Nel 1500 erano in 300 mila. A inizio Seicento ogni opera di
evangelizzazione venne bloccata, i missionari espulsi, il culto cristiano
dichiarato fuorilegge, alcune chiese demolite. Ma in migliaia restarono fedeli
nel silenzio
Erano increduli i padri missionari francesi
quando nel 1865 entrarono nel porto di Nagasaki, e per le celebrazioni del
Venerdì Santo si trovarono circondati da migliaia di fedeli con gli occhi a
mandorla. Era da almeno due secoli che il Giappone non conosceva preti, una
dura repressione aveva decimato la comunità cattolica fiorita a partire
dall’arrivo di Francesco Saverio,
nel 1549. Eppure qualcosa si era conservato: i “Kakure
Kirishitan”, i cristiani nascosti, avevano difeso la loro
fede dalle persecuzioni, e quando il paese fu riaperto agli stranieri, i
credenti presero coraggio e uscirono dalla clandestinità.
«Possiamo salutare Gesù e santa Maria?»,
chiesero alcuni contadini a uno stupito padre Petitjean, missionario raccolto in preghiera presso la chiesa di
Oura: quegli agricoltori erano soltanto i primi fedeli a farsi riconoscere dai
nuovi padri. Le cronache dell’epoca raccontano che per le celebrazioni pasquali
di quell’anno, solo a Nagasaki c’erano 10 mila fedeli in attesa dei sacerdoti
europei.
La storia della Chiesa giapponese è fatta di
dolore e sangue, quello dei tantissimi martiri che furono trapassati dalle
spade del governo locale: gli shogun temevano che il cristianesimo potesse
essere un braccio occidentale per sfondare nelle città nipponiche e quindi lo
osteggiarono non appena iniziò a diffondersi.
Le prime repressioni iniziarono a fine
Cinquecento, quando nel paese si contava che i seguaci di Cristo fossero già
300 mila, ma l’ostracizzazione più terribile arrivò sotto lo shogunato Tokugawa, a inizio Seicento: ogni opera
di evangelizzazione dei sacerdoti stranieri venne bloccata e i missionari
espulsi, il culto cristiano venne dichiarato fuorilegge, alcune chiese vennero
demolite.
Iniziò lì l’epoca dei “kakure kirishitan”: qualcuno fuggì nelle isole nel sud del paese, i
preti vennero uccisi, numerosi credenti iniziarono a vivere la fede in segreto.
In alcuni santuari sono ancora visibili i cartelli che venivano affissi agli
incroci delle strade, dove si assegnavano ricompense diverse a chi avesse
denunciato un sacerdote o un cristiano. A questo faceva seguito la pratica del
“fumi-e”: un credente veniva messo davanti a un’immagine sacra ed era costretto
a calpestarla per aver salva la vita.
Di padre in figlio
Lo scorso gennaio
papa Francesco, durante una catechesi
sul battesimo, ha preso come esempio proprio la storia della
comunità cristiana del Giappone: l’immersione nell’acqua santa era per loro il
primo passo per trasmettere il legame con Cristo di padre in figlio, in
un’epoca in cui non c’erano più sacerdoti. «Il popolo di Dio trasmette la fede,
battezza i suoi figli e va avanti», diceva il Pontefice: i giapponesi «avevano
mantenuto, pur nel segreto, un forte spirito comunitario, perché il battesimo
li aveva fatti diventare un solo corpo in Cristo: erano isolati e nascosti, ma
erano sempre membra del popolo di Dio, membra della Chiesa».
C’erano anche
altri gesti con cui la fede veniva alimentata nella segretezza: anzitutto il “kontatzu”, il rosario, officiato dal
capofamiglia. Poi la preghiera di fronte ad alcune figure sacre: per non farsi
scoprire, le croci venivano nascoste dietro alle effigi di Buddha, mentre tanti
fedeli tenevano in casa una statuetta della dea Kannon, un simbolo del Buddha misericordioso dalle sembianze
femminili sotto cui si celava la figura della Madonna.
La fede, insomma, si tramandava anche
attraverso gesti piccoli e silenziosi, perpetuati in segretezza. Ma le
testimonianze più profonde arrivarono da coloro che divennero martiri, in una
persecuzione che per efferatezza ricorda quella che colpì le prime comunità
cristiane sotto l’Impero Romano. Il primo episodio particolarmente cruento
avvenne nel 1597, quando 26 cristiani vennero crocifissi sulla collina di
Tateyama: erano francescani e gesuiti, europei e giapponesi. Sono stati
proclamati santi da Pio IX, nel 1862: secondo la Passio uno di loro, Paolo Miki, continuava a predicare
anche quando era in croce.
