giovedì 5 giugno 2014

IL NOSTRO STILE DI VITA INCIDE SULLA LONGEVITÀ




di Adriano Panzironi


Ognuno di noi si sarà posto questa domanda, senza riuscire a trovare una risposta precisa. Siamo a conoscenza di migliaia di persone sparse per il pianeta che hanno superato i 100 anni e una di esse è arrivata a 135 anni. Direttamente conosciamo persone decedute parecchio prima (70 80 anni). Molti ricercatori cercano di trovare il miracoloso gene, responsabile della longevità e non di rado, leggiamo sui giornali delle ricerche sul Dna, effettuate su popolazioni dove il numero dei centenari è notevolmente superiore alla media. In realtà la longevità è legata allo stile di vita ed alla giusta alimentazione. Esiste anche un modo per verificare se il nostro organismo è sulla giusta via della longevità o se al contrario stiamo precorrendo i tempi per una vecchiaia prematura.

Difatti il nostro corpo è composto di cellule di diverso tipo, ed ognuna di esse è in grado di replicarsi solo per un certo numero di volte. Raggiunto il punto di saturazione, la cellula si trasforma in “cellula senescente” (non può più replicarsi). Non stiamo ovviamente parlando delle cellule del nostro corpo che hanno un emivita (durata) programmato. I globuli rossi ad esempio, muoiono dopo centoventi giorni. Ne tanto meno stiamo parlando delle uniche cellule che non si replicano (neuroni presenti nel cervello e fibrocellule presenti nei muscolo). Infatti raggiunto il numero previsto rimarranno le stesse per tutta la nostra vita. Ma delle cellule che fanno parte dei tessuti strutturali del nostro corpo (presenti all’interno della matrice extracellulare) che non hanno un emivita determinato. Stiamo parlando ad esempio delle cellule che compongono gli organi, lo scheletro, il sistema cardio vascolare. Teoricamente le cellule potrebbero vivere in eterno se non intervenissero degli elementi esterni o interni a determinarne la morte. Anch’esse procedono con la replicazione, raggiungendo dopo un certo numero di cicli la senescenza (la causa del deterioramento dei tessuti di cui fanno parte).
Per fare un esempio molto semplice, è come se iniziassimo a giocare ad un video gioco (vi ricordate quelli di una volta che erano nei bar?) con una dotazione di cinquanta gettoni. Più siamo capaci a far durare ogni singola partita, più ritarderemo l’inserimento di un altro gettone, perché alla fine, terminata l’intera riserva in dotazione, scatta il “game over”. Chiaramente adottando un livello facile del gioco (mangiando bene e migliorando il nostro stile di vita ed integrando i giusti micronutrienti) saremo in grado di far durare ogni singola partita molto più a lungo. Se al contrario scegliamo il livello più difficile (mangiando le cose sbagliate o praticando uno stile di vita sbagliato o lasciando il nostro corpo carente di elementi nutrizionali), le partite si accorceranno drammaticamente. L’effettivo raggiungimento della massima età, dipende da quanto riusciamo ad allungare l’emivita delle nostre cellule (la singola partita del videogame). Ciò è legato al nostro stile di vita ed all’alimentazione. Entriamo nel dettaglio. Si calcola che il corpo perda, per apoptosi, cento miliardi di cellule al giorno e che ogni anno cambiamo tutte le cellule dell’organismo (ad esclusione i quelle nervose e muscolari).

Quando pensiamo al problema dell’invecchiamento, dobbiamo immaginarlo suddiviso per tipologia di tessuti o di organi e non solo a livello generale. Ovvero, potremmo avere i tessuti endoteliali delle vene che hanno raggiunto il livello massimo di vecchiaia (paragonabile a quelle di un centenario), avendo il cervello che funziona ancora come quello di un settantenne. Lo stesso discorso vale per il cuore, per i reni o qualsiasi altro organo o tessuto. Quante volte ci è capitato di assistere dei parenti o degli amici che poi sono deceduti in seguito a problemi legati ad un aspetto specifico del corpo (infarto, blocco renale, etc.), con il cervello perfetta mente funzionante fino all’ultimo. Vediamo insieme come funziona la replicazione cellulare e la senescenza.

