l’applicazione di misure
di salvaguardia come sono quelle dei tagli lineari o nuove tasse. Io penso che
si possano fare.
Traduzione: “Verranno
tagliate alcune voci di spese future, ma non siamo così sciocchi da diminuire
la spesa nel suo totale. Infatti la spesa corrente è passata dai €730.2
miliardi nel 2010 ai €749.5 miliardi di oggi. L’apparato statale ottiene
consensi attraverso la spesa. L’apparato statale sopravvive attraverso la
tassazione. Non ne può fare a meno. Saremo cauti, non vogliamo perdere la
nostra base di privilegi. Terremo duro finché la BCE non si deciderà ad
intervenire sul serio.”
Come la mettiamo con
Bruxelles che ci ha, di fatto, negato il rinvio del pareggio di bilancio dal
2015 al 2016 e, anzi, ci ha chiesto sforzi aggiuntivi già da quest’anno. Chi
glielo dice a Renzi? Lei ci riesce?
Renzi lo sa benissimo
e sicuramente il quadro macroeconomico che si sta delineando in questi mesi e
in queste settimane è molto più deteriorato di quello di qualche settimana fa
e, naturalmente, l’obiettivo di riequilibri strutturali tiene conto
dell’andamento del ciclo. L’Italia stenta a uscire dalla crisi perché ha
accumulato ostacoli strutturali. Per riprendere a crescere non ci sono
scorciatoie: dobbiamo rimuovere quegli ostacoli con riforme strutturali.
Traduzione: “Il mercato
spinge ancora per una recessione perché nessuno degli errori del passato è
stato risolto, quindi le azioni degli individui sono direzionate verso un
risanamento di quelle parti deteriorate. Purtroppo quelle parti deteriorate
rappresentano lo zoccolo duro sul quale fondiamo la nostra sopravvivenza. Pensate a Monte dei Paschi. Le banche
commerciali sono quelle che fino a questo momento hanno sostenuto attivamente
l’indebitamento dello Stato, permettendo a voi tutti di non dover sopportare
ulteriori aumenti delle tasse. Questo è un impasse dal quale non esiste via
d’uscita. E’ per questo che continuiamo a parlare di ‘riforme strutturali’, ma
siamo rimasti per lo più con le mani in mano.”
A febbraio avevate
fatto una scommessa: facciamo le riforme, otteniamo la flessibilità in Europa,
abbiamo una crescita del pil e tutto si sistema. La flessibilità europea è in alto
mare, i falchi del Nord ci guardano con sospetto, mi spiega perchè avete dato
la precedenza alle riforme istituzionali rispetto a quelle del fisco, del
lavoro e della macchina dello Stato?
Le riforme strutturali
sono la caratteristica fondamentale della strategia del governo. Tra le riforme
è fondamentale includere le riforme istituzionali anche perchè queste hanno un
impatto molto importante sul funzionamento dell’economia e cito due ragioni
evidenti. La prima: la semplificazione del processo legislativo. La seconda: la
certezza della durata dei governi. Questi due fattori sono estremamente
importanti per stabilizzare la fiducia e le aspettative di imprese, famiglie e
investitori internazionali. Naturalmente le altre riforme sono altrettanto
importanti.
Traduzione: “Stiamo semplicemente cercando di
guadagnare tempo in attesa di un qualche miracolo da parte della BCE. Quindi
cercheremo prima di concentrarci sulle questioni ai margini.”
Altrettanto o, forse,
anche di più vista la delicatezza dell’economia del momento?
Altrettanto. Penso
alla riforma del mercato del lavoro, della pubblica amministrazione e alla
riforma fiscale. Sono queste le scelte che migliorano la competitività e la
crescita del Paese nel medio lungo periodo.
Traduzione: “Cerchiamo di tenere ben vivo il mito della salvezza
attraverso lo Stato. Come stiamo andando?”
E qui come siamo
messi, non mi pare proprio che siamo messi bene?
Siamo messi che molte
di queste riforme sono in via di realizzazione, come nel caso della delega
fiscale, e altre saranno approvate presto dal Parlamento, l’implementazione sta
cominciando, per vederne i benefici reali in un orizzonte di medio periodo.
Traduzione: “Stiamo facendo
i salti mortali per far finta di concentrarci su questioni di vitale
importanza, mentre invece sono di poco conto in vista di una ripresa economica.
