Dal testo di Francesco Zanotto
"Ubertino provvide alla guardia della
città, ne fornì le porte dei più leali fra i padovani, e indettatosi
segretamente col de' Rossi, lo invitò ad approssimarsi coll'esercito. Accostavasi il capitano alla porta di Santa
Croce facendo cenno di abbatterla, e intanto, secondo le prese intelligenze,
profittando del favor della notte, andò alla porta di Pontecorvo seguitato da
500 Tedeschi, ed avendola trovata aperta per opera di Marsilio, si mise dentro
nel borgo, il dì 3 agosto 1337, passò l'altra di S. Stefano alla seconda cinta
di mura, che pure era schiusa, e giunse fino alla piazza senza occorrere in
opposizione veruna ... "
ANNO 1337
Giuseppe Gatteri
Cosa ci racconta
il disegno di Gatteri.
La conquista di
una città avviene o per
assedio o per tradimento. E la
"conquista" di Padova non fece eccezione: la quinta colonna della
famiglia Da Carrara fece da battistrada alla potenza delle armi veneziane
neutralizzando il controllo degli Scaligeri sull'intero territorio del Veneto
centrale ...
LA SCHEDA STORICA - 46
Nel 1329 veniva a morte dopo un dogato di 16 anni Giovanni
Soranzo e prontamente gli succedeva sul trono ducale Francesco Dandolo.
Venezia fino ad allora era stata da sempre una potenza
marittima e a questo era legata la sua fama. Il rapporto con il suo entroterra
tuttavia, non era certo di minore importanza dato che dalle sue campagne
giungevano via fiume a Venezia i generi ed i prodotti di prima necessità
indispensabili per la sopravvivenza fisica dei suoi abitanti. In quest'ottica,
l'evoluzione delle vicende storico-politiche dei Comuni veneti riguardavano
sempre più anche Venezia. Una città, quella lagunare, in costante crescita
demografica se si pensa che solo nell'ultimo secolo aveva raddoppiato la sua
popolazione con un conseguente, crescente aumento della domanda di generi
alimentari che la legavano sempre più alle città agricole dell'entroterra.
Già agli inizi del XIII secolo era emersa la necessità di
entrare in qualche modo nella vita politica dei Comuni, esigenza momentaneamente
frustrata durante il ventennio ezzeliniano durante il quale Venezia si rese
conto anche della pericolosità di avere alle spalle una signoria personale e
dispotica quale fu quella del da Romano.
Caduto il "tiranno" nel 1260, la pace non tornò
certo a regnare nella regione dove si scontravano ormai apertamente, le mire
espansionistiche dei due Comuni più forti, quello padovano dei da Carrara e
quello veronese dei della Scala. Una situazione che da un sostanziale
equilibrio nel corso della seconda metà del secolo, arrivò al punto di crisi
politico-militare in quello successivo.
Cangrande della Scala infatti, aveva rapidamente conquistato
Feltre e Belluno togliendo successivamente ai Padovani Vicenza per arrivare a
conquistare infine, la stessa Padova nel 1328.
La potenza espansiva del signore veronese arrivò così l'anno
seguente alle porte di Venezia quando proprio nel 1329 fece installare niente
meno che a Mestre i suoi doganieri. La morte di Cangrande in quel medesimo anno
non mutò di molto la situazione per Venezia, se non in peggio.
Il suo successore Mastino II procedeva infatti sulla linea
patema annettendosi anche le città di Parma, Brescia e spregiudicatamente pure
Lucca in Toscana.
Forte di questi inarrestabili successi Mastino II aveva poi
iniziato ad intralciare pesantemente il commercio fluviale da e per Venezia
inasprendo esageratamente i dazi sulle merci e minacciando lo stesso monopolio
veneziano del sale. Il della Scala, infatti, aveva inaugurato l'importazione
del prezioso minerale da Salisburgo, città ricca infatti di miniere di
salgemma, ed aveva costruito, vicino a quelle veneziane, le sue saline.
