domenica 29 giugno 2014

I CRISTIANI GIAPPONESI “RIEMERSI” DAL NULLA. STORIA DI UN POPOLO FEDELE SOPRAVVISSUTO A DUE SECOLI DI PERSECUZIONE.






Nel 1500 erano in 300 mila.  A inizio Seicento ogni opera di evangelizzazione venne bloccata, i missionari espulsi, il culto cristiano dichiarato fuorilegge, alcune chiese demolite. Ma in migliaia restarono fedeli nel silenzio

Erano increduli i padri missionari francesi quando nel 1865 entrarono nel porto di Nagasaki, e per le celebrazioni del Venerdì Santo si trovarono circondati da migliaia di fedeli con gli occhi a mandorla. Era da almeno due secoli che il Giappone non conosceva preti, una dura repressione aveva decimato la comunità cattolica fiorita a partire dall’arrivo di Francesco Saverio, nel 1549. Eppure qualcosa si era conservato: i “Kakure Kirishitan”, i cristiani nascosti, avevano difeso la loro fede dalle persecuzioni, e quando il paese fu riaperto agli stranieri, i credenti presero coraggio e uscirono dalla clandestinità.

«Possiamo salutare Gesù e santa Maria?», chiesero alcuni contadini a uno stupito padre Petitjean, missionario raccolto in preghiera presso la chiesa di Oura: quegli agricoltori erano soltanto i primi fedeli a farsi riconoscere dai nuovi padri. Le cronache dell’epoca raccontano che per le celebrazioni pasquali di quell’anno, solo a Nagasaki c’erano 10 mila fedeli in attesa dei sacerdoti europei.

La storia della Chiesa giapponese è fatta di dolore e sangue, quello dei tantissimi martiri che furono trapassati dalle spade del governo locale: gli shogun temevano che il cristianesimo potesse essere un braccio occidentale per sfondare nelle città nipponiche e quindi lo osteggiarono non appena iniziò a diffondersi.
Le prime repressioni iniziarono a fine Cinquecento, quando nel paese si contava che i seguaci di Cristo fossero già 300 mila, ma l’ostracizzazione più terribile arrivò sotto lo shogunato Tokugawa, a inizio Seicento: ogni opera di evangelizzazione dei sacerdoti stranieri venne bloccata e i missionari espulsi, il culto cristiano venne dichiarato fuorilegge, alcune chiese vennero demolite.

Iniziò lì l’epoca dei “kakure kirishitan”: qualcuno fuggì nelle isole nel sud del paese, i preti vennero uccisi, numerosi credenti iniziarono a vivere la fede in segreto. In alcuni santuari sono ancora visibili i cartelli che venivano affissi agli incroci delle strade, dove si assegnavano ricompense diverse a chi avesse denunciato un sacerdote o un cristiano. A questo faceva seguito la pratica del “fumi-e”: un credente veniva messo davanti a un’immagine sacra ed era costretto a calpestarla per aver salva la vita.

Di padre in figlio
Lo scorso gennaio papa Francesco, durante una catechesi sul battesimo, ha preso come esempio proprio la storia della comunità cristiana del Giappone: l’immersione nell’acqua santa era per loro il primo passo per trasmettere il legame con Cristo di padre in figlio, in un’epoca in cui non c’erano più sacerdoti. «Il popolo di Dio trasmette la fede, battezza i suoi figli e va avanti», diceva il Pontefice: i giapponesi «avevano mantenuto, pur nel segreto, un forte spirito comunitario, perché il battesimo li aveva fatti diventare un solo corpo in Cristo: erano isolati e nascosti, ma erano sempre membra del popolo di Dio, membra della Chiesa».
C’erano anche altri gesti con cui la fede veniva alimentata nella segretezza: anzitutto il “kontatzu”, il rosario, officiato dal capofamiglia. Poi la preghiera di fronte ad alcune figure sacre: per non farsi scoprire, le croci venivano nascoste dietro alle effigi di Buddha, mentre tanti fedeli tenevano in casa una statuetta della dea Kannon, un simbolo del Buddha misericordioso dalle sembianze femminili sotto cui si celava la figura della Madonna.