Cosa pretendete? Misure di laissez-faire? Su queste cose non si scherza.
Abbiamo scherzato su una presunta ripresa quest’anno, così come l’anno prima
ancora, e l’anno prima ancora, ma adesso basta burle. Prevediamo una ripresa l’anno prossimo. E se
non arriverà? Ci adegueremo così come abbiamo fatto fino ad ora e ripareremo
ancora una volta nella statistica.”
La situazione
dell’economia reale è sotto gli occhi di tutti, non migliora, si può dire
ottimisticamente che è ferma, in realtà peggiora. Questa situazione lei la
conosce molto bene. Non crede che sia necessario fare subito un fischio di fine
partita per iniziarne un’altra? Che cosa impedisce di fare partire subito tutto
ciò che è cantierabile e varare un bel credito d’imposta per ricerca e
innovazione, evitare di promettere ciò che non si può dare (vedi pensioni agli
insegnanti) e fare invece sul serio su privatizzazioni e lavoro?
Alcune misure già
indicate sono state già approvate con il decreto competitività, quelle del
cosiddetto sblocca-Italia sono già state presentate nelle linee-guida e saranno
approvate con il Consiglio dei ministri di fine agosto. Per quanto riguarda le
misure come quelle relative alla “quota 96″, come è noto, sono state ritirate
dal governo e saranno affrontate in modo organico nei prossimi mesi.
Traduzione: “E’ vero, abbiamo promesso di approvare
una riforma ogni mese. Ma non prendetevela con me se non ne siamo stati capaci,
era lo slogan di Renzi. Pensate a me come Oliver Hardy che dice a Stan Laurel
(Renzi): ‘Ecco un altro bel pasticcio in cui ci hai cacciato.’”
Dove è finita la
spending review? Resterà Cottarelli? Anche per lei farne a meno non è così
grave?
La spending review è
viva e vegeta, continua e viene introitata nel lavoro dei ministeri.
Sicuramente sarà un elemento importante della costruzione della legge di
stabilità del 2015. Su Cottarelli posso dire che ho la massima stima e
apprezzamento del suo lavoro.
Traduzione: “Abbiamo creato questa figura ad hoc, con il solito annuncio
sensazionalistico, con il solo scopo di tenere buoni gli elettori. Ci avete
creduto anche stavolta. Buon per noi. Ricordate il cosiddetto “Libro Verde” di
Padoa Schioppa? Nulla di fatto. E la dichiarazione di Piero Giarda di “portare
alla luce le inefficienze”? Nulla di fatto. E che dire di Enrico Bondi? Nulla
di fatto. Perché pensate che con Cottarelli sarà diverso?”
Debito/pil: i numeri
reali e il rapporto percentuale tra i due, con le stime disponibili, sono
impressionanti e appaiono destinati a crescere ancora in termini assoluti e
percentuali. Con le privatizzazioni si era ipotizzato di realizzare uno 0,7% di
pil per 10/12 miliardi, ma tutto appare sostanzialmente fermo. Lei crede nel
Fondo immobiliare con i beni dello Stato che tagli dalla sera alla mattina di
qualche centinaio di miliardi le esposizioni o in un intervento della Cassa
Depositi e Prestiti che acquisti e scambi titoli di Stato con titoli della
Cassa garantiti da propri asset o crede che sia puttosto da perseguire la via maestra
delle privatizzazioni a partire dalla giungla delle municipalizzate controllate
dagli enti locali?
Il processo di
privatizzazioni va avanti. Come tutti sanno un processo serio di
privatizzazioni che mira a valorizzare le aziende del patrimonio pubblico
richiede un po’ di tempo perchè coinvolge non solo le imprese già sul mercato,
ma anche altri asset che richiedono un lavoro preliminare come le
municipalizzate e il patrimonio immobiliare. Sulle proposte citate, posso dire
che in giro ce ne sono varie e mi sembra che il punto di partenza di misure di
questo tipo sia quello di avere un patrimonio da valorizzare: chiarite le idee
su questo, gli strumenti che si possono immaginare sono diversi.
