Proponiamo in ANTEPRIMA la traduzione integrale in
italiano dell’articolo What
Exactly Is ‘Racism’? da parte di Llewellyn H. Rockwell Jr., ex
capo dello staff congressuale di Ron Paul, esecutore dell’eredità culturale di
Murray N. Rothbard, saggista, direttore del sito LewRockwell.com, amministratore
delegato e responsabile del Ludwig von Mises Institute.
(Traduzione di Luca Fusari)
Voglio guardare a due termini che lo Stato e i suoi
tirapiedi utilizzano con molto successo al fine di aumentare il potere del
governo. Uno è ‘razzismo’, l’altro è
‘uguaglianza’.
Che cosa è esattamente il ‘razzismo’? Non ne abbiamo quasi
mai sentito una definizione.
Dubito che qualcuno sappia veramente cosa esso sia. Se siete
inclini a contestare questa affermazione, chiedetevi perché se il razzismo è
davvero qualcosa di chiaro e determinato non vi è meno disaccordo su quali
pensieri e comportamenti sono “razzisti” e quali non lo sono?.
Se chiesto, la persona media probabilmente definirebbe il
razzismo lungo le linee usate da Murray N. Rothbard per definire l’antisemitismo,
l’odio che coinvolge e/o l’intenzione di effettuare la violenza, direttamente
per mezzo dello Stato, o in altro modo, contro un gruppo
disprezzato:
«Mi sembra che ci sono solo due definizioni sostenibili e
contemplabili di antisemitismo: una si concentra sullo stato mentale
soggettivo della persona, e l’altra “oggettivamente” sulle azioni che
intraprende o le politiche che sostiene. Per la prima, la migliore definizione
di antisemitismo è semplice e conclusiva: una persona che odia gli ebrei…. Se
non siamo vicini, amici di qualcuno, o dei strizzacervelli, come possiamo
sapere cosa c’è nel cuore di una persona? Forse allora ci si dovrebbe
concentrare non sullo stato del soggetto del suo cuore o della sua mente, ma su
una proposta che possa essere controllata da osservatori che non conoscono
l’uomo personalmente. In tal caso dovremmo concentrarci sull’oggettivo
piuttosto che sul soggettivo, cioè sulle azioni o su ciò che patrocina tale
persona. Beh, in questo caso, la sola definizione razionale di un antisemita è
uno che sostiene politicamente, giuridicamente, economicamente o socialmente la
riscossa contro gli ebrei (o ha ovviamente contribuito ad imporla)».
Questa definizione sembra allora ragionevole: 1) qualcuno è
un razzista se odia un particolare gruppo razziale, ma 2) dal momento che non
siamo in grado di leggere nella mente delle persone, e poiché accusare le
persone di odiare un intero gruppo di persone è una accusa abbastanza
grave; anziché cercare invano di leggere nella mente del sospetto dovremmo
invece vedere se egli favorisce disabilità speciali contro il gruppo in
questione. Sempre Rothbard:
«ma non sto forse ridefinendo l’esistente antisemitismo?
Certo che no. Sulla definizione soggettiva, per la natura stessa della
situazione, io non conosco alcuna persona e dubito che lo Smear Bund le
conosca. Sulla definizione oggettiva, dove gli esterni possono avere una
maggiore conoscenza, e mettendo da parte gli evidenti antisemiti del
passato, ci sono nell’America contemporanea degli autentici gruppi antisemiti:
gruppi come il movimento Christian Identity, o la Aryan Resistance, o
l’autore dei romanzo Turner’s Diaries. Ma direte voi, questi sono gruppi
marginali non contano, vale la pena preoccuparsi di loro? Sì amico, ed è
proprio questo il punto».
D’altra parte, forse un “razzista” è qualcuno che crede che
diversi gruppi tendano ad avere caratteristiche comuni, pur riconoscendo il
punto assiomatico che ogni singola persona è unica. Ma che si tratti di
una struttura familiare, di un debole per l’alcolismo, della reputazione di un
duro lavoratore, o un gran numero di altre qualità, Thomas Sowell ha
riunito un vasto corpo di opere che mostrano come questi tratti non sono
neppure vicini ad essere distribuiti equamente tra le popolazioni.
I cinesi, ad esempio, hanno guadagnato in tutti i
Paesi del mondo una reputazione di gran lavoratori spesso in condizioni
particolarmente difficili (è un dato di fatto, questo è uno dei motivi per i
quali i sindacati americani disprezzavano i lavoratori cinesi nel XIX° secolo).
A metà del XX° secolo, la minoranza cinese ha dominato
i principali settori dell’economia malese (nonostante siano stati
ufficialmente discriminati dalla Costituzione malese) guadagnando il
doppio del reddito della media malese. Possedevano la stragrande maggioranza
dei mulini di riso in Thailandia e nelle Filippine. Hanno condotto oltre il 70%
del commercio al dettaglio in Thailandia, Indonesia, Cambogia, Filippine e
Malesia.