Qualche anno dopo la persecuzione s’avvicinò
alla sua fase più dura e uno degli episodi che più spesso si racconta è quanto
accadde nel 1603, anno in cui venne decapitato Simone Takeda, samurai convertito al servizio di un feudatario
cristiano. La moglie, Agnese, fu costretta ad assistere alla scena e non
abiurò, ma piena di amore raccolse la testa dell’uomo e l’abbracciò: la
commozione che suscitò la scena non impedì però alla donna di essere
martirizzata poco dopo.
Il dono dello specchio magico
Per
seguire invece la sua vocazione a entrare nella Compagnia di Gesù, Pietro Kibe intraprese un lunghissimo
viaggio verso Roma, passando per Gerusalemme: una volta ordinato, tornò
clandestinamente in Giappone, ma nel 1639 venne catturato e condannato a morte
«perché non voleva rinnegare la propria fede e incoraggiava i catechisti
martoriati accanto a lui», recitano le cronache. Tra i 188 beati che nel 2008 vennero
proclamati da Benedetto XVI, stupisce trovare tanto intere famiglie quanto
esponenti della nobiltà, samurai che accettarono di morire pur di rimanere
fedeli al Vangelo.
L’avversione del Giappone verso i cristiani è
proseguita fino al Novecento: solo con la riforma costituzionale successiva
alla Seconda Guerra mondiale è caduto del tutto l’editto.
Il prossimo anno si ricorderanno i 150 anni
dalla “riemersione” dei “kakure
kirishitan” e nella città di Nagasaki nascerà
un museo per raccontare le loro storie: sorgerà non
lontano da un altro museo, quello che ricorda il bombardamento del 1945, scelta
non casuale poiché tantissimi furono i cattolici morti a causa dell’atomica. E
mentre i vescovi nipponici sperano che l’interesse di papa Francesco per
l’Oriente lo porti presto anche in visita in Giappone, oggi il paese guarda ai
cattolici con un occhio di riguardo: c’è un progetto per far riconoscere come
“patrimonio dell’umanità” alcune delle chiese edificate tra il 16esimo e il
19esimo secolo, tra cui anche la cattedrale di Oura, quella della
“riemersione”.
E se lo scopo può essere prevalentemente
turistico, inequivocabile è stata invece la visita del premier Abe in Vaticano.
In dono al Santo Padre, il presidente ha portato uno “specchio magico”, copia
di quelli in uso tra i cristiani perseguitati: dietro alla superficie lucida si
nascondeva una croce e un’immagine di Gesù, visibile soltanto in controluce.
Fonte: visto su TEMPI del 22 giugno 2014
I “CRISTIANI NASCOSTI” DEL GIAPPONE, RIUSCITI A
TRASMETTERE LA FEDE «SENZA PRETI» NONOSTANTE SECOLI DI PERSECUZIONE
Emmanuele Michela
Il rosario, la fede clandestina e i sacramenti
officiati dai capi famiglia. Padre Alfredo Scattolon, missionario del Pime per
trent’anni in Giappone, racconta la storia dei cristiani citati da papa
Francesco
È una storia di persecuzione quella della
Chiesa in Giappone, una lunga oppressione che per più di due secoli e mezzo ha
decimato la comunità cattolica che qui aveva messo le sue radici grazie
all’arrivo dei Gesuiti nel Cinquecento. Papa Francesco nell’udienza
di mercoledì ha indicato le tante storie di fedeli
nipponici come esemplare testimonianza del valore del battesimo, un sacramento
che ha permesso di portare avanti nella clandestinità il legame con Cristo,
trasmesso di padre in figlio.
«NON C’ERANO PRETI». «Non c’erano preti,
erano stati espulsi. La fede si è tramandata così, grazie ad alcuni gesti come
il “contatzu”, il rosario, la
preghiera costante che accompagnava la vita di queste persone». A parlare
a tempi.it è
padre Alfredo Scattolon, missionario
del Pime per trent’anni in Giappone, prima a Yamanashi, a nord del monte Fuji,
poi più a sud, in una zona agricola vicino a Fukuoka. È arrivato in quelle
terre secoli dopo rispetto alle persecuzioni, eppure i segni di quelle violenze
sono conservati ancora oggi, in chiese e musei: «Sono ancora visibili, in
alcuni santuari, i cartelli che venivano appesi per strada e assegnavano
ricompense diverse a chi avesse denunciato o un sacerdote o un cristiano».