Traduzione: “Siamo alla
ricerca dei prossimi polli in grado di sostenere attività palesemente in
bancarotta. Non abbiamo nessuna intenzione di privarci dei nostri bacini
clientelari, quindi aspetteremo le persone “giuste” da mettere ai
“posti giusti”. Non abbiamo nessuna intenzione di liberarci delle nostre fonti alternative di finanziamento. Da
queste parti le cose sono sempre andate così. Noi siamo in carica, quindi siamo
meglio equipaggiati per dcidere cosa sia meglio per la popolazione.”
Ha una preferenza?
Guardi, non ho una
preferenza, sono aperto a varie ipotesi che stiamo esaminando, ma qual è il
patrimonio di cui parliamo? Che cosa spinge a immaginare che sia marketable
così come è un patrimonio che invece richiederebbe lavori di riqualificazione
importanti e onerosi? La via delle privatizzazioni è quella che stiamo seguendo
con maggiore determinazione: stiamo parlando di Poste, di Enav, di Ferrovie
dello Stato. Comunque, sia chiaro: la via maestra per ridurre il debito è una
sola: la crescita.
Traduzione: “Stiamo
temporeggiando. Siamo in attesa che la BCE infine si decida ed apra i rubinetti
del credito. La CdP e le banche commerciali non possono tenere duro per sempre.
Queste ultime sono tanto disperate da dover ripagare i vecchi debiti con nuovi
prestiti. Abbiamo bisogno di una nuova bolla.”
Dopo gli interventi
in Fiat, Eni e Enel, Pechino è al 2% anche in Telecom, ma poi si scopre che
Telefonica ci sta lasciando e tenta di prendersi il piatto più prelibato in
Sudamerica. Ministro, ci spiega che cosa sta succedendo?
Telecom è un’impresa
privata e, quindi, non entro nel merito di queste vicende proprio perché si
tratta di imprese private. Voglio, però, aggiungere che stiamo osservando un
interessamento crescente e concreto dei cinesi nei confronti del nostro Paese e
le notizie di investimenti degli ultimi giorni confermano, con i fatti, i
segnali positivi che ho raccolto in Cina appena dieci giorni fa. Si tratta di
un Paese nel quale le decisioni di investimento sono sempre di lungo termine.
La Cina vuole investire in Italia non con la logica del mordi e fuggi e ciò non
mi pare poco. Questo mostra come sia possibile accrescere l’investimento nel
nostro Paese.
Traduzione: “Quando dico
‘impresa privata’, intendo impresa data in concessione a persone di nostra
fiducia. Non ci si è mai preoccupati di lasciar uscire definitivamente lo Stato
dalla compagnia telefonica. Abbiamo permesso alle nostre persone di fiducia di
godere del monopolio della rete fissa. Salvo poi parlare di ‘scorporo’ qualora
ci fosse stato un qualche investitore estero che avesse voluto comprare
l’azienda. In questo modo ci riserviamo il diritto di decidere chi far rimanere
ai “posti giusti” in modo da poter ancora interferire col mercato e tutelare i
nostri interessi e quelli dei nostri clienti. Sono questi gli interessi che ci
fanno astenere dal vendere entità come Eni, Enel, Finmeccanica, Rai, CdP, ecc.”
Tra veti sindacali,
perplessità di Caio, tavoli e tavolini che non portano da nessuna parte, non
c’è il rischio che nella vicenda Alitalia sia Etihad ad accusarci di un eccesso
di bizantinismi?
Io sono molto
fiducioso sia sul fatto che l’accordo, certo faticoso e laborioso, si concluda
positivamente e credo anche che sarà una scelta molto positiva per il Paese.
Traduzione: “Quando dico
‘faticoso e laborioso’ intendo per le tasche del contribuente. Sin da quando è
nata Alitalia ha goduto di sussidi di vario genere, perché essendo un’azienda
sponsorizzata dallo Stato, non ha mai saputo stare sul mercato in modo
autonomo. E infine si è rivelata per quello che era: un investimento improduttivo.
Siamo disposti a venderla, anche se dovessimo pagare noi chi se la compra.
Quando dico che si ‘concluda positivamente’, intendo che abbiamo pagato
affinché finisca così. Anzi, voi avete pagato in realtà. Pensate al rincaro dei
biglietti per mantenere i cassaintegrati. Pensate ai soldi sganciati dalle
Poste. Ricordate: voi siete la garanzia dietro ogni nostra azione
sconsiderata.”