Potremmo raccontare una storia simile sugli armeni in varie
parti del mondo, così come sugli ebrei e sugli indiani orientali.
Ai nippo-americani andò così male, quanto a discriminazione, che furono
confinati nei campi di prigionia durante la seconda guerra
mondiale, eguagliando il reddito dei bianchi nel 1959 e superandolo di un
terzo un decennio più tardi.
Allo stesso modo per i tedeschi, la cui reputazione e le
realizzazioni nei campi dell’arte, della scienza e della tecnologia sono stati
evidenti non solo in Germania, ma anche tra i tedeschi negli Stati Uniti, in
Brasile, in Australia, in Cecoslovacchia, e in Cile. Avevano fattorie più
prospere degli agricoltori irlandesi della settecentesca Irlanda, degli
agricoltori brasiliani in Brasile, dei contadini russi in Russia, e degli
agricoltori cileni in Cile.
Gli ebrei guadagnano redditi più alti rispetto agli ispanici
negli Stati Uniti; questo ci viene detto solennemente essere il risultato di
una “discriminazione”. Oh, davvero? Come sottolinea Sowell, allora come
possiamo spiegare perché nei Paesi ispanici gli ebrei guadagnano redditi più
alti rispetto agli ispanici?.
Secondo le regole insensate che governano la società
americana, a Sowell, essendo egli un nero, è consentito di discutere di tali
fenomeni, mentre il resto di noi se lo facesse verrebbe demonizzato, avrebbe
distrutta la sua carriera e le reputazioni rovinate, dunque dobbiamo prendere
nota di questa testimonianza altrimenti proibita.
Per non essere sospettati di “razzismo” si deve
dunque agire nel modo più sicuro possibile, o almeno far finta di
credere alle seguenti proposizioni:
◦
le disparità di reddito tra i gruppi sono
spiegabili in tutto o in gran parte come “discriminazioni”;
◦
se un gruppo di una minoranza è “sotto
rappresentato” in una particolare professione, la causa deve essere il
“razzismo”;
◦
se gli studenti di una minoranza sono
sproporzionatamente distribuiti a scuola, la causa deve essere il
“razzismo”, anche quando gli insegnanti coinvolti appartengono allo stesso
gruppo della minoranza;
◦
se i punteggi dei test (sia scolastici che nel
settore privato) differiscono per gruppo razziale, questa è la prova che i test
sono culturalmente di parte, anche se le domande mostrano la maggiore
disparità di comprensione in un minimo contenuto culturale.
Non una di queste sopracitate affermazioni è difendibile,
ma, manco a dirlo, ognuna di esse deve essere creduta. Gli scettici sono,
ovviamente, dei “razzisti”. I seguenti pareri o proposte sono state tutte
dichiarate come “razziste” in un certo momento o in un altro, da una fonte o da
un’altra:
◦
le affirmative actions sono indesiderabili;
◦
la legge contro la discriminazione è una
violazione dei diritti di proprietà privata e della libertà di contratto;
◦
la Brown v. Board of Education si
è basata su un ragionamento sbagliato;
◦
l’estensione del razzismo nella società
americana viene esagerato.
Ci sono molti motivi per cui si potrebbero avanzare queste
affermazioni. Ma dal momento che secondo popolari siti di sinistra come Daily
Kos, ThinkProgress, e Media Matters è “razzista”
credere in alcune di esse, non importa quali siano i vostri argomenti: siete
dei “razzisti”.
Protestate e dite tutto quello che volete, ma più lo fate e
più i commissari della calunnia vi ridicolizzeranno. Si può fingere di aver
logicamente sane e moralmente irreprensibili ragioni per le vostre opinioni, ma
secondo gli interessati commissari queste sono tutte delle coperture per
il “razzismo”.
L’unico modo per soddisfarli è quello di abbandonare le
vostre opinioni (e anche allora sarà ancora in dubbio la vostra sincerità)
anche se non le esprimete per disdicevoli motivi. Così l’accusa di
“razzismo” comporta quasi sempre una sua interpretazione pregiudiziale di
pensiero. Ad esempio una persona pretende di contrastare la legge contro la
discriminazione per una sorta di principio? In realtà sappiamo che lo fa
perché lui è un “razzista”.
Vedere dei libertari, che ovviamente dovrebbero esserne
maggiormente consapevoli, saltare sul carro dei controllori del pensiero o
fingere che l’intera questione riguardi la libertà di essere un cretino, è
estremamente miope e più sfortunato. Lo Stato usa il racket del “razzismo”
come giustificazione per la sua ulteriore estensione di potere in materia di
istruzione, occupazione, redistribuzione della ricchezza, e in qualche altro
affare.
