Dal testo di Francesco Zanotto
"Furono condotti
intorno all'esercito, come in trionfo; poscia si diede incominciamento a
quell'orrida tragedia. Su gli occhi di quell'infelicissimo padre gl'innocenti
fanciulli furono ad uno ad uno decapitati. Si venne poi alle donzelle e alla
moglie, giovane ancora e bella. Fu acceso il fuoco, e furono miseramente vive
abbruciate. Finalmente colla morte di Alberico fu dato fine all'orribile fatto.
Egli fu posto alla coda di un cavallo e trascinato per tutto l'esercito,
lasciando il terreno intriso del suo sangue, e ad ogni sasso, ad ogni sterpo o
spina qualche pezzo delle sue carni".
ANNO 1260
Giuseppe Gatteri
Cosa ci racconta il disegno di Gatteri.
Il declino degli Ezzelini ha due tappe: la morte
del Tiranno, Ezzelino III, e la
lenta agonia politica e militare
del fratello, Alberico, per più di un anno rinchiuso nel suo castello di San
Zenone, dove infine troverà la morte assieme alla sua famiglia in un'orrenda
carneficina ...
(Nella
illustrazione di Giuseppe Gatteri il signore del castello di San Zenone,
Alberico degli Ezzelini, chiede pietà ai suoi aguzzini)
38 - LA SCHEDA STORICA
La politica veneziana
per tutto il XIII secolo poteva considerarsi ancora una politica prettamente
marittima e per questo, come da sempre del resto, maggiormente rivolta verso
l'Oriente ed il Mediterraneo piuttosto che verso la terraferma dove Venezia non
aveva tuttavia mancato già di scontrarsi una volta coi padovani nel corso del
XII secolo.
Tuttavia, rispetto all'entroterra veneto, ai suoi violenti e
convulsi mutamenti politici e sociali, ai suoi Comuni e alle loro turbolente
vicende, la città lagunare aveva da sempre mantenuto un atteggiamento
sostanzialmente estraneo e disinteressato. E' solo con il nuovo secolo, il XIII, e con i
primi seri scontri con il vicino comune di Padova in costante espansione, che
anche il governo veneziano riconobbe sempre più l'utilità e l'opportunità di
intervenire in qualche modo nella politica dei Comuni veneti attraverso, per
esempio, l'elezione alla carica podestarile di cittadini veneziani.
Un imprevisto, tuttavia, arrivò a turbare i programmi di
Venezia e con essi la vita politica e sociale di tutte le città venete,
imprevisto che portava il nome di Ezzelino III da Romano. Nel giro di pochi anni, da semplice
esponente di una delle più ricche famiglie dell'antica nobiltà feudale,
Ezzelino, spalleggiato dall'imperatore Federico II di Svevia, riuscì infatti ad
affermare il proprio dominio su tutti i principali Comuni dell'allora Marca
Trevigiana: Vicenza, Verona, Padova e Treviso che tra il 1236 ed il 1237
caddero tutti sotto il personale dominio del da Romano.
Fu allora che Venezia, per la prima volta dopo tanti anni,
si sentì nuovamente e seriamente minacciata alle spalle. La costituzione di una
potente e personale signoria nella regione da parte di Ezzelino non poteva
naturalmente che impensierire il governo veneziano che, tuttavia, scese in
campo contro il "tiranno" solo nel 1256, quando il potere ezzeliniano
era ormai chiaramente destinato al tramonto sotto l'urto di una vastissima
coalizione perorata dallo stesso pontefice.
Dopo tre anni Ezzelino infatti sarebbe stato sconfitto
definitivamente a Cassano d'Adda lasciando l'ultima, disperata speranza di un
impossibile riscatto, al fratello Alberico signore di Treviso.
Della città trevigiana Alberico da Romano si era insignorito
conquistandola militarmente il 14 maggio del 1239. Inutilmente il suo Podestà,
il veneziano Pietro Tiepolo, figlio dello stesso doge, aveva tentato una
coraggiosa difesa della città contro l'esercito di Alberico: il fratello di
Ezzelino inaugurava in questo modo un ventennio di indiscusso e personale
dominio.
