domenica 29 giugno 2014

CRISTIANESIMO PRIMITIVO: SFATARE ALCUNI LUOGHI COMUNI SUL CRISTIANESIMO DELLE ORIGINI


Chiesa di san Giovanni in Valle in Verona, sarcofago paleocristiano, IV secolo. (E’ in marmo pario di pregevole fattura, la sua lunghezza è di m. 2,20, la larghezza m. 0,85 ed è alto m. 1,10.)



 Bisogna sfatare diversi luoghi comuni sulla presenza del Cristianesimo nei primi secoli. Luoghi comuni di cui, purtroppo, sono pieni tanti manuali di storia. Per motivi di spazio prendiamone in considerazione solo tre.  

CONTRO L’IMPERO?

- Il primo afferma che il Cristianesimo primitivo avrebbe rifiutato ogni istituzione politica e quindi anche l’Impero. È falso. Sin da subito il Cristianesimo non manifestò alcun pregiudizio verso la politica, perché oggi, come allora, afferma che la realtà naturale è un valore; e, come valore, non solo è giusto ma anche doveroso governarla.

Lo scontro tra Cristianesimo e Impero Romano non fu di sostanza, il Cristianesimo non rifiutò mai l’Impero e l’Imperatore in quanto tali, ma solo la divinizzazione di quest’ultimo. Non a caso, Tertulliano (scrittore romano e apologeta cristiano, 155-220) afferma:«Cesare è più nostro che vostro» e san Paolo ai Romani è chiarissimo: «Ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite; poiché non c’è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio» (Romani 13,1). Altrettanto chiaro è san Pietro: «State sottomessi ad ogni istituzione umana per amore del Signore: sia al re come sovrano, sia ai governatori come ai suoi inviati per punire i malfattori e premiare i buoni. Perché questa è la volontà di Dio: che, operando bene, voi chiudiate la bocca all’ignoranza degli stolti» (1 Pietro 2,13).  

CONTRO IL SERVIZIO MILITARE?

Il secondo luogo comune afferma che il Cristianesimo primitivo avrebbe spinto i cristiani a disertare, a rifiutare il servizio militare. Anche questo è falso. Sempre Tertulliano, prima che aderisse all’eresia montanista, ricorda che i cristiani del suo tempo riempivano gli accampamenti militari e che lavoravano e militavano con tutti gli altri.

Anzi, c’è da dire qualcosa di più. Il Cristianesimo primitivo si diffuse principalmente negli ambienti militari. Ambienti più critici nei confronti della degradazione morale di quei tempi e che videro proprio nel rigore cristiano la possibilità di restaurare l’antica austerità.
Ormai non ci sono più dubbi, è dimostrato dalla diffusa utilizzazione di parole militari nelle prime comunità cristiane.
Due esempi: “pagano” e “tabernacolo”.
La parola “pagano”, secondo un noto studio di Tagliavini, si spiega proprio attraverso l’uso militare di paganus opposto a miles, paragonabile al nostro “borghese”. I cristiani, considerandosi milites Christi, chiamarono “pagani” i non cristiani, con quello stesso atteggiamento di diffidenza con cui i militari ci chiamano “borghesi”. È chiaro che la facile adozione di un simile significato può spiegarsi solo alla luce di una grande diffusione dell’elemento militare nelle comunità cristiane. D’altronde san Giovanni Battista ad alcuni soldati che lo interrogarono su come dovessero comportarsi non ordinò di abbandonare le armi, ma: «Non fate violenza a nessuno, né calunniate, e siate contenti della vostra paga» (Luca 3, 14).

Di incompatibilità si cominciò a parlare solo verso la fine del II secolo, con la diffusione dell’ eresia montanista, questa sì pacifista perché apocalittica. Ma l’atteggiamento di condanna di questa eresia da parte della Chiesa è ben espresso dagli apologisti di questo stesso secolo. Scrive Marta Sordi: «I casi di obiezione di coscienza fra i cristiani restano (…) episodi isolati; tale è quello della recluta Massimiliano al quale lo stesso giudice pagano, Dione, fa presente l’inconsistenza della sua pregiudiziale, contraddetta dall’esempio degli altri cristiani».

Margherita Guarducci, poi, ha scritto che non solo i militari subivano il fascino del Cristianesimo, ma anche i cristiani subivano il fascino della gerarchia militare. Il Papa Clemente I additava ai Corinzi, ch’erano sempre discordi fra loro, l’esempio dell’esercito romano mirabilmente organizzato.  

CONTRO I RICCHI?