Nel frattempo fa tacere con la sua magia quei critici della
violenza dello Stato; senza mai aver definito il termine ‘razzismo’ accusa quei
critici e costoro devono spendere il resto della loro vita a cercare di
confutarla solo per scoprire che gli etichettatori non rimuoveranno la
loro maledizione fino a quando costoro non si umilieranno da sé, ripudiando
tutta la loro filosofia.
Colui il quale cerca di difendersi protestando vedrà i
suoi amici più stretti che appartengono al suo gruppo anch’essi accusati di
odio e lui sarà ridicolizzato più che mai. Ecco cosa di nuovo scrisse Rothbard:
«voglio anche abbellire un punto: in tutta la mia
vita ho sentito gli anti-antisemiti deridere i Gentili i quali si
difendono contro l’accusa di antisemitismo protestando con la frase
‘alcuni dei miei migliori amici sono ebrei’. Questa frase è sempre derisa come
se fosse una ridicola confutazione dell’argomento. Ma a me sembra che il
ridicolo è abitualmente usato qui proprio perché l’argomento è conclusivo. Se
alcuni dei migliori amici del signor X sono davvero degli ebrei, è assurdo e
contraddittorio affermare che egli sia un antisemita. E che per questo egli lo
dovrebbe essere».
E’ difficile contestare Rothbard qui. Se qualcuno era stato
accusato di antipatia per la carne macinata, ma ha dimostrato di
apprezzare molto gli hamburger e il gulasch, non dovrebbe essere più o
meno una demolizione dell’accusa?. Non conosco nessuno che odi interi gruppi, e
le persone che lo fanno sono una piccola minoranza tale che le loro
organizzazioni sono analogamente pazze e la FBI ne è informata.
Analogamente, non conosco nessuno che intenda favorire l’uso
ufficiale della violenza contro gruppi particolari. Ovviamente dovremmo
desiderare di trattare le persone con giustizia e con rispetto; qualsiasi
persona decente ragiona in questo modo.
Ma come e perché “l’uguaglianza” dovrebbe essere contemplata
in tale immagine, se non nel senso libertario più banale ed ovvio che
tutti noi dovremmo ugualmente astenerci dalle aggressioni reciproche?.
Lo Stato non ama niente di più che dichiarare guerra alla
droga, o al terrorismo, o alla povertà, o “alle disuguaglianze”. Lo Stato ama
“l’uguaglianza” come principio organizzativo perché non potrà mai essere
raggiunto.
Nel corso del tentativo, lo Stato acquisisce sempre più
potere su sempre più pratiche ed istituzioni. Chiunque metta in
discussione la premessa dell’uguaglianza è biasimato dalla buona
società. E’ un notevole racket questo, e certamente non riguarda i
libertari.
Se si tratta di voler l’uguaglianza materiale,
essa svanirebbe nel momento successivo che l’abbiamo ottenuta, non appena
le persone hanno ripreso i loro normali modelli di spesa e nel momento in
cui dei beni e servizi offerti da alcune persone siano maggiormente apprezzati
rispetto a quelli offerti da altre.
Se si tratta di “pari opportunità” allora dovremmo abolire
la famiglia, come tanti regimi socialisti hanno seriamente contemplato di fare,
dal momento che le condizioni del nucleo familiare svolgono un ruolo importante
nel successo dei bambini.
Sì, naturalmente ci opponiamo alla disuguaglianza che deriva
dal privilegio speciale dello Stato di cui godono alcune persone e gruppi. Ma
il vero problema non è la disuguaglianza di per sé, ma la giustizia e la
proprietà privata.
Anche il vecchio adagio dell’uguaglianza agli occhi di Dio
non è giusto. Erik von Kuehnelt-Leddihn, il liberale classico tradizionalista
cattolico, ha osservato che Giuda, che tradì Cristo, non era in alcun modo
“pari” ai discepoli amati, e che le origini dell’”uguaglianza”
secolare implica che Lucifero sia pari a Cristo. Egli ha aggiunto:
«l’egualitarismo nelle migliori circostanze diventa
ipocrisia; se sinceramente accettata e creduta, la sua minaccia è maggiore.
Sicché tutte le disuguaglianze reali appaiono senza eccezione essere
ingiuste, immorali, intollerabili. Il risultato è l’odio, la tristezza, la
tensione, un disadattamento generale. La situazione è ancora peggiore quando
sforzi brutali sono fatti per stabilire l’uguaglianza attraverso un processo di
livellamento artificiale (‘di ingegneria sociale’), che può essere fatto solo
con la forza, le restrizioni, o il terrore, e il risultato è una completa
perdita di libertà».
Se vogliamo essere liberi dobbiamo
dunque evitare lo Stato i suoi metodi e il suo linguaggio.
Fonte: visto su Movimento Libertario del 29 luglio 2014
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