La fede, insomma, si tramandava anche attraverso gesti piccoli e silenziosi, perpetuati in segretezza. Ma le testimonianze più profonde arrivarono da coloro che divennero martiri, in una persecuzione che per efferatezza ricorda quella che colpì le prime comunità cristiane sotto l’Impero Romano. Il primo episodio particolarmente cruento avvenne nel 1597, quando 26 cristiani vennero crocifissi sulla collina di Tateyama: erano francescani e gesuiti, europei e giapponesi. Sono stati proclamati santi da Pio IX, nel 1862: secondo la Passio uno di loro, Paolo Miki, continuava a predicare anche quando era in croce.
Qualche anno dopo la persecuzione s’avvicinò alla sua fase più dura e uno degli episodi che più spesso si racconta è quanto accadde nel 1603, anno in cui venne decapitato Simone Takeda, samurai convertito al servizio di un feudatario cristiano. La moglie, Agnese, fu costretta ad assistere alla scena e non abiurò, ma piena di amore raccolse la testa dell’uomo e l’abbracciò: la commozione che suscitò la scena non impedì però alla donna di essere martirizzata poco dopo.

Il dono dello specchio magico
Per seguire invece la sua vocazione a entrare nella Compagnia di Gesù, Pietro Kibe intraprese un lunghissimo viaggio verso Roma, passando per Gerusalemme: una volta ordinato, tornò clandestinamente in Giappone, ma nel 1639 venne catturato e condannato a morte «perché non voleva rinnegare la propria fede e incoraggiava i catechisti martoriati accanto a lui», recitano le cronache. Tra i 188 beati che nel 2008 vennero proclamati da Benedetto XVI, stupisce trovare tanto intere famiglie quanto esponenti della nobiltà, samurai che accettarono di morire pur di rimanere fedeli al Vangelo.

L’avversione del Giappone verso i cristiani è proseguita fino al Novecento: solo con la riforma costituzionale successiva alla Seconda Guerra mondiale è caduto del tutto l’editto.
Il prossimo anno si ricorderanno i 150 anni dalla “riemersione” dei “kakure kirishitan” e nella città di Nagasaki nascerà un museo per raccontare le loro storie: sorgerà non lontano da un altro museo, quello che ricorda il bombardamento del 1945, scelta non casuale poiché tantissimi furono i cattolici morti a causa dell’atomica. E mentre i vescovi nipponici sperano che l’interesse di papa Francesco per l’Oriente lo porti presto anche in visita in Giappone, oggi il paese guarda ai cattolici con un occhio di riguardo: c’è un progetto per far riconoscere come “patrimonio dell’umanità” alcune delle chiese edificate tra il 16esimo e il 19esimo secolo, tra cui anche la cattedrale di Oura, quella della “riemersione”.

E se lo scopo può essere prevalentemente turistico, inequivocabile è stata invece la visita del premier Abe in Vaticano. In dono al Santo Padre, il presidente ha portato uno “specchio magico”, copia di quelli in uso tra i cristiani perseguitati: dietro alla superficie lucida si nascondeva una croce e un’immagine di Gesù, visibile soltanto in controluce.



Fonte: visto su TEMPI del 22 giugno 2014




I “CRISTIANI NASCOSTI” DEL GIAPPONE, RIUSCITI A TRASMETTERE LA FEDE «SENZA PRETI» NONOSTANTE SECOLI DI PERSECUZIONE





Emmanuele Michela

Il rosario, la fede clandestina e i sacramenti officiati dai capi famiglia. Padre Alfredo Scattolon, missionario del Pime per trent’anni in Giappone, racconta la storia dei cristiani citati da papa Francesco


È una storia di persecuzione quella della Chiesa in Giappone, una lunga oppressione che per più di due secoli e mezzo ha decimato la comunità cattolica che qui aveva messo le sue radici grazie all’arrivo dei Gesuiti nel Cinquecento. Papa Francesco nell’udienza di mercoledì ha indicato le tante storie di fedeli nipponici come esemplare testimonianza del valore del battesimo, un sacramento che ha permesso di portare avanti nella clandestinità il legame con Cristo, trasmesso di padre in figlio.

«NON C’ERANO PRETI». «Non c’erano preti, erano stati espulsi. La fede si è tramandata così, grazie ad alcuni gesti come il “contatzu”, il rosario, la preghiera costante che accompagnava la vita di queste persone». A parlare a tempi.it è padre Alfredo Scattolon, missionario del Pime per trent’anni in Giappone, prima a Yamanashi, a nord del monte Fuji, poi più a sud, in una zona agricola vicino a Fukuoka. È arrivato in quelle terre secoli dopo rispetto alle persecuzioni, eppure i segni di quelle violenze sono conservati ancora oggi, in chiese e musei: «Sono ancora visibili, in alcuni santuari, i cartelli che venivano appesi per strada e assegnavano ricompense diverse a chi avesse denunciato o un sacerdote o un cristiano».

