DI GUGLIELMO PIOMBINI
In questo periodo sto studiando, con sempre maggior
ammirazione, il sistema politico ed economico svizzero. Per unire l’utile al
dilettevole ho deciso di trascorrere un paio di giorni (il 1° e il 2 giugno) a
Lugano con la mia famiglia. Qui ho parlato con un bravo economista ed esperto
fiscale ticinese, l’amico Paolo Pamini. Ho trovato inoltre un libro ricco di
utili informazioni: “Conoscere la Svizzera. Il segreto del suo successo”
dello storico François Garçon, recentemente pubblicato dall’editore Armando Dadò
di Locarno. Vorrei quindi presentare una serie di dati e di considerazioni sui
sorprendenti risultati ottenuti da questo paese unico nel suo genere.
La Svizzera, un drago dell’economia
La Svizzera sta vivendo un periodo di grande prosperità
economica, soprattutto se confrontata con i paesi vicini. La disoccupazione,
anche tra i giovani, è praticamente inesistente. Gli stipendi nel Canton Ticino
sono mediamente il doppio di quelli italiani, mentre nella Svizzera tedesca
sono il triplo. In particolare Zurigo vanta il primo posto al mondo per i
salari più alti, davanti a New York, Tokio, Londra, Stoccolma e Parigi (a
Zurigo si guadagna il doppio rispetto alla capitale francese). Gli svizzeri
hanno di recente respinto con un referendum il salario minimo legale, ma di
fatto non esistono impieghi pagati meno di 2000 franchi svizzeri al mese (1850
euro); il 96,3 per cento degli svizzeri, infatti, guadagna più di questa cifra.
La tassazione è molto più bassa rispetto all’Italia e agli altri paesi europei,
però il costo della vita è più alto del 30-40 per cento, e inoltre vi sono
alcune spese obbligatorie abbastanza rilevanti, a partire dall’assicurazione
sanitaria privata. Ad ogni modo, secondo l’Ufficio Federale di Statistica nel 2011 il reddito
disponibile medio per famiglia, una volta dedotte tutte le imposte e le
assicurazioni obbligatorie, è stato di 6750 franchi al mese, ossia 5500 euro.
Rispetto al 2006 il reddito medio mensile di ogni famiglia svizzera è cresciuto
di 650 franchi (533 euro).
Come ha fatto questo paese di soli otto milioni di abitanti,
stretti in un territorio inospitale e montagnoso al 65 per cento, senza sbocchi
al mare e senza risorse naturali, a parte le acque delle sue dighe idrauliche,
a raggiungere questi risultati economici?
A dispetto degli stereotipi, la Svizzera non è soltanto un
paradiso fiscale, e del resto lo sarà sempre meno vista la progressiva
abolizione del segreto bancario. La Svizzera è prima di tutto una potenza
economica, tecnologica e scientifica. Solo il 5,6 per cento della popolazione
attiva lavora nel settore bancario e assicurativo, generando però il 15 per
cento del pil, a conferma della loro forte produttività. Per il resto la
Svizzera ha una industria estremamente competitiva in molti settori ad alto
valore aggiunto, come la farmaceutica, la chimica e l’alta tecnologia. La sua
forza sono le numerosissime piccole e medie imprese che commerciano con il
mondo intero: 138.000 entità che danno lavoro a 2,2 milioni di persone, ossia
un’impresa ogni 55 abitanti.
I patetici lamenti italici o francesi contro la
globalizzazione qui non hanno attecchito. Gli svizzeri si sono inseriti con
entusiasmo nell’economia globalizzata, hanno respinto ogni tentazione protezionista
e si sono specializzati nei settori dove erano già forti, continuando a
guadagnare fette di mercato in un ambiente globale altamente concorrenziale.
All’opposto dell’Italia, la Svizzera si è reindustrializzata proprio grazie
alla globalizzazione.
Gli abitanti della Confederazione Elvetica dimostrano con i
fatti che l’inventiva e il lavoro sono la fonte della prosperità. Questi saggi
e indefessi lavoratori hanno sempre bocciato con referendum tutte le reiterate
proposte di ridurre per legge l’orario di lavoro. Nel marzo 2012 hanno respinto
in maniera massiccia l’iniziativa lanciata dai sindacati per “sei settimane di
congedo per tutti”, e hanno continuato a lavorare più degli omologhi europei.