Abbiamo parlato poco
del mondo e invece il mondo è scosso da focolai di crisi come non mai:
Russia-Ucraina. Israele-Palestina, Siria, Iraq e, soprattutto, almeno per noi,
Libia. La Russia ha azzerato la crescita, la Cina dichiara (non mancano dubbi)
di essere sopra il 7%, forse gli Stati Uniti sono la vera nota positiva. Ciò
che più inquieta, però, è la frenata tedesca che rischia di coincidere con la
frenata europea. Che cosa può e deve fare la Germania per rilanciare la sua
domanda interna e la crescita e, ancora più importante, se la locomotiva
europea non riparte, noi da soli che cosa possiamo fare?
L’Italia come presidente
di turno dell’Unione europea ha posto crescita e occupazione al centro
dell’agenda. Tutti i Paesi hanno condiviso che questa debba essere la nuova
priorità dell’Europa e, per concretizzarla, abbiamo indicato una strategia
basata su tre pilastri: riforme strutturali, investimenti e maggiore
integrazione, sia del mercato interno sia con i mercati globali. In questo
quadro tutti i Paesi devono fare la loro parte anche quelli più forti.
Traduzione: “I banchieri
centrali alla BCE stanno guadagnando tempo perché non hanno idea di cosa fare.
Hanno manipolato il mercato a tal punto da dover vivere alla giornata per
cercare di trasmettere quell’aura di autorità alle persone. Noi ci adeguiamo.
Ma potete contare sul mio ottimismo per il futuro.”
Ha ragione il
governatore della Bundesbank, Jens Weidmann, quando sostiene che la Germania
deve aumentare i suoi salari per rilanciare i consumi interni?
Sicuramente sì, anche
se detta da lui questa affermazione appare come un’idea un po’ tardiva.
Che cosa deve fare,
allora, la Germania?
Ad esempio,
liberalizzare il suo settore dei servizi e accrescere il suo investimento, ne
ha forte bisogno.
Traduzione: “Siamo sulla
stessa barca. La Germania deve spendere a deficit e salvare gli spendaccioni.
Tutti i contribuenti di ogni Paese sono la garanzia collaterale delle
sconsideratezze dei governi che li rappresentano, e la Germania non fa
eccezione. Ma l’elettore tedesco tende a mettere i bastoni tra le ruote al
governo tedesco. Resiste. La Merkel dovrà sudare sette camice per far
ingurgitare la parte di boccone amaro al contribuente tedesco. Condivideranno
con noi la loro giusta dose di dolore economico; non siamo gli unici ad avere guai finanziari.
Sebbene la Merkel dica con la bocca ‘No, no’, con gli occhi ha sempre detto
‘Sì, sì’.
Ci sarà in autunno
una ripresa della locomotiva tedesca a cui agganciare il treno indebitato
dell’Italia? Vede all’orizzonte una possibilità che questo treno riparta?
Io credo che in tutti
i Paesi dell’Europa si sta facendo strada la convinzione di mettere in pratica
misure di sostegno alla crescita. Nella riunione dell’Ecofin di settembre
dedicheremo molta attenzione a misure concrete di sostegno agli investimenti.
Bisogna guardare avanti, i mille giorni sono una cosa concreta. I mercati
continuano ad avere un atteggiamento positivo nei confronti dell’Italia e si
aspettano la crescita. Ma sta al governo dimostrare di sapere attivare la
crescita.
Traduzione: “I mercati
stanno facendo call al bluff di Draghi. Si aspettano da un momento all’altro un
quantitative easing vero e proprio. Non sono interessati a misure timide. Finora non hanno risolto alcun
problema di base alla crisi europea. I bilanci delle banche commerciali europee
sono un disastro, le condizioni finanziarie degli Stati europei stanno marcendo
lentamente. Abbiamo bisogno di inflazionismo. Abbiamo bisogno dell’euforia dei
primi 10 anni di vita dell’euro. Ovviamente nel lungo periodo non è sostenibile
una cosa del genere, ma ci aiuterà a cavarcela nel frattempo. Alle conseguenze
ci penseranno i posteri. Quando io non sarò più qui. E’ questa la strategia di
ogni burocrate.”
*Tratto da http://johnnycloaca.blogspot.it/
Fonte: visto su Miglioverde del 15 agosto 2014
Nessun commento:
Posta un commento