Resti romani colpiti
da una grande epidemia ritrovati in Egitto
Un team di archeologi italiani ha riportato alla luce i
resti di moltissime persone morte nel periodo dell'antico Egitto. I resti
ritrovati furono uccisi da un'epidemia che colpi il Mondo intero, i ricercatori
l'hanno potuto apprendere grazie ai testi ritrovati di San Cipriano, vescovo di Cartagine e scrittore (Cartagine, 210 –
Sesti, 14 settembre 258), che descrisse quella epidemia come la fine del
Mondo.
Il ritrovamento è avvenuto durante i lavori sul complesso
funerario Akhimenru Harwa e sul
bordo occidentale della antica città di Tebe
(Luxor moderna) in Egitto, gli scheletri erano ricoperti da uno spesso strato
di calce, storicamente utilizzato come disinfettante ed accanto a loro vi erano
i resti di un falo' utilizzato per bruciare le persone colpite dalla peste
Lo scrittore descrisse questo male come la Fine del Mondo e gli scienziati moderni
ipotizzano che si trattasse di qualcosa simile al vaiolo o morbillo, morivano
circa 5000 persone al giorno solo nella città di Roma e da questi dati si puo'
comprendere meglio perchè l'impero romano perse vigore e la sua caduta fu molto
rapida in quell'epoca.
L'articolo originale è stato pubblicato dalla rivista
scientifica Science ed all'interno si puo' leggere l'intervista rilasciata dal
ricercatore Francesco Tiradritti
Fonte: visto su ANTIKITERA
del 19 giugno 2014
LUXOR, TROVATE LE
TRACCE DELLA “PESTE DI CIPRIANO”
In Egitto sarebbero state individuate tracce della pandemia
che sconvolse il mondo conosciuto nel III sec. d.C., la cosiddetta “Peste di
Cipriano“.
Questa epidemia, che uccise anche gli imperatori Ostiliano (251) e Claudio il Gotico (270), prende il nome dal vescovo di
Cartagine che la descrisse come prima avvisaglia della fine del mondo, anche
se, in realtà, si trattava di morbillo o vaiolo.
La “peste” potrebbe essere arrivata almeno fino a
Tebe secondo i risultati della Missione Archeologica Italiana a Luxor
diretta da Francesco Tiradritti che ha analizzato i resti umani scoperti tra il
1997 e il 2012 nel complesso funerario di Harwa (TT37) e Akhimenru
(TT404) a el-Asasif.
La struttura, infatti, sembra essere stata riutilizzata come
fossa comune per la sepoltura dei cadaveri infetti prima carbonizzati e
poi ricoperti da calce per bloccare la diffusione della malattia. Purtroppo non
è stato possibile estrarre il DNA dalle ossa perché danneggiato, quindi non si
ha la conferma sulla patologia, ma l’accostamento con l’infausto
evento è stato verificato con la datazione della ceramica.
La tomba di Harwa, la sepoltura privata più estesa
d’Egitto con una superficie di circa 4000 m², apparteneva al “Gran Maggiordomo”
della Divina Adoratrice Amenirdis I della XXV din. (inizi VII sec.
a.C.) a cui successe Akhimenru che si fece inumare nella stessa area.
Fonte: visto su DJED
MEDU del 16 giugno 2014
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