Hanno in media solo 29 giorni di riposo all’anno contro, ad esempio, i 40 dei
francesi. Inoltre, grazie a regole del mercato del lavoro molto liberali, in
Svizzera lavorano tutti, giovani e anziani. La Svizzera conta infatti il 68 per
cento di popolazione attiva nella fascia di età tra i 55 anni e i 64 anni: un
record europeo. Secondo una recente inchiesta il 96 per cento delle persone
sopra i 55 anni si sono dichiarate soddisfatte delle loro condizioni di lavoro.
Il segreto del successo: la concorrenza fiscale
Mentre nell’inferno fiscale e burocratico italiano dal 2007
a oggi gli investimenti esteri sono crollati del 58 per cento, la Svizzera
continua ad attirarli come un magnete. Il 59 per cento delle società straniere
che hanno insediato il loro quartier generale in Europa, come Hewlett-Packard,
Gillette, Procter & Gamble, Ralph Laure, Colgate Palmolive, Cisco o General
Motors, hanno scelto la Svizzera. Anche Microsoft e Google hanno stabilito a
Zurigo il loro centro di ricerca europeo. Questo fatto fa infuriare i politici
europei, che si vedono sfuggire di mano miliardi di imposte a causa della
“sleale” concorrenza fiscale svizzera.
Nel 2007 un politico socialista francese, Arnaud Montebourg,
ebbe un breve periodo di notorietà quando si lanciò in una durissima accusa
contro la “mancanza di civismo e la fuga” dei contribuenti francesi più ricchi
“nei paradisi fiscali alle porte dell’Europa”. «Fin dove può giungere la nostra tolleranza nei confronti della
Svizzera? – tuonò Montebourg – Non
sarebbe forse meglio assumere il confronto inevitabile con questi territori,
come fece il generale De Gaulle nel 1963 quando decretò il blocco contro il
Principato di Monaco, che dovette così piegare la schiena di fronte alle
esigenze fiscali francesi?». Il giorno seguente il quotidiano Liberation
uscì con questo titolo a grandi caratteri in prima pagina: “Evasione fiscale. Bisogna invadere la
Svizzera?”
La risposta degli svizzeri a questo novello Robespierre è
stata secca e definitiva: «Non c’è nulla
da trattare Montebourg non conosce
il sistema fiscale elvetico». Il governo svizzero non poteva trattare su
questioni fiscali con il governo francese neanche se l’avesse voluto, perché la
Svizzera è una Confederazione nella quale ciascuno dei 26 cantoni è padrone
della propria fiscalità. Non solo: all’interno di ogni singolo cantone la
competizione fiscale tra i comuni è ancor più accanita.
Al deputato francese sfuggiva inoltre un altro dato
fondamentale: la partecipazione decisiva dei contribuenti alla determinazione
dei tassi d’imposta. In Svizzera, infatti, sono i cittadini che votano la
maggior parte delle aliquote fiscali attraverso la democrazia diretta e i
referendum. Per realizzare il suo obiettivo Montebourg avrebbe quindi dovuto
fare il giro di tutti i comuni e di tutti i cantoni elvetici, e perorare la sua
richiesta di “armonizzazione fiscale” con la Francia davanti ai cittadini
riuniti per le votazioni a Obvaldo, Nidvaldo, Glarona o Appenzello. Molto
difficilmente però sarebbe riuscito a ottenere il loro consenso, dato che, come
spiega l’economista svizzero Beat Kappeler, le istituzioni locali elvetiche «producono un tipo particolare di politico
dell’esecutivo, investito della delicata missione di mantenere uno Stato
minimale: egli è il delegato del popolo, incaricato di sorvegliare il mostro e
non certo di renderlo potente, splendido, seducente».
Gli elvetici, infatti, non hanno nessuna intenzione di
rinunciare al loro sistema perché, come spiega l’ex ministro delle finanze
della Confederazione Hans-Rudolf Merz, la concorrenza fiscale interna è
garanzia di efficienza e di innovazione. Ogni cantone è libero di sperimentare
soluzioni inedite e poi, a seconda dei risultati, le soluzioni migliori vengono
adottate, mantenute e eventualmente imitate. Nel 2007 il Canton Obvaldo, vero e
proprio laboratorio fiscale della Svizzera, fu il primo ad adottare una tassa
piatta con aliquota bassissima all’1,8 per cento per tutti i redditi, con
esenzione totale sotto i 10.000 franchi. Visti i buoni risultati, questa
innovazione fiscale venne copiata l’anno successivo dal Canton Turgovia.