Il terzo luogo comune è che il Cristianesimo primitivo si sarebbe diffuso soprattutto tra i poveri e avrebbe trovato nei ricchi i maggiori oppositori. Nemmeno questo è vero.
San Paolo predicò a Tessalonica e «alcuni di loro credettero (…) come fece pure una gran moltitudine di Greci timorati di Dio e non poche nobili donne» (Atti 17,4). Scrive lo storico Jones: «Molto prima che la conversione di Costantino rendesse conveniente per gli ambiziosi il professare la religione dell’imperatore, vi erano senatori e soldati cristiani e persino professori cristiani».

D’altronde nel Vangelo è evidente come Gesù non abbia mai ristretto la sua predicazione a una sola classe sociale.
Alcuni esempi: Nicodemo era un membro del sinedrio; Zaccheo, un pubblicano; il Centurione, di cui Gesù loda la fede, non era certo uno che faceva la fame.
Nella Lettera ai Filippesi si accenna alla penetrazione del Cristianesimo nel Pretorio (1,13) e nel Palazzo imperiale (4,22).
Tacito parla di Pomponia Grecina, moglie di Aulo Plazio, vincitore della Britannia, che fu giudicata nel 57 da un tribunale domestico sotto l’accusa di praticare una religione straniera. E ci sono tutti i motivi per crederla cristiana.
All’epoca di Domiziano (dall’81 al 96) risultano cristiani Flavio Clemente e la moglie Domitilla, parenti dell’Imperatore. Secondo lo storico Harnack erano i nobili a dare il tono alla vita della comunità romana. Molte iscrizioni dell’Asia ci documentano l’esistenza di cristiani che si occupano dell’amministrazione delle loro città.
Sappiamo che a Lione nel 177 fu martirizzato un buon gruppo di cristiani (composto di schiavi come Blandina, ma anche di persone benestanti come il notabile gallo-romano Vezio Epagato); l’ira popolare che provocò la persecuzione fu improvvisa, cacciandoli dal foro e dai bagni, lo attesta sant’Eusebio da Cesarea… e commenta lo storico Brezzi: «Mi pare facile illazione quella che ritiene che i cristiani di quella città dovevano godere una buona posizione se frequentavano quei posti».
Da iscrizioni di Ostia risulta che alla fine del secondo secolo erano cristiani i membri della Gens Annaea e che morirono cristiani parecchi Pomponii.
Nella cripta (cristiana) di Lucina, sull’Appia, si è ritrovato il sarcofago di Dazia Clementina, moglie di Giulio Basso, uno dei principali funzionari di Antonino e di Marco Aurelio (imperatore dal 161 al 180); qui sono raccolte anche le iscrizioni funebri di Annia Faustina, di Licinia Faustina e di Acilia Vera, i cui nomi e prenomi ci dicono che appartenevano alle famiglie più illustri di Roma, anzi alla stessa casa imperiale.

Per l’età dei Severi (193-235) Tertulliano ci documenta che furono cristiani uomini e donne della più alta nobiltà senatoria. Nel 258 l’Editto di Valeriano commina pene speciali ai cristiani appartenenti agli ordini senatorio ed equestre. Nel 300, alla vigilia della grande persecuzione di Diocleziano (imperatore dal 284-305), sant’Eusebio di Cesarea dice che i cristiani erano penetrati abbondantemente nell’amministrazione pubblica giungendo ad occupare cariche importanti… e si potrebbe ancora continuare. Ed ecco perché lo storico Brezzi, riferendosi all’Editto del 313, afferma: «Il gesto di Costantino non sarà che il riconoscimento di una situazione preesistente».

Ma allora perché questi luoghi comuni? Una breve risposta. Una delle deformazioni peggiori che si sono fatte del Cristianesimo è stato (ed è) quello di presentarlo come una rivoluzione politica e un’utopia pacifista. Indubbiamente queste bugie (e anche altre!) sono a servizio di questa deformazione.

Bibliografia

Eusebio da Cesarea, Storia ecclesiastica, V, 24.

-   M.Sordi, Il cristianesimo a Roma, Cappelli, Roma 1965.

-   A.H.M.Jones, Lo sfondo sociale della lotta fra paganesimo e cristianesimo, in Il conflitto fra paganesimo e cristianesimo nel secolo IV, Einaudi, Torino 1968.

-   P.Brezzi, Dalle persecuzioni alla pace di Costantino, Studium, Roma 1960.

 -   C.Tagliavini, Storia di parole pagane e cristiane attraverso i tempi, Morcelliana, Brescia 1963.



Fonte: srs di Corrado Gnerre, da il giudizio cattolico del  15 aprile 2013





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