LE PRIME PERSECUZIONI. Il cattolicesimo qui è arrivato durante il Cinquecento, portato inizialmente da Francesco Saverio e dai gesuiti che lo seguirono. Il loro modo di entrare in contatto con la comunità locale era cauto: tentavano di entrare in relazione anzitutto con i capi cercando di rispettare la tradizione e la cultura locale. Con l’arrivo dei francescani e dei domenicani, i primi folti gruppi di cristiani germogliarono, in particolare a Nagasaki, che a fine XVI secolo contava già 300 mila fedeli. Ma una serie di fattori portarono alla rottura. Il potere locale temeva questo nuovo credo, considerato un braccio dell’Occidente per penetrare la loro storia nipponica. E le persecuzioni iniziarono presto: prima con lo shogun Hideyoshi (i primi 26 martiri cristiani sono della sua epoca, 1597), poi, vent’anni dopo, sotto i Tokugawa, che bandirono il cristianesimo dal Giappone.

I CRISTIANI NASCOSTI. Ed è allora che nacquero i kakure kirishitan, i “cristiani nascosti”: «Molti scapparono nelle tante isole che c’erano nel sud del Paese. Ma le persecuzioni erano sistematiche: ad esempio, tutti furono obbligati a iscriversi per i cimiteri ad un tempio buddista. Quando una persona moriva, i suoi cari erano costretti a seppellirlo qui», racconta ancora padre Alfredo. «Per indurre poi a rinnegare la fede si usò il sistema del  “fumi-e” (calpestare-immagine): si poneva per terra una immagine sacra e chi era sospettato di essere cristiano era invitato a calpestarla. Solo chi lo faceva aveva salva la vita». Nel 2008, Benedetto XVI ha canonizzato ben 188 martiri di quel periodo.

IL RITORNO DEI SACERDOTI. Eppure qualche piccolo gruppo si è salvato, nascondendosi soprattutto nelle sperdute isole del sud e mimetizzando il cristianesimo sotto simboli apparentemente buddisti, come la statuetta della “dea” Cannon, simbolo del Buddha misericordioso, che sostituiva quella della Madonna. Non essendoci più sacerdoti, i sacramenti come battesimo e matrimonio, le preghiere come il “contatzu” erano officiati dal capo famiglia.
Quando poi nell’Ottocento il Giappone riaprì i suoi porti ai missionari francesi, i fedeli si fecero coraggio e tornarono fuori: si racconta che nel 1865 furono quasi 10 mila i “kakure kirishitan”che per celebrare il venerdì santo si presentarono ai padri delle Missioni Estere di Parigi arrivati a Nagasaki, increduli di fronte ai loro occhi. «Ma occorre precisare che alcuni gruppi di questi credenti non accolsero mai il ritorno dei sacerdoti, ma andarono avanti a vivere la fede da soli, fino ad oggi, con credenze che sconfinavano nella magia».

CONTINUA LA PERSECUZIONE. Le sofferenze però non erano ancora finite: «La persecuzione andò avanti fin verso il 1912, poiché l’editto non era stato mai sospeso. È un aspetto che si ricorda poco del Giappone: solo con la riforma costituzionale dopo la Seconda Guerra Mondiale è finita l’ostilità contro il cristianesimo». Oggi, alcuni dei luoghi dove si consumarono queste ultime persecuzioni sono diventati meta di pellegrinaggio; in particolare Hagi e Tsuwano. Qui si dice che sia  apparsa la Madonna a consolare uno di questi cristiani esiliati e morti di stenti.

PERDITA DELLA FEDE. Storie che ancora oggi il Giappone porta con sé, in una comunità che è alle prese con problemi di tutt’altro genere. Nel Seicento la fede in Dio si trasmetteva di padre in figlio, un passaggio che ora purtroppo appare sempre più difficile: «La famiglia segue sempre meno la crescita e la vita di un ragazzo: da una certa età in poi, è educato quasi solo dalla scuola». Così si sta perdendo tutta la freschezza che il cattolicesimo aveva trovato subito dopo la Seconda Guerra Mondiale: la fine dell’impostazione militaristica del Paese fece perdere alla gente comune i punti di riferimento e molti si avvicinarono così al cristianesimo. Non è un caso se nel giro di pochi decenni il Giappone fu uno dei Paesi ad avere, in proporzione, più vocazioni al mondo. Una crescita che ora si stenta a rivedere.



Fonte: visto su TEMPI  del 18 gennaio 2014


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