I TELOMERI E LA CAPACITÀ DI REPLICAZIONE DELLE CELLULE

Già nel 1961 il Dottor Leonard Hayflick scoprì un limite nel numero della replicazione cellulare dei fibroblasti (cellule incaricate di produrre le proteine fibrose della matrice), attestatasi a circa cinquanta. Tale replicometro è oggi definito “limite di Flick”, riscontrato in ogni cellula che compone strutturalmente il nostro corpo (ad esclusione dei neuroni e delle fibrocellule). Raggiunto tale limite la cellula perde la sua capacità di replicarsi trasformandosi in “cellula senescente”. Il motivo è legato all’attività del Dna del nucleo cellulare ed all’accorciamento dei telomeri.

In pratica questi ultimi sono delle sequenze di Dna ripetitivo, che si trovano all’inizio e alla fine delle catene dei cromosomi, proteggendoli e tenendoli uniti (una specie di cappuccio protettivo).  Tale funzione è importante anche per evitare rimescolamenti del Dna del cromosoma, impedendo che le parti finali della catena si leghino tra di loro, creando eccessive degenerazioni cromosomiche.  Ogni volta che la cellula si replica, si duplica anche il nucleo ed i cromosomi, richiedendo dei telomeri per creare le catene gemelle con il Dna.  Ciò comporta una diminuzione (per ogni replicazione) della sequenza dei telomeri, iniziatori e finalizzatori della catena dei cromosomi della cellula gemella. Tale processo è possibile fino a quando non si raggiunge la lunghezza telomerica minima critica. A questo punto i cromosomi comunicano alla cellula che non è più possibile procedere a successive duplicazioni e la stessa si trasforma in senescente. Purtroppo quando la cellula raggiunge tale stadio, inizia a perdere le sue funzionalità, a modificarsi nell’aspetto, producendo eicosanoidi infiammatori, fino a giungere alla morte. Quando in un tessuto (composto di matrice e cellule) aumenta il numero di cellule senescenti (che procurano danni anche alle cellule ancora attive), iniziano i problemi funzionali di quell’organo specifico o di parte del corpo. Ad esempio se ciò accade all’endotelio arterioso, peggiorerà il problema dell’arteriosclerosi o se accade ai tessuti del cuore, si può fermare la contrazione (tachicardia). Quindi, più tardi le cellule inizieranno la fase di replicazione (da una cellula madre si ottengono due figlie gemelle), più a lungo saremo in grado di rimandare i problemi della senescenza (momento del collasso del tessuto).

Chi decide quando la cellula deve replicarsi e soprattutto se esiste un modo per controllare tale fenomeno?

Ricorderete che il tessuto è composto di matrice, all’interno della quale ci sono le cellule distribuite (in base al tipo di tessuto) e ben organizzate. Ciò significa, che se ogni cellula rimane al suo posto, non è possibile attivare la replicazione (inibizione da contatto, mentre al contrario le cellule tumorali si duplicano senza controllo, creando tessuti informi). Quando invece una o più cellule muoiono (per apoptosi o invasione batterica) le cellule adiacenti si accorgono che nella matrice ci sono delle mancanze e si attiva il comando della replicazione (per andare a sostituire quelle mancanti). Quindi è importante salvaguardare le cellule, evitando che la loro morte porti alla replicazione di quelle adiacenti presenti nel tessuto. Purtroppo però, gli attacchi alle cellule sono talmente tanti e generalizzati, che tale fenomeno è possibile solo rallentarlo, ma non fermarlo, altrimenti avremmo scoperto il segreto dell’immortalità.

LA SENESCENZA CELLULARE PREMATURA

Come abbiamo detto, i telomeri sono la parte finale dei cromosomi e sono presenti nel nucleo della cellula. A volte può accadere che i radicali liberi penetrino all’interno del nucleo, danneggiando i telomeri a difesa dell’inizio e della fine del cromosoma, riducendone anticipatamente la lunghezza. A tal punto la cellula entra nella fase della senescenza (pur non avendo realmente compiuti tutti i cicli di replicazione). Alcune cellule senescenti, nonostante non abbiano più i telomeri necessari, a volte tentano la replicazione. In questo caso il nucleo ordina l’apoptosi (suicidio) e la cellula muore.

A seguito di un meccanismo ancora oggi incompreso, alcune cellule attivano un enzima chiamato telomerasi, che riproduce i telomeri, permettendo alle stesse di replicarsi all’infinito (cellula tumorale) ed uscire quindi, dallo stato di senescenza. Ovviamente ciò non è positivo per il nostro sistema.