LE PRIME PERSECUZIONI. Il cattolicesimo
qui è arrivato durante il Cinquecento, portato inizialmente da Francesco Saverio e dai gesuiti che lo
seguirono. Il loro modo di entrare in contatto con la comunità locale era
cauto: tentavano di entrare in relazione anzitutto con i capi cercando di
rispettare la tradizione e la cultura locale. Con l’arrivo dei francescani e
dei domenicani, i primi folti gruppi di cristiani germogliarono, in particolare
a Nagasaki, che a fine XVI secolo contava già 300 mila fedeli. Ma una serie di
fattori portarono alla rottura. Il potere locale temeva questo nuovo credo,
considerato un braccio dell’Occidente per penetrare la loro storia nipponica. E
le persecuzioni iniziarono presto: prima con lo shogun Hideyoshi (i primi 26
martiri cristiani sono della sua epoca, 1597), poi, vent’anni dopo, sotto i
Tokugawa, che bandirono il cristianesimo dal Giappone.
I CRISTIANI NASCOSTI. Ed è allora
che nacquero i kakure kirishitan, i
“cristiani nascosti”: «Molti scapparono nelle tante isole che c’erano nel sud
del Paese. Ma le persecuzioni erano sistematiche: ad esempio, tutti furono
obbligati a iscriversi per i cimiteri ad un tempio buddista. Quando una persona
moriva, i suoi cari erano costretti a seppellirlo qui», racconta ancora padre
Alfredo. «Per indurre poi a rinnegare la fede si usò il sistema
del “fumi-e” (calpestare-immagine): si poneva per terra una immagine
sacra e chi era sospettato di essere cristiano era invitato a calpestarla. Solo
chi lo faceva aveva salva la vita». Nel 2008, Benedetto XVI ha canonizzato ben
188 martiri di quel periodo.
IL RITORNO DEI SACERDOTI. Eppure qualche
piccolo gruppo si è salvato, nascondendosi soprattutto nelle sperdute isole del
sud e mimetizzando il cristianesimo sotto simboli apparentemente buddisti,
come la statuetta della “dea” Cannon, simbolo del Buddha misericordioso,
che sostituiva quella della Madonna. Non essendoci più sacerdoti, i sacramenti
come battesimo e matrimonio, le preghiere come il “contatzu” erano
officiati dal capo famiglia.
Quando poi nell’Ottocento il Giappone riaprì i
suoi porti ai missionari francesi, i fedeli si fecero coraggio e tornarono
fuori: si racconta che nel 1865 furono quasi 10 mila i “kakure kirishitan”che
per celebrare il venerdì santo si presentarono ai padri delle Missioni Estere
di Parigi arrivati a Nagasaki, increduli di fronte ai loro occhi. «Ma occorre
precisare che alcuni gruppi di questi credenti non accolsero mai il ritorno dei
sacerdoti, ma andarono avanti a vivere la fede da soli, fino ad oggi, con
credenze che sconfinavano nella magia».
CONTINUA LA PERSECUZIONE. Le sofferenze
però non erano ancora finite: «La persecuzione andò avanti fin verso il 1912,
poiché l’editto non era stato mai sospeso. È un aspetto che si ricorda poco del
Giappone: solo con la riforma costituzionale dopo la Seconda Guerra Mondiale è
finita l’ostilità contro il cristianesimo». Oggi, alcuni dei luoghi dove si
consumarono queste ultime persecuzioni sono diventati meta di pellegrinaggio;
in particolare Hagi e Tsuwano. Qui si dice che sia apparsa la
Madonna a consolare uno di questi cristiani esiliati e morti di stenti.
PERDITA DELLA FEDE. Storie che ancora
oggi il Giappone porta con sé, in una comunità che è alle prese con problemi di
tutt’altro genere. Nel Seicento la fede in Dio si trasmetteva di padre in
figlio, un passaggio che ora purtroppo appare sempre più difficile: «La
famiglia segue sempre meno la crescita e la vita di un ragazzo: da una certa
età in poi, è educato quasi solo dalla scuola». Così si sta perdendo tutta la
freschezza che il cattolicesimo aveva trovato subito dopo la Seconda Guerra
Mondiale: la fine dell’impostazione militaristica del Paese fece perdere alla
gente comune i punti di riferimento e molti si avvicinarono così al cristianesimo.
Non è un caso se nel giro di pochi decenni il Giappone fu uno dei Paesi ad
avere, in proporzione, più vocazioni al mondo. Una crescita che ora si stenta a
rivedere.
Fonte: visto su TEMPI del 18 gennaio 2014
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