Generalmente sono i comuni e i cantoni più depressi o
svantaggiati che giocano la carta delle riduzioni fiscali per recuperare un po’
di terreno nei confronti dei comuni o dei cantoni più sviluppati e meglio
serviti, che possono permettersi di chiedere aliquote più alte ai propri cittadini.
Ad esempio, nel 2007 il comune di Saanen nelle Alpi bernesi concesse degli
sgravi fiscali ai residenti con un patrimonio particolarmente elevato. Il
cittadino svizzero più ricco, l’imprenditore miliardario Ernesto
Bertarelli, proprietario di Alinghi (il team svizzero vincitore di due
edizione della Coppa America di vela), decise allora di trasferirsi lì dal
Canton Vaud, il quale subì una forte perdita di gettito. Nel 2008, bersagliato
dalla concorrenza dei cantoni vicini, anche Zurigo si piegò alla competizione
fiscale abbassando le aliquote.
Un modello per l’Europa
La Svizzera appare come un paese ben gestito, ma lo stesso
non può dirsi per molti altri paesi europei come l’Italia, la Grecia, la
Spagna, il Portogallo o la Francia, che hanno accumulato dei debiti pubblici
drammatici. Questi bilanci statali disastrati non meritano nessuna compassione.
Secondo il professor François Garçon, gli sperperi enormi che hanno generato
questi debiti sono rivelatori della mancanza di civismo della massa di
cittadini, per la loro rinuncia al dovere di vigilanza sui propri eletti. Il
popolo che scambia i propri eletti per Babbo Natale, ironizza Garçon, viene sempre
gabbato. La crisi del debito riflette la noncuranza del popolo sovrano,
incapace di prevedere le inevitabili derive cleptomani dei propri dirigenti, e
di impedirle. La spiegazione della passività di tanti popoli europei di fronte
allo sperpero pubblico e della facilità con la quale gli eletti di qualsivoglia
colore politico li hanno raggirati risiede nel fatto che in questo debito, in
questa gigantesca depredazione, molti hanno trovato il proprio sporco
tornaconto: finti impieghi nell’amministrazione statale, pensioni senza aver
versato contributi, e così via. L’accumulo di burocrazia parassitaria e
costosa, scrive Garçon, non è la causa, bensì il sintomo del generale
putridume.
Mentre gli italiani, i greci, gli spagnoli o i francesi
hanno concesso ogni libertà ai loro eletti trasformatisi in predatori, gli
svizzeri sono stati vigilanti. Lo sono stati a maggior ragione poiché le
istituzioni di cui si sono dotati permettono loro di sorvegliare i propri
eletti e di tenerli al guinzaglio. Gli svizzeri in effetti si sono muniti di
istituzioni che consentono ai cittadini di far valere in maniera pacifica e
civile la loro voce, senza passare dalle violenze di piazza, dai cortei che
bloccano le strade, dagli scioperi continui o dalle risse televisive. Da oltre un
secolo e mezzo gli svizzeri hanno forgiato degli strumenti politici la cui
utilità specifica è quella di ricordare agli eletti che, a differenza di quanto
avviene nella pratica di molti paesi a “democrazia rappresentativa” come
l’Italia, il mandato di cui dispongono non è assimilabile a un permesso di
saccheggio concesso per un periodo di quattro o cinque anni.
La Svizzera ci mostra quindi le virtù di un sistema basato
sullo stato leggero, la decentralizzazione nelle decisioni di spesa per evitare
gli sperperi, il federalismo concorrenziale, la sorveglianza degli eletti, i
referendum su questioni fiscali, e il diritto d’iniziativa, che permette alla
popolazione di intromettersi in ogni momento in ciò che la riguarda,
canalizzando i malcontenti e dando responsabilità ai cittadini. I popoli
europei dovrebbero trarre importanti lezioni da questo superiore modello di
organizzazione politica.
Fonte: srs di GUGLIELMO PIOMBINI, visto su Movimento
Libertario, del 10 giugno 2014
Nessun commento:
Posta un commento