Giampaolo Cardosi detto Serpico
Accusato di furto e radiato. Assolto ma mai reintegrato
«Amavo molto quella divisa che mi hanno scippato». Ha rifiutato un super
risarcimento che poteva salvarlo Nel 2010 gli è stata pignorata la casa per un
debito, da allora ha vissuto da clochard con la sua bici.
LIVORNO. Per riprendersi un briciolo di vita gli sarebbe
bastato poco: piegarsi. Ma il vigile capellone non lo ha mai fatto, anche se di
occasioni ne ha avute. Avrebbe potuto cominciare una trentina di anni fa quando
era soprannominato “Serpico” come il poliziotto newyorkese interpretato da Al
Pacino e girava per la città con la divisa di vigile urbano e i pantaloni a
zampa di elefante.
Allora gli sarebbe bastato entrare in un negozio di
parrucchiere, chinare la testa e farsi tagliare quel groviglio di barba e
capelli che uscivano da sotto il berretto e che a molti non andava giù che
portasse abbinati all’uniforme. Ma niente.
Poi quando il Comune, qualche anno dopo, gli ha offerto
trecento mila euro di risarcimento per un licenziamento poco trasparente a
causa di un furto dal quale è stato assolto, avrebbe potuto accettare e
assicurarsi con quei soldi una vecchiaia in santa pace. Rispose: «No grazie,
rivoglio la mia divisa». E continuò a correre (in bici) da un punto all’altro
della città come Forrest Gump e a dare battaglia per riavere il suo posto,
nonostante le porte in faccia e l’ultimo no del Tribunale amministrativo che
nel febbraio scorso rigettò il suo ricorso. «Andrò al Consiglio di stato»,
disse all’indomani.
Giampaolo Cardosi molto probabilmente avrebbe potuto vivere
più a lungo in ginocchio, invece ha scelto di morire in piedi sei giorni prima
di compiere 69 anni mentre era in sella alla sua bicicletta.
«Una testa dura a cui era impossibile far cambiare idea», lo
descrivono gli amici. Ecco perché per continuare la sua battaglia contro le
ingiustizie di cui diceva di essere vittima, aveva rinunciato a tutte le cose
che vengono considerate ricchezza e viveva da clochard: niente casa, ad
esempio.
La sua era stata pignorata nel 2010 per un debito di 1850
euro con un avvocato di Pistoia. «Me l’hanno rubata», diceva appena entrava nel
discorso e poco importava se davanti a sé aveva un giudice o un pubblico
ministero: «C’è scritto nelle carte – ripeteva – se fosse una bugia mi
avrebbero già arrestato». Dentro all’appartamento in via Brigate Partigiane,
dove ha abitato per una vita, aveva lasciato anche i suoi affetti. «Mia madre –
raccontava – non ha sopportato tutto quello che è successo ed è morta di
crepacuore».
Dal giorno dello sfratto che finì a botte e offese con le
forze dell’ordine, aveva messo la sua esistenza in un container dalle parti di
Chianni, in provincia di Pisa, dove era nato alla vigilia dell’8 settembre del
’43 che segnò lo sbriciolamento delle istituzioni davanti alla guerra.
La sua vita oggi era fatta di tre punti fermi: la mensa
della Caritas dove mangiava pranzo e cena, una sedia nella sala d’attesa del
pronto soccorso dove dormiva e il tribunale penale di via Falcone e Borsellino
dove non mancava mai di fare una visita o di essere presente a una delle
udienze nelle quali era imputato.
Ma nonostante l’aspetto trasandato, l’odore di strada, la barba
di mille colori e i vestiti lisi, quando ti guardava negli occhi si accendeva
la luce della speranza.
Forse era proprio per la sua testardaggine e la vita da
ribelle che ai livornesi “il Cardosi” è sempre stato simpatico come quegli
esemplari in via di estinzione: unici e un po’ strambi. Così nell'anno del 150°
anniversario dell'unità d'Italia, i suoi concittadini hanno tappezzato la città
con il suo volto come quello dell'ultimo dei Mille.
Ma lui alla soglia dei settant’anni cominciava ad essere
stanco, così nell’aprile scorso aveva preso foglio e penna e aveva scritto un
appello alle Autorità attraverso il nostro giornale. «Dalla perdita della mia
casa – ricordava – dormo seduto su una sedia dei locali del pronto soccorso con
ulteriori gravi problemi di circolazione, piedi doloranti e gonfi: con
pericolose infermità, non potendo stendermi a questa età su un letto. Per i
motivi di cui sopra, rivolgo alla Ss. Vv. rispettosa istanza di carcerazione».
Il grido d’aiuto di un uomo stanco, dolorante che solo la
morte ha piegato.
Fonte: srs di Federico Lazzotti, da Il Tirreno di Livorno, del 2 settembre 2012.
Serpico: le immagini di una vita
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