Ora poteva inviare a Venezia il suo ambasciatore Marsilio da
Carrara, signore-fantoccio di Padova e nominato vicario degli Scaligeri dopo la
loro conquista della città. L'eccessiva fiducia, o forse la prova di tale
fiducia, concessa dai veronesi a Marsilio si dovrà rivelare ben presto un
grave, fatale errore.
Il padovano infatti,
non poteva certo accettare il ruolo di semplice vicario della "sua"
città al servizio per di più del nemico conquistatore e così i negoziati con
Venezia rappresentarono per il da Carrara una preziosa occasione per poter
riacquistare eventualmente la città proprio con l'aiuto degli stessi veneziani
che, di ragioni per contrastare il potere scaligero, ne avevano sin troppe.
Si narra, così, che durante un banchetto diplomatico, caduta
la forchetta al doge, Marsilio si sia inchinato a raccoglierla sussurrando al
Dandolo in quei brevi istanti :"Che premio se vi consegnassi Padova?"
E il doge:" La Signoria di Padova". E così fu.
Venezia accettando di appoggiare il da Carrara nelle sue
segrete aspirazioni, entrava a pieno titolo nelle convulse ed intricate vicende
dei Comuni veneti. Oltre Padova infatti, Venezia garantì al signore carrarese
anche Monselice, Este, Cittadella e Bassano, in cambio di garanzie economiche e
di una reciproca alleanza difensiva. Venezia otteneva invece oltre a questo, il
dominio di Treviso e del suo territorio "sbarcando" così anche fisicamente
sulla terraferma.
E così, il 10 ottobre del 1336 Pietro de Rossi, il più
giovane rampollo della spodestata famiglia signorile di Parma, ma anche uno dei
più validi condottieri del tempo, riceveva dal doge in persona il gonfalone di
S. Marco. Era l'investitura ufficiale da parte dei veneziani del comando di un
esercito che riuniva nelle sue file gli esponenti di un vastissimo fronte
anti-scaligero che includeva anche i Gonzaga, gli Estensi e gli stessi
Visconti, spaventati dalla crescente potenza dei signori veronesi.
Dopo la prima vittoriosa serie di scontri dell'esercito
della coalizione, il comandante de Rossi portò le sue truppe verso Padova dove
si trovava a difesa della città Alberto della Scala accanto a Marsilio da
Carrara che in realtà aspettava speranzoso, all'insaputa dello scaligero,
l'arrivo degli eserciti. Mastino d'altro canto, aveva dovuto lasciare la città
per accorrere a Brescia dove un attacco diversivo di Azzo Visconti richiamò
astutamente il potente signore veronese.
Padova, così, lasciata in mano all'inetto Alberto divenne
una facile preda per l'esercito del de Rossi che poteva contare anche sulla
complicità interna dei fratelli carraresi Marsilio ed Ubertino. Fu probabilmente
quest'ultimo ad aprire le porte della città alle truppe anti-scaligere che
arrivarono nella piazza centrale senza trovare alcuna resistenza. Alberto si
rese conto troppo tardi di quello che stava accadendo e venne facilmente
catturato e spedito a Venezia quale prezioso prigioniero. Anche per Mastino
della Scala, del resto, le cose non volgevano certo per il meglio tanto che nel
1339 fu costretto a chiedere la pace. Pace che si dimostrò estremamente
vantaggiosa soprattutto per i veneziani.
Padova, infatti, tornava solo formalmente ai Carraresi che
di fatto si erano rimessi nelle mani del governo lagunare che riusciva anche a
confermare il possesso di Treviso e del suo territorio da Castelfranco a
Oderzo, assicurandosi una preziosa via per i paesi d'Oltralpe dove venivano
largamente distribuiti i prodotti provenienti dall'Oriente ed importati da
Venezia. Il primo, importante nucleo del
futuro dominio veneziano sulla terraferma aveva così preso lentamente
consistenza.
Fonte: srs di
Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura
Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA,
volume 2, SCRIPTA EDIZIONI
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