Vent'anni durante i quali il da Romano, pur facendo di
Treviso e della sua corte uno dei centri più importanti e raffinati della
produzione lirica cortese, non mancò di usare un pesante pugno di ferro contro
oppositori o semplicemente presunti
tali. Si intensificarono così, specie dopo il 1245, le defezioni, le fughe e le
fuoriuscite di molti illustri esponenti della vita pubblica trevigiana. Le
persecuzioni che ne seguirono non fecero altro che incrementare l'odio verso il
da Romano ed accelerare il suo progressivo isolamento. Nessuno poteva ormai
lasciare o entrare a Treviso senza il suo personale consenso mentre i
superstiti della dura repressione, in numero sempre più crescente, trovavano in
Venezia un vicino e sicuro rifugio.
La fine di Alberico
Nel 1257 Alberico si
era pure riavvicinato al potente fratello Ezzelino dopo lunghi anni di
antagonismi, gelosie e scontri per il predominio nella regione, siglando in
questo modo la sua rovina.
Avuta infatti notizia della morte del fratello caduto
prigioniero nella battaglia di Cassano d'Adda, Alberico sentì prossima anche la
sua fine. Non considerando più Treviso sicura e fidata, il da Romano si rifugiò
così in uno dei suoi più fortificati ed inaccessibili castelli, quello di S. Zenone.
Lo seguivano i soli membri della famiglia, la moglie e gli otto figli oltre i
pochi uomini di masnada rimasti fedeli in virtù di uno speciale vincolo di
giuramento che li legava alloro signore.
Intanto a Treviso veniva eletto il nuovo Podestà, ancora un
veneziano, nella persona di Marco Badoer. Il suo governo come primo atto
decretò la morte di Alberico e di tutti i membri della sua famiglia, adulti e
fanciulli. Alberico, che nel frattempo resisteva ai colpi degli assalitori,
rimaneva rinchiuso nel suo castello. Era solo, tuttavia, questione di pochi
giorni.
Probabilmente a seguito del tradimento del comandante della
cinta inferiore, Mesa da Porcilia, il castello venne infatti ben presto in gran
parte conquistato e distrutto. Restava quale unica ed ultima via di scampo la
torre centrale dove Alberico infatti si rifugiò rendendosi conto troppo tardi
della trappola senza uscita in cui si era cacciato. Dopo tre giorni di
disperata resistenza, preso più dalla fame e dalla sete, Alberico decise per la
resa nella speranza di salvare almeno in questo modo la vita dei suoi cari e
dei suoi uomini.
Questi, sciolti dal vincolo di fedeltà assoluta alloro
signore, avrebbero dovuto consegnarlo al nemico chiedendo in cambio la salvezza
della moglie Margherita e degli otto figli, pregando il marchese d'Este - uno
dei più accaniti nemici dei da Romano ma imparentato con la famiglia di
Alberico per averne sposato una figlia -, di prenderli sotto la sua protezione.
Nessuna delle pietose richieste di Alberico venne tuttavia
accolta. Anzi! Una volta avuti fra le mani il da Romano e la sua famiglia, gli
assalitori non si risparmiarono quanto ad atrocità e nefandezze. Alberico fu
costretto ad assistere alla decapitazione dei suoi due figlioli maschi, il più
piccolo dei quali ancora bambino, mentre la moglie e le altre figlie venivano
arse vive su dei roghi. Dopo tanto strazio Alberico veniva infine giustiziato
ed il suo corpo trascinato barbaramente da un cavallo. Era il 26 agosto del
1260.
Così, tra il sangue e la polvere, si era consumata un'atroce
vendetta che aveva posto miseramente fine alla gloriosa e rapida ascesa di una
famiglia che aveva trovato in Ezzelino e nel fratello Alberico, gli ultimi,
estremi fautori di un inconfessato ed ambizioso sogno di potere.
Fonte: srs di Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco
Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA
VENETA, volume 2, SCRIPTA EDIZIONI
Nessun commento:
Posta un commento