Dal testo di Francesco Zanotto
"Gli avvisati corsero tosto al Consiglio
de' X, e quel Consiglio tanto operò nella notte che precedeva il giorno
tremendo, che furono arrestati i principali capi della congiura e tradotti in
giudizio. Dai quali saputo l'ordine della trama, e come in essa v'entrava il
Doge medesimo, dannati a morte, furono impesi. Quindi fu arrestato anche il Doge medesimo, e convinto e confesso del suo
delitto, venne condannato da quattordici senatori alla pena di morte, il 17
aprile del citato anno 1355. Pria di soggiacere alla sentenza, gli fu conceduto
di poter disporre di 2000 ducati del suo, e gli fu tolto il berretto ducale
sulla scalea ... "
ANNO 1355
Giuseppe Gatteri
Cosa ci racconta il
disegno di Gatteri.
Fu l'odio per la
classe degli aristocratici che non lo amava, o forse uno sgarbo e un'offesa
all'onore. Sembra certo comunque che per Marin Falier la congiura doveva
spianargli la strada per il potere assoluto. Il rischio
di un cambiamento politico radicale fu grave per Venezia ma la delazione ebbe il suo peso e
la congiura fallì ...
LA SCHEDA STORICA -
50
Il 7 settembre del
1354 moriva il doge Andrea Dandolo. Pochi mesi ancora e il doge avrebbe
assistito ad una delle più tremende ed umilianti sconfitte della flotta
veneziana per mano dei mortali nemici genovesi. Nel novembre di quel medesimo anno, infatti,
presso Portolongo, tutte le 56 navi spedite da Venezia per combattere quelle
della repubblica ligure vennero catturate dal nemico mentre ben 450 marinai
venivano infilzati, pare a sangue freddo, dai genovesi.
Toccò al nuovo doge, Marin Falier portare il peso della dura
sconfitta. Esponente di una delle più antiche famiglie della nobiltà veneziana,
prima della sua ascesa al trono ducale si era distinto tanto per la sua
attività diplomatica, quanto per le sue doti militari che poté esplicare
durante la guerra con la ribelle Zara nel 1346.
Più volte membro del Consiglio dei Dieci pare abbia svolto
in quel contesto un ruolo determinante nella repressione della congiura di
Bajamonte Tiepolo e nella sua stessa scomparsa. Podestà di Chioggia, Padova e Treviso, proprio
in questa città il Falier si era distinto per il suo carattere aspro ed
irascibile, arrivando a schiaffeggiare pubblicamente il vescovo di quella
città.
Quando venne eletto doge, dunque, il Falier era
pubblicamente e da tempo noto sia per il suo impegno a favore della Repubblica sia per il suo
carattere eccentrico e suscettibile del quale ben presto i veneziani avrebbero
avuto un'eclatante riprova.
Tutto iniziò, si racconta, il giovedì grasso del 1345
durante i festeggiamenti che si tenevano abitualmente a Venezia in quel giorno.
La festa, da Piazza S. Marco proseguiva poi nel Palazzo Ducale dove veniva
offerto dal doge il tradizionale banchetto e fu proprio lì che ebbe inizio la rovina dello
stesso Falier.
Un giovane infatti, tal Michele Steno, probabilmente ormai
ubriaco, importunò pesantemente una damigella del seguito che accompagnava la
dogaressa. Il doge offeso ed irritato fece cacciare dalla sala il giovane che
prima di andarsene riuscì però ad intrufolarsi nella Sala del Maggior Consiglio
e a scrivere sul seggio ducale: "Marin Falier da la bela mujer. Altri la
galde (gode) e lu la mantien".
Difronte a tanto affronto l'ira del doge apparve
incontrollabile esplodendo ancor più violentemente quando la Quarantia
pronunciò una sentenza tutto sommato assai mite nei confronti dello Steno,
portando a sua discolpa la giovane età e la sua naturale indole pacifica. Non era la prima volta del resto che l'organo
chiamato a giudicare chiudesse un occhio nei confronti dei rampolli della
classe patrizia. Una classe che stava da tempo esageratamente insuperbendosi
anche a scapito della figura e del ruolo ducali.