LE CELLULE MUOIONO PER COLPA DEI RADICALI LIBERI

Come abbiamo detto, la morte delle cellule ci avvicina sempre più alla fine della vita, quindi comprendere il perché le cellule muoiono e cercare di fermare questo dannato processo, è essenziale per la nostra longevità ed il nostro stato di salute. Innanzitutto spieghiamo che le cellule possono perire a seguito di due processi distinti, la necrosi e l’apoptosi. Si parla di necrosi quando il danno cagionato alla cellula è immediato o promosso da fattori esogeni (traumi fisici o chimici) o endogeni (ad opera delle nostre difese immunitarie). Per fare un esempio, quando un virus entra nelle membrane cellulari, i linfociti per distruggerlo, devono uccidere anche la cellula. Si parla di apoptosi quando la cellula attiva il suo protocollo di autodistruzione, non essendo più in grado di auto-ripararsi.

Vediamo insieme i danni cagionati alle nostre cellule.

Ipossia ischemia (problemi circolatori e respiratori).
Agenti fisici (elettricità, temperatura, pressione, radiazioni e traumi meccanici).
Agenti chimici, agenti infettivi (virus, batteri e parassiti).
Reazioni immunologiche (malattie autoimmuni).
Difetti genetici e disturbi nutrizionali (eccessi o deficienze di sostanze come vitamine e sali minerali).

Tutti questi danni potrebbero risultare irreversibili, causando la necrosi o partecipare allo stress cellulare (radicali liberi) che porterà all’apoptosi della cellula.
Nel caso della necrosi, la cellula è distrutta ed il citosol (e tutto il materiale in esso contenuto) è riversato nella matrice extracellulare, la quale attiverà una risposta infiammatoria (per richiamare i fagociti), per rimuovere le scorie (salvo che la cellula non venga distrutta direttamente da un linfocita che la ingerirà).  Nell’apoptosi la cellula si suddivide in piccoli sacchi (composti dalla membrana cellulare), che sono poi fagocitati o dalle cellule vicine o dai fagociti (senza però generare attività infiammatoria, bensì producendo radicali liberi).  ll nostro obiettivo dovrebbe essere di cercare di ammalarci il meno possibile (aumentando le difese immunitarie capaci di combattere virus e batteri), di evitare fattori chimici (come il fumo, lo smog o l’inquinamento da metalli pesanti), di evitare le malattie autoimmuni (con la giusta alimentazione), di evitare i problemi circolatori e respiratori (evitando le malattie degenerative), traumi fisici, ma soprattutto cercando di non recare danni, talmente irreparabili da costringere la cellula all’apoptosi. Vediamo nello specifico le conseguenze e i risultati di questa scelta cellulare.


PERCHÉ LE CELLULE SCELGONO DI MORIRE?

Come già detto, la cellula cerca in ogni modo di sopravvivere, ma quando i danni sono superiori alle sua capacità di riparazione, per il bene della collettività (del nostro corpo) decide di suicidarsi. Gli insulti possono riguardare la membrana cellulare, i mitocondri o il nucleo. Vediamoli nel dettaglio.
I danni alla membrana cellulare dipendono dai radicali liberi (rif. pag. 185), dalla mancanza di sostanze nutritive (alcuni grassi come gli omega 3 sono i migliori per la costruzione della membrana), dalla continua depolarizzazione della cellula (rif. pag. 59), dal continuo raggrinzimento e dal rigonfiamento cellulare (rif. pag. 55).
I danni causati al nucleo della cellula sono indotti sostanzialmente dai radicali liberi (circa 10.000 “insulti” giornalieri). Questo è il motivo principale della formazione di cellule tumorali.
I danni ai mitocondri (principale motivo dell’apoptosi) sono cagionati dai radicali liberi, prodotti durante la respirazione cellulare e da altri processi chimici del corpo. In tal caso si parla di disfunzione mitocondriale, che oltre a degradare questo organello, causa un aumento della produzione di radicali liberi (prodotti dalla maggiore inefficienza del mitocondrio danneggiato).


Fonte: srs di Adriano Panzironi, dal libro, "VIVERE 120 ANNI Le verità che nessuno vuole raccontarti"


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