Un ulteriore episodio, che confermò al doge questa
pericolosa tendenza, non tardò a verificarsi. Un certo Stefano Ghiazza detto
Isarello o Ghisello, ammiraglio dell'Arsenale, veniva aggredito e sbeffeggiato
pubblicamente da un giovane aristocratico. Ricorso al doge per avere giustizia
dell'affronto, Ghisello si sentì rispondere che se nemmeno al doge venne resa
giustizia, tanto meno lui poteva aspettarsi tanto. Ghisello intuito così lo
stato d'animo del doge pare lo abbia in quell'occasione reso partecipe della
congiura, una congiura che avrebbe visto per la prima volta nella veste del
congiurato lo stesso doge.
Ma una congiura contro chi, allora? Da sempre queste segrete
iniziative avevano avuto lo scopo di rovesciare, cacciare o uccidere proprio il
doge! Qualcosa, evidentemente, nella società veneziana del Trecento era nel
frattempo profondamente cambiato.
Ad accomunare il Falier e il Ghisello sulla necessità e
sull'obbiettivo della congiura era l'odio verso una classe aristocratica sempre
più potente e l'insofferenza nei confronti di un apparato di governo che sempre
più nei secoli aveva tolto spazio e peso alla figura del doge.
Appoggiarsi a Ghisello, il massimo ufficiale dell'Arsenale,
era di per sè fondamentale per il doge dal momento che i dirigenti di
quell'ente costituivano dalla metà del Trecento una sorta di corpo paramilitare
fedelissimo al doge stesso. Lo scopo
dell'azione era quello di sovvertire dunque e niente meno che lo stesso
ordinamento della Repubblica al fine di instaurare anche a Venezia una sorta di
Principato, scalzando così ogni forma di controllo e di vincolo sull'operato
ducale. Alla congiura, che prendeva via via sempre più consistenza,
partecipavano anche il nipote del doge ed il suocero di Ghisello, Filippo
Calendario, da molti ritenuto niente
meno che l'architetto del costruendo Palazzo Ducale.
Tutto era dunque pronto per il giorno stabilito, il 15
aprile, ma ancora una volta, come trent'anni prima per Bajamonte Tiepolo,
qualcuno parlò. Anzi, molto probabilmente più di qualcuno andò ad informare i
membri del Consiglio dei Dieci dell'imminente congiura ai danni della
Serenissima.
Con la tempestività e l'efficienza che gli erano ormai
propri, il Consiglio mobilitò prontamente i suoi uomini in ogni sestriere (in
tutto quasi 8.000!), pronti a sedare ogni minimo disordine. E così la congiura
venne stroncata ancora prima di esplodere. Tutti i congiurati vennero in breve
tempo catturati compreso il doge Marin Falier.
Reo confesso di fronte al Consiglio di Dieci, il vecchio
doge si assunse in pieno ogni responsabilità dichiarandosi pronto a pagare e
giustamente, con la vita il suo tradimento. E così fu.
Il 18 aprile del 1355 Marin Falier venne prelevato dai suoi
appartamenti in Palazzo Ducale. Venne quindi tradotto verso la scala esterna
nel cortile e lì venne privato delle insegne ducali e del corno d'oro. Ribadita
pubblicamente la giustezza della sentenza e posato il capo sul cippo, venne
infine decapitato. Le porte del Palazzo Ducale, chiuse durante l'esecuzione
vennero riaperte ed il corpo esposto al popolo. Dalle due colonne rosse nelle
vicinanze del Palazzo dove venivano comunemente decapitati i malfattori, venne
proclamata l'avvenuta esecuzione e che giustizia era quindi fatta. A Venezia,
ancora una volta, niente era mutato anche se il pericolo non era mai stato così
inaspettato e grave.
Ancora nel 1366 il doge cospiratore non trovava pace, tanto
che il suo ritratto nella sala del Consiglio Maggiore dove si trovavano dipinti
tutti i dogi, venne coperto da un velo nero con su scritto poche, lapidarie
parole: "Questo fu il posto di Marin Falier, decapitato per delitto di
tradimento".
Fonte: srs di Giuseppe
Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura Poloni,
Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA,
volume 2, SCRIPTA EDIZIONI
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